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  • La distribuzione territoriale degli interventi di sostegno alle imprese nel 2020

    Le erogazioni hanno registrato un balzo del 52 per cento (da 3,8 a 5,8 miliardi), che ha consentito di incrementare gli investimenti attivati del 4,6 per cento rispetto al 2019. Tuttavia, nelle regioni del Centro-Nord sono stati attivati più del 70 per cento degli investimenti complessivi; nel Mezzogiorno sono più ridotte le dimensioni dei singoli interventi ed è minore l’ammontare di investimento attivato per ogni euro erogato (5 euro per ogni euro al Centro-Nord contro i soli 2,2 attivati al Sud). Le agevolazioni nel complesso Nel 2020 le richieste approvate sono più che raddoppiate rispetto all’anno prima (da 254mila a 529mila) e le erogazioni hanno registrato un balzo importante (+52 per cento), passando dai 3,8 miliardi del 2019 ai 5,8 del 2020 (si veda Tav. 1). Centro-Nord vs. Mezzogiorno Come si vede dalla Fig. 1, per la prima volta le domande approvate nel Mezzogiorno (salite da 46 mila nel 2019 a 276 mila nel 2020) hanno superato quelle nel Centro-Nord (passate da 118 mila del 2019 a 214 mila nel 2020). Al Mezzogiorno sono andate il 47 per cento delle erogazioni, il che comporta che il rapporto erogazioni/Pil sia stato molto maggiore in quest’area: 0,7 per cento del Pil nel Mezzogiorno contro 0,2 nel Centro-Nord (Fig. 2.1 e Tav. 2). Ciò è dovuto al fatto che nel Mezzogiorno sono più bassi sia gli importi unitari delle domande sia i coefficienti di attivazione (investimenti/erogazioni): questi ultimi sono risultati pari a 2,2 nel Mezzogiorno e a 5,0 nel resto del Paese (Tav. 2). Va tuttavia detto che se si guarda ai rapporti rispetto al Pil, gli investimenti attivati sono più alti al Mezzogiorno: 1,5 per cento del Pil contro 1,1 per cento nel resto d’Italia.

  • L’impatto dell’inflazione inattesa sui conti pubblici nel 2021-22

    Dal lato delle entrate, il gettito IVA aumenta al crescere dei prezzi: l’impatto è di 0,6 miliardi nel 2021 e di 6,5 miliardi nel 2022 (assumendo un tasso di inflazione del 5 per cento). Dal lato delle spese primarie, la risposta non è automatica, ma il Governo ha deciso di contrastare l’aumento dei prezzi energetici con maggiori risorse di quelle previste nella Legge di Bilancio (7,5 miliardi nel 2022). Inoltre, l’aumento dei tassi di interesse, legato alla maggiore inflazione, potrebbe comportare una maggiore spesa per interessi di 2,2 miliardi nel 2022 per il rinnovo dei titoli in scadenza e per i titoli indicizzati all’inflazione. La domanda che ci poniamo è: in che misura l’aumento dell’inflazione negli ultimi mesi rispetto a quello previsto nella NADEF influenza i conti pubblici nel 2021 e nel 2022? In linea di principio, un’inflazione inattesa impatta i conti pubblici attraverso diversi canali. Gettito IVA. Nel caso italiano, in assenza di una risposta dei redditi all’inflazione (che sembra essere stata modesta finora in presenza di un’inflazione prevalentemente importata), la principale entrata tributaria che dipende strettamente dalla variazione dei prezzi è l’IVA. Stimiamo che nel 2021, l’inflazione inattesa dello 0,4 per cento (ossia la differenza tra l’inflazione prevista – 1,9 per cento – e attesa – 1,5 per cento) abbia generato un gettito extra di 0,6 miliardi (lo 0,4 per cento del gettito IVA previsto). Le nostre stime, considerando sia l’impatto di entrate e spese inattese sul deficit sia l’impatto del deflatore del Pil sul denominatore del rapporto, indicano invece nel 2021 un debito/Pil al 154,2 per cento, mentre nel 2022 del 147,4 per cento.

  • Il prezzo dei carburanti in Italia nell'ultimo mezzo secolo

    Per quanto riguarda la benzina, il prezzo in termini reali, prima del recente taglio delle accise era molto vicino a quello registrato durante le crisi petrolifere, mentre il prezzo reale del gasolio era al massimo storico. Inoltre, al netto delle imposte, i prezzi di benzina e gasolio erano ai livelli massimi nell’ultimo mezzo secolo: rispetto ai picchi precedenti (in particolare quelli degli anni ’70) il peso della tassazione sulla benzina si era ridotto, mentre quello del gasolio era aumentato. Nell’Unione Europea, prima di questo taglio l’Italia aveva un costo dei carburanti alla pompa tra i più alti, principalmente a causa della forte incidenza di accise e IVA, ma dopo l’ultimo decreto si è riavvicinata alla media europea. Le accise sono un ammontare fisso in euro per litro, mentre l’IVA, ora al 22 per cento, è calcolata sulla somma del prezzo della materia e delle accise. Nonostante il forte aumento del prezzo pre-tasse durante gli anni Settanta, il costo del gasolio alla pompa rimase basso in seguito alla riduzione delle imposte: le accise vennero tagliate durante le crisi energetiche, risalendo con l’ultimo aumento realizzato durante la crisi economica del 2011-12. Quanto è alto il prezzo dei carburanti rispetto agli altri paesi dell’Unione Europea? Il prezzo della benzina nella terza settimana di marzo, ovvero prima dell’intervento del Governo, era il terzo più alto in Europa (Fig. 5). Tuttavia, il prezzo finale in Italia si è mantenuto ben più alto della media dell’Unione Europea, la quale è attenuata dal più basso prezzo dei paesi dell’Est Europa, dove il costo pre-tasse è inferiore.

  • Dinamiche demografiche e mercato del lavoro: chi sostituirà i baby boomers?

    Negli ultimi tre decenni, l’impatto delle dinamiche demografiche sulla forza lavoro è stato più che compensato da un saldo migratorio positivo e dall’aumento della partecipazione al mondo del lavoro. È quindi necessario programmare un’immigrazione regolare e favorire la partecipazione al mercato del lavoro – in particolare delle donne – per limitare la perdita di forza lavoro nei prossimi anni. Il bilancio della forza lavoro negli ultimi tre decenni La tavola 1 descrive il bilancio della forza lavoro (tra i 15 e i 64 anni) negli ultimi tre decenni. La colonna A della tavola riporta, per ogni anno, l’effetto sulla forza lavoro del saldo demografico della popolazione in età lavorativa, ossia la differenza tra la popolazione che compie 65 anni (e che esce, potenzialmente, dal mondo del lavoro) e quella che compie 15 anni (entrando potenzialmente nel mondo del lavoro). I dati anagrafici sono però moltiplicati per il tasso di partecipazione al mercato del lavoro nello stesso anno, per tener conto che una parte delle persone in età lavorativa non partecipa al mercato del lavoro. Il tasso di partecipazione al mercato del lavoro (o tasso di attività) è il rapporto tra la forza lavoro dei 15-64enni e la popolazione in età lavorativa. Si assumono costanti, a livello 2019: il tasso di partecipazione di entranti e uscenti dall’età lavorativa, la percentuale di decessi tra 15 e 64 anni rispetto al totale, la percentuale di migranti in età lavorativa e il loro tasso di partecipazione.

  • L’inflazione nell’Eurozona e negli Stati Uniti: un aggiornamento

    In entrambe le aree, il livello dei prezzi è superiore al trend pre-Covid, ma in misura molto più accentuata negli Stati Uniti. La differenza tra le due aree è ancora più marcata guardando all’inflazione di fondo, ossia al netto dei prezzi energetici e alimentari. A che punto siamo? In gennaio, nell’Eurozona l’ indice dei prezzi al consumo è aumentato del 5 per cento rispetto a gennaio 2021 e dello 0,3 per cento rispetto a dicembre 2021. Negli Stati Uniti, l’indice è aumentato del 7,5 per cento su base annuale – l’aumento più elevato negli ultimi 40 anni – e dello 0,9 su base mensile. Tuttavia, soprattutto negli Stati Uniti, l’aumento dei prezzi è ben oltre quello che ci si poteva aspettare se tale aumento fosse solo un “recupero” dalla crisi pandemica. In questo caso il trend pre-Covid è stato superato del 3,4 per cento negli Stati Uniti, mentre nell’Eurozona si è ancora in linea con il trend. In entrambe le aree, l’aumento dei prezzi è stato più forte per i prodotti energetici, con aumenti annuali medi di oltre il 20 per cento, a causa dei forti rincari osservati sul mercato dei combustibili (Fig. 3 e 4).

  • Quanto e cosa importa l’Unione Europea dalla Russia?

    Quanto importa l’Unione Europea dalla Russia? Nel 2021, l’UE ha importato beni dalla Russia per 158,5 miliardi di euro (7,9 per cento delle importazioni totali dai paesi extra-UE), collocando la Russia come la terza fonte di importazioni verso l’Unione (Tav.1). Nel 2021, il 67 per cento delle importazioni dalla Russia (per cui la merceologia è identificabile nelle statistiche Eurostat) è stato costituito da materie prime (Tav.2). L’importazione degli idrocarburi e del carbone è critica per il fabbisogno energetico interno dell’Unione poiché quest’ultima è in grado di soddisfarne solo il 10 per cento autonomamente e le importazioni per soddisfare il restante consumo vengono in gran parte dalla Russia. Ad esempio, la Russia forniva nel 2021 il 45,8 per cento per l’import europeo del gas naturale in stato gassoso, il 29,8 per cento per il petrolio e il 44,8 per cento per il carbone (Tav.2, ultima colonna). Il 22,6 per cento di quello che l’Europa importa dalla Russia è costituito da manufatti, ma si tratta quasi interamente di manufatti di base. In termini di dipendenza dalla Russia sul totale delle importazioni extra-UE, la dipendenza è particolarmente forte per i fertilizzanti, seguita dai prodotti metallici non ferrosi e da quelli in ferro e acciaio. La dipendenza dalle importazioni russe piuttosto che dagli altri paesi (Tav.3 ultima colonna) è particolarmente forte per il carbone, gli idrocarburi e, tra i prodotti manufatti, quelli metallici non ferrosi, in ferro e acciaio, in legno e sughero e in carta.

  • I tempi della giustizia civile in Italia: gli anni della pandemia e il PNRR

    I rapporti della “Commissione per l'efficienza della giustizia del Consiglio d'Europa” hanno inoltre confermato lo stato allarmante della giustizia Italiana in relazione agli altri paesi europei: l’ ultimo rapporto – pubblicato nel 2020 e basato sui dati del 2018 – posiziona l’Italia all’ultimo posto per quanto riguarda i tempi dei procedimenti civili. Nel 2019 il disposition time medio in Italia era di 588 giorni per i tribunali e di 654 giorni per le Corti d’Appello: per definire un procedimento servivano dunque in media circa 19 mesi in primo grado e 21 in secondo. Nel 2020 invece vi è stato un netto peggioramento, principalmente dovuto all’impatto del Covid: il numero di procedimenti sopravvenuti è complessivamente calato del 22 per cento, mentre lo stock di procedimenti pendenti è rimasto pressoché costante. Gli aumenti più consistenti sono stati osservati nei tribunali del Mezzogiorno e delle Isole: un esempio è il tribunale di Vallo della Lucania, già il più lento nel 2019, il cui disposition time è più che triplicato nel 2020. Per quanto riguarda il secondo grado di giudizio, il peggioramento più evidente nel 2020 si è verificato nella Corte di Roma, che con quasi 4 anni di tempo di smaltimento supera Taranto diventando di fatto la più lenta d’Italia. Nel 2021 si osserva invece un netto miglioramento nei tempi di smaltimento delle procedure rispetto al primo anno di pandemia: solo 20 tribunali italiani hanno peggiorato le loro tempistiche nel 2021, mentre tutti gli altri hanno recuperato, sebbene non sempre ritornando ai tempi di smaltimento osservati nel 2019. Tale documento riporta anche i dati baseline del 2019 e la conseguente ripartizione dettagliata per grado di giudizio necessaria per raggiungere la riduzione del 40 per cento del disposition time relativo ai processi civili, che dovrebbe portare la durata complessiva dei processi dai 2.512 giorni del 2019 all’obiettivo di 1.507 da raggiungere a metà 2026.

  • Aumentano le assunzioni e anche le difficoltà nel reperire personale

    Nel gennaio 2022 le imprese hanno riportato difficoltà di reperimento per il 39 per cento delle entrate programmate, in crescita rispetto al 31 per cento del gennaio 2019. Con l’aumento del numero di entrate programmate nel corso degli anni, sono aumentate anche le difficoltà da parte delle imprese nel trovare il personale richiesto. Le difficoltà nel reperire personale Nel 2017 le imprese hanno dichiarato di avere difficoltà nell’occupare una posizione ogni cinque entrate programmate circa (21 per cento dei casi); nel 2021 le posizioni interessate da queste difficoltà sono aumentate a una ogni tre, ovvero il 32 per cento (Fig. 4). Secondo il sondaggio, la causa principale delle difficoltà è la mancanza di candidati: nel 2017 sarebbe stato difficile completare il 10 per cento delle assunzioni programmate a causa di una bassa offerta di lavoratori; nel 2021 questo valore ha raggiunto il 16 per cento del totale. Nello specifico, il settore delle costruzioni ha mostrato il più marcato peggioramento nel tempo, soprattutto in seguito alla pandemia: la proporzione di entrate programmate occupate con problematiche varie è aumentato dell’83 per cento, ma la metà del peggioramento è avvenuto a partire dal 2020. Tuttavia, il mismatch rimane più marcato nell’Italia settentrionale: le imprese riportavano che il 39 per cento delle entrate programmate nel Nord-Est e il 34 per cento delle entrate nel Nord-Ovest sarebbero state difficili da occupare nel 2021. A livello territoriale l’aumento delle difficoltà è riportato uniformemente su tutto il territorio, ma spiccano le regioni del Nord-Est e del Nord-Ovest dove sono state dichiarate difficoltà nel coprire il 44 e il 39 per cento delle rispettive entrate programmate (contro il 34 per cento nel resto d’Italia).

  • Le modifiche al Superbonus e le problematiche irrisolte

    Nell’iter parlamentare per l’approvazione della legge di bilancio 2022 sono state apportate numerose modifiche alla normativa che regola il Superbonus, che non hanno però risolto in maniera definitiva questi due problemi già esistenti. Infatti, è stato rimosso il tetto ISEE di 25.000 per poter beneficiare delle detrazioni sui lavori, mentre le contromisure per contenere il lievitare del costo degli interventi unitari sembrano fornire una soluzione solamente parziale. Le novità introdotte con la legge di bilancio Dopo i primi mesi a seguito della sua introduzione in cui si era registrato un utilizzo al di sotto delle aspettative, il superbonus 110% ha ricevuto un sempre crescente numero di richieste nell’arco del 2021. Durante l’approvazione della legge di bilancio, sono infatti stati adottati emendamenti volti a modificare il superbonus lungo tre principi guida: i) prorogare i termini per le domande di detrazioni; ii) alleggerire gli adempimenti burocratici connessi alla presentazione delle richieste; iii) aumentare i controlli sulle spese per i singoli interventi. Infatti, lo schema di detrazioni particolarmente generoso fornisce al beneficiario della misura un incentivo praticamente nullo nel limitare i costi dei lavori ammessi a detrazione; questo fatto, unito al marcato aumento delle materie prime, ha fatto lievitare i costi degli interventi unitari. Un recente articolo del Corriere della Sera ha sollevato un importante punto relativo alla determinazione dei prezzi medi: infatti, grazie al decreto ministeriale approvato dal MISE, i tecnici abilitati possono riferirsi «ai prezzi riportati nelle guide sui ‘Prezzi informativi dell’edilizia’ edite dalla casa editrice DEI – Tipografia del Genio Civile». La legge di bilancio del 2022 ha infatti corretto questo punto, imponendo un ulteriore vincolo sui prezzi applicati ai fini del Superbonus 110%: nello specifico, il Ministero della Transizione Ecologica dovrà adottare entro il 9 febbraio 2022 un decreto nel quale verranno stabiliti i valori massimi dei prezzi di vendita.

  • Un confronto tra definizioni di spesa pensionistica

    Per esempio, nel 2019, l’aggregato Istat “Pensioni e Rendite” dell’area Previdenza relative alle amministrazioni pubbliche (AP) era di 275 miliardi mentre quello Istat “Prestazioni sociali delle AP” sempre dell’area Previdenza contava 318 miliardi. Per spiegare queste differenze occorre ricordare che, all’interno degli aggregati di spesa pensionistica esistenti, esistono tre tipologie di pensioni: Pensioni di vecchiaia, invalidità e superstiti (IVS) : corrisposte a seguito dell’attività lavorativa svolta dalla persona che raggiunge determinati limiti di età anagrafica o di anzianità contributiva (pensioni IVS dirette). Tra di queste, per esempio, troviamo l’indennità di accompagnamento agli invalidi civili, gli assegni sociali, le pensioni di guerra, le prestazioni agli invalidi civili, non vedenti e non udenti. L’aggregato comprende pensioni e assegni sociali, la liquidazione di fine rapporto (TFR) per la funzione Vecchiaia, alcune spese per servizi erogati a protezione della funzione Vecchiaia (sotto altre prestazioni non pensionistiche) e le pensioni integrative corrisposte dai fondi pensione privati. La funzione Invalidità comprende le pensioni IVS di invalidità e inabilità, le rendite infortunistiche con età inferiore all’età pensionabile, le prestazioni per invalidità civile (inclusa la spesa per indennità di accompagnamento) e le pensioni di guerra. Rispetto al precedente, aggiunge la quota dei prepensionamenti classificata nella funzione Disoccupazione, ma esclude l’indennità di accompagnamento agli invalidi civili e altre prestazioni non pensionistiche e anche il TFR. Quindi anche questo aggregato include diverse prestazioni di carattere assistenziale. Questa, oltre alle pensioni IVS, include alcune voci di carattere assistenziale quali le pensioni per invalidi civili e le pensioni/assegni sociali ma esclude il TFR e le pensioni indennitarie.

  • Anatomia delle sanzioni contro la Russia

    Nel seguito, si considerano: 1) le sanzioni finanziarie (contro le banche commerciali, gli enti pubblici, la banca centrale, gli oligarchi); 2) le sanzioni commerciali (nei confronti delle esportazioni verso la Russia); 3) altre sanzioni (come l’esclusione della Russia da eventi sportivi e musicali). Sanzioni contro banche commerciali e altri istituti Sono state bloccate quasi tutte le operazioni finanziarie con la Russia da parte di persone fisiche e giuridiche residenti in Europa e negli Stati Uniti. Nel dettaglio, queste operazioni finanziarie riguardano: l’acquisto, la vendita, la prestazione di servizi d’investimento, l’assistenza all’emissione o qualsiasi altra negoziazione su titoli obbligazionari, di capitale e di altri strumenti finanziari e del mercato monetario. Esclusione dal sistema di pagamenti Il 26 febbraio, Stati Uniti, Regno Unito, Canada e Unione Europea hanno annunciato l’esclusione di alcune banche russe da SWIFT (Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication), il sistema di comunicazione che consente di effettuare pagamenti transfrontalieri tra banche diverse. L’esclusione da SWIFT limita la capacità di banche e imprese russe di ricevere/effettuare pagamenti da/verso l’estero, in particolare per (i) importazione ed esportazione di beni e servizi; (ii) rimborso di debiti; (iii) investimenti esteri. Sanzioni nei confronti degli enti pubblici Gli Stati Uniti hanno vietato a istituzioni e individui di acquistare strumenti di debito pubblico russo sul mercato secondario; gli acquisti sul mercato primario erano già vietati in precedenza. Il RDIF è un fondo con 10 miliardi di dollari in gestione che ha attratto 40 miliardi di capitali stranieri dal 2011 ad oggi per finanziare lo sviluppo di settori ad alto potenziale di crescita (ad esempio l’energetico o il farmaceutico).

  • I passati tentativi di riforma del catasto italiano e la situazione attuale

    La riforma del catasto (inventario dei beni immobili presenti sul territorio nazionale) è stata avviata lo scorso autunno con il disegno di legge delega per la riforma fiscale (Atto Camera 3343), approvato dal governo il 5 ottobre 2021 e ora in discussione in Parlamento. Rispetto al secondo obiettivo, le attuali rendite catastali riflettono ancora oggi la revisione effettuata tre decenni fa in base ai valori di mercato del biennio 1988-1989 (vedi paragrafo seguente) e non sono quindi correlate al valore attuale degli immobili. La prima riguarda il valore medio degli immobili e delle relative rendite: quelli attualmente inclusi nel catasto sono bassi rispetto a quelli di mercato. Si stima che i proprietari di circa un quarto delle case italiane avrebbero una base imponibile ai fini fiscali pari al 26 per cento del valore di mercato. Inoltre, tutte le regioni italiane avrebbero un rapporto tra valore stimato di mercato e valore catastale maggiore di uno. Questo problema potrebbe essere risolto, come talvolta in passato, attraverso una rivalutazione delle rendite catastali per tutti gli immobili. Anche a livello europeo è stata segnalata la necessità di riformare il catasto: nel luglio 2019 il Consiglio Europeo, nell’ambito delle raccomandazioni e pareri sulle politiche economiche, occupazionali e di bilancio degli Stati Membri per il 2019, raccomandava all’Italia di riformare i valori catastali obsoleti. La recente legge delega approvata dal Consiglio dei Ministri il 5 ottobre scorso, per quanto riguarda il catasto, ha come obiettivo principale l’appropriato classamento degli immobili e l’attribuzione per ogni immobile, entro il primo gennaio 2026, di un valore patrimoniale e una rendita attualizzata sulla base dei valori di mercato.

  • Come affrancarci dal gas russo: piani a confronto

    Lo scorso 8 marzo la Commissione Europea ha pubblicato un piano, chiamato RePowerEU, per rendere l’UE indipendente dai combustibili fossili russi (gas, petrolio e carbone) entro il 2030 e per ridurre già entro la fine del 2022 le importazioni di gas russo di ben due terzi (da 155 a 50 miliardi di metri cubi). La riduzione di 105 miliardi di metri cubi (mld di m 3 ) di gas russo entro la fine del 2022 si ricaverebbe per la maggior parte dall’incremento dal lato dell’offerta di gas da parte di altri produttori. L’IEA prevede infatti la possibilità di tagliare entro quest’anno poco più di un terzo delle forniture di gas russo, incrementando le forniture da altri paesi di 32,5 mld di m 3 (contro le 63,5 del REPowerEU) e riducendo la domanda di 33 mld di m3 (rispetto ai 38 del RePowerEU). Guardando alla produzione di gas derivante dalle centrali a biometano, l’IEA prevede di recuperare 2,5 mld di m 3 (e non 3,5) dalla riduzione delle perdite di gas dalle centrali di biometano. La previsione di un incremento della produzione di gas dal biometano di 3,5 mld di m 3 risulta ottimista così come lo spostamento di 20 mld di m 3 dal gas all’energia eolica e solare. Analogamente, appare complicato raggiungere entro il 2022 gli obbiettivi di sostituire le pompe di riscaldamento da gas in calore (1,5 mld di m 3 ), introdurre impianti fotovoltaici (2,5 mld di m3) e abbassare il termostato (14 mld di m 3 ) a meno di prezzi del gas in bolletta molto elevati e inverno mite. Trattasi di un programma di finanziamento comunitario ( https://ec.europa.eu/clima/eu-action/funding-climate-action/innovation-fund/policy-development_en ) di 38 mld di euro tra il 2020 e il 2030, dedicato a sostenere progetti che forniranno soluzioni pionieristiche a basse emissioni di carbonio per le industrie ad alta intensità di energia.

  • L’impatto dei prezzi delle materie prime sul costo delle importazioni italiane: un aggiornamento

    In uno scenario in cui i livelli dei prezzi si stabilizzano a quelli di gennaio 2022 (pre-guerra), il costo sale a 75 miliardi in più rispetto al 2019. Il giorno dopo lo scoppio del conflitto, avevamo stimato questo maggior costo in circa 66 miliardi di euro in più rispetto al 2019, valore che si riduceva di 9 miliardi in uno scenario di aumenti di prezzo più moderati. Così facendo, nel 2022 la stima del valore delle importazioni delle materie prime e alimentari selezionate risulta di circa 144 miliardi nel primo scenario modesto e 182 miliardi nel secondo scenario. In base alle nuove stime, nello scenario di livelli di prezzo “pre-crisi”, il costo delle importazioni delle materie prime selezionate aumenta di 75 miliardi di euro in più rispetto al 2019 e di 63 miliardi rispetto al 2021 (Tav. 2). Ancora più alta è la variazione nello scenario “crisi”, dove la stabilizzazione dei prezzi a livelli maggiori genera un’extra spesa per circa 113 miliardi di euro in più rispetto al 2019 e di 101 miliardi rispetto al 2021. In entrambi gli scenari è proprio il gas naturale a determinare questa maggior tassa pagata dall’Italia: rispetto al 2019, sarebbero circa 50 miliardi in più nello scenario di prezzi “pre-crisi”, che diventano 67 nello scenario più estremo. Infine, il valore delle importazioni al 2019 (Annuario Istat) è stato moltiplicato sia per i tassi di crescita annuali (2020, 2021 e 2022) del rispettivo prezzo, sia per il tasso di crescita annuale del Pil reale (-8,9 per cento per il 2020; 6,5 per cento per il 2021; 3 per cento per il 2022).

  • Le spese militari in Italia

    Dopo essersi ridotta lievemente rispetto agli anni ’80-’90, è tornata a crescere nel biennio 2020-2021 sino all’1,22 per cento del Pil, con parte dell’aumento dovuto alla caduta del Pil e parte dovuto all’aumento della spesa. Relativamente agli impegni assunti con la NATO, la spesa militare su Pil (calcolata secondo i parametri dell’Alleanza) è ancora al di sotto del 2 per cento. Prima della pandemia, il rapporto si è stabilizzato su valori più bassi di quelli dei trent’anni precedenti; L’aumento nel 2020 è dovuto sia all’incremento degli stanziamenti (circa 1,6 miliardi), sia alla caduta del Pil indotta dalla crisi Covid-19. Nel contesto internazionale, nel 2020 l’Italia si collocava al centoduesimo posto (su 147 paesi considerati) per spesa militare su Pil, sotto tutti i G7 tranne il Giappone, e sotto la mediana UE (1,6 per cento) e NATO (1,8 per cento). A che punto siamo? Nel 2012 la composizione della spesa era distante dai target fissati: 70 per cento per il personale, 18 per cento per l’investimento e 12 per cento per l’esercizio (Fig. 2). Al 2021, la quota di spesa per il personale è calata al 62 per cento; in aggiunta, le risorse per l’investimento hanno quasi raggiunto il target (24 per cento), ma la spesa per l’esercizio è ancora lontana (14 per cento). Mentre paesi come Stati Uniti, Regno Unito e Francia hanno già raggiunto l’obiettivo della spesa su Pil al 2 per cento, l’Italia è ancora molto al di sotto.

  • Il prezzo dei vaccini anti Covid-19

    La trattativa dei vaccini da parte della Commissione Europea La Commissione Europea ha avuto il compito di contrattare, assieme alla squadra negoziale congiunta (che include rappresentanti di Francia, Germania, Italia, Polonia, Spagna, Svezia e Olanda), un prezzo dei vaccini uguale per i 27 paesi dell’Unione. Le prime sei si riferiscono alla situazione nel 2020: Un tweet della sottosegretaria al bilancio belga il 17 dicembre 2020 riportava i prezzi dei principali vaccini comprati dall’Unione Europea: una dose di AstraZeneca costava 2,19 dollari; Johnson &; Johnson (J&;J) 8,5 dollari; Pfizer 14,70 dollari; Moderna 18 dollari. Un articolo del Washington Post del 18 dicembre 2020, basandosi sui risultati prodotti dalla società di analisi e investimento “Bernstein Research”, riportava i prezzi negoziati dagli Stati Uniti, sostenendo che erano superiori rispetto a quelli pagati dall’Europa: negli Stati Uniti una dose di AstraZeneca costava 4 dollari, J&;J 10 dollari, Pfizer 19,5 dollari. Questo documento indicava che, in quello stadio della negoziazione, il prezzo per AstraZeneca era di 2,9 euro (come nel documento al punto d), per J&;J 10 dollari (più alto di quanto indicato nel tweet della ministra belga, che probabilmente non considerava eventuali costi di trasporto). Lo stesso valeva per Moderna (22,5 dollari invece di 18 dollari) e per il vaccino Pfizer il cui prezzo, più alto di quello indicato dalla sottosegretaria belga, era esattamente quello riportato da Reuters, ovvero 15.5 euro (18,9 dollari). Un articolo del Wall Street Journal del 23 luglio 2021 riportava che gli Stati Uniti avrebbero comprato vaccini Pfizer a 24 dollari per dose comprensivi di costi di consegna, cifra quindi maggiore rispetto al precedente prezzo fissato a 19,5 dollari (quest’ultimo dato risulta in linea con quanto precedentemente riportato dal Washington Post). Concludendo, sarebbe auspicabile la presenza di comunicazioni ufficiali sul prezzo dei vaccini anche perché nelle informazioni reperibili da ANAC non vi è certezza che l’importo delle gare dei bandi e il numero di dosi consentano di calcolare l’effettivo prezzo unitario pagato.

  • Gli interventi governativi contro il rincaro energetico in Europa

    Le principali misure riguardano i trasferimenti a gruppi vulnerabili (implementati da più di tre paesi su quattro) e la riduzione delle tasse sull’energia, scelta da più di un governo su due. Poco meno della metà (1,8 miliardi) vengono utilizzati per azzerare gli oneri di sistema nelle bollette dell’elettricità per famiglie e microimprese e 480 milioni per eliminare gli oneri di sistema nel settore del gas. Sempre per il primo trimestre, è inoltre previsto un contributo straordinario sotto forma di credito di imposta per le aziende “energivore” che hanno subito un incremento del costo per chilowattora superiore ad una certa soglia (costo di 540 milioni). Infine, il 18 febbraio 2022 si è previsto di stanziare 5,8 miliardi di sussidi per il secondo trimestre, di cui: 3 miliardi per l’azzeramento degli oneri di sistema nel settore elettrico, 592 milioni per la riduzione dell’IVA al 5 percento sul gas e 480 milioni per la riduzione degli oneri di sistema nel settore del gas. Sempre per il secondo trimestre sono inoltre previsti 522 milioni, sotto forma di credito di imposta, a favore delle imprese a forte consumo di gas naturale e 20 milioni a favore delle società sportive colpite dal rincaro energetico per tutto il 2022. Visto che EDF è all’84 per cento di proprietà pubblica, il costo assorbito dal settore pubblico è di circa 7 miliardi (l’84 per cento di 8,4 miliardi). Nel dettaglio: il 3 febbraio 2022 sono stati stanziati 9,1 miliardi a favore di 28 milioni di nuclei familiari; [13] il 21 febbraio sono stati impiegati 67 milioni di sterline per ridurre il costo della bolletta a 4300 famiglie a basso reddito.

  • Nuove decisioni della BCE: quali implicazioni per l’Italia?

    La BCE ha anche confermato che gli acquisti netti del programma pandemico (PEPP) termineranno a marzo. Sulla base di questi annunci, stimiamo che nel 2022 la BCE acquisterà 43 miliardi di titoli del debito italiano (pari al 41 per cento del deficit previsto), se gli acquisti dell’APP termineranno nel terzo trimestre. Tale importo è inferiore ai 63 miliardi che stimavamo a dicembre 2021, quando la BCE prevedeva che gli acquisti dell’APP sarebbero proseguiti almeno per tutto il 2022. In precedenza, erano previsti acquisti netti almeno per l’intero 2022 (40 miliardi nel secondo trimestre; 30 miliardi nel terzo; 20 miliardi nel quarto). Di conseguenza, gli acquisti della BCE coprirebbero il 35 per cento del fabbisogno lordo di finanziamento nel 2022 (ossia del totale dei titoli emessi per finanziare il deficit e rifinanziare i titoli in scadenza), mentre hanno coperto oltre la metà nel 2021. I tassi di riferimento sono il tasso: (i) sulle operazioni di rifinanziamento principali, (ii) sulle operazioni di rifinanziamento marginale e (iii) sui depositi presso la BCE, a oggi rispettivamente allo 0,00 per cento, allo 0,25 per cento e al -0,50 per cento. Inoltre, si assume: (i) acquisti netti del PEPP pari a 40 miliardi a marzo 2022, (ii) acquisti dell’APP azzerati nel terzo trimestre 2022 Un articolo di Salvatore Liaci Download SCARICA IL PDF.

  • L’immigrazione regolare in Italia

    Nel 2020 in Europa, l’Italia è stata, dopo Cipro, il paese che ha rilasciato il minor numero di permessi per motivi di lavoro. La gestione dei flussi di immigrazione veniva organizzata attraverso due principali strumenti: il documento programmatico triennale relativo alla politica dell’immigrazione e degli stranieri, che dovrebbe anche stabilire le quote riservate ai paesi con cui l’Italia ha accordi di cooperazione in materia di immigrazione. (Fig.1) L’evoluzione delle quote del decreto flussi Di fronte alla mancata approvazione dei piani triennali, che ha costretto il governo ad approvare il decreto flussi tramite la procedura transitoria – quindi senza la possibilità di aumentare il numero di permessi – si sono trovate soluzioni di tipo temporaneo. In primo luogo, nel 2005 si è consentito - nel caso di impossibilità di adottare un decreto flussi ordinario - di superare le quote dell’anno precedente per il settore dell’immigrazione stagionale; inoltre, si è gradualmente estesa la categoria di permessi di soggiorno che potevano essere convertiti in permessi per lavoro subordinato. In buona sostanza, data l’impossibilità di estendere il numero di migranti per motivi di lavoro tramite il decreto flussi, si è cercato di aumentare il numero di lavoratori extra-comunitari consentendo di convertire le altre tipologie di permessi di soggiorno che sono via via cresciute nel corso dell’ultimo decennio. Dopo Cipro (che comunque mantiene un valore particolarmente elevato di lavoratori extracomunitari), l’Italia ha registrato il calo più marcato di permessi di soggiorno lavorativi pro capite: nel 2020 l’Italia è stato il penultimo paese dell’Unione Europea per numero di permessi pro capite rilasciati. Molti paesi dell’Est-Europa hanno registrato un marcato aumento nel numero di permessi di soggiorno di tipo lavorativo nel decennio 2011-2020: il caso piu’ eclatante è quello polacco, in cui nel 2020 sono stati emessi 502mila permessi lavorativi contro i 76mila del 2011.

  • Le spese militari nel mondo dagli anni Sessanta

    Gli Stati Uniti rimangono la prima economia avanzata in classifica (3,74 per cento del Pil), ben al di sopra della mediana NATO (1,82 per cento del Pil). Tra la fine degli anni sessanta e la metà degli anni settanta, la spesa militare è scesa verso il 4 per cento. Dalla metà degli anni settanta alla fine degli anni ottanta la spesa è rimasta intorno al 4 per cento, seppure con un repentino aumento nella prima metà degli anni ottanta, con l’accelerazione decisa dal Presidente Reagan alle spese statunitensi. Dalla seconda metà degli anni novanta la spesa resta relativamente stabile intorno a valori di circa il 2,5 per cento del Pil. Il leggero aumento osservato nel 2020 è dovuto alla caduta del Pil mondiale connessa alla crisi Covid-19. Per quanto riguarda i paesi europei, la prima economia avanzata è la Grecia, col 2,8 per cento del Pil, valore ben più alto della mediana dell’Unione Europea (1,6 per cento) e sullo stesso livello della Turchia, con cui si è spesso storicamente confrontata. Tra gli altri grandi paesi europei la Francia sta sopra il 2 per cento del Pil, mentre la Germania sta ben al di sotto (1,4 per cento), anche se ha recentemente deciso di portarsi al 2 per cento. Nonostante l’aumento registrato nel 2020 (Fig. 3) , per metà dovuto alla caduta del Pil e per metà all’aumento degli stanziamenti, l’Italia sta su livelli molto inferiori (1,17 per cento), classificandosi al centoduesimo posto, sotto tutti i G7 tranne il Giappone, e sotto la mediana UE (1,6 per cento) e NATO (1,8 per cento).

  • Le frodi sui bonus edilizi

    prevede la detrazione al 110 per cento delle spese sostenute per interventi in ambito di efficienza energetica, messa in sicurezza statica, installazione di impianti fotovoltaici e infrastrutture per la ricarica di veicoli elettrici; [2] l’Eco-bonus, disciplinato dall’Art. La detrazione, di norma dal 50 all’85 per cento, può arrivare al 110 per cento con l’introduzione del Superbonus; [3] il Sisma-bonus, introdotto con l’Art. Le cessioni dei bonus edilizi e gli sconti in fattura hanno però generato una frode causata dalla diffusione di crediti di imposta inesistenti, definita dallo stesso ministro dell’economia Franco: “tra le più grandi che questa Repubblica abbia visto”. I bonus edilizi più utilizzati per la realizzazione delle truffe sono il bonus facciate (51 per cento dei casi) e l’Eco-bonus (37 per cento dei casi); il bonus meno utilizzato è stato invece il Superbonus 110% (il 3 per cento del totale) (Tav.1). La realizzazione delle truffe è stata facilitata dalla possibilità iniziale, prevista con il Decreto Rilancio 2020, “di cedere i crediti dei vari bonus edilizi un numero pressoché illimitato di volte”, come sottolineato dal Ministro Franco. In proposito, il decreto estende gli adempimenti e procedure già previste per il Superbonus 110% agli altri bonus casa; un tecnico abilitato deve attestare la congruità delle spese sostenute; si inaspriscono i controlli preventivi sulla comunicazione di cessione e sconto in fattura riferite a tutte le tipologie di bonus casa. In base al Decreto Sostegni Ter del 27 gennaio 2022: [11] il credito di imposta può essere ceduto una sola volta (tranne che per i crediti già oggetto di plurime cessioni al 7 febbraio, che possono essere oggetto ancora di un’ulteriore cessione); i contratti conclusi nonostante tale divieto sono nulli.

  • Le retribuzioni pubbliche alla luce del nuovo contratto collettivo

    Sulla base delle previsioni di inflazione formulate dalla Banca d’Italia, il potere d’acquisto delle retribuzioni pubbliche aumenterebbe nel 2022, ma, nelle more dell’approvazione del prossimo contratto, potrebbe contrarsi nei due anni successivi. Dal 2016 le retribuzioni hanno ripreso a crescere e nel 2018 è stato registrato un primo aumento rilevante, pari al 3 per cento, dovuto all’approvazione del CCNL relativo al periodo 2016-2018. Questo aumento è la somma di diversi fattori; la maggior parte (3,8 per cento) è dovuto agli stanziamenti diretti nelle passate Leggi di Bilancio (LdB) per il rinnovo dei contratti collettivi. L’anticipazione si aggiunge agli stipendi ed è pari al 30 per cento dell’inflazione prevista dall’ISTAT, misurata dall’Indice dei Prezzi al Consumo Armonizzato (IPCA), al netto dei prezzi dei beni energetici importati. Nel 2020 le retribuzioni reali si erano portate sul valore medio degli ultimi vent’anni, ma questi aumenti sono stati completamente erosi nel 2021, per via dei ritardi nel rinnovo del CCNL e della ripresa dell’inflazione. Un confronto con gli andamenti delle retribuzioni nel settore privato Le retribuzioni nel settore pubblico sono generalmente più elevate rispetto a quelle nel settore privato (Fig.3). Nel 2022 ci dovrebbe essere un rialzo che lo riavvicinerebbe alla media; questa valutazione sconta l’ipotesi che, essendosi già chiusa la maggior parte dei contratti nel settore privato, non vi sia un generalizzato aumento delle retribuzioni in questo settore.

  • Fiscal Drag: cos’è e quanto impatta sui conti pubblici?

    Infatti, in un sistema di tassazione progressivo come quello italiano, la pressione fiscale tende a crescere in presenza di inflazione perché, al crescere dei prezzi e dei redditi, alcuni contribuenti raggiungono, per parte del loro reddito, scaglioni a cui corrispondono aliquote di tassazione più elevate. Questa nota stima però che, anche a livelli di inflazione del 6-7 per cento, l’extra gettito è limitato (106-142 milioni di euro per l’imposta sul reddito dei lavoratori dipendenti), anche se tende a crescere nel tempo se l’inflazione resta elevata. Un lavoratore con un reddito imponibile annuo di 14.950 euro nel 2021, rientrante nella fascia IRPEF per i redditi fino a 15.000, nel 2022 guadagnerà 15.847 euro (=14.950 x (1+0,06)), passando quindi allo scaglione successivo per redditi compresi tra 15.001 e 28.000. Quindi, nel 2022, il contribuente passerà dall’aliquota IRPEF al 23% prevista per i redditi compresi nel primo scaglione (fino a 15.000 euro) e all’aliquota IRPEF del 25% per la parte di reddito prevista per il secondo scaglione IRPEF (per redditi compresi tra i 15.001 e i 28.000 euro). La soglia di reddito minima di reddito per passare allo scaglione IRPEF successivo (Tav.1) per i 1.603.276 lavoratori rientranti nella fascia di reddito tra i 12.000 e i 15.000 euro sarà di 14.152 euro [2] . Assumendo che i contribuenti con un reddito tra i 14.152 e i 15.000 euro siano distribuiti uniformemente all’interno dello scaglione, il numero di coloro che passeranno allo scaglione IRPEF successivo sarà di 453.193. Ripetendo lo stesso esercizio per le altre due fasce di reddito vicine allo scaglione IRPEF successivo (26.000-28.000; 40.000-50.000 euro) e per i quattro scenari di inflazione (5.5, 6, 6.5, 7.5 per cento), otteniamo una stima del Fiscal Drag che comporterebbe un extra-gettito per lo Stato italiano tra 89 e 142 milioni di euro (Fig. 1).

  • Occupazione, il peso dei fattori demografici negli ultimi due anni

    I dati provvisori sul mercato del lavoro relativi al mese di dicembre 2021 confermano la rapida ripresa dell’economia dopo la crisi pandemica: tra dicembre 2020 e dicembre 2021, sono stati creati 532.000 nuovi posti di lavoro tra la popolazione in età lavorativa. Il tasso di occupazione (occupati tra 15-64 anni/popolazione tra 15-64 anni) è tornato al livello pre-Covid di dicembre 2019 (Fig. 1). Inoltre, il tasso di occupazione pre-crisi è stato superato dalle donne (50,5 per cento contro 50,1 per cento) e dai giovani tra 15-34 anni (42,5 per cento contro 41,7 per cento). Rispetto a questa media, i decessi sono aumentati solo di 4.100 unità nel 2020 (a 73.500); un valore analogo è prevedibile per il 2021 (67.000 decessi fino a novembre, il che fa presumere che siano circa 73mila nell’intero anno). Negli ultimi vent’anni, l’impatto del calo demografico sull’offerta di lavoro era stato compensato, oltre che dai flussi migratori, da un aumento della partecipazione al mercato del lavoro, in particolare delle donne (a partire da livelli tra i più bassi nei paesi Ocse). A seguito della crisi pandemica però il tasso di partecipazione (rapporto tra occupati + disoccupati in età lavorativa e la popolazione in età lavorativa) non ha ancora recuperato il livello di dicembre 2019: a dicembre 2021, esso si collocava al 64,9 per cento a fronte del 65,5 per cento del dicembre 2019 (Fig. 3). In Italia è presto per dire se il calo che si è osservato abbia caratteristiche strutturali; probabilmente non sarà così perché il tasso di occupazione italiano, pur avendo recuperato i livelli pre-Covid, rimane più basso di quello di quasi tutti i paesi avanzati.

  • Gli investimenti nel capitale umano del PNRR

    Di questi, 14 miliardi sono investiti in progetti finalizzati a formare nuove competenze, 6 miliardi sono destinati all’assunzione di nuovo personale, 19 miliardi vanno in progetti di ricerca-sviluppo e ampliamento dell’offerta di beni pubblici e 5 miliardi vanno in pubblica istruzione e formazione. Sono risorse che vanno alla crescita e per crescere di più un paese ha bisogno di una maggiore dotazione di capitale, fisico ed umano. Dove possibile, i fondi del PNRR per lo sviluppo di patrimonio umano sono stati catalogati a partire dalle voci relative ai singoli sub-investimenti: questo ha consentito di dividere le singole componenti di un investimento con maggior precisione. Circa un quinto dei fondi del PNRR (45,1 miliardi di euro sui 222 miliardi totali) sono destinati al patrimonio umano, con la restante quota di spesa assegnata alla costruzione di nuove infrastrutture o l’ammodernamento del capitale fisico esistente. La principale componente di spesa riguarda le spese in ricerca sviluppo e l’ampliamento di offerta per i beni pubblici: a questa finalità sono destinati 19,4 miliardi di euro. I fondi per lo sviluppo di nuove competenze ammontano invece a 14,4 miliardi di euro, mentre per l’assunzione di nuovo personale e la spesa per pubblica istruzione e formazione vengono assegnate cifre relativamente piu’ esigue (rispettivamente 6 e 5,2 miliardi di euro). Inoltre, la riforma degli ammortizzatori sociali e l’investimento relativo allo sviluppo del sistema di formazione professionale terziaria risultano essere - all’interno della top 10 - le uniche due voci di spesa finalizzate alla formazione di nuove competenze.

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