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  • Smart working: dove eravamo, dove siamo e come sta reagendo la rete italiana

    come “modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’ attività lavorativa. La prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all'interno di locali aziendali e in parte all'esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell'orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva”. In un altro recente studio, Barbieri et al. (2020) classificano i 21 macro-settori economici italiani in base ad un indice di propensione al lavoro da remoto, con il settore dell’ICT, quello delle attività professionali e le attività finanziarie che mostrano gli indici di propensione allo smart working più elevati. Uno studio commissionato da ManagerItalia ad AstraRicerche mostra infatti come nel 29 per cento delle piccole imprese, nel 39 per cento delle medie e nel 45-47 per cento delle grandi imprese sia stato consentito a molte persone di operare per la prima volta in modalità smart working. L’introduzione del lavoro agile è stata più diffusa nel Nord del paese (42 per cento per il Nord Ovest, 33 per cento per il Nord Est), rispetto al Centro/Sud (28 per cento), accentuando ulteriormente la disparità territoriale nella diffusione di tale pratica. Il dato nazionale ci dice che, per il momento, il 73,8 per cento di tale categoria ricorre attualmente allo smart working, un livello incoraggiante che però nasconde un’ampia eterogeneità, anche se con linee di demarcazione diverse rispetto alla classica frattura tra Nord e Sud del Paese. La propensione al lavoro da remoto di un’occupazione è elevata se l’indice di possibilità di lavoro della stessa ricade all’interno del terzile più alto della distribuzione degli indici, pesati per la quota di lavoratori che ricoprono una determinata occupazione.

  • Effetti del lockdown sulla mobilità delle persone nei diversi paesi

    In particolare, la mobilità verso i luoghi di lavoro scende di oltre il 60 per cento in Italia e Spagna, del 38 per cento negli Stati Uniti e solo del 29 per cento in Germania e del 24 nei Paesi Bassi. In particolare, Google ha reso disponibili dei report che illustrano come si sia evoluta la frequentazione di negozi, ristoranti, bar, musei, luoghi per l’acquisto di beni essenziali, parchi, mezzi di trasporto, luoghi di lavoro e di residenza rispetto a sabato 29 febbraio 2020, data di inizio della rilevazione. I dati utilizzati sono gli stessi dati aggregati e anonimi usati per costruire gli istogrammi che mostrano gli orari con il numero di visite di Google Maps. La frequentazione dei luoghi viene quantificata in base ai dati raccolti sulla cronologia delle posizioni degli utenti che hanno eseguito l’accesso all’account Google, hanno salvato la cronologia delle posizioni e hanno attivato la funzione “Segnalazione della posizione”. I Paesi Bassi rientrano nella categoria dei paesi meno colpiti in base alle due tipologie di dati e questo risultato è coerente con quanto effettivamente stabilito dal governo, che si è limitato alla chiusura delle attività commerciali non essenziali che richiedono il contatto fisico. Ad ogni modo la Tavola mostra che il calo della mobilità a seguito del lockdown è stato brusco nel caso di Francia, Italia e Spagna, medio nel caso degli Stati Uniti, Paesi Bassi e Germania e più blando nel caso di Belgio e Regno Unito. Questo lo si evince sia dai dati Apple che dividono la mobilità per spostamenti in auto, tramite trasporti pubblici e a piedi, sia dai dati Google che offrono uno spaccato del calo delle visite per tipologia di luogo di destinazione.

  • Il patrimonio immobiliare della pubblica amministrazione: un aggiornamento

    Il numero di immobili e il valore patrimoniale sono in crescita rispetto agli anni passati, probabilmente per la maggior partecipazione al censimento da parte delle pubbliche amministrazioni (passata dal 69 per cento del 2015 all’83 per cento del 2018). Negli ultimi anni, numerosi interventi normativi sono stati finalizzati alla riduzione del patrimonio immobiliare, l’ultimo dei quali è il piano di dismissione triennale varato dal MEF nel 2019 per la vendita di oltre 1.600 immobili per 1,2 miliardi di euro. Tuttavia, il piano di dismissione segue il mancato raggiungimento degli obiettivi di ridimensionamento del patrimonio immobiliare stabiliti nel 2014, che prevedevano una riduzione degli spazi occupati del 30 per cento e delle spese di locazione passiva del 50 per cento. Questo miglioramento ha riguardato tutti i tipi di amministrazioni, da quelle centrali (passate da una copertura del 67 per cento nel 2015 a una dell’88 per cento nel 2018) a quelle locali (dal 70 per cento all’82 per cento). Rispetto al 2014, il censimento del 2018 riporta un aumento della superfice utilizzata di quasi il 14 per cento (da 241 milioni di mq a 274 milioni di mq, vedi righe A e C di Tav. 1), ma con una crescita del numero di enti adempienti di circa il 27 per cento (da 7.131 a 9.074). Tuttavia è molto probabile che le amministrazioni entranti fossero di piccola dimensione, il che suggerisce come, a parità di campione, il calo effettivo sia stato inferiore all’11 per cento e comunque ben lontano dall’obiettivo del 30 per cento fissato nel 2014. Il piano di dismissione per il 2019-21 Nel 2019 il MEF ha pubblicato il “Piano triennale di dismissione degli immobili pubblici” per il periodo 2019-2021, che, secondo la legge di bilancio 2019, dovrebbe generare entrate per 1,2 miliardi di euro.

  • Confronto tra paesi sul numero di parlamentari

    L’aumento, però, è meno che proporzionale per l’esistenza di “economie di scala”, sicché paesi più grandi tendono ad avere un rapporto più basso tra numero di parlamentari e popolazione. Se si tiene conto di questo ulteriore fattore, l’attuale numero di parlamentari in Italia appare in linea con quello degli altri paesi. Il coefficiente stimato è negativo e altamente significativo (tavola 1, colonna 1), il che conferma la presenza di “economie di scala”: al crescere della popolazione il numero dei parlamentari cresce meno che proporzionalmente. Tenendo conto di questo fattore, il numero appropriato di parlamentari in Italia sale a 829, il che comporta una discrepanza rispetto al numero effettivo di solo 116 unità. Con il taglio proposto di 345 parlamentari il parlamento italiano, con 600 membri, avrebbe un numero di parlamentari di 229 unità al di sotto di quello che sarebbe appropriato sulla base di questo confronto internazionale che tiene conto della sua natura bicamerale (Fig. 5). Sono stati stimati anche modelli in cui il rapporto tra popolazione e numero di parlamentari è funzione del livello della popolazione e del logaritmo del livello, ma il modello riportato nel testo è quello che meglio descrive i dati sulla base del valore dei residui statistici. Il numero appropriato di parlamentari è basato sul confronto con gli altri paesi europei, la stima è stata effettuata sulla base della regressione riportata nella tavola 1, colonna 2.

  • La spesa per pensioni in Italia: un confronto internazionale

    I dati più recenti confermano che la spesa per pensioni in Italia è tra le più alte nei paesi OCSE. Essendo i dati relativi al 2018, i prepensionamenti ottenuti con Quota 100 e l’estensione di misure come l’APE sociale e Opzione donna non sono inclusi in queste statistiche: la spesa per pensioni nel 2019 ha sicuramente registrato cifre più alte. Secondo, il tasso di sostituzione (rapporto tra pensione e ultimo stipendio) è relativamente alto: secondo le più recenti stime OCSE, il tasso di sostituzione lordo è pari al 79,5 per cento, mentre le medie per i paesi OCSE e UE si fermano rispettivamente a 49 e 52 percento. La classificazione usata da Eurostat per la spesa per pensioni include - per tutti i paesi - le pensioni di vecchiaia e reversibilità, le pensioni di invalidità, i pensionamenti anticipati a seguito della riduzione della capacità lavorativa e per motivi legati al mercato del lavoro. Sebbene questa somma comprenda una quota di spesa assistenziale, come le pensioni sociali, questo valore approssima la definizione di spesa previdenziale: l’Italia risulta essere al secondo posto anche considerando solo queste voci di spesa. L’impatto della pressione fiscale sul livello di spesa per pensioni in Italia Una seconda giustificazione per il livello di spesa previdenziale in Italia si riferisce al livello di tassazione sulle pensioni. Ai fini dei confronti internazionali, non è corretto sottrarre al totale della spesa pensionistica le voci assistenziali: infatti parte dei fondi destinati per le spese assistenziali vengono utilizzati per l’erogazione di pensioni ordinarie.

  • La direttiva sulla plastica monouso e le risposte dei paesi UE

    Da questo primo testo è stata poi elaborata nel 2018 la Strategia sulla plastica nell’economia circolare (la cd. Plastics strategy) che prevede che entro il 2030 tutti gli imballaggi in plastica immessi nel mercato unico dovranno essere riutilizzabili o riciclabili. A questo fine, la Commissione ha introdotto vari provvedimenti, il più importante dei quali è la Direttiva 2019/904, sulla riduzione dell’incidenza di determinati prodotti di plastica sull’ambiente. La direttiva impone: Misure per portare alla riduzione del consumo di determinati prodotti di plastica (art.4) restrizioni all’immissione sul mercato di alcuni prodotti (art.5) requisiti di progettazione e marcatura (art. Gli altri articoli fissano una percentuale minima di materiale riciclato nella fabbricazione di nuovi prodotti e dei target di riciclo per i manufatti in plastica monouso (pari al 77% per il 2025 e al 90% per il 2029). Per rispondere alle obiezioni italiane è stato ritirato il divieto di immissione nel mercato di prodotti monouso composti di carta e con una presenza di plastica inferiore al 10%. Il consumo di plastica in Italia è stato di 2346 tonnellate, con un tasso di riciclo del 47,9% (previsioni per il 2021 di CONAI) [5] . La principale differenza tra la tassa europea e italiana sta nella tempistica in cui sorge l’obbligazione tributaria, in quanto la plastic tax italiana si applica sulla produzione dei manufatti in plastica con singolo impiego (MACSI), mentre l’imposta europea grava sugli stati membri in proporzione all’effettivo tasso di riciclo.

  • Differenze di genere negli studi e all’entrata nel mondo del lavoro

    Le performance nella scuola secondaria Anche se stereotipi di genere possono emergere anche prima, per mancanza di informazioni sulla scuola elementare, iniziamo la nostra analisi dalla scuola secondaria di primo grado (scuola media). Quanto ai voti, all’esame di maturità il 35,4 per cento delle ragazze riceve un voto tra 90 e 100, mentre gli studenti maschi raggiungono questo traguardo solo nel 22,9 per cento dei casi. Inoltre, la proporzione di studentesse che terminano gli studi senza bocciature è maggiore rispetto agli studenti (92,4 per cento contro 87,7 per cento). Infatti, ogni anno, il numero di laureate è superiore rispetto a quello dei laureati (170.695 contro 129.077 nel 2020), i quali hanno maggiore probabilità di terminare gli studi fuori corso (45 per cento dei casi contro il 40 per cento delle ragazze). Differenze retributive nel mondo del lavoro Il salario medio per una laureata magistrale a 5 anni dalla laurea è di 1403 euro netti mensili, mentre un laureato maschio guadagna in media 1696 euro, generando una differenza di 293 euro, pari al 21 per cento del salario femminile [7] . Queste differenze nei settori di partecipazione al mondo del lavoro spiegano circa 123 euro della sopracitata differenza retributiva di 293 euro a favore dei maschi, ossia il 42 per cento, mentre la restante parte è dovuta a differenze retributive a parità di settore. Appendice: la partecipazione femminile nelle STEM Le differenze di genere nella partecipazione agli studi universitari sono più marcate nelle discipline STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics): tra le iscritte all’università solamente il 18 per cento frequenta un corso di laurea in queste aree, contro il 61 per cento degli uomini.

  • Chi controllerà la regolarità dell’esecuzione del PNRR?

    Una delle principali preoccupazioni delle istituzioni italiane ed europee, nonché dell’opinione pubblica italiana, per quanto riguarda il PNRR è che le ingenti risorse ad esso destinate dal programma Next Generation European Union (NGEU) finiscano nelle mani sbagliate. In proposito, il regolamento della Recovery and Resilience Facility (il principale strumento del NGEU) richiede che i governi pongano in essere un sistema di monitoraggio adeguato a prevenire frodi e altre irregolarità (art. A questo proposito il capitolo del PNRR che riguarda l’attuazione del Piano contiene alcuni riferimenti al monitoraggio dell’esecuzione (Parte 3, pp. 239-245), riferimenti poi approfonditi nel primo allegato delle schede tecniche del PNRR (non pubblicate ufficialmente). Gli enti con funzioni di monitoraggio che saranno automaticamente chiamati a sorvegliare l’esecuzione dei progetti del PNRR sono: gli enti pubblici (centrali o locali) responsabili dell’attuazione dei singoli progetti; la Corte dei Conti; l’Autorità Nazionale Anti Corruzione (ANAC) e la Guardia di Finanza. Di conseguenza, controllerà che questi enti agiscano nel rispetto delle norme e che mettano in campo gli strumenti necessari per identificare e prevenire frodi, conflitti d’interesse e corruzione. Nonostante questo, le innovazioni introdotte, sia in termini di obblighi a carico delle PA che eseguono i progetti, sia in termini di nuovi enti, hanno la potenzialità per garantire un’attuazione più trasparente e con meno frodi rispetto agli investimenti ordinari. In proposito le schede tecniche indicano che l’unità potrà affinare annualmente i criteri di campionamento e che questo dovrà comunque avvenire “in via continuativa“ sui progetti in corso.

  • Le misure di sostegno al calcio: un confronto tra l’Italia e gli altri paesi

    Inoltre, le generiche misure rivolte alle imprese sono risultate poco rilevanti per i club, perché i ristori sono stati di importo limitato e i club hanno fatto un limitato ricorso alle garanzie statali sui prestiti. La Francia è il paese che ha adottato le misure più specifiche per il calcio professionistico, ma a fronte di un impatto del Covid più accentuato, dovuto alla fine anticipata della stagione 19-20. Tuttavia, i decreti stabilivano un tetto per singolo contributo di 150.000 euro, cioè lo 0,2 per cento della mediana del valore della produzione della Serie A. Tali contributi possono essere stati quindi d’aiuto per le piccole società di calcio, ma poco rilevanti per i club delle serie maggiori. Il motivo non è chiaro, ma è ipotizzabile che alcune società rientrino nella fattispecie di imprese in situazione di difficoltà antecedente alla pandemia, che sono escluse dei beneficiari delle garanzie. In Inghilterra, ad esempio, il governo ha varato due misure: un piano di sovvenzioni e prestiti da 28 milioni di sterline per tutte le divisioni della National League (calcio semi-professionistico) e uno da 10 milioni di sterline solo per le ultime divisioni. Le maggiori garanzie ottenute dai club spagnoli rispetto a quelli italiani potrebbero dipendere dal fatto che la misura non esclude le società in difficoltà finanziaria prima del Covid (il Barcellona, ad esempio, pur avendo una situazione finanziaria precaria, ha ottenuto 92 milioni di garanzie sui prestiti). Nell’autunno del 2020, il governo ha poi stanziato 48 milioni di ristori per i club professionistici per compensare parte dei mancati ricavi dalla vendita dei biglietti (con un tetto di 5 milioni per singolo club).

  • Riforma del processo penale: come la valuterà l’Europa

    Questa è una delle condizioni del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) che doveva essere soddisfatta entro il 2021 per ricevere la prima tranche di finanziamenti dall’Europa (dopo il primo anticipo che non richiedeva condizioni). La qualità effettiva della riforma verrà invece valutata soltanto nel 2026, quando la Commissione verificherà se è stato raggiunto l’obiettivo di riduzione del 25 per cento della durata dei processi penali. La verifica è posta così in là nel tempo a causa dei tempi di attuazione della riforma, che diventerà infatti pienamente operativa soltanto a inizio 2024. Le condizioni dell’Allegato e il loro recepimento nella riforma La legge delega per la riforma del processo penale è entrata definitivamente in vigore dopo il voto favorevole del Senato questa settimana, che ha seguito quello della Camera pronunciato in agosto. La riforma verrà ora analizzata dalla Commissione Europea e dal Consiglio Europeo, che verificheranno il rispetto di sette condizioni contenute nell’Allegato alla decisione presa dal Consiglio sulla richiesta di finanziamento dalla Recovery and Resilience Facility presentata dall’Italia (da qui in avanti l’Allegato). Su questo fronte, la riforma prevede un ampliamento della possibilità che già esiste per l’imputato, per alcune contravvenzioni, di estinguere un reato già durante le indagini preliminari attraverso l’adempimento di specifiche prescrizioni e il pagamento di una somma di denaro (articolo 1, comma 23). Nella sostanza, la riforma introduce senza dubbio diversi passi che, se realizzati in modo puntuale, potranno portare a una riduzione della durata dei processi penali e ad altri importanti miglioramenti rispetto all’attuale situazione, che vanno al di là di quanto richiesto dall’Allegato.

  • Cosa ci dicono i dati MEF sulle dichiarazioni dei redditi

    Il fatto che la maggior parte dei redditi sia rappresentata da queste due voci è dovuto essenzialmente al fatto che i redditi da capitale e buona parte delle rendite immobiliari siano soggette a tassazione separata. Il reddito medio da lavoro dipendente è di circa 21.100 euro, mentre quello da pensione di circa 18.300 euro; entrambi sono rimasti pressoché invariati rispetto all’anno precedente. Il reddito medio Irpef da lavoro autonomo è invece aumentato del 25 per cento e si è attestato su un valore medio dichiarato di 58.000 euro. La pressione fiscale Irpef, ossia il rapporto fra il gettito e il reddito complessivo, è pari al 19,8 per cento nel Nord Ovest, al 18,2 per cento nel Nord Est e nel Centro e al 16,4 per cento nel Sud e nelle Isole. Considerato il livello di dettaglio dei dati, non siamo in grado di determinare quanta parte della diminuzione dei redditi osservata sia attribuibile ad un potenziale aumento dell’evasione fiscale e quanta parte invece possa dipendere da una variazione effettiva della distribuzione dei redditi sottostante. Sembra comunque improbabile che la distribuzione dei redditi sottostante sia cambiata a sfavore dei redditi alti al punto da ridurne la quota da 6,1 per cento del 2009 al 5,6 per cento nel 2019. Nella fascia 0-7.500 euro continuano invece a versare l’Irpef i contribuenti con redditi per cui non è prevista una no tax area (es. redditi da capitale), la cui quota sul reddito complessivo va però man mano diminuendo, in favore dei lavoratori dipendenti e dei pensionati.

  • Un aggiornamento sulle prospettive per i conti pubblici nel 2020

    In questa nota aggiorniamo quella previsione utilizzando le stime contenute nel Documento di Economia e Finanza (DEF) 2020, approvato nei giorni scorsi dal Consiglio dei Ministri. Le nuove stime non si discostano particolarmente dal precedente scenario in cui avevamo ipotizzato una caduta del Pil reale del 10 per cento (Tavola 1). Il deficit per il 2020 dovrebbe quindi attestarsi attorno ai 173 miliardi. Il fabbisogno lordo di risorse, pari alla somma di deficit (173) e titoli di Stato in scadenza durante l’anno (316), al netto della riduzione delle giacenze di tesoreria (-13), risulta pari a circa 479 miliardi. Il DEF 2020 prevede che il rapporto tra debito pubblico e Pil aumenti dal 134,8 per cento di fine 2019 al 155,7 per cento di fine 2020 (Figura 1). Un articolo di Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani Download Scarica il PDF.

  • L’attuazione del PNRR nel 2022: cosa è previsto?

    Nel 2022 le condizioni da rispettare saranno 100, di cui 83 sono traguardi qualitativi e 17 sono obiettivi quantitativi. Potenziali ritardi potrebbero derivare dal coinvolgimento delle Camere, visto che una rilevante porzione di condizioni riguarda atti che richiedono un passaggio parlamentare. Nella conferenza stampa di fine anno, il Presidente del Consiglio dei ministri Mario Draghi ha anticipato che tutte le 51 condizioni previste dal PNRR per la seconda metà di quest’anno sono state raggiunte. Nello specifico, il PNRR stabiliva l’entrata in vigore del decreto sulla semplificazione del sistema degli appalti pubblici (approvato con il dl. Semplificazioni) e l’entrata in vigore dei relativi provvedimenti attuativi entro il 31 dicembre. Nel 2022 il PNRR prevede il rispetto di 100 condizioni di cui 83 sono traguardi (“milestones”) qualitativi e 17 sono obiettivi (“targets”) definiti in modo più oggettivo. Inoltre, il sito governativo “Italia Domani”, che contiene informazioni sull’attuazione del PNRR, indica esplicitamente che per 23 condizioni relative al 2022 l’iter parlamentare rappresenta uno dei rischi per la puntuale adozione delle misure. Tra le questioni su cui il parlamento potrebbe impiegare più tempo a trovare un accordo – sia per le forti connotazioni politiche dei temi da trattare, sia per l’estensione dei contenuti da riformare – ci sono la legge sulla concorrenza e la riforma del sistema di istruzione primaria e secondaria.

  • Quota 100: i risultati ottenuti e le alternative per il 2022

    La principale preoccupazione della coalizione di governo è trovare una formula che consenta maggiore flessibilità in uscita e riduca lo scalone di circa sette anni che si verrebbe a creare in assenza di interventi normativi. “Quota 100” - introdotta con il dl 4/2019 - consiste nel diritto al conseguimento della pensione anticipata, previo raggiungimento del requisito anagrafico di 62 anni di età e di un’anzianità contributiva minima di 38 anni (raggiungibile anche in regime di cumulo all’interno dell’INPS). Tuttavia, le domande di pensionamento accolte nel biennio 2019-2020, e la conseguente spesa, sono state inferiori al previsto: l’accesso a Quota 100 è stato riconosciuto a poco più di 193 mila lavoratori nel 2019 (- 33,4 per cento rispetto a quelli attesi) per poi raggiungere le 266 mila unità nel 2020 (-18,7 per cento rispetto alle aspettative). In termini di nuove adesioni, nel 2020 si sono però avuti più pensionamenti di quelli previsti (73 mila, invece di 37 mila), forse perché alcuni lavoratori che potevano andare in pensione nel 2019 hanno usufruito del beneficio solo nel 2020. Anticipo della quota contributiva della pensione : questa riforma, riportata nell’ultimo rapporto INPS, permette di andare in pensione al raggiungimento dei 63 anni d’età e almeno 20 anni di anzianità contributiva, ricevendo però una pensione più bassa calcolata solo sulla base dei contributi versati. L’anticipo della quota contributiva della pensione all’intera platea di contribuenti con almeno 63 anni di età e 30 di contributi innalzerebbe in maniera molto più ridotta la spesa per pensioni al 2030 (0,09% del PIL nel 2030 e 16 miliardi per il periodo 2022-2030). Fondo per la revisione del sistema pensionistico attraverso l’introduzione di ulteriori forme di pensionamento anticipato e misure per incentivare l’assunzione di lavoratori giovani [2] Per il triennio 2019-2021, le previsioni indicano una riduzione della spesa di circa 9 miliardi (-55,9 per cento delle stime della relazione tecnica).

  • L’aumento dell’inflazione in Europa e Stati Uniti e i rischi per l’Italia

    Ma le due aree stanno seguendo percorsi diversi: l’inflazione europea ha riportato il livello dei prezzi in linea con il trend pre-Covid e sta decelerando; quella americana ha portato i prezzi ben al di sopra del trend pre-crisi e non è ancora rallentata, superando le previsioni della Fed. Un’accelerazione transitoria dell’inflazione è normale nelle fasi di ripresa, soprattutto alla luce dell’impennata dei prezzi di energia e materie prime degli ultimi mesi. Se si considerano i 3 anni precedenti per costruire il trend pre-crisi dell’inflazione, l’aumento dei prezzi americani del 2021 è molto più marcato di quello avvenuto dopo la crisi del 2007-2008, che aveva portato il livello dei prezzi solo marginalmente al di sopra del trend pre-crisi. Per ora questo rischio non si è materializzato, dato che mancano segnali di rialzo delle aspettative inflattive di medio e lungo periodo (ad esempio, il rendimento dei titoli di Stato americani a lunga scadenza, pur crescendo nell’ultimo anno, è rimasto basso). In assenza di questo supporto, è verosimile che il costo del debito, già più alto in Italia che altrove, aumenti; La crisi ha colpito maggiormente l’Italia rispetto alla media dei paesi dell’Area Euro (calo del Pil reale italiano nel 2020: 8,9 per cento; media dell’Eurozona: -6,5 per cento). Per esempio, nel primo semestre, l’aumento dei prezzi dell’energia è stato molto maggiore di quello degli altri beni, con aumenti mese su mese talvolta maggiori del 3 per cento (nell’Eurozona a maggio 2021 rispetto a maggio 2020, l’inflazione dei prezzi dell’energia era al +13,1 per cento). A questo punto appare quindi difficile che negli Stati Uniti l’inflazione a fine anno si collochi al livello previsto dalla Fed (+3,4 per cento), visto che questo richiederebbe una riduzione dei prezzi nel secondo semestre.

  • Banca d’Italia: il ruolo negli ultimi anni e durante il Covid-19

    L’aumento del volume di titoli pubblici detenuti, iniziato nel 2015 con il quantitative easing di Draghi, ha portato la Banca d’Italia a detenere oltre il 20 per cento del debito pubblico italiano. Per far fronte alla crisi pandemica, la BCE nel 2020 è intervenuta con: l’aumento degli acquisti di titoli, soprattutto di stato, introducendo a marzo un programma, il Pandemic Emergency Purchase Programme (PEPP). Questo si è aggiunto all’Asset Purchase Programme (APP), avviato a marzo 2015, nel quale il Public Sector Purchase Programme (PSPP) è destinato all’acquisto di titoli pubblici; l’estensione delle operazioni di rifinanziamento agli istituti creditizi; in particolare, sono state allentate le condizioni per le Targeted Longer-Term Refinancing Operations (TLTRO). Lo stato patrimoniale: quadro attuale e andamento storico Nell’ultimo decennio l’attivo di bilancio di Banca d’Italia è quadruplicato, in particolare grazie ai programmi di acquisto titoli avviati nel 2015. Tra il 2010 e il 2020 il peso dei titoli detenuti sull’attivo di bilancio è passato dal 5 per cento al 42 per cento (di cui il 37 è costituito da titoli pubblici), mentre quello delle operazioni di rifinanziamento è passato dal 14 al 29 per cento (Fig.1). Nel 2020 è accelerato l’aumento delle banconote in circolazione che nel decennio sono cresciute da 138 a 224 miliardi, con un aumento del rapporto rispetto al Pil dall’8 al 14 per cento, cosa sorprendente alla luce dei cambiamenti tecnologici che avrebbero dovuto portare a una riduzione nell’uso delle banconote. Per quanto riguarda i titoli del programma PSPP (392 miliardi), il 17 per cento scadrà entro 2 anni e sarà probabilmente riacquistato, in quanto la fine del reinvestimento dei titoli in scadenza è prevista solo dopo l’aumento dei tassi di riferimento.

  • La ristrutturazione del debito tedesco nel 1953: è rilevante per i problemi di oggi?

    Da un lato, il debito che fu cancellato all’epoca non era stato contratto liberamente dalla Germania ma era frutto di riparazioni di guerra risalenti addirittura al Trattato di Versailles. Quindi il debito che fu oggetto del negoziato era pari al 22,5 per cento del Pil. I debiti cancellati furono pari a 17,8 miliardi di marchi – 8,6 per i debiti post prima guerra mondiale e 9,2 per debiti post seconda guerra mondiale. L’escamotage che fu trovato fu quello di affermare al comma 1 dell’articolo 5 del LDA che le riparazioni della prima guerra venivano escluse dall’accordo e che alcuni debiti anteguerra della Germania sarebbero stati pagati solo in seguito alla riunificazione. Rimarrebbe dunque un 62 per cento di debiti che non sarebbero direttamente riconducibili alle riparazioni della guerra; di questi, il 30 per cento è rappresentato da debiti federali, il 6 per cento da debiti dei Lander e il 25 per cento da debiti contratti da privati. Nel frattempo, la fase di euforia aveva fatto sì che nei sei anni successivi all’inizio del piano Dawes la Germania ricevette un afflusso di capitali pari a 14,577 miliardi di marchi a fronte di 11,134 miliardi di marchi corrisposti alle diverse potenze vincitrici a titolo di riparazioni. Come detto, molti altri paesi, che avrebbero poi fatto default, avevano debiti di guerra con gli Stati Uniti (Tavola 4), ma, a riprova che le riparazioni di Versailles furono una componente importante del LDA, nessun paese aveva un debito paragonabile a quello della Germania. Il debito più rilevante era quello del Regno Unito nei confronti degli Stati Uniti che era di quasi 5 miliardi di dollari, una cifra di molto inferiore al debito della Germania, anche dopo le due ristrutturazioni degli anni venti (dm 40 miliardi equivalenti a quasi $10 miliardi).

  • Carenza di medici di base in Italia: un confronto europeo e nazionale

    Inoltre, esistono notevoli differenze tra regioni: in quelle del Nord i medici di base hanno un carico di assistiti più elevato di quelle del Sud. Guardando in avanti, il numero di medici di base che andrà in pensione nei prossimi 7 anni eccede quello in entrata: pur considerando ulteriori 900 borse annuali per la formazione dei medici di medicina generale, dovremmo perdere tra i 9.200 e 12.400 medici di base dal 2022 al 2028. Contesto europeo Con 1.408 abitanti per medico di base nel 2019, l’Italia si attesta leggermente al di sotto della media europea (1.430), la quale però è influenzata negativamente da un alto valore di questo indice nei paesi dell’Est Europa. Il deficit di medici di base al Nord ha portato a richieste di maggior finanziamento per borse di studio per completare il percorso formativo dei medici di base e di anticipare la fine del corso di formazione per la specializzazione in medicina generale. Il dato differisce dal rapporto tra popolazione e numero di medici di base riportato nella sezione precedente perché i bambini residenti sono assistiti da pediatri e non dai medici di base e perché alcuni residenti potrebbero non aver scelto un medico di base. La stima del numero di nuovi medici di base ogni anno è ottenuta, ad esempio per il 2020, dalla moltiplicazione dei nati nel 1994 (che entreranno quindi nella professione medica nel 2020) per 0,14 per cento (il rapporto costante tra nuovi medici di base e nuovi nati). La stima del numero di medici di base in uscita è ottenuta dalla moltiplicazione, ad esempio sempre per il 2020, dalla moltiplicazione dei nati ne 1952 (che andranno in pensione all’età di 68 anni nel 2020) per 0,14 per cento Fonte dati: Ista, Miur, ALMALAUREA Un articolo di Luca Favero Download SCARICA IL PDF.

  • Gli stipendi e la carriera degli insegnanti: un confronto tra l'Italia e gli altri paesi

    In Italia occorrerebbe quindi (i) aumentare gli stipendi dei docenti al procedere della loro carriera, (ii) introdurre la possibilità di avanzamenti di carriera e stipendio per merito, (iii) migliorare la selezione all’ingresso dei candidati. Il livello degli stipendi Per confrontare il livello degli stipendi degli insegnanti tra paesi è necessario rapportarli al reddito pro capite. In media tra i livelli di insegnamento, un docente in Italia percepisce uno stipendio iniziale di 32.500 dollari (73 per cento del reddito pro capite), che con gli anni di servizio cresce sino a un massimo di 48.700 dollari (110 per cento). In altri termini, l’Italia è tra i paesi dove la crescita dello stipendio è più lenta: ad esempio, un insegnante di scuola secondaria inferiore impiega almeno 35 anni per raggiungere lo stipendio massimo. L’esperienza della Finlandia suggerisce poi che l’accesso dei giovani più meritevoli all’insegnamento è incentivato da una rigida selezione all’ingresso (sin dall’accesso ai programmi di formazione degli insegnanti) e dall’importanza attribuita dalla società al ruolo del docente. In conclusione, dal confronto con gli altri paesi emerge come in Italia ci sia lo spazio per (i) aumentare la progressione degli stipendi nel corso della vita lavorativa, (ii) introdurre carriere multilivello con la possibilità di promozione e progressione salariale basati sul merito, (iii) migliorare la selezione all’ingresso. Nella maggior parte dei paesi lo stipendio è differenziato in base al livello di insegnamento: è più basso nella scuola pre-primaria e più alto nella scuola secondaria.

  • Le università italiane nelle classifiche internazionali

    A livello globale, la performance delle università italiane è modesta; il fattore che più le penalizza è lo scarso grado di internazionalizzazione di insegnanti e studenti. Il ranking Leiden differisce dagli altri perché si propone di valutare solo la qualità della ricerca e non anche quella dell’insegnamento; inoltre, non utilizza il criterio della reputazione, ma solo quello (in linea di principio meno soggettivo) delle citazioni su riviste. La performance delle università italiane La Tav. 1 riepiloga il numero di università italiane per fasce di ranking delle quattro classifiche considerate. Nel ranking QS (che considera 1.300 università in tutto il mondo) la prima italiana è al 142esimo posto; le italiane sono 10 in meno rispetto al THE (41), di cui 14 nelle prime 500 posizioni. Simile è la situazione nel ranking Leiden, che considera 42 università italiane (selezionate come le migliori per “intensità della ricerca”) su un totale di 1.225 università nel mondo. Al contrario, sia nel ranking QS che nel Leiden le università italiane che hanno peggiorato il proprio piazzamento sono molte di più (rispettivamente 9 su 14 nel QS e 11 su 15 nel Leiden). Nell’ARWU le varie posizioni sono aggregate in fasce di ranking dopo le prime 100, rendendo non confrontabili gli aggiornamenti di posizione delle 19 università italiane presenti nei primi 500 posti.

  • La ripresa degli investimenti pubblici

    Per i prossimi anni il governo Draghi ha rivisto ulteriormente a rialzo l’obiettivo per gli investimenti pubblici, con l’intenzione di sfruttare le ingenti risorse del Next Generation EU (NGEU) per portare gli investimenti pubblici al 3,2 per cento del Pil entro il 2024. Questo soprattutto alla luce del fatto che in passato le infrastrutture italiane sono costate di più rispetto a quelle degli altri paesi europei e che nelle schede tecniche del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) mancano delle analisi costi benefici degli specifici interventi. La nota è stata ripresa da questo articolo di TPI del 17 giugno 2021 * * * In generale, in presenza di una recessione gli investimenti pubblici possono essere una forma di spesa pubblica efficace, sia per sostenere la domanda aggregata sia per dotarsi di infrastrutture che innalzino la produttività nel medio-lungo periodo. Inoltre, in Italia gli investimenti pubblici sono drasticamente calati passando dal 3,7 per cento del Pil nel 2009 (un livello comunque elevato rispetto alla media storica italiana) al 2,1 per cento del Pil nel 2018 (Fig. 1). Si tratta quindi di una performance notevole, anche se non è possibile valutare in che misura l’aumento della spesa sia dovuto a un aumento dei prezzi degli investimenti, piuttosto che a un effettivo aumento nel volume degli investimenti stessi. Il deflatore degli investimenti fissi complessivi (pubblici e privati) è cresciuto solo dello 0,4 per cento nell’anno, ma questo potrebbe riflettere un calo del deflatore degli investimenti privati che sono calati rapidamente a causa della crisi. Il DEF fornisce anche un’indicazione del contributo delle risorse europee al livello degli investimenti nei prossimi anni: 0,4 punti di Pil nel 2021; 0,5 punti nel 2022; 0,8 nel 2023 e 0,2 nel 2024.

  • Il sistema pensionistico dei parlamentari: possibili implicazioni per la durata della legislatura

    Questo implica che i neoeletti della XVIII legislatura (a inizio legislatura) non avrebbero diritto alla pensione parlamentare se le Camere venissero sciolte prima del 24 settembre 2022 e perderebbero tutti i contributi versati (fino a 50 mila euro). Il sistema pensionistico attuale Nel 2012 il vitalizio spettante ai parlamentari al termine del loro mandato è stato sostituito con un trattamento pensionistico simile a quello applicato per gli altri lavoratori, anche se con qualche importante differenza. Per i parlamentari eletti per la prima volta a partire dal 1 gennaio 2012, il sistema di calcolo della pensione parlamentare è di tipo puramente contributivo. La pensione viene erogata al compimento dell’età di pensionamento pari a 65 anni, anche se per ogni anno di ulteriore mandato oltre la prima legislatura, il parlamentare può anticipare il pensionamento di un anno, sino a un’età minima di 60 anni. Liberi e Uguali e il Partito Democratico risultano invece i gruppi parlamentari con la più bassa percentuale di neoeletti (rispettivamente 42 per cento e 44 per cento) e gli unici gruppi parlamentari con un valore al di sotto del 50 per cento. Come notato, l’incentivo economico a evitare uno scioglimento del Parlamento prima del 24 settembre è elevato e viene acuito dal fatto che, con il passaggio del numero dei parlamentari da 945 a 600 unità, la probabilità di essere rieletti, evitando la perdita dei contributi, si è ridotta notevolmente. Nel 2015, il Consiglio di Presidenza del Senato e l'Ufficio di Presidenza della Camera dei deputati hanno ciascuno approvato il decadimento del diritto alla pensione nel caso in cui un parlamentare venga condannato in via definitiva per reati di particolare gravità (ad esempio mafia, terrorismo o contro la pubblica amministrazione).

  • Il test della telefonata: le risposte delle Motorizzazioni civili

    I risultati, come nei due test precedenti, sono stati deludenti: dei 102 uffici provinciali contattati, appena 39 (che coprono il 32 per cento della popolazione italiana) hanno risposto correttamente alle domande, mentre 56 uffici (che coprono il 65 per cento della popolazione) non hanno risposto oppure hanno dato risposte errate. La performance delle Motorizzazioni è stata persino peggiore di quella delle Prefetture, anche se migliore di quella degli uffici dell’Agenzia dell’Entrate. Dopo gli esperimenti sulla qualità delle risposte di Prefetture e uffici provinciali dell’Agenzia delle Entrate a possibili domande dei cittadini, abbiamo esteso il test della telefonata alle Motorizzazioni civili. Tale documentazione, consiste di: [2] un modulo ottenibile dalla Motorizzazione o dal sito del Ministero dei trasporti e delle mobilità sostenibili (MIMS); ricevute di due versamenti postali per un totale di 42,20 euro; fotocopia completa della patente e originale in visione; due fototessere. Rispetto a Prefetture e uffici dell’Agenzia delle Entrate, le Motorizzazioni sono solite utilizzare un servizio di segreteria automatica, che, oltre a fornire informazioni di carattere generale sugli uffici, indirizza gli utenti verso i servizi di loro interesse. La performance delle Motorizzazioni è stata infine valutata con tre punteggi: 0, in caso di mancata o errata risposta alle telefonate e/o e-mail; 1, in caso di risposte imprecise; 2, in caso di risposta corretta e completa. Un confronto tra esperimenti In termini relativi, le Prefetture hanno avuto risultati che, per quanto deboli, sono stati migliori di quelli delle Agenzie delle Entrate e delle Motorizzazioni, ottenendo infatti sia più punteggi massimi che meno punteggi minimi rispetto alle altre due amministrazioni (Fig. 2).

  • Un commento al disegno di Legge di Bilancio 2022

    Sugli ammortizzatori sociali viene estesa la copertura degli strumenti di integrazione salariale, ma non sono posti correttivi che evitino un uso troppo prolungato di tali strumenti per le imprese che non sono sostenibili economicamente. La manovra per il 2022 La manovra di finanza pubblica delineata dal DDL per il 2022 prevede misure espansive che ammontano a 37 miliardi, con coperture pari a 13,8 miliardi e un maggiore indebitamento netto, rispetto al quadro a legislazione vigente, di 23,2 miliardi (Tav. 1). Il deficit pubblico scende, ma meno di quello che sarebbe stato possibile a legislazione invariata, nonostante la crescita sia più forte di quanto previsto nel quadro programmatico del Documento di Economia e Finanza. Questo sbilanciamento è rafforzato dalle misure di copertura, che sono costituite per la maggior parte da aumenti di tasse più che da tagli di spesa. Le misure espansive Il rifinanziamento al 2022 di strumenti già esistenti , senza fondamentali riforme strutturali, vale quasi la metà dei 37 miliardi di misure espansive e include, tra le altre cose: Il Reddito di Cittadinanza , che viene rifinanziato per 1,2 miliardi, portandolo a regime a 8,8 miliardi annui (stesso livello del 2021). Saldo netto da finanziare e indebitamento netto Il deficit in termini di Saldo netto da finanziare (SNF) è maggiore rispetto all’indebitamento netto per 17,5 miliardi nel 2022, 19,1 miliardi nel 2023 e 10,4 miliardi nel 2024. La misura produce maggiori uscite in termini di SNF per 4,3 miliardi nel 2022 e 4,5 miliardi nel 2023 e 2024 (mentre gli effetti in termini di indebitamento netto sono già stati registrati al momento del pagamento delle pensioni).

  • La caduta del valore aggiunto reale della PA: evidenze e questioni aperte

    In secondo luogo formuliamo alcune ipotesi sulle ragioni del calo del valore aggiunto reale e della produttività della PA. In sostanza, la caduta del valore aggiunto è dovuta principalmente al comparto dei servizi collettivi, mentre quella della produttività è dovuta quasi interamente al comparto della sanità. In particolare, non è chiaro se l’Istat, analogamente agli istituti degli altri paesi, riesca a misurare l’aumento di produttività e riduzione di sprechi che può accompagnare un calo degli addetti, quale quello che si è registrato negli ultimi anni nel comparto della pubblica amministrazione in senso stretto. Poiché il numero di addetti (misurato dalle ULA) è aumentato leggermente (+0,6 per cento; si veda la Figura 2 che mostra un analogo andamento per le ore lavorate), la produttività è caduta poco più del valore aggiunto (-6,3 per cento; Figura 3). In sostanza, la caduta del valore nominale aggiunto è dovuta principalmente al comparto dei servizi collettivi, mentre quella della produttività è dovuta quasi interamente al comparto della sanità e assistenza sociale e, all'interno di questo, in particolar modo alla sanità. Sostanzialmente la caduta della produttività è quasi interamente dovuta al comparto della sanità e assistenza sociale (-14,6 per cento), dove si registra un aumento degli addetti (+10,7 per cento) e una sensibile caduta del valore aggiunto (-5,0 per cento). Per questi servizi, la caduta del valore aggiunto reale (-9,1 per cento) riflette essenzialmente la caduta degli addetti (-14,1 per cento), ma è inferiore ad essa perché le altre componenti del valore aggiunto sono all’incirca costanti in termini reali: di qui l’aumento della produttività del comparto (+5,9 per cento). Riassumendo, il calo nel valore aggiunto reale della branca NACE PA osservabile nella Figura 1 è quindi principalmente attribuibile ai servizi collettivi della PA. A questo comparto sono infatti riconducibili quasi 10 miliardi di perdita di valore aggiunto dei 15 totali della branca; il resto è attribuibile quasi del tutto alla sanità.

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