L’andamento dell’occupazione pubblica in rapporto alla popolazione italiana ha attraversato diverse fasi. Dopo un rapido aumento negli anni Ottanta (e probabilmente negli anni ’70), il rapporto è rimasto abbastanza stabile sino all’inizio del nuovo millennio. Successivamente è sceso a causa dell’aumento della popolazione e del blocco parziale del turnover a partire dal 2008, anche se c’è stata una ripresa negli ultimi anni. Al di là delle assunzioni (temporanee) previste dal PNRR, qual è un obiettivo per il livello di occupati nel settore pubblico? Se, nonostante la digitalizzazione prevista della pubblica amministrazione, si volesse tornare nel 2026 al rapporto tra occupati e popolazione medio del periodo 1980-2021, l’occupazione dovrebbe salire dalle 3,36 milioni di unità annue di lavoro del 2021 a 3,54 milioni di unità. Applicando lo stesso aumento percentuale ai lavoratori pubblici a tempo indeterminato si passerebbe da 3,24 milioni di lavoratori a 3,42 milioni.
La nota è stata ripresa da Repubblica in questo articolo del 21 maggio 2022.
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Con lo sblocco del turnover e con un numero elevato di dipendenti pubblici che si pensioneranno nei prossimi anni il settore pubblico aumenterà le assunzioni rispetto al passato. Inoltre sono già iniziate le assunzioni nette, per ora mirate, per soddisfare le necessità del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Non è chiaro quale sia il piano di medio termine del Governo in termini di occupazione pubblica, ma ci sono indicazioni che il numero netto di assunzioni possa essere elevato, nonostante la digitalizzazione della pubblica amministrazione possa portare a risparmi di personale.[1] In questo contesto, sembra opportuno rivedere gli andamenti del numero dei dipendenti pubblici negli ultimi decenni.
L’andamento dell’occupazione pubblica nel tempo[2]
L’andamento dell’occupazione pubblica, misurata dal numero di unità annue di lavoro nel settore pubblico rispetto alla popolazione, ha attraversato diverse fasi negli ultimi decenni (Fig. 1 per l’occupazione in valori assoluti e in rapporto alla popolazione):[3]
- Durante gli anni Ottanta il rapporto è cresciuto rapidamente: è passato dal 5,6 al 6,5 per cento, trainato dall’aumento del personale in un periodo in cui la popolazione italiana è stata quasi stazionaria. Questo trend è probabilmente iniziato negli anni ’70, quando l’occupazione pubblica in alcuni comparti (in particolare la pubblica istruzione) aumentò notevolmente.
- Il rapporto è stato abbastanza stabile dal 1990 al 2002: un’iniziale discesa è stata compensata da una rapida salita all’inizio degli anni 2000 e il valore del rapporto nel 2002 era sostanzialmente pari a quello del 1990.
- Tra il 2002 e il 2014 il rapporto scende rapidamente sino a raggiungere il minimo nel 2014 (5,5 per cento), leggermente più basso rispetto al valore del 1980. Questo per due motivi. Primo, la popolazione residente aumenta per la regolarizzazione degli immigrati residenti in Italia.[4] Secondo, il numero di unità annue di lavoro scende: nei primi anni 2000 l’aumento delle retribuzioni del personale aveva fatto lievitare la spesa nel settore pubblico e, in un contesto di ristrettezze finanziarie (la crisi globale del 2008-09 e quella dell’euro nel 2011-12), si decise di bloccare parzialmente il turnover dei dipendenti a partire dalla legge finanziaria del 2006.[5] Il blocco entrò in vigore nel 2008 e fermò quasi completamente la sostituzione del personale sino al 2018, tranne in alcuni settori come il fondamentale settore della pubblica istruzione e, parzialmente, nella sanità. Conseguentemente, le unità annue di lavoro si sono contratte del 6,6 per cento tra il 2008 e il 2018.
- Dal 2014 a oggi, il rapporto è cresciuto per la riduzione della popolazione italiana, mentre l’occupazione rimane pressoché stazionaria.
Il 2021 si è chiuso con un rapporto tra unità di lavoro annue e popolazione del 5,7 per cento, contro una media degli ultimi 40 anni del 6,1 per cento. Si tratta di un valore basso, quindi, anche se solo moderatamente al di sotto della media (-6 per cento). Questi dati comportano che:
- Se il rapporto tra occupazione pubblica e popolazione fosse stato nel 2021 pari al valore medio del periodo 1980-21, gli occupati pubblici avrebbero dovuto essere 3,60 milioni di unità di lavoro annue, invece di 3,36 milioni.
- Dato che la popolazione italiana è prevista scendere nei prossimi anni, se si volesse tornare nel 2026 allo stesso rapporto tra occupati e popolazione osservato nella media del periodo, l’occupazione pubblica dovrebbe salire da 3,36 milioni di unità nel 2021 a 3,54 milioni nel 2026, ossia 180mila unità in più. Se lo stesso aumento percentuale venisse applicato ai lavoratori pubblici a tempo indeterminato, si passerebbe da 3,2 a 3,42 milioni di lavoratori.
L’età media dei dipendenti pubblici
Nel corso degli ultimi vent’anni si è anche registrato un generale invecchiamento del personale della pubblica amministrazione. L’età media del personale nel settore pubblico è aumentata più dell’età media della popolazione italiana, anche se nel periodo 2019-20 è avvenuto l’opposto in conseguenza del pensionamento di molti dipendenti pubblici con Quota 100 (Fig. 2).[6] I motivi principali di questo invecchiamento relativo sono (i) l’abolizione della leva obbligatoria che fino ai primi anni del 2000 riduceva l’età media dei dipendenti pubblici; (ii) le maggiori competenze necessarie per accedere al servizio pubblico che richiedono, dunque, periodi di formazione più lunghi; e, la causa principale, (iii) il blocco parziale del turnover.
Appendice: composizione del personale della PA
Il personale ordinario della Pubblica amministrazione (ossia i dipendenti a tempo indeterminato e coloro che comunque ricoprono esigenze non temporanee nella PA, come i dirigenti pubblici con contratto a tempo determinato) ha sempre rappresentato la stragrande maggioranza dei lavoratori della PA con percentuali al di sopra del 95 per cento delle unità annue di lavoro, mentre la restante parte è coperta da dipendenti con contratti flessibili, ossia da personale con contratti a tempo determinato, contratti di somministrazione o di formazione e soggetti che svolgono lavori socialmente utili (Fig. A1).
L’andamento dell’occupazione in queste due categorie di personale è stato molto correlato, con un coefficiente di correlazione di 0,93.
[2] I dati riportati si riferiscono a tutti i dipendenti pubblici, ordinari e con contratti flessibili (vedi appendice). Un’unità di lavoro annua equivale a una persona che ha lavorato a tempo pieno durante un anno (stato, enti territoriali e relative agenzie). Per calcolare il contributo di un dipendente in termini di unità annue si tiene conto, quindi, di quanti mesi ha prestato servizio durante l’anno e di quante ore al giorno ha lavorato (nel caso sia un lavoratore part-time). Per esempio: (i) un lavoratore con un contratto full time a tempo indeterminato figura come 1 unità di lavoro annua; (ii) un lavoratore con un contratto di 6 mesi, full time, figura come 0,5 unità annue; e (iii) un dipendente con un contratto di 6 mesi, part-time al 50 per cento, figura come 0,25 unità di lavoro annue (ovvero 6 mesi x 0,5). Focalizzarsi sulle unità di lavoro annuali piuttosto che sul numero dei dipendenti è più appropriato per misurare l’input effettivo di lavoro fornito dai dipendenti pubblici. Ciò detto, gli andamenti temporali delle unità di lavoro e del numero di occupati sono comunque simili essendo dominate dall’andamento degli occupati a tempo pieno e simili (vedi appendice).
[3] Le unità di lavoro annue (ULA) vengono rapportate alla popolazione, e non come talvolta fatto agli occupati totali, perché i servizi pubblici erogati dai dipendenti pubblici, sono forniti alla popolazione intera e non soltanto agli occupati.