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Studenti delle superiori a scuola di economia e scienze sociali con docenti d’eccezione
A “scuola” di economia e scienze sociali con figure di spicco del panorama culturale, economico-finanziario, imprenditoriale e politico del Paese. È rivolto, infatti, agli studenti delle scuole secondarie di secondo grado, pubbliche e private, il nuovo Programma di Educazione per le Scienze Economiche e Sociali (Peses) promosso dall’Università Cattolica del Sacro Cuore e diretto dall’economista Carlo Cottarelli . Sono oltre 40 le personalità che hanno aderito gratuitamente all’iniziativa, disposti a condividere le proprie esperienze professionali con gli studenti. Nel primo anno, il programma prevede circa 150 presentazioni, per poi crescere negli anni seguenti. Per aderire all’iniziativa le scuole interessate possono inviare una e-mail all’indirizzo di posta elettronica programma.peses@unicatt.it , indicando l’area, tra le dieci sopra riportate, per cui viene richiesta la visita degli esperti. Se compatibile con le risorse disponibili, saranno previste anche visite in orario serale a circoli culturali, con particolare attenzione a quelli per gli anziani. Le spese di viaggio per il programma Peses saranno finanziate da Arca Fondi SGR e da altri donatori che potranno aggiungersi nel tempo.
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Crescita del Pil, l’Italia batte l’Eurozona?
Il vero problema è la Germania, che probabilmente ha risentito più degli altri delle tensioni geopolitiche manifestatesi nel 2022, data la sua straordinaria apertura al commercio e agli investimenti internazionali e la sua forte interrelazione sia con la Russia che con la Cina. I dati della crescita del 2022 rispetto al 2019 mostrano una distanza rispetto alla media dell’Eurozona di oltre un punto percentuale, che si accorcia se si considerano i dati trimestrali più recenti. Pil ed export italiani danno segnali incoraggianti I dati più recenti sull’andamento del Pil italiano sono positivi e tali da indurre molti analisti a sottolineare che l’Italia va meglio degli altri Paesi dell’Eurozona, come a indicare che gli storici problemi strutturali sono stati superati. Come si vede dalla Tav. 1, nel periodo compreso tra il 2019 e il 2022, il Pil dell’Italia è aumentato cumulativamente dell’1 per cento, a fronte di valori più bassi per Francia (0,8 per cento), Germania (0,6 per cento) e Spagna (-1,3 per cento). Nonostante si tratti di Paesi molto più piccoli, i loro tassi di crescita si sono attestati a livelli talmente elevati da consentire una crescita media dell’Eurozona (in cui i quattro maggiori Paesi contano per circa il 75 per cento) del 2,4 per cento. Anche escludendo l’Irlanda, i cui dati sono gonfiati dai profitti delle multinazionali che le hanno consentito di mettere a segno un incredibile +35,1 per cento, il tasso di crescita medio (non ponderato) dei Paesi piccoli è del 5,7 per cento, ben superiore all’1 per cento dell’Italia. Cresce però meno di molti altri Paesi, compresa la Spagna (+3,8) che, pur essendo il Paese che più ha sofferto per le conseguenze economiche del Covid, è attualmente uno dei Paesi più dinamici e sembra avviarsi a superare tutti gli altri grandi Paesi dell’Eurozona.
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Conti pubblici a rischio?
Nei primi cinque mesi del 2023, il fabbisogno di cassa del settore statale è stato pari a 81,8 miliardi di euro, ben 46 miliardi in più che nello stesso periodo del 2022. L’aumento è preoccupante anche tenendo conto del fatto che la variazione del debito pubblico lordo (l’altra variabile chiave per le regole europee) è molto vicina al fabbisogno di cassa del settore statale. Nel seguito della nota argomentiamo che non è impossibile che gli obiettivi vengano raggiunti, ma è indubbio che il dato del fabbisogno faccia suonare un campanello d’allarme. Anche l’aumento delle pensioni – per la parte che è rimasta indicizzata all’inflazione – è un fattore che pesa sul fabbisogno e sull’indebitamento di quest’anno (per 21 miliardi) e che continuerà a pesare sui prossimi anni. Nel secondo passaggio si individuano una serie di fattori straordinari che possono spiegare perché il fabbisogno dell’anno possa ancora collocarsi in prossimità dell’obiettivo, che nel Def è del 5,6 per cento del Pil nello scenario programmatico (corrispondente a 113,1 miliardi). La stima è di 3,5 miliardi nei primi quattro mesi; l’effetto sul primo quadrimestre di quest’anno è stato di 5,9 miliardi mentre nei primi quattro mesi del 2022 la spesa fu di 2,4 miliardi. Poiché l’aumento del fabbisogno è di 46 miliardi, si potrebbe concludere che c’è un aumento strutturale del fabbisogno pari a 2,7 miliardi al mese; il che su 7 mesi significherebbe un aumento di circa 19 miliardi.
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Una nuova pace fiscale: le proposte del centrodestra
Il programma della Lega è più specifico, considera il magazzino di crediti fiscali dell’Agenzia delle Entrate- Riscossione e valuta che ben “545 miliardi potrebbero essere integralmente riscossi, a condizione che le modalità siano effettivamente percorribili”. Sulla base dei risultati dell’esperienza delle precedenti tre “rottamazioni” (2016, 2017 e 2018) e del “saldo e stralcio” del 2018, si ritiene che gli incassi effettivi al massimo possano essere nell’ordine di qualche decina di miliardi, non delle centinaia. I proventi delle “rottamazioni” e del “saldo e stralcio” vengono considerati “one off” da Eurostat e dunque le entrate che essi producono non contribuiscono a ridurre il deficit strutturale, che è quello che conta per le regole fiscali europee (ora sospese fino al 2023). Inoltre, dato che l’Agenzia delle Entrate-Riscossione – e prima Equitalia – è riuscita a effettuare verso queste cartelle almeno un’azione esecutiva, è presumibile che alcuni dei crediti in questa voce siano stati maturati da molti anni, il che ne riduce la probabilità di riscossione. Stimiamo che, se l’andamento di una nuova pace fiscale dovesse essere lo stesso dei provvedimenti precedenti (anche in riferimento alle percentuali di mantenimento del beneficio, ovvero le percentuali di cartelle aderenti che hanno mantenuto gli obblighi), l’ammontare riscosso potrebbe essere al massimo di 101 miliardi. Stando alla situazione del carico ruoli contabile del 2019 (Audizione Ruffini 22 aprile 2020), il 68% del valore del magazzino totale dell’epoca (955 miliardi nel 2019, nel 2020 è stato di 999 ed è di 1099 nel 2021) era costituito da cartelle con valore di 500.000+ euro, che interessavano solo l’1,3 per cento dei debitori. Il valore medio delle cartelle per soggetto aderente alle rottamazioni (2016-2019) è stato di 24mila euro (si sottolinea che ‘soggetti’ non è sinonimo di contribuenti, cioè persone fisiche o giuridiche: uno stesso contribuente può non solo essere intestatario di più cartelle, ma può essere anche più “soggetti”).
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Gli squilibri commerciali intra europei
La Germania è riuscita a migliorare la sua competitività di prezzo attraverso una politica di forte moderazione salariale e, partendo da un sostanziale equilibrio, ha registrato dei surplus crescenti sino al 7 per cento del Pil negli anni precedenti la Grande Crisi Finanziaria del 2008. La successiva crisi dei debiti sovrani è stata da molti commentatori attribuita all’eccessivo avanzo tedesco, che ha avuto come principale contropartita i disavanzi con paesi extra UE, ma anche con alcuni paesi dell’Eurozona, tra cui la Spagna e, in misura minore, l’Italia (Fig.1). Dal 2012 in poi, entrambi i paesi hanno registrato costantemente degli avanzi consistenti, compresi fra il 2 e il 4 per cento del Pil. Ciò è stato dovuto in parte alle politiche di restrizione della domanda messe in atto da questi due paesi per far fronte alla crisi del debito. Quali considerazioni? La prima e fondamentale considerazione è che la perdita di competitività rispetto alla Germania (problema che aveva afflitto l’Unione Monetaria nei suoi primi anni) è in larga parte rientrato, per via della moderazione dei costi del lavoro e anche delle ristrutturazioni messe in atto dalle imprese. Rispetto a queste critiche, si argomenta che l’endemico deficit esterno degli Stati Uniti (oltre 400 miliardi negli ultimi anni) è una conseguenza delle politiche eccessivamente espansive di quel paese e che gli avanzi del resto del mondo sono la contropartita di tale disavanzo. Con riferimento all’Eurozona, l’Eurostat calcola che la posizione creditoria netta (“net investment position”), che è sostanzialmente la cumulata dei passati avanzi e disavanzi delle partite correnti, è notevolmente migliorata rispetto al 2008, ma nel 2019 era ancora negativa (Tav. 2); si è azzerata solo nel 2021 in conseguenza della recessione da pandemia. Il tasso di cambio effettivo nominale è il tasso di cambio di una valuta di riferimento rispetto alla media di diverse valute estere ponderata per il peso commerciale di questi paesi.
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Quanto costa aumentare le pensioni minime a mille euro?
agosto 2022 Intermedio In base ai dati Inps (relativi al 2020), i pensionati con un reddito fino al trattamento minimo (515,58 euro) sono 2,1 milioni; quelli fino a due volte il minimo (tra 515,59 e 1031,16 euro) sono 3,8 milioni. Se si volesse portare a 1.000 euro il reddito pensionistico di tutti i percettori di pensione minima (già rivalutata a partire da novembre 2022 del 2,2 per cento per effetto del Decreto Aiuti Bis del governo Draghi), il costo della riforma sarebbe di circa 19,5 miliardi. A partire da gennaio 2022, l’indicizzazione viene quindi effettuata con il tasso di inflazione del 2021 (1,7 per cento) che, nel caso della pensione minima, prevede una rivalutazione da 515,58 euro nel 2021 (uguale a quella del 2020) a 524,34 euro nel 2022. Poiché il tasso di inflazione effettivamente realizzato nell’anno 2021 è stato pari a 1,9 per cento, è previsto un ‘’conguaglio’’ di 0,2 per cento (inflazione realizzata – inflazione attesa) per tutti i pensionati. La distribuzione dei redditi pensionistici e un’analisi dei costi della proposta Nel 2020 (anno per cui sono disponibili i dati più recenti) il numero delle pensioni è stato di 22,7 milioni, mentre i beneficiari totali 16 milioni, dal momento che un pensionato può essere percettore di più di un tipo di pensione. Ripartendo il numero di pensionati e di pensioni per classe di importo con ampiezza multipla del trattamento minimo (corrispondente a 515,58 euro nel 2020), si osserva in generale una maggiore concentrazione nella parte bassa della distribuzione (Fig.1). In particolare, per importi fino a due volte il minimo (da 515,59 a 1031,17 euro), il numero delle pensioni è maggiore di quello dei pensionati: infatti, i pensionati sotto i 1.031,16 euro sono il 37 per cento (6 milioni) contro un numero di pensioni pari a 64 per cento (14,5 milioni).
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Gli scostamenti di bilancio… che non modificano il bilancio
L’approvazione delle relazioni da parte delle Camere è comunque necessaria perché la Legge di contabilità e Finanza Pubblica (Legge n. 196 del 31 dicembre 2009) prevede che non si possano utilizzare maggiori entrate a carattere eccezionale per finanziare maggiori spese. Con “scostamento di bilancio” si intende una variazione rispetto agli obiettivi di finanza pubblica per il triennio definiti in sede di approvazione del bilancio dello stato. Gli scostamenti possono essere definiti nel Documento di Economia e Finanza e nella sua nota di Aggiornamento (la NADEF) o anche tramite provvedimenti in corso d’anno che modificano i saldi rispetto a quelli stabiliti nella Legge di Bilancio (uguali, salvo rare eccezioni, a quelli della NADEF). La legge di bilancio annuale definisce un percorso di avvicinamento all’OMT nel corso del triennio successivo e se, per ragioni straordinarie, si rende necessario uno scostamento da questo percorso, la stessa legge n. 243 del 2012 definisce i passaggi necessari. Gli scostamenti di bilancio negli ultimi due anni Nel solo 2020, per far fronte all’emergenza pandemica, il governo Conte II ha inviato alle Camere cinque relazioni per scostamenti di bilancio, per un ammontare complessivo di 108 miliardi di euro di ulteriore indebitamento rispetto al preventivato. della Legge di contabilità e finanza pubblica (Legge n. 196 del 31 dicembre 2009), ogni miglioramento dell’andamento delle entrate osservate a legislazione vigente (rispetto al bilancio di previsione) dovrebbe essere utilizzato per migliorare i saldi di finanza pubblica. L’autorizzazione formale del Parlamento non è invece necessaria se le maggiori risorse rispetto alle previsioni fossero dovute a: i) risparmi di spesa, ii) riduzione di precedenti autorizzazioni di spesa o iii) modifiche legislative che comportino nuove o maggiori entrate.
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Il personale socio-sanitario: un confronto europeo
Considerando solo l’UE-27, nel 2019 gli infermieri (4,4 milioni) sono risultati in media più numerosi dei medici (1,7 milioni), con un rapporto intorno a 3:1; per l’Italia, il rapporto diventa 2:1, segnalando una prevalenza relativa di medici rispetto agli infermieri. Inoltre, l’Italia presenta una quota di medici specialisti maggiore della media europea (78 per cento rispetto al 68 per cento) e una di medici di base inferiore (22 per cento rispetto al 26 per cento). Per quanto riguarda i livelli stipendiali, in rapporto al Pil pro-capite lo stipendio dei medici specialisti italiani è relativamente più alto della media europea, mentre lo stipendio degli infermieri è marginalmente più basso della media europea. Considerando solo l’UE-27, nel 2019 il numero di infermieri (4,4 milioni) è risultato non sorprendentemente (vista anche l’attività di assistenza nel settore dei servizi sociali) più numeroso di quello dei medici (1,7 milioni), con un rapporto di 3 infermieri per ogni medico. In tutti i paesi dell’UE per i quali Eurostat dispone di dati comparabili, ad eccezione dell’Irlanda, ci sono molti più medici specialisti (media EU-20: 68 per cento sul totale della categoria dei medici) che medici di base (26 per cento), seguiti da una categoria residuale ‘’altri medici’’ (6 per cento) (Fig.5). Di contro, l’Irlanda ha la quota maggiore di generalisti in percentuale al totale dei medici (55 per cento, contro una media europea del 26 per cento), seguita da Paesi Bassi (46 per cento), Francia (44 per cento) e Belgio (37 per cento); l’Italia si colloca fra le ultime posizioni (22 per cento). In base ai dati OCSE, nel 2020 lo stipendio medio lordo annuo di un infermiere impiegato negli ospedali a parità di potere d’acquisto in Italia è di 38.379 dollari mentre quello di un medico specialista di 110.348 dollari, un rapporto di 1:3 (Fig.6).
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La lista della spesa del PD
Poco più di un terzo delle misure contenute nel programma sono in linea con gli obiettivi vincolanti del PNRR; le restanti proposte trattano sia di riforme legislative a costo zero, sia di ingenti investimenti. Solamente per le cinque voci di spesa più rivelanti per le quali è possibile una quantificazione, stimiamo un aumento di spesa compreso tra i 29 e i 58 miliardi di euro all’anno. Il programma elettorale del Partito Democratico – Italia Democratica e Progressista (dove dopo il trattino indica la presenza di Articolo Uno, Partito Socialista Italiano, DemoS, Movimento Repubblicani Europei, Volt, ma non di +Europa che ha un suo programma separato) prevede più di cento proposte suddivise in 8 indirizzi di spesa. Per quattro ulteriori interventi in questa categoria il programma elettorale del PD pone obiettivi più stringenti di quelli del PNRR: ad esempio, il Piano nazionale per il risparmio energetico prevede un obiettivo più elevato in termini di produzione energetica da fonti rinnovabili. Gli obiettivi programmatici in linea con il PNRR possono quindi essere di tre tipi: obiettivi che non richiedono coperture aggiuntive rispetto agli stanziamenti comunitari (24), obiettivi che comportano un aumento di spesa di tipo temporaneo (2), obiettivi che comportano un aumento di spesa tipo permanente (9). Italia 2027: le altre misure Oltre alle misure che ricalcano l’impostazione del PNRR, il PD propone, insieme con i suoi alleati, una serie di interventi mirati alla risoluzione del problema del carovita e dell’inflazione da una parte e riforme di tipo più strutturale dall’altra. La spesa associata alla maggior parte di queste e altre proposte è difficile da quantificare anche in termini approssimativi data l’assenza di specificità per quanto riguarda i beneficiari di tali interventi o il sistema di implementazione delle misure proposte nel documento.
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Gli interventi contro i rincari energetici in Europa nel 2022
Fra i maggiori paesi Europei, l’Italia è uno di quelli che ha fatto maggiormente ricorso a misure mirate alle famiglie più bisognose e alle imprese maggiormente colpite dai rincari. Questa nota riassume le spese sostenute dai maggiori paesi europei contro il rincaro energetico e l’incidenza di queste sul Pil. Le risorse stanziate dai principali paesi europei La Tav.1 quantifica le misure adottate per contenere gli effetti dei rincari nel corso del 2022. In particolare, non sono inclusi nella tabella il piano da 200 miliardi di euro annunciato dalla Germania (che comunque dovrebbe avere effetti principalmente sul 2023 e il 2024) né quello annunciato dal Regno Unito (anch’esso con un orizzonte temporale che si estende fino al 2024). L’Italia è il paese che nel 2022 ha speso di più in percentuale al Pil. Questo dato è confermato anche dalle altre analisi disponibili, in particolare da quelle di Bruegel e della Commissione Europea. Nonostante che Bruegel abbia un orizzonte temporale più lungo del nostro (in quanto – come si è detto- guarda sia alle misure del 2021 sia a quelle annunciate per gli anni prossimi), molti paesi spendono pochissimo nel confronto con l’Italia (3,3 per cento del Pil, secondo Bruegel). La Finlandia ha avuto un incremento dei prezzi dell’energia elettrica più contenuto rispetto alla media europea (+410 per cento) (Fig. 2) grazie alla bassa dipendenza dal gas, che pure è aumentato più che negli altri paesi (+1400 per cento; si veda Fig. 3) e dalle fonti fossili in generale. Per il gas, l’incremento dell’Italia (822 per cento) è uguale a quello dei Paesi Bassi e della Germania, che però sembra abbia contratti più favorevoli per il gas proveniente via pipeline dalla Federazione Russa, e superiore a quello della Francia (641 per cento), oltre che della Spagna e del Regno Unito.
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La spesa del centrodestra
Concentrandosi sulle principali misure quantificabili contenute nei programmi di Fratelli d’Italia e Lega, si prevede un aumento di costi annui per lo stato compreso tra i 111 e i 165 miliardi di euro. Qui ci concentriamo sulle spese quantificabili contenute nei singoli programmi dei maggiori partiti della coalizione di centrodestra (Fratelli d‘Italia e Lega), che in alcuni casi risultano più dettagliate rispetto a quelle proposte nel programma condiviso. Il regime forfettario per le partite Iva era già stato esteso dai 30.000 euro agli attuali 65.000 con la Legge di Bilancio 2019, con un costo annuo stimato pari a 1.4 miliardi di euro. I dati presenti sul sito del MEF permettono di stimare il costo di un’ulteriore estensione del regime forfettario: intorno a un miliardo di euro. Nel caso base di un figlio minorenne, l’assegno mensile è ora di un importo massimo di 175 euro (per valori di ISEE familiari fino a 15mila euro) e decresce a ritmo costante fino a un minimo di 50 euro (per ISEE superiori a 40mila). Il programma della Lega prevede anche l’introduzione di “Quota 41”, ovvero la riforma della legge pensionistica che, archiviando la vigente legge Fornero, prevede la possibilità di andare in pensione al raggiungimento dei 41 anni di contributi. Sempre sul tema del lavoro, Fratelli d’Italia propone di istituire una indennità di disoccupazione per gli autonomi che segua le stesse regole dell’indennità prevista per il lavoro dipendente insieme ad un generico aumento delle pensioni minime e sociali, senza specificare di quanto.
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La perdita di ragioni di scambio, una tassa ineludibile?
Quando il prezzo delle importazioni sale più del prezzo delle esportazioni, il Paese perde reddito disponibile, anche a parità di Pil. Si tratta di quella che è stata definita una “tassa ineludibile” a favore dell’estero. Nel 2022, la perdita per l’Eurozona è stata quasi del 4 per cento e, come noto, si è manifestata sotto forma di perdita di poter d’acquisto dovuta all’inflazione. Attualmente la situzione è tornata a una relativa normalità sia perché i prezzi di quasi tutte le materie prime (non solo del gas) sono tornati al di sotto dei valori registrati prima dell’invasione dell’Ucraina, sia perché i prezzi delle esportazioni sono aumentati e hanno riequilibrato le ragioni di scambio. Le ragioni di scambio di un Paese – o di un‘area monetaria come l’Eurozona – sono date dal rapporto fra il prezzo delle esportazioni verso il resto del mondo e il prezzo delle importazioni. Ovviamente, il riequilibrio delle ragioni di scambio non avviene attraverso un ritorno del prezzo reale delle materie prime al livello precedente, per il fatto che il grosso delle esportazioni dell’Eurozona – verso il resto del mondo – è rappresentata da manufatti. Le ragioni di scambio in Italia Gli andamenti delle ragioni di scambio e della bilancia commerciale dell’Italia sono molto simili a quelli dell’Eurozona, con una rilevante differenza consistente nel fatto che la dipendenza dell’Italia dalle importazioni di energia è maggiore di quella media dell’Eurozona e dell’Unione europea. In termini annui, l’Italia ha registrato un avanzo pari al 3,1 per cento del Pil nel 2019, al 3,8 nel 2020 e al 2,3 nel 2021; nel 2022 vi è stato un disavanzo dell’1,6 per cento del Pil. Nel primo trimestre del 2023 la bilancia commerciale è tornata in avanzo per 5,4 miliardi di euro (Fig. 7).
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Programmi economici di PD e centrodestra: un confronto
È utile avvisare il lettore che: salvo rare eccezioni, i programmi non dicono nulla sui costi delle misure proposte; in genere le misure sono espresse in modo generico, per cui è molto difficile quantificare le spese; di conseguenza, non è presente il vincolo del bilancio pubblico. Politica estera Il ruolo internazionale svolto dall’Italia è un punto cruciale in entrambe le coalizioni, che rivendicano gli impegni assunti a) nell’Alleanza Atlantica, b) nel sostegno all’Ucraina di fronte all’invasione della Federazione Russa, c) nella piena adesione al processo di integrazione europea. In materia di rapporti con l’Europa, entrambi si propongono di intervenire nel negoziato che si sta aprendo sulla revisione del Patto di Stabilità e Crescita per rivedere le regole fiscali e la governance europea in maniera tale da poter attuare politiche maggiormente orientate alla crescita. Il centro-destra indica invece la via di “un'Unione Europea più politica e meno burocratica”, un’espressione che suggerisce che i poteri dei singoli stati membri debbano essere rafforzati, coerentemente con l’obiettivo di migliorare la “tutela degli interessi nazionali”. Ciò indica che sia PD che la coalizione di centrodestra condividono, almeno nelle grandi linee, i principali programmi di spesa (222 miliardi se si include anche il fondo complementare). Il costo stimato varierebbe da poco meno di cinque miliardi nel primo anno a oltre nove nel decimo anno di entrata in vigore, con una spesa complessiva decennale di 75 miliardi di euro. Lavoro Il centrodestra propone di abolire il Reddito di Cittadinanza, sostituendolo con “misure più efficaci di inclusione sociale e di politiche attive di formazione e di inserimento nel mondo del lavoro”.
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Da dove arrivano i redditi degli italiani?
Un’analisi intertemporale mostra che mentre negli anni ’70 i redditi da lavoro costituivano più della metà di tutti redditi, la loro quota si è ridotta fortemente nei decenni successivi per riprendersi in parte solo nell’ultimo ventennio. Da dove arrivano i redditi degli italiani? Siamo abituati al dibattito mediatico che insiste soprattutto sui salari, cioè sulla remunerazione del fattore lavoro (dipendente), ma questa rappresenta solo una parte e nemmeno quella prevalente del complesso dei redditi degli italiani. Ma prima di affrontare questi ultimi aspetti, che rimandiamo ad una prossima nota, è importante discutere invece come si formano i vari redditi degli italiani e come il loro peso si è modificato nel corso del tempo, anche rispetto ad altri paesi europei. La quota del PIL dovuta a questa voce è cresciuta nel tempo; ciò significa che la riduzione della quota dei redditi da capitale che si osserva nella Fig.1 è stata maggiore per la componente del capitale al netto degli affitti imputati che per quella al lordo. Torrini (2015) suggerisce che in Italia la caduta di questa componente dei redditi da capitale (al netto degli affitti imputati) negli anni successivi alla grande recessione sia dovuta ad una riduzione della capacità competitiva del Paese che si traduce in minori margini di profitto delle imprese. Per esempio, secondo Banca d’Italia, se si considerano solo i dipendenti del settore privato e si aggiunge ai loro redditi una stima dei redditi dei lavoratori autonomi, la quota di valore aggiunto nel settore privato che è attribuita al lavoro avrebbe raggiunto nel 2015 il livello degli anni ’70 [5] . Primo, in termini di livelli, si conferma che l’Italia è un paese particolare nel senso che i redditi da lavoro rappresentano una quota più bassa del totale dei redditi percepiti rispetto agli altri paesi.
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Il costo del programma di Azione-Italia Viva
Azione-Italia Viva ha il merito di considerare i costi di molte delle misure previste in modo più preciso e verificabile di quanto facciano altri partiti, e di preoccuparsi delle possibili coperture. Non essendo specificati ulteriori particolari, si rimanda a una proposta di legge del deputato Ungaro di Italia Viva dove vengono esplicitate le soglie e le aliquote dell’imposta, a fronte di una copertura di 4 miliardi; [3] detassazione per i giovani . Tenendo conto dell’intenzione di ridurre l’evasione di 12 miliardi, il costo della voce Fisco dovrebbe essere di 13,8 miliardi di euro. Con l’obiettivo di aumentare l’indipendenza dagli approvvigionamenti di materie prime ed intermedie per la produzione di farmaci da paesi extra UE si vogliono inoltre investire 2 miliardi nel campo dell’innovazione e dei dispositivi medicali in aggiunta al miliardo già stanziato nella Legge di Bilancio 2022. Il valore previsto degli investimenti è di 10 miliardi di euro ma, dal momento che le riforme del PNRR prevedono “solo” 2,1 miliardi di euro nel settore dei rifiuti, è necessario aumentare gli investimenti. Si pone inoltre l’obiettivo di costruire 250 impianti di teleriscaldamento alimentati con legno cippato nei piccoli comuni montani, al costo di 125 milioni di euro l’uno; creazione di centrali di biogas per immettere il biometano nella rete di riscaldamento . L'attuazione di questa misura comporterebbe l'assunzione di nuovi docenti e personale ATA (per un costo annuo di 1,27 miliardi di euro), la creazione di nuove strutture (al costo annuo di 6,4 miliardi) e nuovi servizi come mensa e trasporti (per un costo annuo di 6 miliardi euro) all’interno delle scuole.
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Le previsioni macroeconomiche per il 2023
Crescita, inflazione e prezzi Le previsioni di consenso degli istituti finanziari inclusi nella nostra analisi prevedono un rallentamento della crescita economica globale per il 2023, con la crescita del Pil reale che si attesterà tra il +1,6 e il +2,8 per cento (rispetto al +3,2 per cento del 2022, IMF). Per quanto riguarda le politiche antinflazionistiche, si prevede che la BCE continuerà con il rialzo dei tassi di interesse nominali, rimanendo però a livelli non molto superiori a quelli attuali in corso d’anno, il 3 per cento rispetto al 2,5 per cento attuale. Al contrario, dopo aver portato i tassi di interesse fino al 5 per cento (ora sono al 4,5), nella seconda metà dell’anno la FED dovrebbe riprendere un percorso di politica monetaria meno restrittiva, rivedendo i tassi di interesse al ribasso. La seconda, basandosi sui dati del Pil e del tasso di disoccupazione degli ultimi mesi, ritiene che ci sia una forte probabilità che gli Stati Uniti non entrino in recessione nel 2023, prevedendo una netta riduzione dell’inflazione al 2,9 per cento grazie al rialzo dei tassi. Condividono con gli altri istituti la valutazione di una maggiore efficacia degli alti tassi di interesse nel ridurre l’inflazione ma spostano la ripresa economica alla seconda metà del 2023, indicando una crescita del Pil reale rispettivamente al +0,4 e +0,1 per cento. Tuttavia, grazie alla rapida sostituzione delle forniture di gas russo con altri produttori, all’inverno mite che ha permesso di preservare gli stoccaggi e ai sussidi governativi a sostegno di famiglie e imprese, la recessione nell’Eurozona nel 2023 dovrebbe essere più debole (-0,2 per cento) di quanto inizialmente temuto. La normalizzazione delle catene di approvvigionamento : nel corso del 2023 l’inflazione dovrebbe diminuire anche grazie alla ripresa delle catene di approvvigionamento; il rimbalzo delle scorte dovrebbe contribuire a esercitare una pressione al ribasso sui prezzi di materie prime e semilavorati.
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Come vengono tassati i redditi degli italiani?
Nata come imposta generale su tutti i redditi, per l’elevata evasione e la continua sottrazione dalla sua base imponibile di redditi diversi da quelli da lavoro dipendente, l’Irpef si è trasformata in un’imposta che tassa soprattutto quest’ultimo. Anche senza considerare i trattamenti pensionistici, i redditi da lavoro dipendente, poco più del 40 per cento del totale dei redditi, costituiscono circa l’80 per cento della base imponibile del tributo che a sua volta genera da solo circa il 40 per cento del totale delle entrate tributarie complessive. Il 43 per cento più povero dei 41 milioni di contribuenti Irpef di fatto non paga l’imposta, mentre l’onere grava sproporzionalmente sui redditi medi e alti, con i redditi sopra i 55.000 euro lordi annui (dichiarati da meno del 5% dei contribuenti Irpef) che da soli generano il 38 per cento del gettito complessivo. Come per altri paesi europei, un elemento che ha contribuito a questa variazione delle quote relative è stata la tendenza alla crescita dei redditi legati al rendimento del patrimonio immobiliare, con gli affitti che tra imputati ed effettivi costituiscono al momento circa il 13% del totale dei redditi. Si osserva che mentre l’Italia tassa relativamente poco i consumi (più che a causa di basse aliquote formali, soprattutto per la presenza di un’ampia evasione sull’IVA), l’aliquota implicita di tassazione sul lavoro è più alta di quasi 6 punti percentuali rispetto alla media dell’area euro. Per quanto riguarda i redditi da capitale [4] , il confronto è reso più complesso dalle diverse tipologie di capitale racchiuse nella definizione e anche perché nell’area dell’euro ci sono paesi che tassano i redditi da capitale con aliquote estremamente basse, falsando il confronto [5] . La conclusione è dunque che l’Italia si caratterizza per una minore importanza dei redditi da lavoro dipendente sul totale dei redditi, che vengono tuttavia tassati più della media europea.
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Il quadro programmatico del governo
Questa circostanza, assieme al contesto internazionale estremamente incerto, giustificano l’approccio molto prudente scelto dal governo: il disavanzo programmatico (4,5 per cento del Pil) è più alto di quello che era previsto nel DEF di aprile, ma la differenza è interamente spiegata dalla maggiore spesa per interessi. Il deficit primario (ossia al netto degli interessi) è anzi minore di quello che era previsto ad aprile, malgrado la revisione al ribasso delle crescita del Pil. La nota è stata ripresa da Repubblica in questo articolo del 12 novembre 2022. Rispetto ai dati di fine settembre, il quadro tendenziale di finanza pubblica appare migliorato per la dinamica del Pil nel 2022, che in termini reali cresce del 3,7 per cento invece che del 3,3. La revisione è dovuta all’andamento migliore delle aspettative del Pil nel terzo trimestre, aumentato dello 0,5 per cento sul periodo precedente, che ha portato la crescita acquisita per quest’anno (sulla media dei dati trimestrali) al 3,9 per cento. Tuttavia, il tasso di cambio dell’euro è meno competitivo (effetto sul Pil: -0,1 per cento), i tassi di interesse e i rendimenti attesi sono più elevati (-0,1 per cento) ed è peggiore la previsione sul commercio mondiale (-0,2 per cento). A migliorare rispetto a settembre, anche se di poco, è il saldo primario del 2023 (+ 0,7 per cento rispetto allo +0,5 per cento di settembre) grazie al maggior gettito tributario, e malgrado una maggiore crescita attesa della spesa per prestazioni sociali. Questo valore è più elevato di quello che era stato previsto ad aprile (3,9 per cento), ma la differenza è più che spiegata dalla maggiore spesa per interessi che sale al 4,1 per cento dal 3,1 per cento di aprile.
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A che punto siamo con l’inflazione?
La ragione di questa crescita è che le imprese hanno potuto adattarsi alla nuova situazione, aggiustando i prezzi dei propri prodotti, più rapidamente di quanto abbiano fatto i salari, vincolati a contratti firmati in passato. La Fig. 1 presenta comunque solo una fotografia al presente; è possibile che i tassi di inflazione differenziati siano anche il risultato di andamenti diversi in passato, con i Paesi che attualmente registrano la minore inflazione ad aver visto una crescita maggiore dei prezzi in passato e viceversa. In particolare, alla luce dell’osservazione che per il momento la crescita dei salari nell’Eurozona è stata inferiore a quella dei prezzi, il dibattito pubblico si è concentrato sulla crescita degli altri redditi, con l’idea che l’inflazione possa essere alimentata da una crescita eccessiva dei profitti. Da una parte, la correlazione tra crescita dei profitti e dei prezzi non indica necessariamente un rapporto di causalità (cioè, non implica che sia la crescita eccessiva dei profitti a “causare” l’inflazione). Dunque, se le imprese aumentano i prezzi per compensare una forte crescita dei costi dei beni intermedi (l’energia), questo determina una crescita dei profitti sul Pil, senza necessariamente implicare un aumento dei margini di profitto. La spiegazione del diverso andamento dei prezzi e dei salari unitari sul Pil è probabilmente dovuta a una diversa velocità di reazione delle due componenti alla crescita dei prezzi, come anche suggerito da un recente rapporto del Fondo Monetario Internazionale. Il tasso di crescita annuo del deflatore del Pil è stato ottenuto come somma dei tassi di crescita annui pesati delle varie componenti, dove i pesi sono stati calcolati come il rapporto tra il valore di ciascuna componente e il Pil nominale all’inizio dell’anno considerato.
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Il golden power e i rischi per il funzionamento dei mercati
Concepita come strumento di controllo tramite una quota societaria di minoranza (ancorché simbolica) detenuta da parte dello Stato in società ex pubbliche che sono state privatizzate, la golden share è stata introdotta a partire dai processi di privatizzazione e di liberalizzazione dei mercati. Il modello inglese di golden share identificava in questo caso una partecipazione azionaria (una singola azione del valore di una sterlina) che conferiva allo Stato poteri speciali rispetto a temi di gestione e proprietà delle imprese. La differenza fondamentale dal modello dei Paesi sopracitati, che rendeva la denominazione iniziale “inesatta”, era che lo strumento italiano non prevedeva necessariamente un reale possesso di quote societarie (ancorché simboliche) da parte dello Stato per poter esercitare poteri speciali. Lo strumento italiano prevedeva, già nel 1994, che i poteri speciali dello Stato potessero essere esercitati rispetto a società operanti nel settore della difesa, dei trasporti, delle telecomunicazioni, delle fonti di energia e degli altri pubblici servizi. Sebbene sia stato necessario imporre dei limiti all’introduzione di questo tipo di strumenti, viene riconosciuto dall’Unione europea che, se ben regolati, i poteri speciali dello Stato possono rappresentare una forma di salvaguardia per le società da investimenti potenzialmente dannosi o di protezione da imprese concorrenti a livello mondiale. Il diritto di gradimento veniva sostituito dal potere di opposizione in caso di modifiche rilevanti agli assetti proprietari e il potere di nomina era stato ormai limitato solo per la nomina di un amministratore, privo di diritto di voto. In estrema sintesi, la tesi di Rodrik è che l’adozione di nuove tecnologie non è un problema di offerta ma di domanda: sono gli imprenditori che non trovano profittevole il passaggio al nuovo regime tecnologico e vanno quindi “aiutati” in questa transizione dallo Stato.
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Scenari macro e di finanza pubblica nella NADEF 2022
I rischi rispetto a questo scenario sono tutti al ribasso e starà al nuovo governo definire obiettivi programmatici coerenti con la duplice esigenza di sostenere l’economia e, al tempo stesso, realizzare una graduale riduzione del rapporto debito/Pil nei prossimi anni. Previsioni tendenziali e differenze con il DEF 2022 La NADEF conferma la positiva dinamica del Pil per il 2022, che in termini reali cresce del 3,3 per cento invece del 3,1 previsto nell’aprile scorso dal DEF. La crescita peggiora nel 2023 e rimane inalterata per il 2024 e 2025. A legislazione vigente, l’anno prossimo la crescita reale sarà solo dello 0,6 per cento, con la crescita del Pil nominale quasi esclusivamente trainata dall’inflazione (il deflatore del Pil tendenziale è di 1,5 punti percentuali sopra il programmatico del DEF 2022). Dalle stime contenute nella NADEF, il nuovo aumento dei prezzi farebbe diminuire il Pil reale rispetto allo scenario di base della NADEF dello 0,2 per cento nel 2022 e dello 0,5 nel 2023: quindi la crescita annuale si fermerebbe al 3,1 per cento nel 2022 e allo 0,1 per cento nel 2023, ovvero crescita zero. Se ciò si verificasse, la crescita del Pil si ridurrebbe dello 0,1 nel 2023, dello 0,4 nel 2024 e dello 0,5 nel 2025 rispetto allo scenario di base. Ciò ridurrebbe i costi delle importazioni e l’inflazione, ma causerebbe, via minori esportazioni, una riduzione del Pil rispetto allo scenario base di 0,3 punti percentuali nel 2023, di 0,7 punti percentuali nel 2024 e dello 0,8 per cento nel 2025. La questione cruciale sarà la credibilità di un piano di rientro del debito pubblico: nel DEF si prevedeva un sentiero molto graduale, con un ritorno ai livelli pre-pandemia (circa 135 per cento del Pil) nell’arco di un decennio.
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Il mismatch nel mercato del lavoro
La mancanza di candidati con le caratteristiche adatte ai profili ricercati dalle imprese, specialmente nel caso dei laureati, comporta dunque dei tempi molto lunghi per coprire i posti di lavoro richiesti. Per indagare l’entità del problema del mismatch potrebbe essere utile guardare al “tasso di posti vacanti”, che misura la proporzione di posti vacanti rispetto alla somma dei posti di lavoro complessivi (vacanti e occupati). Di conseguenza, la percentuale di posti vacanti permette di considerare sia le dinamiche relative all’offerta (da parte di occupati e disoccupati) sia quelle relative alla domanda di lavoro (come determinante del totale dei posti di lavoro, quelli occupati e quelli vacanti). Il dato Istat, invece, riporta dei numeri leggermente più alti, con un tasso di posti vacanti nell’ultimo trimestre del 2022 pari al 2,3 per cento sia per il settore dell’industria che per quello dei servizi (senza considerare il settore delle costruzioni). Come si concilia quindi un tasso di posti vacanti relativamente contenuto con le difficoltà da parte delle imprese di reperire “personale qualificato”? Un primissimo dato da considerare è chiaramente quello del livello di istruzione della popolazione. In particolare, per quanto riguarda la fascia di età fra i 25 e i 54 anni (Fig. 1), vi è ancora una percentuale significativa di individui con basso livello di istruzione (il 31,7 per cento), percentuale di più di dieci punti superiore alla media dell’Eurozona-20. Se quasi il 50 per centro degli occupati si colloca in settori nei quali il titolo di studio universitario è meno rilevante, allora la carenza di laureati spesso lamentata potrebbe essere un problema minore rispetto alla formazione di individui con capacità specifiche per determinati tipi di impiego.
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Caro energia: i provvedimenti in scadenza
Per il 2023, le nostre stime indicano che il rinnovo per un solo trimestre (gennaio-marzo) dei provvedimenti in scadenza (azzeramento degli oneri di sistema, sconto sui carburanti, credito d’imposta per le imprese, bonus sociale) richiede circa 20 miliardi. Stimiamo che serviranno 4,8 miliardi per rinnovarla fino a dicembre, mantenendo le soglie dell'ultimo decreto il cui costo è stato di 9,6 miliardi per i mesi di ottobre e novembre. Estendere la misura ai primi tre mesi del 2023 (gennaio-marzo) comporterebbe un esborso di 13,7 miliardi tenendo conto che sul mercato TTF il prezzo future del gas per consegna marzo 2023 (130 euro/MWh) è in leggera riduzione rispetto ai valori medi riscontrati nel 2022 fino ad oggi (136, 41 euro/MWh). Considerando tutti i decreti che hanno previsto questa misura da marzo, la cui spesa totale è stata di 5,2 miliardi, il costo del rinnovo fino al 31 dicembre sarebbe di 682 milioni. Forse il costo di questa misura potrebbe essere maggiore dato che sembra si pensi di slegarla dal criterio dell'ISEE (attualmente 12 mila euro che diventano 20 mila in caso di nucleo famigliare con 4 figli) oppure di alzare la soglia a ISEE, oggi pari o inferiore a 15 mila euro. Un commento Le nostre stime indicano che per i restanti mesi del 2022, servono 5,5 miliardi solo per il rinnovo del credito d’imposta per le imprese (4,8 miliardi) e lo sconto sui carburanti (0,7 miliardi). Per maggiori informazioni si veda la nostra nota: https://osservatoriocpi.unicatt.it/ocpi-pubblicazioni-gli-interventi-contro-i-rincari-energetici-in-europa-nel-2022 [2] Il credito d’imposta è stato introdotto per la prima volta con la Legge di bilancio 2022 e il costo complessivo fino a novembre 2022 è di 19,2 miliardi.
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Crisi demografica e sostenibilità del debito
Mentre nel breve periodo, a seconda dei diversi scenari ipotizzati, la traiettoria del rapporto debito/Pil resta confortante, seppur legata all’attuazione di politiche severe di controllo della dinamica della spesa, nel lungo periodo la situazione si inverte e il debito rischia di crescere fino a livelli insostenibili. Anche questo scenario naturalmente risente di ipotesi specifiche (che discutiamo in dettaglio più avanti), ma il suo andamento è soprattutto influenzato dal rapido declino demografico e dall’andata in quiescenza nei prossimi vent’anni delle ancor popolose generazioni nate negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso. Purtroppo, mentre le stime sulla crescita economica e sui tassi di interesse nel lungo periodo sono caratterizzate da ampi margini di incertezza, quelle demografiche tendono a essere più affidabili, in quanto basate sulle generazioni attualmente viventi, sulla loro speranza di vita e sui loro comportamenti riproduttivi. In questa nota discutiamo in dettaglio le stime contenute del Def, per poi studiare gli andamenti demografici che vi stanno alla base alla luce di stime ancora più recenti di quelle contenute nel documento di bilancio. Il problema è che a un rapido invecchiamento della popolazione si contrappone una bassa quota della popolazione che lavora, il che rende problematici sia il finanziamento dei sistemi di welfare (pensioni, sanità, assistenza) che, di conseguenza, la sostenibilità delle finanze pubbliche nel loro complesso. In più, si ipotizza che continui il processo di crescita della speranza di vita che, entro il 2070, dovrebbe raggiungere gli 87 anni per gli uomini e i 91 per le donne, con tutto quello che questo implica, per esempio, in termini di necessità di assistenza ai non autosufficienti. Secondo la definizione fornita dall’Eurostat, Il tasso di fecondità totale è il numero medio di figli che una donna metterebbe al mondo nel caso in cui, nel corso nella propria vita riproduttiva, fosse soggetta ai tassi specifici di fecondità per età misurati in un dato anno.
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La spesa pubblica per la famiglia
Denatalità ed invecchiamento La riduzione del numero medio di figli per donna (o tasso di fecondità totale) è un fenomeno ormai mondiale: si è passati da 5 figli per donna nel 1960 a 2,4 nel 2020, ma con differenze macroscopiche tra aree del mondo. Pur con qualche approssimazione (legata ai tassi di mortalità e agli afflussi migratori), un tasso di fecondità uguale a 2 garantisce una popolazione stabile nel tempo; un tasso inferiore a 2 è un segnale di declino demografico. Infatti, lo sviluppo economico e i cambiamenti della società che esso porta (o che lo precedono) sono associati alla cosiddetta “transizione demografica”, ovvero al passaggio da una società con “elevati” tassi di fecondità e mortalità ad una società con “bassi” tassi di fecondità e mortalità. Nel 2020, la spesa pubblica media per famiglia/figli in Europa è stata del 2,5 per cento del Pil: l’1,6 per cento del Pil è stato costituito da spesa per benefici in denaro e lo 0,9 per cento da benefici in beni e servizi. L’Italia, con una spesa che si è attestata fra l’1,2 e l’1,3 per cento del Pil, è risultata il secondo paese con la minor spesa, al pari con l’Irlanda; sotto di noi solo Malta. A fronte di 20,7 miliardi di euro di spesa complessiva, 17,2 sono benefici in denaro (cioè una spesa pari all’1 per cento di Pil) e 3,53 benefici in beni e servizi (lo 0,2 per cento di Pil). Assumendo Pil costante ed invarianza delle altre componenti di spesa, l’Italia si avvicinerebbe alla media europea nella spesa pubblica per famiglia/figli, arrivando all’1,9 per cento del Pil nel 2022.