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  • Qual è l’età effettiva di pensionamento in Italia?

    Questa nota spiega che il divario è in realtà più basso (1,3 anni) se si tiene conto che il dato OCSE è un dato relativo alla media calcolata su cinque anni. La nota illustra anche come l’età effettiva di pensionamento differisca tra diverse categorie di lavoratori e riepiloga i principali strumenti che consentono di andare in pensione prima dell’età statutaria (attualmente 67 anni). Questo è il dato sull’età media di uscita dal mercato del lavoro presente nel recente rapporto OCSE “Pensions at a Glance 2021”, riportato anche da numerose testate giornalistiche nazionali come età effettiva di pensionamento. Come differisce l’età di pensionamento per tipologia di lavoratore? I dati INPS indicano che nel 2020, una percentuale non trascurabile (il 35 per cento) dei lavoratori inizia a ricevere la pensione INPS (vecchiaia e anticipata) all’età statutaria di pensionamento prevista per le pensioni di vecchiaia (67 anni). L’età effettiva di pensionamento INPS, pur essendo più alta di quella OCSE, risulta comunque essere molto inferiore rispetto ai 67 anni richiesti dalla pensione di vecchiaia (o età statutaria). Il motivo di questa ponderazione uguale per tutti i paesi è che si vuole ottenere una misura dell’età media effettiva di pensionamento che rifletta la struttura per età dei tassi di partecipazione ma che, in un’ottica di comparazione tra paesi, non sia influenzata dalla struttura demografica dei paesi. Per approfondimenti sulla Cassa Integrazione vedi nota precedente dell’Osservatorio al link: https://osservatoriocpi.unicatt.it/ocpi-pubblicazioni-la-cassa-integrazione-guadagni-numeri-e-riforma [8] L’età effettiva di pensionamento è stata calcolata sulla base delle pensioni di vecchiaia e anticipata classificate per età e per anno di decorrenza presenti nel Monitoraggio dei Flussi di pensionamento INPS.

  • L’impatto dell’inflazione su spese ed entrate pubbliche nel 2022

    In parte il miglioramento è dovuto al fatto che l’inflazione erode il valore reale di alcune voci di spesa che sono fisse in termini nominali o sono indicizzate con ritardo. Come incide l’inflazione sul bilancio pubblico e sulle principali poste di spese ed entrate che lo compongono? Per rispondere a questa domanda, si è presa in considerazione la previsione di inflazione del Documento di Economia e Finanza (Def): 5,8 per cento per i prezzi al consumo. Di conseguenza, nel quadro programmatico, rispetto al tendenziale, aumenteranno alcune voci di spesa corrente (o diminuiranno alcune voci di entrata, nel caso il Governo dovesse ad esempio procedere con nuovi tagli di IVA o accise). Inoltre, si prevede che i sussidi di disoccupazione diminuiscano dall’1,1 per cento del Pil nel 2021 (19,5 miliardi) allo 0,9 per cento nel 2022 (16,9 miliardi). Si osserva infine che le “Altre entrate correnti” e le “Entrate in conto capitale non tributarie” aumentano significativamente (rispettivamente di 8,5 e 7,8 miliardi) soprattutto per effetto dell’incremento dei contributi a fondo perduto erogati dall’Unione Europea per il finanziamento del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Infatti, tali contributi rientrano nelle previsioni di entrata per 1,8 miliardi nel 2021 (0,1 per cento del Pil) e 13,2 miliardi nel 2022 (0,7 per cento del Pil). La perequazione è del 100 per cento dell’inflazione per le pensioni sino a 4 volte il trattamento minimo (che è di 523,83 euro), del 90 per cento tra 4 e 5 volte il trattamento minimo, e del 70 per cento oltre 5 volte: https://www.inps.it/news/la-perequazione-delle-pensioni-e-gli-aumenti-per-il-2022.

  • DEF: le migliori prestazioni dei conti pubblici rispetto alle attese nel 2021 e le implicazioni per il 2022

    La riduzione di oltre due punti percentuali dell’indebitamento netto rispetto a quanto atteso sei mesi fa è dovuta a maggiori entrate e – in minor parte – a minori spese primarie, mentre la spesa per interessi è leggermente cresciuta per effetto dell’inflazione. Le entrate Il miglioramento delle entrate è dovuto ai contributi sociali (+5,2 per cento) e in minor misura alle imposte indirette (+2,7 per cento) e dirette (+2,5 per cento), mentre le altre entrate in conto capitale sono state inferiori di 2,8 miliardi (-33,2 per cento). Inoltre, hanno contribuito fattori che vanno oltre al miglior ciclo del Pil: il miglior andamento delle imposte dirette è dovuto anche alle imposte sostitutive sulle rendite finanziarie, che hanno riflesso l’andamento favorevole dei mercati finanziari nel corso del 2020. Le spese La minore spesa primaria per 16,7 miliardi è estesa a tutte le principali voci di spesa primaria corrente, ma le cause sono diverse: Il calo di 4,8 miliardi delle spese previdenziali è trainato dalla minor spesa per ammortizzatori sociali (4,2 miliardi), e quindi dalla maggiore crescita. La revisione verso l’alto delle entrate è di soli 19,5 miliardi, nonostante le misure prese sul lato della tassazione per coprire l’aumento delle spese correnti per effetto dei decreti-legge 4 (“Sostegni ter”), 17 (“Costi energia”) e 21 (“Emergenza Ucraina”) del 2022. In particolare, la crescita dei contributi sociali osservata nel 2021 prosegue anche nel periodo 2022-2025: se nel 2021 i contributi sociali erano risultati di 12 miliardi in più di quanto previsto dalla NADEF, nel 2022, restano quasi 11 miliardi superiori al previsto. Ciononostante, l’effetto di trascinamento non è completo per due motivi: Il tasso di crescita del Pil nel 2022 è stato rivisto verso il basso (alla fine il Pil nominale ora previsto per il 2022 è simile a quello previsto nella NADEF).

  • Le misure per sostenere la liquidità delle imprese durante la pandemia

    Una parte notevole dei maggiori prestiti si è tradotta in un aumento dei depositi (+42 per cento fra il 2019 e il 2021), indice di un’elevata incertezza sui flussi di cassa futuri delle aziende. La descrizione delle misure Per attenuare i rischi di illiquidità legati alla crisi pandemica, lo Stato ha rafforzato il Fondo di Garanzia per le PMI e introdotto Garanzia Italia di SACE per erogare garanzie pubbliche sui prestiti bancari. Principalmente, il fondo di Garanzia PMI prevede una garanzia (sia diretta che indiretta) di durata massima di 8 anni e per un importo massimo di 5 milioni di euro e la copertura dell’80 per cento. è stato introdotto per assistere le imprese medio-grandi e anche le PMI che hanno esaurito la loro capacità di accesso al Fondo di Garanzia. L’impatto delle misure Per effetto di queste misure, oltre che della politica monetaria ultra-accomodante della BCE, il costo del credito verso le società non finanziarie è diminuito (Fig.1), mentre il volume dei crediti concessi è aumentato (vedi prestiti alla Fig.2), a differenza di quanto osservato in precedenti recessioni. Invece, nel 2021, la sostanziale stabilità dei prestiti è avvenuta a sintesi di una modesta riduzione dei prestiti a breve e medio termine (-4 e -8 per cento rispettivamente), quasi interamente compensata dall’aumento dei prestiti a lungo termine (+4 per cento). È prevista anche dal Fondo una garanzia per i finanziamenti fino a 30.000 per una durata massima di 15 anni, con una copertura del 100 per cento fino al 30 giugno 2021, calata al 90 dal luglio 2021 al dicembre 2021 e all’80 a partire dal 1° gennaio 2022.

  • Un aggiornamento sulla situazione degli asili nido in Italia

    In proposito, l’iniziale insufficienza di domande da parte dei comuni del Sud è stata ora in gran parte superata, anche se almeno 330 milioni inizialmente allocati per gli asili nido potrebbero essere dirottati sulle scuole per l’infanzia, dove le carenze sono minori. Disuguaglianza nell’offerta degli asili nido Nell’anno scolastico 2019/2020, con 361.318 posti, il livello di copertura degli asili nido in Italia (definito come numero di posti nei servizi educativi per 100 bambini residenti sotto i 3 anni) era del 26,6 per cento, ben al di sotto del target europeo del 33 per cento. Gli iniziali 700 milioni di fine 2020 e i più recenti 2,4 miliardi porterebbero il tasso di copertura degli asili nido dal 26,6 per cento nel 2019 al 45,5 per cento entro il 2025 (Tav. 2). Una possibile causa del mancato invio di schede progettuali per la costruzione di posti di asili nido potrebbe essere stata la scarsa esperienza di alcuni comuni, specie quelli al Sud, nella gestione di asili nido. Per far fronte a tale problema, è stata creata una task force di esperti dell’Agenzia per la Coesione per il sostegno tecnico ai comuni “con una copertura di servizi dedicati alla fascia 0-2 anni molto al di sotto dell’obiettivo europeo del 33 per cento”, essenzialmente i comuni del Sud. Tuttavia, 70 milioni di questi 400 milioni residui saranno comunque oggetto di un nuovo bando con scadenza a fine maggio per asili nido riservato ai Comuni delle Regioni del Mezzogiorno, con priorità a Basilicata, Molise, Sicilia. Quindi, dividendo 3,1 miliardi stanziati (2,4 miliardi più i 700 milioni del bando indetto il 30/12/2020) per 16.000, si ottengono 193.750 nuovi posti per gli asili nido che, sommati ai 361.318 attuali, incrementerebbero la copertura degli asili nido da 26,6 a 45,5 per cento (Tav.2).

  • L’impatto di un rialzo dei tassi sulla spesa per interessi

    Nel primo anno, la spesa aumenta di 2 miliardi per il rinnovo dei titoli in scadenza, e di 1 miliardo per le nuove emissioni per coprire il deficit previsto secondo i piani correnti. I tassi di interesse sui titoli di Stato decennali sono aumentati molto negli ultimi mesi: da 1,1 per cento a fine 2021 a 2,6 per cento a fine aprile 2022. L’effetto di un aumento dei tassi sulla spesa per interessi dipende da quanto rapidamente l’aumento si estende ai nuovi titoli emessi e quindi dalla composizione per scadenza dei titoli di Stato. I risultati sotto riportati sono basati sulla struttura per scadenza del debito pubblico al 28 aprile 2022 e sulle seguenti ipotesi: Un aumento permanente dei tassi di interesse dell’ 1 per cento (rispetto a uno scenario base in cui i tassi non variano) uguale per tutte le scadenze. L’aumento di spesa viene anche calcolato rispetto non solo al debito attualmente esistente, ma anche tenendo conto del nuovo deficit che deve essere finanziato (106 miliardi nel 2022, 77 miliardi nel 2023, 68 miliardi nel 2024 e 59 miliardi nel 2025). Negli anni successivi, il costo cresce via via che nuovi titoli vengono emessi per sostituire i vecchi (892 miliardi di titoli scadono entro aprile 2027). Oltre ai titoli di Stato, si assume anche che ogni anno venga rinnovato un decimo dei buoni postali (dei 229 miliardi attualmente in circolazione) emessi da Cassa Depositi e Prestiti.

  • Pressione fiscale: cos’è successo nel 2021?

    Tuttavia, scorporando le agevolazioni fiscali che sono classificate come spesa, e che sono aumentate nel 2021, la pressione fiscale effettiva non solo è più bassa, ma aumenta anche meno, dal 41,4 al 41,8 per cento. L’aumento di tali agevolazioni è attribuibile principalmente all’estensione del Bonus IRPEF previsto dalla Legge di Bilancio 2020, a pieno regime solo da inizio 2021. Nel 2021 il gettito IVA è cresciuto molto più del Pil, a causa del parziale spostamento dei consumi da servizi a beni (in particolare durevoli) e dal maggiore utilizzo di strumenti di pagamento cashless. La pressione fiscale effettiva Come indicato nel Documento di Economia e Finanza (DEF), il dato della pressione fiscale non è del tutto rappresentativo dell’onere fiscale che grava effettivamente sui contribuenti. Quest’aumento è dovuto principalmente alle modifiche del bonus IRPEF, apportate dalla Legge di Bilancio 2020 che lo ha esteso sia come importo (da 80 a 100 euro al mese) sia come platea di beneficiari (da un reddito massimo di 26.600 euro a 40.000). Tra le imposte dirette occorre osservare l’elevato gettito in eccesso derivante dalle condizioni favorevoli del regime di imposta sostitutiva sulla rivalutazione dei beni aziendali, che hanno fatto sì che molte imprese si siano avvalse dell’agevolazione (portando nel 2021 un gettito di ben 3,4 miliardi rispetto ai soli 75 milioni del 2020). Infine, occorre osservare che i rinvii dei termini di pagamento di diverse imposte (come l’IVA, rate di acconto dell’IRPEF, contributi sociali, ecc.) hanno posticipato parte del gettito per queste imposte dal 2020 al 2021.

  • I Titoli di Stato indicizzati proteggono dall’inflazione?

    Si calcola il coefficiente di indicizzazione (CI) come il rapporto tra l’indice dei prezzi (illustrato successivamente) alla data di pagamento della cedola e l’indice alla data della cedola precedente. Si prenda ad esempio un risparmiatore che abbia investito 100.000 euro in un BTP Italia con un tasso cedolare annuo dell’1 per cento, e che paga cedole ad aprile e a ottobre. In che misura i BTP Italia proteggono dall’inflazione? Si prenda ad esempio un investitore che abbia acquistato alla pari un BTP Italia emesso nel maggio 2020, con scadenza a 5 anni, e rendimento cedolare annuo dell’1,40 per cento. Un BTP identico, ma non indicizzato, nei primi due anni otterrebbe invece un rendimento reale annuo del -2,40 per cento , come media di -0,16 per cento nel primo anno e del -4,61 per cento nel secondo anno (Tav. 2). Infatti, in assenza di ritardi, il rendimento reale medio nei primi due anni del BTP Italia sopra considerato sarebbe stato dell’ 1,40 per cento – ossia il rendimento che si avrebbe in assenza di inflazione – contro l’1,05 per cento del BTP Italia realmente in circolazione (Tav. 3). Risultati simili si ottengono in un secondo esempio: consideriamo un BTP Italia emesso nel gennaio 2021 (un BTP fittizio, visto che non ci furono emissioni di BTP Italia in quel mese), con rendimento cedolare annuo dello 0,70 per cento (pari al rendimento nominale dei BTP quinquennali a quella data). Assumendo che l’inflazione a 12 mesi sia del 6 per cento tra aprile 2022 e il resto dell’anno (in discesa dal 6,7 per cento di marzo per i prezzi al consumo), nei primi due anni il titolo realizzerebbe un rendimento reale annuo dello 0,17 per cento.

  • Il potenziale impatto sulla crescita dei fondi del PNRR

    Le spese che accrescono il potenziale produttivo Quali delle 258 misure di spesa previste dal PNRR o finanziate dal Fondo Complementare che lo affianca contribuiscono ad aumentare il potenziale produttivo? Per rispondere a questa domanda, abbiamo catalogato le spese in quattro macrocategorie. Considerando che l’orizzonte di completamento degli investimenti del PNRR e del Fondo Complementare è fissato per il 2026, gli investimenti della prima categoria hanno un impatto sulla capacità produttiva appena completati, o dopo un intervallo di tempo di massimo sei anni. Viene considerata in questa categoria anche qualunque misura che abbia il potenziale di far aumentare l’offerta di lavoro (come il Piano Asili nido o l’estensione del tempo pieno nelle scuole) o di facilitare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro (rafforzamento di centri per l’impiego). Esempi di questo tipo di investimenti sono: l’efficientamento energetico e la riqualificazione di edifici pubblici e luoghi di culto; l’istituzione di servizi sanitari come le Case di Comunità; la digitalizzazione del comparto della sanità, la riqualificazione delle case popolari e le misure del Superbonus. Le categorie di spesa più consistenti con impatto nel medio termine sono nel settore delle imprese, dei trasporti e della transizione tecnologica, quindi volte alla creazione di nuovi collegamenti di trasporto, di internet a banda larga e agli incentivi per l’acquisizione di beni capitali. La terza categoria raccoglie 61 voci di investimento, per un totale di spesa di 35,3 miliardi (16 per cento del totale), di cui la metà (17,7 miliardi, 8 per cento del totale) sono considerate come aventi un effetto sulla crescita. La somma della prime due categorie e di metà delle risorse della terza, che dà il totale delle spese con un impatto sul potenziale produttivo, è quindi di 114 miliardi – pari al 51 per cento delle risorse totali.

  • Le prospettive di crescita nel Documento di Economia e Finanza 2022

    Per il 2022, la crescita ora prevista (3,1 per cento), tenendo conto della riduzione del Pil attesa per il primo trimestre di quest’anno, richiederebbe un aumento nei trimestri successivi a ritmi elevati (0,8 per cento a trimestre), forse non raggiungibili. Le previsioni macroeconomiche La rapida crescita del Pil nel 2021 comportava che, anche nell’ ipotesi di crescita trimestrale nulla nella media del 2022, il Pil annuale sarebbe aumentato comunque del 2,3 per cento rispetto al 2021 (questa è la cosiddetta crescita “acquisita”). È vero che potrebbe esserci un “rimbalzo” tecnico dopo la caduta del primo trimestre, ma un tasso di crescita medio dello 0,8 per cento sarebbe anche maggiore rispetto a quello dell’ultimo trimestre del 2021, ovvero in assenza di conflitto e con prezzi più contenuti. Per ottenere una crescita annua allo 0,6 per cento, ipotizziamo che il Pil decresca dello 0,5 per cento nei primi due trimestri dell’anno e che la decrescita sia più forte nel terzo e quarto trimestre, via via che il razionamento viene realizzato (rispettivamente -0,9 e -1,1). Se nel primo trimestre la caduta del Pil fosse dello 0,5 per cento, la crescita trimestrale sarebbe positiva (almeno 0,35 per cento) negli ultimi tre trimestri di quest’anno. Se però, vista la prosecuzione del conflitto almeno per aprile, la crescita del Pil nel secondo trimestre dell’anno fosse anche solo leggermente negativa (-0,2 per cento), allora negli ultimi due trimestri i tassi di crescita dovrebbero essere dello 0,6 e 0,7 per cento, un’accelerazione sostenuta per arrivare al 2,1 per cento annuo (Fig. 2). Il Pil registrato nell’ultimo trimestre del 2021 è stato più alto rispetto a quello di ognuno dei precedenti trimestri dello stesso anno; perciò, se il Pil di ogni trimestre del 2022 fosse costante al livello dell’ultimo trimestre del 2021, il Pil annuale comunque crescerebbe.

  • Fuga di cervelli: le agevolazioni fiscali sono efficaci?

    Cosa disciplina la normativa attuale a riguardo? Si sta rivelando efficace? La normativa sugli incentivi fiscali Chi possiede una laurea universitaria (o un titolo di studio equiparato) e trasferisce la propria residenza in Italia dopo almeno due anni di lavoro/ricerca all’estero beneficia di sgravi fiscali. Gli sgravi sono diversi tra docenti/ricercatori da un lato e dipendenti/professionisti (“lavoratori impatriati”) dall’altro: [1] Per i lavorati impatriati, il reddito imponibile è abbattuto del 70 per cento, e del 90 per cento se la residenza viene trasferita in una regione del Sud. La durata dell’agevolazione è di 5 anni, con possibilità di estenderla sotto certe condizioni (es. figli minorenni e acquisto casa); Per i docenti/ricercatori, invece, l’esenzione è al 90 per cento e la durata è di 6 anni (anche qui con possibilità di estensione sotto certe condizioni). Esiste anche una terza agevolazione (“neo-residenti”) che è utilizzabile anche dai sopracitati docenti/ricercatori e dipendenti/professionisti, ma che è mirata a individui che hanno passato un periodo più prolungato all’estero (e che non hanno necessariamente una laurea). Il predominio del Regno Unito come destinazione dei nostri laureati sotto i 40 anni, già chiaro 10 anni fa, è cresciuto nel tempo nonostante la Brexit: nel 2011 il 15 per cento di chi partiva sceglieva il Regno Unito; nove anni dopo, questa percentuale è salita al 26 per cento (Tav. 1). Per quanto riguarda docenti e ricercatori, invece, non è possibile trarre una conclusione, in assenza di modifiche sostanziali al regime (l’esenzione è stabile al 90 per cento sin dalla sua introduzione nel 2010) e di dati sui beneficiari prima del 2017. Sempre al 2020, i soggetti che dichiarano reddito da pensione estera (e che beneficiano dell’imposta sostitutiva al 7 per cento avendo trasferito la residenza in un comune del Sud con meno di 20.000 abitanti) sono solo 159, per un totale di redditi di fonte estera di 7,3 milioni di euro.

  • Gli ostacoli alle fonti energetiche rinnovabili

    Gli obiettivi europei di riduzione delle emissioni A seguito degli Accordi di Parigi del 2015, l’Unione Europea aveva definito i propri obiettivi in materia di energia e clima con il documento: “Energia pulita per tutti gli europei”, adottato nel 2019. Questi obiettivi sono stati resi più stringenti nel Green Deal Europeo che ha previsto: a) la neutralità climatica (ossia emissioni zero) nell’UE entro il 2050; e b) la riduzione delle emissioni di gas serra di almeno il 55 per cento entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990. Per esempio, dei 20 GW di progetti per i quali è stata fatta istanza per il settore eolico dal 2017 al 2021, attualmente ne sono stati autorizzati solo 0,64 GW. Cosa frena l’autorizzazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili? Per rispondere, vediamo quali autorizzazioni sono richieste. Sopra certe soglie, che dipendono dal tipo di impianto e che variano da regione a regione, è necessaria una Verifica di Assoggettabilità (VA) per accertare se un progetto deve essere sottoposto a Valutazione di Impatto Ambientale (VIA). La Comunicazione al Comune è prevista per alcuni tipi di piccoli impianti per la produzione di elettricità e pompe di calore da fonti rinnovabili, assimilabili ad attività di edilizia libera. I principali obiettivi per il 2030 erano: la riduzione delle emissioni di gas serra di almeno il 40 per cento rispetto al 1990, la copertura del 32 per cento dei consumi di energia con fonti rinnovabili e il miglioramento dell'efficienza energetica di almeno il 32,5 per cento. Per questi l’installazione è libera, fatte salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali e delle altre normative di settore in materia antisismica, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitaria, di efficienza energetica, di tutela dal rischio idrogeologico e contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio.

  • Gli interventi governativi contro il rincaro energetico in Europa: un aggiornamento

    Dal quarto trimestre del 2021 ad oggi i sussidi maggiori (rispetto al Pil) sono stati erogati da Spagna e Italia mentre il Regno Unito si attesta su livelli più bassi. L’ Italia , stanziando ulteriori 4,4 miliardi con il decreto-legge del 21 marzo 2022 ha portato la cifra impiegata per mitigare l’aumento dei costi dell’energia a circa 19 miliardi complessivi. Inoltre, il recente Documento di Economia e Finanza annuncia nuovi interventi per 5 miliardi entro fine aprile, di cui una parte verrà usata per contenere i costi di carburante e il costo dell’energia. La Spagna ha stanziato contro il rincaro energetico ulteriori 15 miliardi di euro per il secondo trimestre 2022, portando il totale degli interventi governativi a 20,1 miliardi complessivi. Il costo assorbito dal settore pubblico è quindi di circa 8,6 miliardi (l’84 per cento di 10,2 miliardi). I Paesi Bassi hanno stanziato ulteriori 2,8 miliardi nel marzo 2022 portando così il totale stanziato a 6 miliardi . Nel dettaglio: è stata ridotta da aprile sino a fine anno la tassa energetica dal 21 al 9 per cento e le accise su benzina e diesel del 21 per cento; sono stati aumentati da 200 a 800 euro i sussidi per le famiglie che hanno una bolletta energetica elevata.

  • L’inflazione è solo in piccola parte causata dalla guerra

    Tuttavia, l’inflazione dovuta alla guerra è minoritaria rispetto a quella che si è realizzata prima dell’inizio delle ostilità, ovvero durante la ripresa nel 2021. La volatilità che ha caratterizzato i primi giorni del conflitto si è progressivamente ridotta, facendo stabilizzare i prezzi ad un livello generalmente superiore rispetto al periodo pre-guerra. Per il carbone metà dell’aumento è avvenuto prima della guerra. Cereali : per i tre principali cereali (frumento, mais e riso) tra metà e tre quarti dell’aumento è avvenuto prima della guerra. Materie prime agricole : circa tre quarti dell’aumento del prezzo del cotone è avvenuto prima della guerra. Metalli : ad eccezione del nickel, dove l’aumento post guerra è stato quasi la metà del totale, per gli altri metalli l’aumento è per almeno quattro quinti dovuto a quanto avvenuto prima della guerra. Se si prendessero periodi più recenti, le percentuali riportate sarebbero anche più alte, poiché nel 2020 i prezzi erano scesi rispetto al 2019, aumentando quindi il tasso di inflazione pre-guerra.

  • Le morti da Covid-19 nel 2021: un confronto internazionale

    Inoltre, la classifica dei paesi più colpiti è cambiata: se nel 2020 Perù (282 morti ogni 100 mila abitanti), Belgio (170 decessi) e Italia (123 decessi) erano in cima alla graduatoria, nel 2021 i primi posti, a esclusione di Perù e Gibilterra, sono stati coperti dai paesi dell’Est Europa, con la Bulgaria in testa (337 decessi). L’andamento dei decessi Covid-19 tra il 2020 e il 2021 Il numero di vittime da Covid-19 registrato ufficialmente nel mondo nel 2021 è stato più di 3,5 milioni, contro 1,9 milioni nel 2020. Chi ha avuto il maggior numero di decessi nel 2021? I primi dieci posti nella classifica internazionale dei paesi per numero di decessi da Covid-19 ogni 100.000 abitanti nel 2021 sono occupati da quelli dell’Europa orientale, ad esclusione di Perù e Gibilterra (Tav. 1). Oltre alla Bulgaria, infatti, Ungheria e Slovacchia sono state particolarmente colpite dalle ondate di decessi (rispettivamente 206 e 227 decessi in più rispetto al 2020) così come le tre Repubbliche Baltiche (Estonia, Lituania e Lettonia) che nel 2021 hanno registrato in media 180 decessi (contro i 38 del 2020). Un anno dopo, le ultime posizioni di questo gruppo di paesi sono rimaste essenzialmente immutate; invece, Grecia, Portogallo e Germania hanno registrato un aumento nel numero dei decessi rispetto al 2020, con la Grecia che ha registrato il maggior incremento tra i paesi considerati (rispettivamente +104, +50 e +45 decessi). Anche gli Stati Uniti che, in termini assoluti hanno rappresentato il paese con il maggior numero di decessi nel 2021 (466.678 deceduti) si trovano al 34esimo posto nella classifica internazionale (con 142 morti ogni 100mila abitanti) con un peggioramento rispetto al 2020 (35 decessi in più). Anche tra i paesi BRICS il numero di decessi è cresciuto nel 2021: il Brasile è quello che ha avuto il maggior numero di decessi per 100 mila abitanti raddoppiandoli da 100 nel 2020 a 200 nel 2021.

  • La corruzione in Italia nel 2021: un aggiornamento

    Riguardo l’esperienza diretta della corruzione, il nostro paese ricopre invece una posizione migliore rispetto alla media UE. *** L’Indice di percezione della corruzione (CPI) - dati 2021 L'indice di percezione della corruzione (CPI) è pubblicato annualmente da Transparency International. L’indice, che va da 0 (per paesi più corrotti) a 100 (per paesi meno corrotti), si basa su 13 sondaggi di esperti del settore e di rappresentanti di imprese condotti da varie istituzioni (per esempio la Banca Mondiale) e ha l’obiettivo di misurare il grado corruzione percepita. I problemi degli indici di percezione della corruzione Gli indici di percezione della corruzione corrono il rischio di rappresentare un paese “più corrotto” di quello che è realmente. Inoltre, il Global Corruption Barometer: non produce indici sintetici del livello di corruzione, ma riporta solo risposte a specifiche domande; riguarda sia la percezione della corruzione sia l’esperienza diretta della corruzione. Tra i principali risultati per l’Italia relativi alla percezione della corruzione, il 34 per cento degli intervistati pensa che la corruzione sia aumentata tra il 2019 e il 2020 (mentre il CPI riportava una staticità nella percezione della corruzione). Il dato italiano è inferiore rispetto a quello medio europeo (7 per cento), indicando che il nostro paese figura meglio negli indici di esperienza della corruzione rispetto a quelli di percezione della corruzione. Il settore in cui le connessioni personali sono maggiormente sfruttate in Italia è la sanità (29 per cento), seguita da polizia (24 per cento), scuola pubblica (23 per cento), servizi per l’erogazione di benefici di sicurezza sociale (22 per cento) e servizi per la richiesta di documenti ufficiali (21 per cento).

  • Le proposte di riforma del Patto di Stabilità e Crescita

    In ogni caso, terminologie come “regola di spesa” dovrebbero essere evitate perché suggeriscono che l’UE voglia stabilire un limite alla dimensione di spesa dei governi, mentre questo non è né nel suo mandato, né nelle intenzioni di chi propone tali modifiche. I vincoli di tipo fiscale imposti ai deficit dei bilanci annuali dovrebbero essere imposti solo ai paesi che necessitano una correzione fiscale nel medio periodo, individuati tramite un rapporto debito/PIL che supera (o supererà entro un certo orizzonte) una determinata soglia. La soglia dovrebbe essere fissata dal Consiglio europeo, a seguito di una raccomandazione della Commissione, e rivista ogni cinque-dieci anni alla luce delle tendenze di lungo termine del livello dei tassi di interesse globali, della crescita del PIL e di altri fattori rilevanti (come le prospettive demografiche). La regola di spesa prevede che la spesa pubblica, corretta per le decisioni discrezionali in termini di tassazione, possa crescere ad una velocità pari al tasso di crescita di lungo periodo dell’economia, in modo da assicurare un rapporto cosante di spesa al netto delle fluttuazioni cicliche dell’economia. In tale approccio la stima del tasso di crescita potenziale è perciò evitato; tuttavia, non vi sono ragioni per utilizzare il tasso di crescita del PIL passato se le previsioni future del GDP preannunciano un tasso di crescita differente: in questo caso si tratta solo di un’assunzione di comodo. In risposta si potrebbe continuare a seguire la regola dell’adeguamento strutturale, senza alcun bisogno di stimare la crescita del PIL potenziale, ed usare il tasso di crescita del PIL di lungo periodo come stima del tasso di crescita del PIL potenziale. Infatti, si può dimostrare che le due regole - regola di spesa e regola dell’adeguamento strutturale - sono equivalenti se si assume che i tassi di crescita del PIL potenziale e di lungo termine sono uguali.

  • Cosa ci dicono le dichiarazioni fiscali sul 2020?

    I sussidi erogati ai titolari di partita Iva non rientrano invece nella base imponibile, ma tali soggetti hanno un peso ridotto sul reddito imponibile complessivo (9 per cento) rispetto ai lavoratori dipendenti (53 per cento) e ai pensionati (31,3 per cento). Ciò è dovuto essenzialmente all’utilizzo straordinario di sostegni durante l’emergenza pandemica, che hanno attenuato il calo del reddito disponile delle famiglie, sceso solo del 2,8 per cento; in particolare, le prestazioni sociali sono aumentate del 9,5 per cento (Tav. 1). Le partite Iva hanno però un peso ridotto sulla base imponibile dell’Irpef (9 per cento, anche perché entro i 65.000 euro di ricavi si aderisce al regime forfettario, venendo dunque esclusi dall’Irpef) rispetto al reddito da lavoro dipendente (53 per cento) e da pensione (31,3 per cento). Le dichiarazioni sul 2020 mostrano che il reddito medio è diminuito solo dell’1,1 per cento (da 21.800 a 21.570 euro) e che, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, la pandemia sembra aver avuto un effetto modesto sulla distribuzione dei contribuenti per fasce di reddito. Ovviamente, va tenuto conto che questi sono dati aggregati che, per costruzione, non colgono i movimenti che si verificano all’interno di una data distribuzione; è così possibile, ad esempio, che alcuni percettori dei redditi medi siano scesi nella scala del reddito, sostituiti da altri in ascesa. Nel 2020 la base imponibile dell’imposta sostituiva del 26 per cento dei redditi di natura finanziaria (escludendo i titoli di Stato e i fondi pensione), sottratta alla base imponibile dell’Irpef, è stata di 43 miliardi . Nel 2020, il reddito imponibile della cedolare secca, sottratto alla base imponibile Irpef è di 17,4 miliardi (5,7 miliardi per la cedolare secca al 10 per cento e 11,7 miliardi per la cedolare al 21 per cento; Fig. 2).

  • Chi ha beneficiato dei pacchetti di sostegno a famiglie e imprese erogati da settembre 2021 a oggi?

    Questi aiuti sono andati maggiormente a favore delle famiglie rispetto alle imprese (20 miliardi contro 15,5 miliardi). Tuttavia, solo il 45 per cento di questi 35 miliardi ha seguito un criterio di selettività (54 per cento nel caso dei sostegni alle famiglie e 33 per cento alle imprese). La Legge di Bilancio 2022 (5,4 miliardi), il decreto legge del 27 gennaio 2022 (2,6 miliardi) e il decreto legge del 1 marzo 2022 (5,5 miliardi) hanno esteso le misure contro il caro energetico, azzerando gli oneri di sistema, estendendo i bonus luce e gas e concedendo crediti di imposta alle imprese. Inoltre, la Legge di Bilancio e il decreto di gennaio hanno stanziato ulteriori risorse per sostenere i redditi di famiglie e imprese colpiti dalla pandemia. Il decreto legge del 21 marzo 2022 ha stanziato 4,1 miliardi per aiutare le imprese contro il caro-energia (1,6 miliardi) e per fronteggiare il rapido aumento del prezzo dei carburanti tagliando le relative accise di 25 centesimi (1,6 miliardi). In proporzione, le utenze domestiche a bassa tensione al di sotto della soglia di potenza sono il 77 per cento del totale; Azzeramento oneri di sistema del gas : 36 per cento assegnato alle famiglie e 64 per cento alle imprese. Per stabilire la percentuale finale, le percentuali delle due categorie sono pesate per il consumo relativo di ogni carburante: il 76 per cento delle tonnellate di carburante utilizzate è dato dal gasolio, mentre la restante parte è benzina.

  • L’occupazione nel settore pubblico in Italia

    Non è chiaro quale sia il piano di medio termine del Governo in termini di occupazione pubblica, ma ci sono indicazioni che il numero netto di assunzioni possa essere elevato, nonostante la digitalizzazione della pubblica amministrazione possa portare a risparmi di personale. Il 2021 si è chiuso con un rapporto tra unità di lavoro annue e popolazione del 5,7 per cento, contro una media degli ultimi 40 anni del 6,1 per cento. Questi dati comportano che: Se il rapporto tra occupazione pubblica e popolazione fosse stato nel 2021 pari al valore medio del periodo 1980-21, gli occupati pubblici avrebbero dovuto essere 3,60 milioni di unità di lavoro annue, invece di 3,36 milioni. Dato che la popolazione italiana è prevista scendere nei prossimi anni, se si volesse tornare nel 2026 allo stesso rapporto tra occupati e popolazione osservato nella media del periodo, l’occupazione pubblica dovrebbe salire da 3,36 milioni di unità nel 2021 a 3,54 milioni nel 2026, ossia 180mila unità in più. L’età media del personale nel settore pubblico è aumentata più dell’età media della popolazione italiana, anche se nel periodo 2019-20 è avvenuto l’opposto in conseguenza del pensionamento di molti dipendenti pubblici con Quota 100 (Fig. 2). In un intervento del 13 aprile 2022 ( https://www.funzionepubblica.gov.it/articolo/ministro/13-04-2022/il-saluto-del-ministro-brunetta-ai-32-neoassunti-alla-funzione-pubblica ) il ministro Brunetta ha indicato che “L’obiettivo è riportare il numero di dipendenti pubblici, tra cinque anni, a quota 4 milioni contro i 3,2 milioni attuali e abbassare di 5-6 anni l’età media, ora sopra i 50 anni”. Focalizzarsi sulle unità di lavoro annuali piuttosto che sul numero dei dipendenti è più appropriato per misurare l’input effettivo di lavoro fornito dai dipendenti pubblici.

  • Il mondo del lavoro per i giovani in Italia

    L’intervento dell’Osservatorio si è focalizzato su quattro temi principali: i) un confronto internazionale sull’occupazione giovanile, ii) una panoramica sulla performance delle università italiane, iii) le differenze di genere e le relative cause e soluzioni, iv) i problemi demografici del nostro paese e come affrontarli. L’incontro poi ha lasciato ampio spazio al confronto diretto con gli studenti che hanno manifestato un forte e vivo interesse per i temi trattati. Qui a sinistra trovate le slide dell’intervento. Un articolo di Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani Download SCARICA IL PDF.

  • Audizione sulla funzionalità del sistema previdenziale obbligatorio e complementare e del settore assistenziale

    Il contesto, come è noto, è quello di potenti forze demografiche che aumenteranno la richiesta di servizi sanitari e di previdenza, richiesta che per ora è stata soddisfatta prevalentemente dal settore pubblico. Certo, attualmente i vincoli di bilancio, data la difficoltà o mancanza di volontà nel comprimere altri tipi di spesa o nell’aumentare le entrate pubbliche, hanno comportato un livello di spesa rispetto al Pil tra i più bassi in Europa Occidentale, almeno prima del Covid. Questo ha fatto pensare che quelle forze che in passato avevano portato a un aumento del rapporto (tra le principali l’invecchiamento della popolazione, ma, ancora di più, il progresso tecnologico che rendeva disponibili cure migliori, ma più costose) avessero cessato di operare. Sappiamo che il termine “integrativi” è di per sé fuorviante perché la stragrande maggioranza dei fondi sanitari esistenti non offre semplicemente servizi che integrano quelli forniti dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN), ma sono sostitutivi del SSN, visto che forniscono servizi in alternativa a quest’ultimo. Che ci sia una domanda di servizi sanitari al di là di quelli forniti dal SSN è confermato dall’elevata spesa out of pocket degli italiani: 36 miliardi nel 2019, ossia oltre il 23 per cento della spesa sanitaria complessiva pubblica e privata. Il motivo per questa equivalenza è che, col crescere del numero dei pensionati rispetto al numero dei lavoratori, anche un sistema a capitalizzazione risente del fatto che un numero di risorse inferiore viene reso disponibile dal calante numero dei lavoratori correnti per “alimentare” il crescente numero dei pensionati. Il problema è che è limitata e poco conclusiva l’evidenza empirica sul fatto che un aumento della quota di pensioni a capitalizzazione porti a un aumento del risparmio aggregato, piuttosto che a una redistribuzione del risparmio tra diversi strumenti finanziari.

  • 108 misure verdi: cosa fa il PNRR per la transizione ecologica

    Importanti (con il 31 per cento delle risorse) sono anche le misure di efficientamento (ossia quelle che portano a minor consumo di energia e acqua) e che consistono principalmente in spese per migliorare gli immobili (il Superbonus al 110% è la principale) e le reti elettriche e idriche. I PNRR dei paesi UE hanno dovuto rispettare due vincoli relativamente agli obiettivi della transizione ecologica: La destinazione di almeno il 37 per cento delle risorse messe a disposizione alla UE a misure che contribuiscono alla transizione verde (vedi sotto per quali misure sono state considerate “verdi”). Dei 191,5 miliardi di euro di risorse europee messe a disposizione dell’Italia, il nostro PNRR destina il 37,5 per cento (71,7 miliardi) per gli obiettivi climatici, praticamente il minimo indispensabile e meno di quanto destinato da tutti gli altri paesi dell’Unione eccetto la Lettonia (Fig. 1). Per quanto riguarda gli incentivi per le case private, il Superbonus 110% (di cui solo i 12,1 miliardi di Ecobonus vengono considerati come investimenti verdi, mentre gli importi del Sismabonus sono esclusi) è la più grande misura verde dell'intero PNRR (Tav. 2); a favore dell’efficientamento energetico degli edifici pubblici sono destinati 2,1 miliardi. In conclusione, le principali aree di intervento del nostro PNRR riguardano la costruzione di infrastrutture per la mobilità sostenibile (40 per cento del totale) e l’efficientamento energetico di immobili e impianti di fornitura (30 per cento). Le smart gridi sono l’insieme di reti di informazione e di distribuzione di energia elettrica “intelligenti”, ovvero in grado di minimizzare sovraccarichi di energia o variazioni di tensione elettrica. Nella letteratura sul cambiamento climatico, le misure di adattamento sono quelle che permettono di minimizzare i potenziali danni causati dal cambiamento climatico (ad esempio costruendo infrastrutture per proteggere le coste dall’aumento del livello del mare); le misure di mitigazione, invece, mirano a ridurre le emissioni di gas serra.

  • La legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021: a che punto siamo?

    Quello forse più importante riguarda il rinvio ad un decreto interministeriale da emanarsi entro sei mesi, che prevede la definizione dei criteri di gara, nonché dei criteri di valutazione di alcuni interventi di innovazione tecnologica. Nel nuovo testo invece, l’Autorità valuta che l’operazione di concentrazione “non ostacoli in modo significativo una concorrenza effettiva nel mercato comune o una parte sostanziale di esso, in particolare a causa della creazione o del rafforzamento di una posizione dominante”. La legislazione vigente prevede l’obbligo in capo alle imprese di notificare le operazioni di concentrazioni quando queste superino determinate soglie di fatturato nazionale: 492 milioni di euro dall’insieme delle imprese interessate all’operazione e 30 milioni di euro da almeno due delle imprese interessate. La novità consiste nel potere che viene dato all’AGCM di chiedere alle imprese di notificare l’operazione quando viene superata una sola delle due soglie dette sopra, oppure quando il fatturato mondiale di una delle imprese superi i 5 miliardi di euro. A questo fine prevede che ogni soggetto competente alla nomina istituisca una commissione tecnica (composta di personalità di indiscussa indipendenza, moralità ed elevata qualificazione professionale) per la selezione delle candidature e che tale commissione individui liste di non meno di quattro candidati per ciascuna posizione. Tra i principali punti in discussione si segnala: a) la promozione della concorrenza anche in sede di conferimento delle licenze (che viene osteggiata da coloro che detengono le attuali licenze) e b) l’utilizzo di applicazioni web che utilizzano piattaforme tecnologiche per l’interconnessione dei passeggeri e dei conducenti. Inoltre, sottolinea l’AGCM, che “il quadro normativo in essere è suscettibile di favorire condotte ostruzionistiche su base brevettuale da parte delle imprese titolari dei farmaci “originatori”, che potrebbero fare ricorso ad azioni giudiziali al solo fine di ritardare l’entrata dei genericisti sul mercato”.

  • Audizione sulle proposte di cambiamento della governance economica nell’Unione Europea

    Il punto principale sollevato nel contributo dell’Osservatorio – il fulcro della proposta – è la definizione per ogni paese membro di un piano pluriennale di rientro del debito pubblico diverso a seconda del paese per tener conto: del livello di partenza del debito. Questi piani pluriennali, di durata quadriennale o quinquennale, verrebbero rinnovati a scadenza fino al raggiungimento di un certo obiettivo di debito di lungo termine (al di sotto del quale i paesi sarebbero liberi di regolare la politica di bilancio senza vincoli). Il piano dovrebbe conformarsi ex ante a una sola regola fiscale: il rapporto tra debito pubblico e Pil dovrebbe diminuire annualmente di almeno un certo importo minimo espresso in punti percentuali di Pil (per esempio, due o tre punti percentuali di Pil all’anno). Questo piano di aggiustamento fiscale a medio termine dovrebbe essere basato su ipotesi ragionevoli di crescita, tassi di interesse e altre variabili rilevanti (ad esempio i proventi delle privatizzazioni), secondo il giudizio espresso dalla Commissione, ed, eventualmente, dall’European Fiscal Council (oltre che dai fiscal council nazionali). Come parte della revisione delle regole europee di governance economica si sta discutendo anche della possibilità di avere un trattamento ad hoc del debito pubblico creato nel 2020-21 per effetto delle crisi Covid, debito acquisito principalmente dalla BCE e dalle banche centrali nazionali. In questo caso l’implementazione di quelle che diverrebbero, de facto , politiche di quantitative tightening porterebbero non solo a un aumento dei tassi di interesse sui titoli di stato, ma anche a un aumento degli spread per i paesi con un debito pubblico considerato più a rischio. Una soluzione alternativa, che non richiederebbe l’intervento di un’altra istituzione europea, sarebbe quello di imporre una riserva obbligatoria una tantum per congelare l’eccesso di liquidità presso la BCE. In questo caso, quest’ultima potrebbe continuare a rinnovare per sempre i titoli pubblici in scadenza.

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