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Audizione sulle proposte di cambiamento della governance economica nell’Unione Europea

26 maggio 2022

Intermedio

Audizione sulle proposte di cambiamento della governance economica nell’Unione Europea

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Riportiamo di seguito l'Audizione del 4 aprile 2022 di Carlo Cottarelli presentata alla Commissione Bilancio della Camera sulle proposte di cambiamento della governance economica nell’Unione Europea.

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Ringrazio la Commissione Bilancio della Camera per l’opportunità di commentare le proposte di cambiamento della governance economica nell’Unione Europea.

Il documento della Commissione Europea dello scorso ottobre che è in discussione oggi è stato in parte superato dagli eventi. La consultazione avviata dalla Commissione sul futuro della governance europea è stata conclusa e i risultati sono stati pubblicati. Inoltre, lo scoppio della guerra in Ucraina e le sue conseguenze economiche potrebbero causare un posticipo nella riattivazione delle regole europee dello Stability and Growth Pact, nella loro nuova versione.

Il documento però resta valido per numerosi aspetti, compreso e soprattutto nei sei punti elencati a p. 10 in cui si sottolinea che gli sviluppi durante il periodo della pandemia Covid hanno confermato che:

  • Resta necessario ridurre il rapporto tra debito pubblico e Pil nei paesi dell’Unione Europea.
  • Le nuove regole europee sui conti pubblici dovranno incentivare una buona composizione della spesa pubblica con un adeguato peso agli investimenti.
  • Tali regole dovrebbero non solo consentire di lasciar operare gli stabilizzatori automatici in entrambe le direzioni, ma, almeno per shock sufficientemente forti, consentire la conduzione di politiche discrezionali anti cicliche.
  • Il coordinamento delle politiche fiscali al fine di raggiungere nell’area dell’Unione una politica fiscale adeguata è importante.
  • Indicatori non osservabili come output gap e deficit strutturale non dovrebbero svolgere un ruolo fondamentale nella governance europea.
  • Persistono crescenti squilibri macroeconomici.

La questione è come raggiungere questi obiettivi. Come altri anche l’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani ha partecipato alla consultazione lanciata dalla Commissione Europea sulla governance economica.[1]

Il punto principale sollevato nel contributo dell’Osservatorio – il fulcro della proposta – è la definizione per ogni paese membro di un piano pluriennale di rientro del debito pubblico diverso a seconda del paese per tener conto:

  • del livello di partenza del debito.
  • delle condizioni di crescita previste nel periodo.
  • della composizione della spesa pubblica, dando un adeguato peso alle spese di qualità, ma senza una rigida definizione che, per esempio, ritenga a priori spese di qualità solo quelle per investimenti fisici, vista l’importanza che hanno anche altre forme di spesa pubblica, come la pubblica istruzione, compreso in termini di impatto sulla crescita di lungo periodo.

È chiaro che questo approccio mutua dall’esperienza dei Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza che sono stati preparati dai paesi europei per avere accesso alle risorse del piano Next Generation European Union. Questi piani, seppur nell’ambito di linee guide generali, si adattano alle caratteristiche e preferenze dei paesi aumentandone il grado di ownership e quindi la probabilità di realizzazione. Questo approccio è anche in linea con quanto auspicato da una percentuale elevata dei partecipanti alla sopracitata consultazione, ossia l’opportunità che la nuova governance economica europea sia basata su obiettivi personalizzati a seconda del paese e delle caratteristiche della spesa pubblica.

Questi piani pluriennali, di durata quadriennale o quinquennale, verrebbero rinnovati a scadenza fino al raggiungimento di un certo obiettivo di debito di lungo termine (al di sotto del quale i paesi sarebbero liberi di regolare la politica di bilancio senza vincoli). Tale obiettivo potrebbe essere uguale per tutti o differire a seconda delle condizioni di crescita di lungo periodo del paese (paesi con una crescita tendenzialmente più alta potrebbero avere un obiettivo di debito più alto, perché una maggiore crescita attesa aumenta la sostenibilità di un dato rapporto tra debito pubblico e Pil), anche se questo aspetto non è fondamentale per la proposta.

Il piano dovrebbe conformarsi ex ante a una sola regola fiscale: il rapporto tra debito pubblico e Pil dovrebbe diminuire annualmente di almeno un certo importo minimo espresso in punti percentuali di Pil (per esempio, due o tre punti percentuali di Pil all’anno).

Questo piano di aggiustamento fiscale a medio termine dovrebbe essere basato su ipotesi ragionevoli di crescita, tassi di interesse e altre variabili rilevanti (ad esempio i proventi delle privatizzazioni), secondo il giudizio espresso dalla Commissione, ed, eventualmente, dall’European Fiscal Council (oltre che dai fiscal council nazionali).

Per risolvere il potenziale conflitto tra l’esigenza di ridurre il rapporto tra debito e Pil e l’esigenza di sostenere l’economia in presenza di congiunture sfavorevoli (mantenendo però la necessità di un aggiustamento in presenza di variazioni strutturali nel livello o nel tasso di crescita del Pil di lungo periodo), si potrebbe prevedere la seguente procedura:

a. Finché il tasso di disoccupazione rimane significativamente più alto della media di lungo termine (diciamo gli ultimi dieci anni), nessuna diminuzione del rapporto debito pubblico/Pil dovrebbe essere prevista nel piano di aggiustamento.

b. Il piano sarebbe approvato dal Consiglio europeo su raccomandazione della Commissione e l’effetto netto (di entrata e di spesa) delle politiche fiscali discrezionali non dovrebbe essere rivisto durante la sua esecuzione. Tuttavia, la possibile revisione del piano dopo quattro o cinque anni (un eventuale termine di revisione più breve potrebbe essere previsto in caso di shock particolarmente rilevanti) permetterebbe di incorporare qualsiasi informazione rilevante relativa a cambiamenti permanenti nel tasso di crescita previsto.

c. Se i livelli del Pil dovessero essere diversi da quelli inizialmente ipotizzati per il periodo coperto dal piano, al fine di consentire agli stabilizzatori automatici di operare pienamente in entrambe le direzioni, gli obiettivi annuali di deficit pubblico (“indebitamento netto”) inclusi nel piano verrebbero rivisti (simmetricamente per le revisioni del Pil al rialzo e al ribasso). Le revisioni, per l'anno in corso e per gli anni successivi, sarebbero pari alla differenza tra il livello del Pil programmato e la nuova proiezione del Pil moltiplicata per l'elasticità del deficit rispetto al Pil.

Questo approccio permetterebbe agli stabilizzatori automatici di operare pienamente. Inoltre, si potrebbe anche prevedere un limitato spazio per interventi fiscali discrezionali in presenza di significative deviazioni del Pil reale dal tracciato originario. Resterebbe invariata l’attuale clausola di sospensione delle regole in caso di recessioni di portata elevata.  

Come parte della revisione delle regole europee di governance economica si sta discutendo anche della possibilità di avere un trattamento ad hoc del debito pubblico creato nel 2020-21 per effetto delle crisi Covid, debito acquisito principalmente dalla BCE e dalle banche centrali nazionali. Finché questo debito resta nel bilancio della BCE equivale puramente a una posta contabile (visto che gli interessi relativi sono quasi interamente restituiti agli stati attraverso la distribuzione dei dividendi delle banche centrali). Potrebbero sorgere problemi però se le esigenze di politica monetaria dovessero richiedere l’assorbimento della liquidità creata a fronte degli acquisti di titoli di stato. In questo caso l’implementazione di quelle che diverrebbero, de facto, politiche di quantitative tightening porterebbero non solo a un aumento dei tassi di interesse sui titoli di stato, ma anche a un aumento degli spread per i paesi con un debito pubblico considerato più a rischio. Per evitare questo, come proposto da alcuni, si potrebbe richiedere a una istituzione europea (per esempio il MES) di emettere titoli e utilizzare il ricavato per acquisire dalla BCE/banche centrali nazionali il debito creato nel 2020-21. L’emissione di titoli da parte del MES ridurrebbe sì la liquidità in circolazione (e questo avrebbe comunque un effetto restrittivo), ma non aumenterebbe la presenza nel mercato di titoli dei paesi a rischio, con un minore impatto sugli spread.  Una soluzione alternativa, che non richiederebbe l’intervento di un’altra istituzione europea, sarebbe quello di imporre una riserva obbligatoria una tantum per congelare l’eccesso di liquidità presso la BCE. In questo caso, quest’ultima potrebbe continuare a rinnovare per sempre i titoli pubblici in scadenza. Come si è detto, in questo caso tali titoli diventerebbero una mera posta contabile e potrebbero quindi essere esclusi dal computo del rispetto delle nuove regole europee sui conti pubblici.

Un articolo di

Carlo Cottarelli

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