Europa

Le proposte di riforma del Patto di Stabilità e Crescita

05 aprile 2022

Intermedio

Le proposte di riforma del Patto di Stabilità e Crescita

Condividi su:

La Commissione Europea sta lavorando alla revisione delle regole della governance economica dell’UE. Per farlo ha condotto un sondaggio per ricevere contributi sul tema. Dalle risposte emerge la necessità di avere delle regole fiscali che (i) assicurino la stabilità delle finanze pubbliche con regole personalizzabili in base alle caratteristiche di ogni paese, (ii) incentivino gli investimenti per la transizione digitale ed ecologica, (iii) siano chiare e trasparenti, (iv) garantiscano la prevenzione di squilibri macroeconomici e (v) permettano all’UE di intervenire in risposta a shock economici comuni. Molte di queste finalità sono coperte anche dal contributo al sondaggio dato dall’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani (vedi allegato a fine nota).

* * *

Nel febbraio 2020 la Commissione Europea ha avviato un processo di revisione della governance economica dell’UE, anche sollecitando i contributi di individui e organizzazioni esterne attraverso un sondaggio. Il tema centrale di questo processo è la modifica del Patto di Stabilità e Crescita (PSC). Sospeso durante il periodo pandemico, il patto potrebbe tornare in vigore dal 2023, anche se la crisi Ucraina potrebbe comportare un rinvio al 2024. Nel frattempo, la Commissione Europea ha riavviato l’ottobre scorso il sondaggio, sospeso a causa del Covid, sollecitando risposte entro il 31 dicembre 2021. I risultati sono stati pubblicati recentemente.[1] Anche l’Osservatorio Conti Pubblici Italiani ha partecipato (vedi allegato a fine nota). Dopo aver riassunto le regole in vigore, questa nota illustra gli spunti più rilevanti emersi dal sondaggio.

Il PSC prima della sospensione

Con la stipula del Trattato di Maastricht nel 1992 i paesi dell’Unione Europea avviarono il processo di creazione dell’unione monetaria. Per garantirne la stabilità ed evitare situazioni di azzardo morale da parte degli stati membri, il Trattato introduceva:[2]

  • La regola sul deficit che impone che l’indebitamento netto di un paese non ecceda la soglia del 3 per cento del Pil. Sono possibili scostamenti solamente in situazioni eccezionali, come la recente pandemia, attraverso una “escape clause”;
  • La regola del debito che prevede che il rapporto debito/Pil di un paese sia inferiore al 60 per cento o su una traiettoria che scenda a una velocità adeguata.

Le regole fiscali vennero rafforzate nel 1997 con l’approvazione del Patto di Stabilità e Crescita, poi modificato nel 2005, e successivamente potenziate con l’approvazione del “Six Pack”, del “Semestre europeo” e del Fiscal Compact tra il 2011 e il 2013. Le principali regole aggiuntive furono:

  • Entrata in vigore del cosiddetto braccio preventivo, con lo scopo di porre vincoli alla gestione dei conti pubblici anche prima dello sforamento delle due sopracitate regole. Nella pratica sono definiti specifici Obiettivi di Medio Termine (OMT) sul deficit strutturale, ovvero il deficit corretto per il ciclo economico e per eventi una tantum.[3] La Commissione Europea stabilisce questi obiettivi per ogni stato, richiedendo un livello di deficit strutturale massimo e solitamente prossimo allo zero (pareggio di bilancio strutturale). L’idea è che, una volta raggiunti gli OMT i paesi possano lasciar operare gli stabilizzatori automatici in presenza di shock esterni anche senza sfondare il tetto del 3 per cento.
  • Il chiarimento di cosa si intendesse per “velocità adeguata” di discesa del debito per i paesi che eccedevano un rapporto debito/Pil del 60 per cento. Il Fiscal Compact chiarì che, se un paese ha un debito/Pil superiore al 60 per cento, allora deve ridurre il rapporto di un ventesimo in media all’anno per la parte eccedente il 60 per cento.

Queste regole sono state sospese temporaneamente per fronteggiare la pandemia, ma torneranno in vigore nel 2023, o (a seguito della crisi Ucraina) nel 2024. Nel frattempo, il processo di revisione condotto dalla Commissione dovrebbe portare alla loro modifica.

Le proposte di revisione

Il sondaggio chiedeva ai cittadini di rispondere a varie domande per suggerire modifiche del PSC. Le risposte sono state divise in categorie e per ogni categoria sono riportati i suggerimenti osservati più di frequente.[4]  

  • Sostenibilità delle finanze pubbliche. Più del 60 per cento degli intervistati è favorevole ad avere delle regole che assicurino la stabilità delle finanze pubbliche. La maggior parte ritiene però che debbano essere modificate: circa metà dei partecipanti ritiene che le regole del deficit e del debito debbano stabilire degli obiettivi specifici per ogni paese e non comuni a tutti (come peraltro proposto anche dal nostro Osservatorio, almeno in termini di velocità di convergenza verso l’obiettivo). Inoltre, la regola del debito, unica per tutti i membri, ha come obiettivo un valore (60 per cento) stabilito 30 anni fa, ora ritenuto da molti anacronistico.[5] Il suggerimento, dunque, è di scegliere obiettivi più flessibili che siano coerenti con un livello di crescita sostenuta e si adattino alla situazione di ogni singolo paese. Nel concreto, viene proposto in un terzo delle risposte che le regole fiscali siano ancorate a degli obiettivi sul debito pubblico, specifici per ogni stato, da raggiungere nel medio termine.
  • Incentivare gli investimenti pubblici. Tre quarti degli intervistati ritengono che maggiori investimenti pubblici siano fondamentali per l’UE. Per questo viene suggerito di non considerare alcune categorie di investimento nell’applicare le regole fiscali. Tra questi rientrerebbero gli investimenti per la transizione digitale ed ecologica. Tuttavia, un terzo dei proponenti chiede di procedere con cautela nello scorporo, perché i governi avrebbero l’incentivo a riclassificare spese correnti sotto la voce investimenti per guadagnare maggiore spazio fiscale. Inoltre, metà dei partecipanti al sondaggio suggerisce di rendere permanentemente la Recovery and Resilience Facility.
  • La governance economica. Circa il 60 per cento delle risposte al sondaggio avanza la necessità di rendere più semplici e trasparenti le regole. Per questo viene chiesto che le regole siano basate su obiettivi operativi chiari e direttamente osservabili. In particolare, alcuni ritengono che l’incertezza legata alle stime dell’output gap, usato per calcolare il deficit strutturale, renda poco trasparente e complesso il raggiungimento degli OMT. Un terzo degli intervistati sostiene inoltre che le attuali regole guardino eccessivamente al passato (backward-looking) e che siano oltremodo incentrate su aggiustamenti annuali: infatti il rispetto delle attuali regole fiscali richiede che vi sia un miglioramento ogni anno, osservabile sui dati passati. Alternativamente, questi commentatori propongono che vi sia meno enfasi sugli obiettivi dei singoli anni, ma che gli obiettivi vengano valutati in un orizzonte più ampio. Ad esempio, un quinto dei partecipanti propone un meccanismo che intervenga solo per correggere evidenti errori politici, nel caso in cui mettano a rischio la stabilità macroeconomica e la sostenibilità fiscale del paese nel medio-lungo periodo (forward-looking).
  • Prevenzione degli squilibri macroeconomici. Il 40 per cento dei partecipanti al sondaggio sostiene che sia necessario coordinare maggiormente le regole del PSC con quelle della Procedura per gli Squilibri Macroeconomici, in modo che i sentieri di aggiustamento fiscale siano compatibili con le sfide macroeconomiche di ogni paese. Dall’altro lato, circa un quarto degli intervistati sostiene il rafforzamento dell’enforcement anche per le procedure per squilibri eccessivi.
  • Stabilizzazione macroeconomica e unione bancaria. Infine, tra le proposte emergono interventi a più ampio spettro. Circa metà degli intervistati sostiene la necessità di creare una struttura fiscale centrale che permetta di rafforzare la risposta delle economie UE agli shock (come accaduto durante la pandemia con la Recovery and Resilience Facility e il NextGenEU). Infine, un quinto dei partecipanti chiede che venga ultimata l’unione bancaria e dei mercati dei capitali per migliorare la resilienza dei mercati finanziari nell’Unione.

La proposta di Carlo Cottarelli e Giampaolo Galli

Questa nota discute come le regole fiscali comunitarie contenute nel Patto di Stabilita e Crescita dovrebbero essere modificate da un punto di vista economico, ma non tenta di discutere se la modifica di tali normative richiederebbe un cambiamento dei trattati europei, data la specificità giuridica di questa questione.  Comunque, va notato che negli ultimi due decenni profondi cambiamenti nelle regole fiscali Europee sono stati adottati senza la necessita di modificare il Trattato: crediamo che ciò potrebbe verificarsi anche in questo caso. Inoltre, il nostro focus è sulla riscrittura delle regole fiscali, mentre non discutiamo le questioni relative alle sanzioni connesse al mancato rispetto di tali regole.

***

Principi generali

  1. Le regole Europee in materia fiscale dovrebbero diventare credibili e più vincolanti di quanto visto finora. Per queste finalità, esse devono essere meno invasive e concentrarsi sull’obiettivo per il quale sono state introdotte al tempo dell’istituzione dell’unione monetaria. Ciò è anche coerente con il principio generale di sussidiarietà dell’Unione Europea.
  2. La modifica del Patto di Stabilità e Crescita deve quindi essere in linea con la principale ragione per cui le regole fiscali sono introdotte nelle unioni monetarie, ossia per evitare che le errate condotte fiscali di un singolo paese – come eccessivi disavanzi primari o ammontare di debito pubblico - obblighino gli altri membri dell’Unione (o la Banca Centrale Europea) ad intervenire per sostenerlo. Quindi, usare la revisione del Patto di Stabilità e Crescita per introdurre in maniera surrettizia una politica fiscale “ottimale” per tutti i paesi dell’Unione non sarebbe appropriato: diversi paesi potrebbero infatti avere preferenze contrastanti sul livello espansivo delle politiche fiscali in risposta al ciclo economico.
  3. Nella circostanza in cui fosse necessario (e noi crediamo che lo sia) usare maggiormente la politica monetaria nell’Unione Europea al fine di controllare il ciclo economico, questo obiettivo dovrebbe essere raggiunto tramite la creazione di maggior capacità fiscale a livello centrale attraverso un bilancio europeo che possa andare in deficit e centralizzando alcuni elementi di tassazione e spesa che potrebbero giocare un ruolo anticiclico.
  4. Le regole fiscali devono essere chiare e semplici: queste potranno quindi essere analiticamente inferiori rispetto agli standard fiscali che prendono in considerazioni tutte le informazioni rilevanti (come quelli proposti da Blanchard, Leandro e Zettelmeyer).[6] Tuttavia, approcci più sofisticati porterebbero a lunghissimi contenziosi sulla corretta modalità per incorporare tutte le informazioni necessarie, ad esempio come giudicare se il debito è sostenibile oppure la velocità con la quale ripristinare la sostenibilità. Inoltre, sebbene le scelte discrezionali siano in linea di principio preferibili alle regole, esse possono essere tuttavia abusate specialmente nei contesti in cui interessi di breve periodo possono prevalere sul generale interesse di una nazione.
  5. La richiesta di escludere la spesa per investimenti pubblici dalle regole fiscali presenta almeno tre criticità. In primo luogo, non tutto l’investimento pubblico è positivo, così come non tutta la spesa corrente è negativa (ad esempio: istruzione, ricerca, sanità sono voci di spesa corrente). Secondo, l’esclusione degli investimenti pubblici dalle regole potrebbe generare incentivi per modificare la spesa corrente in spesa per investimenti. Ad esempio, il governo potrebbe sostenere un determinato settore attraverso trasferimenti monetari (spesa corrente), oppure costruendo infrastrutture (investimento pubblico). Terzo, non esiste evidenza empirica che indichi che le crisi fiscali sono influenzate dal livello di debito pubblico al netto dei prestiti contratti per finanziare investimenti pubblici. Analisi empiriche suggeriscono invece che ad incidere sul rischio fiscale è il livello del debito a prescindere dalla sua origine. Infatti, non siamo a conoscenza di studi che associno i rischi di crisi fiscale alla parte di debito relativa alle spese correnti. Infine, gli analisti di mercato e le agenzie di rating sembrano concentrarsi esclusivamente sul debito aggregato.
  6. Le politiche pro-cicliche (come il contrasto agli stabilizzatori automatici) dovrebbero essere evitate. Andrebbe comunque presa piena consapevolezza, nella scrittura delle regole, che la distinzione tra trend e ciclo è allo stesso tempo assolutamente necessaria ed estremamente difficile.  La distinzione è necessaria perché per contrastare un rallentamento della crescita di tipo transitorio – ossia quando dura non più di due/tre anni – richiede una politica fiscale espansiva per supportare la domanda aggregata, mentre un rallentamento di tipo strutturale deve invece essere contrastato con una politica opposta, ossia una graduale restrizione delle politiche fiscali per assicurare la sostenibilità del debito a fronte di un minor livello di PIL (presente e futuro). Identificare ex ante una simile distinzione è tuttavia particolarmente complesso: ci sarà sempre un margine per l’interpretazione soggettiva e quindi la presenza di potenziali conflitti tra gli Stati membri e la Commissione. Sebbene quest’incognita non abbia una soluzione immediata, nel prossimo paragrafo proporremo una procedura per contrastare questo problema.[7]
  7. Le regole fiscali devono basarsi su variabili osservabili per evitare la complessità delle stime della crescita del PIL potenziale, richiesta dall’attuale versione del Patto di Stabilita e Crescita. A tal proposito, la proposta di sostituire l’attuale regola – che richiede una diminuzione nel deficit strutturale ad un certo ritmo – con l’imposizione di un tetto massimo di spesa risolve solo parzialmente il problema relativo alla stima dell’output potenziale.
  8. In ogni caso, terminologie come “regola di spesa” dovrebbero essere evitate perché suggeriscono che l’UE voglia stabilire un limite alla dimensione di spesa dei governi, mentre questo non è né nel suo mandato, né nelle intenzioni di chi propone tali modifiche. La regola proposta dall’ “European Fiscal Board” potrebbe venir denominata “regola del deficit” in quanto propone obiettivi di spesa al netto di cambiamenti discrezionali sulla tassazione, ossia la parte discrezionale del deficit.
  9. Nessuna regola fiscale potrà risultare appropriata nella presenza di shock negativi di portata straordinaria sia a livello comunitario sia per singoli paesi. Per questo motivo, le regole fiscali dovrebbero essere sospese in presenza di tali shock: la presenza clausole di salvaguardia che sospendano l’applicazione delle regole fiscali per la durata delle circostanze eccezionali è quindi auspicabile.

Implicazioni: un approccio ibrido

Considerazioni generali: il tratto distintivo della proposta è rappresentato da un approccio ibrido che combina i due principali strumenti che le economie avanzate del pianeta hanno adottato negli ultimi decenni per salvaguardare la sostenibilità fiscale. Nello specifico, proponiamo di combinare l’approccio della regola fiscale (seguito dall’Unione Europea) con quello dei piani di bilancio a medio-termine (adottati ad esempio da Australia e Nuova Zelanda). Questa combinazione è implementata tramite l’imposizione di clausole di medio periodo nei paesi dove il debito pubblico supera una certa soglia con la finalità di ottenere una riduzione del debito.

  1. I vincoli di tipo fiscale imposti ai deficit dei bilanci annuali dovrebbero essere imposti solo ai paesi che necessitano una correzione fiscale nel medio periodo, individuati tramite un rapporto debito/PIL che supera (o supererà entro un certo orizzonte) una determinata soglia. Paesi con un rapporto inferiore a tale livello possono avere la facoltà di gestire le proprie politiche macroeconomiche in maniera autonoma.
  2. A questo proposito, si possono seguire due opzioni:
  • Opzione A: una soglia unica per tutti i paesi. La soglia del 60 per cento inclusa nel protocollo allegato al trattato di Maastricht sembra essere superata dato che: (i) il più basso differenziale tra tasso di interesse e tasso di crescita che ha prevalso negli ultimi venti anni rispetto a quello prevalente durante gli anni '80 e '90; e (ii) l'emergere di nuove esigenze fiscali, come quelle relative al cambiamento climatico, che giustificherebbero l'assunzione di rischi fiscali un po' più alti di quelli previsti nei primi anni '90.  Una soglia nell'intervallo 80-100 per cento sembra ora essere appropriata. La soglia dovrebbe essere fissata dal Consiglio europeo, a seguito di una raccomandazione della Commissione, e rivista ogni cinque-dieci anni alla luce delle tendenze di lungo termine del livello dei tassi di interesse globali, della crescita del PIL e di altri fattori rilevanti (come le prospettive demografiche).
  • Opzione B: soglia diversa da paese a paese, anch'essa fissata dal Consiglio europeo su raccomandazione della Commissione, alla luce, per esempio, della loro diversa capacità dimostrata di mantenere un determinato tasso di crescita. Altri fattori possono essere presi in considerazione (come le tendenze di spesa a lungo termine). Se fossero preferite soglie individuali, queste dovrebbero essere riviste solo con una maggioranza qualificata per ridurre il rischio di collusione tra i paesi ad alto debito. Questa opzione è preferibile in teoria, ma potrebbe essere difficile da attuare senza grandi tensioni tra gli Stati membri e con la Commissione.
  1. Dati gli sviluppi della crisi Covid, si dovrebbe considerare di escludere dal computo del debito pubblico, rilevante per valutare il rispetto della soglia, l'ammontare del debito pubblico acquistato dalla BCE tramite il PEPP. Questo può essere giustificato dalla natura eccezionale della recente crisi. Tuttavia, questa esclusione dovrebbe essere eseguita solo insieme a un aumento della riserva obbligatoria, in modo da congelare la base monetaria creata attraverso questi acquisti. Infatti, un tale congelamento permetterebbe alla BCE di continuare a rinnovare in perpetuo le obbligazioni PEPP, poiché la liquidità corrispondente non potrebbe essere utilizzata, in futuro, per alimentare un aumento dei prestiti e dei depositi bancari. Inoltre, dato che gli interessi su queste obbligazioni vengono restituiti ai governi come distribuzione degli utili, diventerebbero solo una voce contabile, e quindi irrilevante dal punto di vista della sostenibilità del debito pubblico. Questo giustificherebbe la loro esclusione dalla valutazione del rispetto della soglia del debito.
  2. Ogni paese il cui debito supera la soglia del debito pubblico, dovrebbe presentare al Consiglio europeo un piano quadriennale di aggiustamento fiscale.
  3. Questo piano dovrebbe seguire, ex ante, una sola regola fiscale: il rapporto debito pubblico/PIL dovrebbe diminuire annualmente di almeno un certo importo minimo. Questo livello dovrebbe essere correlato al livello iniziale del rapporto debito/PIL attraverso una formula appropriata, ma crediamo che non dovrebbe superare i 2-3 punti percentuali del PIL. Si potrebbe seguire una regola diversa (concentrandosi sul deficit o sul saldo primario) senza alterare la caratteristica fondamentale della nostra proposta, che è il focus su un piano di aggiustamento a medio termine. Tuttavia, esprimere la regola - che il piano deve rispettare - direttamente in termini di riduzione del debito ha dei vantaggi in termini di comunicazione dell'obiettivo ultimo del PSC per i paesi con un debito elevato.
  4. Questo piano di aggiustamento fiscale a medio termine dovrebbe essere basato su ipotesi ragionevoli di crescita, tassi di interesse e altre ipotesi pertinenti (ad esempio sui proventi delle privatizzazioni), valutate dalla Commissione, ed eventualmente dall’ “European Fiscal Council” (oltre che dai consigli fiscali nazionali).
  5. Per risolvere il potenziale conflitto tra le politiche necessarie a fronte di un cambiamento ciclico o strutturale del tasso di crescita, si potrebbe prevedere la seguente procedura:
    1. Finché il tasso di disoccupazione rimane significativamente (diciamo più di 1 punto percentuale) più alto della media di lungo termine (diciamo gli ultimi dieci anni), potrebbe non considerarsi alcuna diminuzione del rapporto debito pubblico/PIL.
    2. Il piano sarebbe approvato dal Consiglio europeo su raccomandazione della Commissione e non dovrebbe essere rivisto durante la sua esecuzione. Tuttavia, la sua revisione dopo quattro anni (un eventuale termine di revisione più breve, diciamo tre anni, potrebbe essere previsto) permetterebbe di incorporare qualsiasi informazione pertinente riguardante i cambiamenti permanenti nel tasso di crescita.
    3. Tuttavia, se i livelli del PIL dovessero essere diversi da quelli inizialmente ipotizzati, al fine di consentire agli stabilizzatori automatici di operare pienamente, gli obiettivi annuali di deficit inclusi nel piano verrebbero rivisti (simmetricamente per le revisioni al rialzo e al ribasso). Le revisioni, per l'anno in corso e per gli anni successivi, sarebbero pari alla differenza tra il livello del PIL programmato e la proiezione del PIL rivisto moltiplicata per l'elasticità del deficit rispetto al PIL.

Questo approccio permetterebbe agli stabilizzatori automatici di operare pienamente, mentre le espansioni fiscali discrezionali in presenza di deviazioni negative del PIL dal piano non sarebbero permesse. Detto questo, se lo si desidera, si potrebbe prevedere qualche limitata azione anticiclica discrezionale.

8. In ogni caso, le regole fiscali dovrebbero essere sospese, per l'intera area o per singoli paesi, in caso di circostanze eccezionali, a seguito di una decisione del Consiglio europeo, sotto raccomandazione della Commissione europea.


[1] I risultati sono pubblicati qui: https://ec.europa.eu/info/business-economy-euro/economic-and-fiscal-policy-coordination/economic-governance-review_en. L’Italia è il paese che ha partecipato maggiormente (64 delle 225 risposte valide arrivano dall’Italia).

[3] A parità di deficit, la valutazione della politica fiscale di un paese dipende dal fatto che l’economia sia in espansione o in recessione. Per questo il deficit strutturale misura il deficit correggendolo per la distanza tra il livello effettivo e il livello potenziale del Pil (output gap).

[4] Nel riportare le risposte più comuni la Commissione non ha condotto nessuna attività interpretativa. I risultati considerano solo le posizioni espresse dai partecipanti al sondaggio.

[5] La motivazione per cui fu scelto questo valore è, probabilmente, che il rapporto debito/Pil al 60 per cento può essere tenuto stabile nel tempo con una crescita reale del 3 per cento, un’inflazione al 2 per cento e un livello di deficit al 3 per cento.  

[6]   Vedi: “Redesigning EU fiscal rules: From rules to standards” by Olivier Blanchard (PIIE), Álvaro Leandro (CaixaBank Research) and Jeromin Zettelmeyer (PIIE; International Monetary Fund), Working Paper 21-1, February 2021.

[7] La regola di spesa prevede che la spesa pubblica, corretta per le decisioni discrezionali in termini di tassazione, possa crescere ad una velocità pari al tasso di crescita di lungo periodo dell’economia, in modo da assicurare un rapporto cosante di spesa al netto delle fluttuazioni cicliche dell’economia. In tale approccio la stima del tasso di crescita potenziale è perciò evitato; tuttavia, non vi sono ragioni per utilizzare il tasso di crescita del PIL passato se le previsioni future del GDP preannunciano un tasso di crescita differente: in questo caso si tratta solo di un’assunzione di comodo. In risposta si potrebbe continuare a seguire la regola dell’adeguamento strutturale, senza alcun bisogno di stimare la crescita del PIL potenziale, ed usare il tasso di crescita del PIL di lungo periodo come stima del tasso di crescita del PIL potenziale. Infatti, si può dimostrare che le due regole - regola di spesa e regola dell’adeguamento strutturale - sono equivalenti se si assume che i tassi di crescita del PIL potenziale e di lungo termine sono uguali. Vedi (in particolar modo pag. 15) Carlo Cottarelli, “How could the Stability and Growth Pact be simplified?”, documento richiesto dall’ “Economic Governance Support Unit and Policy Department A, Directorate-General for Internal Policies”, aprile 2018.

Un articolo di

Edoardo Bella

Condividi su:

Newsletter

Vuoi essere aggiornato
sui temi più importanti
di economia e conti pubblici?