È vero che in Italia ci sono pochi medici e pochi infermieri? E che vengono pagati poco? Per rispondere a queste domande confrontiamo l’Italia con gli altri paesi europei che sono considerati avanzati e dunque membri dell’OCSE, un esercizio complesso per via delle differenze istituzionali tra sistemi sanitari. Nel nostro paese, nel 2019, il personale socio-sanitario si attesta a 33 unità ogni 1000 abitanti, un livello più basso di quello della media dei paesi europei (49 ogni 1000 abitanti). Dietro il dato aggregato ci sono però figure professionali molto diverse, sia dal punto di vista del percorso di formazione sia (strettamente connesso) dal punto di vista dei livelli stipendiali. Considerando solo l’UE-27, nel 2019 gli infermieri (4,4 milioni) sono risultati in media più numerosi dei medici (1,7 milioni), con un rapporto intorno a 3:1; per l’Italia, il rapporto diventa 2:1, segnalando una prevalenza relativa di medici rispetto agli infermieri. Inoltre, l’Italia presenta una quota di medici specialisti maggiore della media europea (78 per cento rispetto al 68 per cento) e una di medici di base inferiore (22 per cento rispetto al 26 per cento). Per quanto riguarda i livelli stipendiali, in rapporto al Pil pro-capite lo stipendio dei medici specialisti italiani è relativamente più alto della media europea, mentre lo stipendio degli infermieri è marginalmente più basso della media europea.
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Il personale socio-sanitario
Il personale è uno degli input fondamentali nella produzione di servizi socio-sanitari, un ampio settore economico che comprende i servizi sanitari (come i servizi ospedalieri e degli studi medici specialistici) e i servizi sociali (residenziali e non, per diverse categorie di soggetti fragili). Un confronto tra paesi in merito al personale socio-sanitario è reso possibile dai dati OCSE.[1]
Nel 2019, limitando l’analisi ai paesi europei che sono considerati avanzati e dunque membri dell’OCSE il numero di lavoratori impiegati nel settore è stato in media di 49 ogni 1000 abitanti (Fig.1). Danimarca, Paesi Bassi, Finlandia e Svezia sono i paesi che registrano i valori più elevati, rispettivamente 90, 86, 80 e 78 professionisti nel socio-sanitario ogni 1000 abitanti. Francia e Regno Unito si attestano sopra la media europea di circa 10 unità. Valori più bassi si osservano invece nei paesi mediterranei e dell’Est Europa. La Grecia ha infatti il più basso numero di unità di personale socio-sanitario (24 professionisti ogni 1000 abitanti), seguita da Polonia, Slovacchia, Lettonia (26). Più vicini alla media europea sono invece Portogallo, Spagna e Italia (rispettivamente 39, 33 e 33).
Queste osservazioni sono confermate anche se si considera il personale socio-sanitario sul totale degli occupati: nel 2019, in media, nei paesi europei, 1 posizione lavorativa ogni 10 (10,2 per cento) si è registrata nel settore socio-sanitario (Fig.2). Come in Fig.1, emerge il divario tra il Nord Europa e i paesi del Sud e dell’Est Europa: infatti, mentre in Finlandia, Svezia e Paesi Bassi oltre il 16 per cento degli occupati è impiegato nel settore socio-sanitario, la media scende al 7,2 per cento nell’area mediterranea (Grecia, Spagna, Italia e Portogallo) e al 6,4 per cento in quella dell’Europa dell’Est.
Il ritardo dei paesi mediterranei è ragionevolmente legato al ruolo, tuttora importante, delle famiglie nel sistema di welfare di questi paesi e condiziona il ruolo delle donne e la loro capacità di partecipare al mercato del lavoro. Dalla Fig. 3 sembra infatti emergere una correlazione positiva tra il tasso di occupazione femminile e la quota di personale socio-sanitario in rapporto alla popolazione occupata.
Il mix di figure professionali
Dietro il dato aggregato sulle unità di personale ci sono però figure professionali molto diverse, sia dal punto di vista del percorso di formazione sia (strettamente connesso) dal punto di vista dei livelli stipendiali. Considerando solo l’UE-27, nel 2019 il numero di infermieri (4,4 milioni) è risultato non sorprendentemente (vista anche l’attività di assistenza nel settore dei servizi sociali) più numeroso di quello dei medici (1,7 milioni), con un rapporto di 3 infermieri per ogni medico. Come si vede in Fig.4, la Germania ha avuto il numero di infermieri più alto di tutta UE (1.756 ogni 100 mila abitanti, rapporto 4:1), seguita da Finlandia (1.385 ogni 100 mila abitanti) e Irlanda (1.341 ogni 100 mila abitanti), contro una media UE di 996 ogni 100 mila abitanti. Ben 17 paesi hanno registrato un numero di infermieri inferiori alla media UE-27. In Italia ad esempio (dove il rapporto tra il numero di infermieri e medici è intorno a 2:1), per arrivare alla media UE-27, servirebbero 309 infermieri extra. Per quanto riguarda i medici, è la Grecia a registrare il numero più alto (618 ogni 100 mila abitanti) seguita da Portogallo (550) e Austria (533). Di contro, Polonia e Lussemburgo registrano valori più bassi di medici ogni 100 mila abitanti, contro una media europea di 389 professionisti. Per quanto riguarda i medici, l’Italia è di poco al di sopra della media europea (404) con valori simili a Repubblica Ceca (408) e Malta (411).
Un’altra distinzione riguarda quella tra medici specialisti e medici generalisti. In tutti i paesi dell’UE per i quali Eurostat dispone di dati comparabili, ad eccezione dell’Irlanda, ci sono molti più medici specialisti (media EU-20: 68 per cento sul totale della categoria dei medici) che medici di base (26 per cento), seguiti da una categoria residuale ‘’altri medici’’ (6 per cento) (Fig.5).[2] In 12 paesi su 20 la quota di specialisti è superiore alla media europea: ad esempio, circa l’80 per cento dei medici in Italia e nei paesi dell’Est Europa (Bulgaria, Repubblica Ceca e Ungheria) sono medici specialisti. Di contro, l’Irlanda ha la quota maggiore di generalisti in percentuale al totale dei medici (55 per cento, contro una media europea del 26 per cento), seguita da Paesi Bassi (46 per cento), Francia (44 per cento) e Belgio (37 per cento); l’Italia si colloca fra le ultime posizioni (22 per cento). Il nostro paese quindi si presenta con una quota di specialisti maggiore della media europea e una quota di medici di base inferiore, un dato che rafforza le considerazioni in merito alla debolezza della sanità territoriale e alla necessità di rivedere il percorso formativo dei medici di base, equiparandolo alle altre specializzazioni per renderlo più attrattivo per chi si affaccia sul mercato del lavoro.
Il livello degli stipendi
Oltre alla numerosità delle unità di personale, i dati disponibili consentono di indagare anche il livello delle remunerazioni. In base ai dati OCSE, nel 2020 lo stipendio medio lordo annuo di un infermiere impiegato negli ospedali a parità di potere d’acquisto in Italia è di 38.379 dollari mentre quello di un medico specialista di 110.348 dollari, un rapporto di 1:3 (Fig.6).[3] Se consideriamo il dato medio dei paesi europei, lo stipendio di un medico specialista è relativamente più basso rispetto a quello degli infermieri, attestandosi su un rapporto di 1:2,5 (43.163 dollari contro 107.384 dollari). Per quanto riguarda gli altri paesi europei, il maggiore divario salariale tra infermieri e medici si registra in Irlanda, Regno Unito, Germania e Finlandia (dove il rapporto supera l’1:3) mentre il gap si riduce (con un rapporto di poco inferiore a 1:2) in Grecia e Lettonia.
Considerando il Pil pro capite, in 9 paesi su 16 gli stipendi degli infermieri in rapporto al Pil pro-capite sono in media più alti che in Italia. Lo stipendio lordo medio di un infermiere italiano a parità di potere d’acquisto (38.379 dollari) supera il Pil pro capite dell’Italia (35.815 dollari) solo del 7,2 per cento. Negli altri paesi invece lo stipendio medio di un infermiere (43.163 dollari) supera il Pil pro-capite (38.559 dollari) dell’11,9 per cento. Quindi per far sì che lo stipendio degli infermieri in rapporto al Pil pro-capite sia lo stesso che prevale negli altri paesi bisognerebbe portare lo stipendio medio a 40.077 dollari. L’aumento in questo caso sarebbe di 1.700 dollari e il costo della riforma ammonterebbe a circa 7 milioni.[4] Diverse sono invece le considerazioni per i medici specialisti il cui stipendio in Italia supera il Pil pro capite del 208 per cento, rispetto al 178 per cento negli altri paesi. In questo caso, si avrebbe un risparmio di 2 miliardi di dollari derivante dalla maggiore remunerazione dei medici specialisti italiani rispetto a quelli della media degli altri paesi considerati. Questi numeri sembrano sottolineare che le retribuzioni dei professionisti sanitari in Italia, se valutate rispetto ad una proxy del reddito medio dei paesi quale il Pil pro-capite, non sono necessariamente inferiori a quelle registrate in altri paesi.
I limiti e le conclusioni dell’esercizio
Fare confronti fra le unità di personale socio-sanitario per paesi che hanno sistemi di welfare, schemi di finanziamento e strutture di cura differenti in termini di coperture pubbliche/private non è sempre agevole. Il confronto sembra però mettere in luce come la narrativa corrente sulla mancanza di personale socio-sanitario (soprattutto del SSN), debba essere rivista in termini di mix di figure professionali e di evoluzione dei servizi verso un maggior ruolo da assegnare alle cure territoriali (che comprendono anche le cure assistenziali), come previsto nell’ambito del PNRR. In particolare, le politiche di formazione e di reclutamento dovrebbero sanare i gap con gli altri paesi rispetto a medici di base e infermieri, entrambe figure importanti per la sanità territoriale. Dovrebbero inoltre puntare a coprire le specializzazioni maggiormente in sofferenza nell’ambito dei medici specialisti, un tema che qui non abbiamo potuto affrontare per mancanza di dati più granulari.
Per il 2023, le risorse per il Servizio Sanitario Nazionale sono previste in aumento di 4 miliardi. A legislazione vigente per il 2023, il livello di finanziamento del fabbisogno sanitario standard ammontava a 126 miliardi, ossia 2 miliardi in più rispetto al 2022. Nella bozza di Legge di Bilancio 2023 sono stati aggiunti altri 2 miliardi, portando il totale complessivo per il 2023 a 128 miliardi; di queste ulteriori risorse, la maggior parte (1,4 miliardi) andrà a coprire i maggiori costi delle fonti energetiche. Pur contando su un aumento consistente di fondi, rispetto all'esperienza degli anni pre-Covid quando il finanziamento è aumentato di 1 miliardo all'anno, è solo il 3 per cento in più, rispetto ad un’inflazione che ha raggiunto a ottobre quasi il 12 per cento su base annua; dunque, le risorse in termini reali si riducono molto. L’approccio che sembra essere stato adottato dal nuovo governo è quello di dare precedenza ad altre misure (gli aiuti a famiglie e imprese per i rincari energetici) destinando al SSN solo le risorse che ci possiamo permettere.
[1] Secondo la classificazione OCSE, il personale socio-sanitario (che comprende il personale di strutture pubbliche e private) si divide in: medici, dentisti, farmacisti, fisioterapisti, assistenti socio-sanitari, infermieri, ostetriche, laureati e personale impiegato negli ospedali.
[2] Secondo la classificazione di Eurostat è possibile dividere la categoria dei medici praticanti in tre categorie:
a) medici generalisti: comprendenti i medici di base e altri tipi di generalisti (come i medici non specializzati che lavorano in ospedale e i neolaureati che non hanno ancora scelto un’area di specializzazione);
b) medici specialisti: di cui fanno parte i medici specializzati in: i) pediatria, ii) ginecologia, iii) psichiatria, iv) chirurgia, v) medicina interna, cardiologia, pneumologia, neurologia, dermatologia ecc. vi) specializzandi;
c) altri medici: ovvero medici non classificabili nelle altre categorie e medici internisti o specializzandi non inquadrabili nelle altre categorie.
[3] Non è stato possibile, a causa della mancanza di dati, inserire il confronto con le remunerazioni dei medici di base.
[4] Per calcolare di quanto lo stipendio degli infermieri italiani in rapporto al Pil pro-capite (ovvero quanto guadagna in media un infermiere italiano rispetto a un individuo in Italia) dovrebbe aumentare per eguagliarsi a quello medio dei paesi considerati, incrementiamo il Pil pro capite italiano (35.815.379 dollari) dell’11,9 per cento. La differenza tra il salario incrementato (40.077 dollari) e il salario di partenza (38.278 dollari) viene poi moltiplicato per il numero di infermieri in Italia (circa 411 mila) per trovare il costo della riforma.