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Debito pubblico: quanto ne ha acquistato, quanto ne avrebbe dovuto acquistare e quanto ne acquisterà la BCE
Dall’inizio dell’anno la BCE ha infatti acquistato 142 miliardi di titoli pubblici italiani, 30 miliardi in più di quanto avremmo dovuto beneficiare secondo i criteri di acquisto solitamente seguiti dalla banca centrale. Gli attuali programmi di acquisto titoli della BCE Ancor prima della diffusione dell’epidemia di Covid-19, la Banca Centrale Europea (BCE) acquistava titoli obbligazionari attraverso l’Asset Purchase Programme (APP), il piano di Quantitative Easing europeo adottato dalla BCE sul finire del 2014. Gli acquisti dell’APP previsti per il 2020 erano inizialmente di 240 miliardi, ma l’importo è stato innalzato a 360 miliardi a seguito della pandemia. I titoli detenuti nell’ambito dell’APP sono così saliti a fine settembre a oltre 2900 miliardi (Tav. 1), di cui l’80 per cento pubblici (2405 miliardi) e il resto privati (569 miliardi). Quanto debito pubblico italiano avrebbe dovuto acquistare la BCE? Gli acquisti di titoli pubblici da parte della BCE (direttamente o tramite le banche centrali nazionali) dovrebbero avvenire secondo il criterio della capital key, ossia in base alla quota del capitale della BCE sottoscritta da ogni banca centrale nazionale. Vedi: https://www.ecb.europa.eu/press/pr/date/2020/html/ecb.mp200312~8d3aec3ff2.it.html [4] Tra gli acquisti di titoli pubblici rientrano anche quelli di obbligazioni sovranazionali, ossia di titoli emessi dai paesi dell’Unione Europea che non rientrano nella zona euro. Una stima di acquisti di 176 miliardi è in linea con le precedenti stime dell’Osservatorio CPI, anche se queste erano state derivate sulla base di diverse ipotesi, come il fatto che gli acquisti di titoli privati nell’ambito del PEPP sarebbero stati nulli almeno per il 2020.
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L'impatto della riforma dell'IRPEF: una prima analisi
In valori nominali, il beneficio dei tagli va da 100 euro per un reddito di 20.000 euro a 920 per 50.000 euro, mentre è pari a 270 euro per redditi superiori ai 75.000 euro. Anche il beneficio in termini di taglio dell’aliquota media (imposta in rapporto al reddito lordo) cresce sino 50.000 euro; per poi scendere rapidamente, soprattutto dopo i 60.000 euro. Il valore nominale della riduzione dell’imposta è di 100 euro per un reddito di 20.000 euro e di 320 euro per un reddito di 30.000 (Fig. 1). Sopra i 30.000, il beneficio cresce marcatamente: da 620 euro per un reddito di 40.000 euro, sino a un picco di 920 euro per un reddito di 50.000 euro. Dopo la soglia di 50.000 euro, il beneficio inizia a calare: 570 euro per un reddito di 60.000, 370 euro per un reddito di 70.000 e 270 euro per tutti i redditi maggiori di 75.000. Gli effetti dell’intervento sono osservabili anche guardando all’ aliquota media (imposta su reddito lordo; Fig. 2) La diminuzione dell’aliquota media passa dall’ 1 per cento per un reddito di 30.000 euro al picco dell’ 1,8 per cento per un reddito di 50.000 euro. Superata tale soglia, il beneficio si attenua rapidamente: 1 per cento per un reddito di 60.000 euro; 0,53 per cento per 70.000 euro e tra 0,3 e 0,2 per cent o per i redditi più elevati (>;80.000 euro).
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Chi gestirà le risorse del PNRR?
Risorse e progetti affidate ai ministeri Su “Italia Domani”, il sito ufficiale del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) lanciato di recente dal Governo, è stata da poco pubblicata la ripartizione delle misure e delle risorse del Piano tra i diversi ministeri. Da notare che l’intero importo dei finanziamenti della Recovery and Resilience Facility (191,5 miliardi erogati fino al 2026 per la realizzazione di 142 progetti) viene ripartito tra i ministeri, anche se in pratica diversi progetti faranno capo, in termini di esecuzione, agli enti territoriali (Tavola 1). Primo, questi sono i ministeri che sono più responsabili, insieme a quello dell’Innovazione tecnologica (che ha 9 progetti e 13 miliardi), nelle aree in cui l’Europa ha richiesto maggiori interventi, ossia quelle della transizione climatica e digitale. Secondo, questi ministeri sono anche titolari di alcuni dei progetti più costosi: il MiTE, ad esempio, sarà responsabile dell’erogazione di Ecobonus e Sismabonus (14 miliardi), mentre il MIMS della costruzione di linee ferroviarie ad alta velocità (8,5 miliardi). In linea di massima, il numero di traguardi e obiettivi che grava sui ministeri rispecchia il numero di progetti di cui ciascuno di esso è titolare (Figura 1). In base a questo criterio, il centro studi di Camera e Senato ha elaborato una stima dei progetti che potrebbero essere realizzati dagli enti territoriali: si tratta di 34 interventi dal valore di 67 miliardi, circa il 35 per cento dei 191,5 miliardi complessivi messi a disposizione dall’Europa per l’Italia. Ad esempio, il MEF è responsabile della misura “riduzione dei tempi di pagamento delle pubbliche amministrazioni e delle autorità sanitarie”, che non rientra nei 142 progetti citati nel testo perché non richiede uscite per essere realizzata ma che prevede comunque il raggiungimento di un traguardo e di ben 16 obiettivi.
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La proposta francese per riformare l’imposta sull’eredità
Ad oggi, l’imposta genera un gettito esiguo rispetto al totale delle entrate (anche se di tredici volte superiore, rispetto al gettito totale, al gettito dell’imposta di successione italiana), soprattutto a causa della base imponibile ristretta, ed è al contempo largamente impopolare. Partendo da questi punti, la commissione propone di tassare il valore complessivo di eredità e donazioni ricevute dal beneficiario, anziché il singolo trasferimento, e limitare le tipologie di beni esenti dall’imposta. Nel capitolo sulle disuguaglianze gli economisti propongono, tra le altre cose, di rivedere l’imposta di successione, affinché diventi uno strumento utile per “livellare i punti di partenza” e migliorare la mobilità intergenerazionale. Come funziona oggi l’imposta di successione? Sebbene le imposte di successione abbiano strutture simili in Italia e in Francia, il gettito in quest’ultima è quindici volte più elevato a causa di aliquote più alte e di minori franchigie. In Francia, per i parenti in linea retta la franchigia è solo di 100.000 euro e le aliquote vanno dal 5 al 45 per cento, mentre per fratelli e sorelle la franchigia è di circa 15.000 euro e le aliquote vanno dal 35 al 45 per cento. Nella maggior parte dei paesi europei anche la prima casa è soggetta a trattamenti favorevoli: in Francia è esente per il 20 per cento del suo valore di mercato, se il beneficiario è il figlio/coniuge e vive nella casa al momento della morte del genitore/coniuge. Per effetto di queste differenze, in Italia il gettito dell’imposta di successione in rapporto al gettito totale è dello 0,11 per cento al 2019, contro l’1,38 per cento per la Francia (e lo 0,53 per cento della media OCSE).
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Le misure fiscali anti-Covid nei 32 paesi avanzati: un confronto aggiornato
Partendo dai dati raccolti dal Fondo Monetario Internazionale, abbiamo riassunto nella Tavola 1 le misure di emergenza finora adottate nei 32 paesi che il FMI stesso considera “economie avanzate” in risposta alla crisi economica causata dal coronavirus. Nel complesso, i 32 paesi avanzati hanno finora approvato misure con un impatto sui deficit pubblici del 2020 superiore ai 3.000 miliardi di euro. In media, queste misure ammontano al 4,7 per cento del Pil, di cui solo una piccola frazione è costituita da aumenti di spesa per la sanità. Pertanto, alcuni paesi, che prima della crisi attuale erano già dotati di un ampio sistema di stabilizzatori automatici, risultano in un certo senso “penalizzati” nella nostra Tavola rispetto ad altri (per esempio, gli USA), che avevano invece strumenti di protezione sociale meno diffusi. Gli interventi con impatto diretto sul deficit includono, in linea di principio, anche stanziamenti per garantire i prestiti al settore privato; si ricorda che questi stanziamenti assicurano garanzie sui prestiti pari a un multiplo dei fondi stanziati (come riportato nell’ultima colonna della Tavola). Una descrizione delle misure per tutti i 193 paesi monitorati finora dal Fondo Monetario Internazionale è disponibile al link: https://www.imf.org/en/Topics/imf-and-covid19/Policy-Responses-to-COVID-19 . Un articolo di Fabio Angei, Edoardo Frattola e Pietro Mistura Download Scarica il PDF.
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La ripresa economica nei principali paesi avanzati
Invece, solo alcuni paesi recupereranno anche la mancata crescita dovuta alla pandemia entro l’orizzonte di previsione del FMI (2026): Stati Uniti nel 2022, Canada e Giappone nel 2023 e Italia nel 2025. Per l’Italia ciò è dovuto in parte alla forza che sta assumendo il rimbalzo in atto e in parte al fatto che le previsioni di crescita prima della pandemia erano modeste e inferiori a quelle degli altri paesi avanzati. Le stime del FMI sono meno ottimistiche di quelle del governo italiano, che nel Documento programmatico di bilancio dello scorso ottobre prevede che il recupero del trend pre-crisi avvenga già nel 2023. Si tratta di Stati Uniti, che raggiungeranno questo obiettivo già nel 2022, Canada e Giappone, che lo raggiungeranno nel 2023, e Italia, che lo raggiungerà nel 2025 (anche se già nel 2024 si avvicina molto). Nelle attuali stime del FMI, fra il 2021 e il 2026 questi due paesi crescono in media un po’ meno degli altri, in particolare di quelli che non recuperano il trend pre-crisi: 2,4 per cento il Giappone e 1,5 per cento l’Italia, contro una media del 2,8 per cento degli altri paesi avanzati. Questo è dovuto al fatto che, secondo il governo, l’Italia dovrebbe crescere nel 2022 del 4,7 per cento contro il 4,2 per cento stimato dal FMI, e nel 2023 del 2,8 per cento contro l’1,6 per cento. Secondo i dati del DPB del 2020, l’Italia sarebbe dovuta crescere del 1,0 per cento sia nel 2021 che nel 2022, similmente a quanto previsto dal FMI (0,8 per cento nel 2021 e 0,7 per cento nel 2022).
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Valorizzazione merito docenti in Italia: il quadro attuale
Un confronto internazionale degli stipendi dei docenti In Italia, gli stipendi dei docenti della scuola pubblica sono simili a quelli dei maggiori paesi OCSE al momento dell’assunzione (rispetto al reddito pro capite nazionale), ma hanno un minor incremento durante la carriera dei docenti (Fig.1). In media, un docente in Italia percepisce uno stipendio iniziale di circa 28.900 euro (73 per cento del reddito pro capite), che con gli anni di servizio cresce sino a un massimo di 43.350 euro (110 per cento). La valorizzazione del merito dei docenti in Italia Oltre a crescere meno rispetto ai paesi OCSE, l’incremento salariale dei docenti italiani dipende prevalentemente dall’anzianità di servizio e poco da meriti effettivi. L’unica misura in vigore che tiene conto del merito dei docenti è il bonus premiale per la valorizzazione del merito personale docente. Al Comitato spetta anche il compito di scegliere quanti docenti beneficeranno del bonus e il formato delle tabelle di valutazione del personale, che verranno compilate dai docenti che faranno domanda di accesso al bonus. Il primo riguarda la percentuale di premiati sul totale dei docenti che è stata, in media, del 33 per cento, ma con un’ampia varianza (si va da un minimo del 16 per cento e un massimo del 58 per cento, Tav.1). Considerazioni finali Per garantire una migliore incentivazione del merito sarebbe utile agire su diversi fronti: Si potrebbe fissare a livello nazionale la quota dei docenti beneficiari per scuola (distinguendo al massimo due fasce), ed evitando quindi un velleitario grado di differenziazione a livello di singoli docenti.
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L’inquinamento da polveri sottili PM10 e PM2.5 in Italia e Europa
Oltre alla maggiore efficienza energetica e alla diffusione di fonti rinnovabili (Progetto Life Prepair condotto dalle regioni Emilia Romagna, Piemonte, Veneto e Lombardia), altri diversi fattori hanno causato tale miglioramento: limiti di emissione più stringenti nei settori energia e industria (direttiva europea 2008/50/EC recepita dalla legislazione italiana con D.Lgs. che stabilisce i limiti di inquinamento di PM10 e PM2,5), produzione di automezzi e utilizzo di carburanti meno inquinanti, introduzione del gas naturale nella produzione elettrica e per il funzionamento degli impianti di riscaldamento domestici (ENEA, 2017). L’Italia è uno dei paesi più inquinati d’Europa e il più inquinato dell’Europa occidentale, con un grado di concentrazione di PM2.5 di circa il 47 per cento superiore a quello della Germania (Fig. 4). L’organizzazione Mondiale della Sanità ha inoltre proposto, come obiettivo da raggiungere entro il 2030, il non superamento della concentrazione di 50 µg/mc di PM10 giornalieri per più di 3 giorni annui nei comuni capoluoghi di provincia. Opportunità che prevede inevitabilmente dei sacrifici e dei cambi di abitudini da parte dei cittadini, ma che potrebbero restituire città più vivibili, efficienti, salutari e a misura di uomo. I dati sono contenuti in Ecosistema Urbano, un rapporto di Lega Ambiente che presenta dati ambientali per varie città attraverso 18 parametri (uso efficiente del suolo, verde urbano, presenza di biossido di azoto, …) raggruppati in 5 macroaree (aria, acqua, rifiuti, mobilità e ambiente). Anche secondo l’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (vedi “Piano nazionale di ripresa e resilienza #NextgenerationItalia e lo sviluppo sostenibile, Esame dei provvedimenti rispetto ai 17 obiettivi dell’agenda 2030”, p. 80) il raggiungimento degli obiettivi relativi alla costruzione di edifici energeticamente più efficienti contribuirà alla riduzione delle polveri sottili.
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La Cassa Integrazione Guadagni: numeri e riforma
La presente nota illustra le principali caratteristiche degli strumenti di integrazione salariale, analizzando i numeri prima e durante la pandemia, effettuando un confronto con alcuni paesi europei e illustrando quelli che sembrano essere i punti chiave della riforma. Lo scopo della Cassa Integrazione Guadagni (CIG) dovrebbe essere quello di garantire un reddito dignitoso ai lavoratori in presenza di difficoltà temporanee dell’impresa, preservando il rapporto di lavoro. Questa si rivolge ai lavoratori delle aziende industriali ed edili e “sostituisce la retribuzione dei lavoratori a cui è stata sospesa o ridotta l'attività lavorativa per situazioni aziendali dovute a eventi transitori e non imputabili all'impresa o ai dipendenti, incluse le intemperie stagionali e per situazioni temporanee di mercato”. La CIGO è autorizzata con pagamento a conguaglio del datore di lavoro a chi ha un contratto di lavoro subordinato e anzianità minima di 90 giorni in azienda. L’importo integrato è pari all’80 per cento della retribuzione per le ore lavorative non prestate, con massimali pari a 998,18 e 1.199,72 euro (importi lordi, rispettivamente relativi a quando la retribuzione mensile è pari o inferiore a 2.159,48 euro, o superiore a tale ammontare). La CIG Straordinaria (CIGS) è attivabile in presenza di crisi aziendali (durata massima di 12 mesi), ristrutturazioni o contratti di solidarietà (durata massima di 24 mesi). L’obiettivo è quello di assicurare che i dipendenti possano migliorare le proprie competenze ed essere quindi potenzialmente impiegabili in altre aziende, pur in costanza di rapporto di lavoro con l’impresa.
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All’origine della bocciatura dei 31 progetti della Sicilia
La sola regione a non aver ricevuto l’approvazione di neanche un progetto è stata la Sicilia, che ne ha presentati 31 per un valore di oltre 400 milioni di euro. La bocciatura sembra quindi dovuta alla debolezza dei progetti dalla Sicilia e alle carenze della sua pubblica amministrazione, che a loro volta potrebbero dipendere da politiche poco meritocratiche di selezione del personale seguite in passato. L’amministrazione siciliana ha infatti agito di frequente in deroga all’articolo 97 della Costituzione, che fissa come modalità ordinaria di accesso al pubblico impiego quella del concorso. I risultati del bando MIPAAF Il ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali (MIPAAF) ha di recente pubblicato i risultati di un bando per uno degli interventi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). La valutazione è stata criticata dall’amministrazione siciliana, che ha accusato il MIPAAF di aver adottato criteri sfavorevoli per le regioni del Sud, anche se a giugno il ministero aveva condiviso con loro i requisiti di valutazione. Da cosa dipende la bocciatura dei progetti della Sicilia? La bocciatura dei progetti della Sicilia non dipende dunque dai criteri di valutazione del MIPAAF, ma dalla bassa qualità delle proposte. Il primo è di inizio anni ‘80, quando viene stabilizzato nel ruolo di “dirigente tecnico” - posizione di grado elevato anche se non dirigenziale - chi negli anni precedenti aveva fruito di semplici borse di studio.
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Il PNRR: dodici mesi di commenti e monitoraggio
Nel mese successivo, il regolamento della Recovery and Resilience Facility (RRF) – lo strumento primario di finanziamento del piano Next Generation European Union - definiva i finanziamenti attribuibili all’Italia, ossia 191,5 miliardi di euro di cui 68,9 miliardi in sovvenzioni e 122,5 in prestiti. Tali fondi, come indicato nel piano presentato in aprile, sono stati integralmente richiesti dall’Italia: il piano complessivo risulta tuttavia più ingente – con una cifra che supera i 235 miliardi di euro - a causa degli altri fondi comunitari e dei 30 miliardi di fondo complementare finanziato con emissioni obbligazionarie italiane. L’approvazione definitiva del PNRR da parte del Consiglio Europeo, arrivata il 13 luglio 2021, è stata accompagnata dalla fissazione di 527 condizioni – suddivise in traguardi qualitativi (“milestones”) e obiettivi quantitativi (“targets”) - da rispettare: questi “paletti” risultano estremamente importanti, perché l’erogazione delle rate semestrali sarà condizionato al soddisfacimento di tali condizioni. La governance del Recovery plan: cosa faranno gli altri paesi? La bozza di Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) del governo Conte circolata a gennaio non includeva una proposta per la governance del piano. A questa sono destinati 21 miliardi, di cui 19,5 dalla Recovery and resilience facility e 1,5 dal React EU. La componente si articola in quattro settori di intervento: ampliamento dei servizi di istruzione (10,6 miliardi), miglioramento dei processi di reclutamento degli insegnanti (0,8 miliardi), potenziamento delle infrastrutture scolastiche (7,6 miliardi) e riforma dei dottorati (0,4 miliardi). Chi gestirà le risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza? Su “Italia domani”, il sito ufficiale del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), è stata pubblicata la ripartizione di progetti e risorse tra i ministeri. L’attuazione del PNRR nel 2022: cosa è previsto? Nella conferenza stampa di fine anno, il Presidente del Consiglio Draghi ha annunciato che tutte le 51 condizioni previste dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) sono state soddisfatte.
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Euro Area fiscal policies and capacity in post-pandemic times
Reducing public debt ratios over the medium term at a sufficient speed will require that the growth of primary spending remain below the (higher) potential growth rate, to be achieved through the reform process. il testo completo del documento è scaricabile in formato PDF cliccando nell'apposito box a sinistra *** Executive Summary Economic policies in the euro area responded to the economic crisis causes by the Covid medical emergency better than in previous crises. This said, the crisis caused a further sharp increase in public debt ratios and deepened the already large difference between debt ratios in Northern and Southern European countries. Lowering debt ratios and fostering fiscal convergence will be important over the coming years, but monetary and fiscal policies will need to be managed carefully to avoid an unnecessary delay in the economic recovery. Three features have stood out with respect to macroeconomic developments in the euro area after the beginning of the Covid pandemic: • The decline in GDP was generally stronger in Southern European countries than in Northern European countries, as the former were generally hit harder by the Covid pandemic. Moving to the medium-term perspective, the analysis furthermore focuses on the key challenges faced by by the Recovery and Resilience Facility (RRF) and by the other tools set up by the European Union to improve the area’s medium-term growth performance. Lastly, the paper analyzes the priorities for the EMU governance reform, finding that improving economic policy governance in the euro area requires a central fiscal policy, a greater enforcement of fiscal rules and a more pronounced level of integration both in the banking market and the capital market.
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Abbiamo bisogno di un Piano Marshall?
Il Piano Marshall Lo European Recovery Program (ERP), meglio noto con Piano Marshall, venne annunciato nel 1947 dal Segretario di Stato Marshall e approvato dal Congresso nel 1948 tramite il Foreign Assistance Act, una legge che conteneva anche altri programmi di aiuti a Europa e Cina. Di questi, 1,5 miliardi (il 9,2 per cento del Pil medio annuale italiano nel periodo 1948-1952, il periodo di erogazione degli aiuti) vennero destinati al nostro paese. Quello di cui l’Europa ha bisogno ora sono risorse finanziarie per attenuare gli effetti delle chiusure sulle famiglie e sulle imprese (evitando crisi di liquidità) e, una volta superata l’emergenza medica, di una spinta sulla domanda aggregata. Il tipo di aiuti che veniva offerto dal Piano Marshall, che in pratica consisteva di esportazioni dall’America all’Europa, con benefici per l’occupazione americana, non sarebbe utile per affrontare la crisi attuale. Oltre agli elementi di condizionalità citati sopra (e l’implicito sussidio dato alle esportazioni americane verso l’Europa) molti storici hanno affermato l’esistenza di una condizionalità politica meno palese, compresa una chiara collocazione a ovest della cortina di ferro dei paesi che ricevevano gli aiuti. Limitandoci al nostro paese, la BCE solo quest’anno presterà all’Italia, attraverso l’acquisto di titoli di Stato e di titoli privati con i vari programmi di quantitative easing, almeno 240 miliardi (il 14 per cento del Pil italiano). La finalità del Piano Marshall era di dare una svolta “alla situazione che caratterizza[va] i paesi dell’Europa, situazione che mette[va] a rischio la prosecuzione di una pace duratura e la realizzazione degli obiettivi delle Nazioni Unite.
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Quanto redistribuisce la nostra tassazione sul reddito personale?
L’imposta ha un effetto redistributivo positivo, aumentando la quota di reddito percepita post-IRPEF, rispetto a quella in assenza di tassazione, per redditi fino a 30.000 euro, mentre tale effetto si inverte per le fasce di reddito successive. La decisione di ridurre il peso dell’imposta sui redditi delle persone fisiche (IRPEF) di 7 miliardi ha sollevato un’accesa discussione su come tale taglio dovrebbe essere allocato tra le diverse classi di reddito. La distribuzione dei redditi e del gettito IRPEF nel 2019 Nel 2019, 41,5 milioni di contribuenti IRPEF hanno dichiarato redditi per 884 miliardi di euro. Tuttavia, fino a 100.000 euro la perdita, sempre in termini di riduzione della quota di reddito rispetto alla distribuzione pre-tassazione, è limitata a 0,2-0,3 punti, tranne che per la classe tra 40.000 e 50.000 euro che ha una perdita di mezzo punto percentuale. Per i contribuenti a reddito più alto (>;100.000 euro) la perdita sale a due punti percentuali, ma questo in parte è dovuto all’aggregazione di un numero molto elevato di classi di reddito. Poi diventa positiva per redditi crescenti: l’1,2 per cento dei contribuenti più abbiente contribuisce al pagamento di quasi il 20 per cento dell’IRPEF, pur avendo una quota sul reddito di circa il 10 per cento. L’indice di Gini - che va da 0, quando il reddito è distribuito in modo uguale tra tutti, a 1, quando il reddito è concentrato in una persona - scende da 0,46 se calcolato sui redditi lordi a 0,42 se calcolato sui redditi al netto della tassazione IRPEF.
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Il coronavirus non ha rallentato i pagamenti della PA
Secondo i dati MEF il tempo medio di pagamento nel 2020 è stato di 45 giorni, con un anticipo medio di 3 giorni sulla scadenza delle fatture. Alla luce di ciò è quindi teoricamente possibile che un tempo di pagamento medio da parte della PA superiore ai 30 giorni risulti in linea con la normativa nazionale ed europea. I risultati sono generalmente positivi e suggeriscono che la crisi sanitaria non abbia influenzato negativamente il processo di generale miglioramento nella performance di pagamento della PA. Il tempo medio di pagamento nel 2020 è stato di 45 giorni, in calo rispetto ai 48 del 2019. Anche nel caso delle fatture e degli importi pagati nei termini, gli ambiti della PA che registrano le performance migliori, sia in termini di valore assoluto che di variazione nell’ultimo triennio, sono gli Enti del SSN e le Regioni e Province Autonome. Le altre fonti di dati Altre fonti di dati, non perfettamente comparabili con il MEF a causa delle diverse metodologie di rilevamento, confermano che la crisi pandemica non ha interrotto il trend virtuoso in atto sui tempi di pagamento. I dati di Intrum, società europea di gestione e recupero crediti, mostrano infatti una riduzione di 7 giorni nei tempi di pagamento dal 2019 al 2020, che porta il dato italiano a 60 giorni (Figura 3). I dati Intrum per il 2021 mostrano invece come vi sia stata un’interruzione nel processo di miglioramento dei tempi di pagamento per l’Italia, con un rallentamento di 4 giorni rispetto al 2020.
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Il commissariamento delle opere pubbliche sarà utile per sbloccare i cantieri?
L’esecuzione delle opere costerà 83 miliardi e sarà finanziata sia con risorse nazionali che risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza; quest’ultime andranno a copertura dei costi dei progetti che si prevede di ultimare entro il 2026. La portata del commissariamento potrebbe essere però ancora più ampia: il Governo ha infatti annunciato di voler commissariare altri 44 progetti per un costo complessivo di 13 miliardi, il che porterebbe a 101 il numero di opere commissariate e a 96 miliardi le spese. Il piano di commissariamento del Governo Lo scorso aprile il Ministro delle Infrastrutture e delle Mobilità Sostenibili (MIMS) ha annunciato un ampio piano di commissariamento per lo sblocco di diverse opere pubbliche. Nello specifico il piano interessa: 16 infrastrutture ferroviarie dal costo di 60,8 miliardi; 14 infrastrutture stradali dal costo di 10,9 miliardi; 1 infrastruttura metropolitana dal costo di 5,8 miliardi; 11 infrastrutture idriche dal costo di 2,8 miliardi; 3 infrastrutture portuali dal costo di 1,7 miliardi; 12 infrastrutture di pubblica sicurezza dal costo di 0,5 miliardi. Le opere per cui si stima una spesa maggiore sono dunque quelle ferroviarie; tra le infrastrutture ferroviarie commissariate rientrano infatti le linee ad alta velocità Brescia-Verona-Padova, Salerno-Reggio Calabria e Palermo-Catania-Messina, per le quali sono previste spese per ben 30 miliardi, il 35 per cento di quelle complessive. Fanno capo a quest’ultime, in particolare, i commissari incaricati della realizzazione delle opere ferroviarie (che provengono da RFI - Rete ferroviaria italiana), delle opere stradali (che provengono da ANAS) e delle opere portuali (che provengono da ADSP - Autorità di sistema portuale). I poteri dei commissari e la rapidità di esecuzione delle opere L’elenco di progetti infrastrutturali che il Governo intende commissariare non si esaurisce con le 57 opere pubbliche per cui sono già stati nominati i commissari.
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Osservazioni sul Documento programmatico di bilancio 2022
Questa prevede misure espansive per 31 miliardi, di cui 20 miliardi di maggiori spese e 11 miliardi di minori entrate. Il 60 per cento di tali interventi consiste nella proroga di misure già stanziate in passato (come Transizione 4.0 e Reddito di Cittadinanza), mentre le misure nuove rappresentano il 40 per cento. Aggiornamento del quadro macroeconomico e di finanza pubblica Il Documento Programmatico di Bilancio (DPB) conferma le previsioni macroeconomiche e di finanza pubblica della Nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza (NADEF). Questi 4 miliardi serviranno a mantenere la spesa sanitaria al livello del 2021; 4,1 miliardi di sostegni alle imprese, per la proroga degli incentivi fiscali di Transizione 4.0 e delle risorse destinate a sostenere l’internazionalizzazione delle imprese, come previsto dal PNRR nella missione per la digitalizzazione del sistema produttivo. Gli effetti della manovra sul 2023-24 L’effetto della manovra corrente sul 2023 è di 31,7 miliardi, di cui 29,2 miliardi in deficit rispetto al tendenziale. Sul 2024 la manovra corrente ha sempre un effetto di circa 30 miliardi, ma con un deficit rispetto al tendenziale di 24 miliardi a causa delle maggiori coperture (rispetto al 2023). Si tratta infatti di soli 400 milioni su 30 miliardi di manovra, nonostante la NADEF di settembre indicasse che le maggiori risorse di bilancio sarebbero state gradualmente destinate a questo tipo di spesa.
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Un aggiornamento sul debito pubblico acquistato dalla BCE
L’apporto complessivo del programma nel 2020-21 è superiore a quanto spetterebbe all’Italia secondo il criterio del capital key legato alla partecipazione del nostro paese al capitale della BCE. Inoltre, la BCE continua a rinnovare i titoli di debito pubblico già detenuti che giungono in scadenza. Quanto debito pubblico italiano acquista la BCE? Attraverso questi programmi, nei primi nove mesi del 2021 la BCE ha acquistato titoli del debito italiano per 122 miliardi. Nell’ultimo trimestre, si stima che ne acquisterà, soprattutto attraverso la Banca d’Italia, circa 37 miliardi (vedi appendice), per un totale di 159 miliardi nel 2021 (Tav. 1). Le prospettive per il 2022 Visto l’importo del PEPP annunciato in passato (1.850 miliardi) resterebbero circa 220-250 miliardi di acquisti per il 2022 per l’intera area euro (di cui 33-38 miliardi per l’Italia), in gran parte dedicati ai titoli di stato. Da inizio 2020, gli acquisti per l’APP sono ammontati a 538 miliardi (di cui 390 miliardi del PSPP) e quelli per il PEPP a 1.412 miliardi (di cui 1.365 miliardi per il settore pubblico). Nell’ultimo trimestre del 2021, l’APP dovrebbe acquistare 61 miliardi, raggiungendo l’ammontare annuo di 240 miliardi (più basso rispetto al 2020, quando era stata introdotta una dotazione aggiuntiva di 120 miliardi). In questo caso l’Italia riceverebbe 30 miliardi (con una quota del 17 per cento circa) o 25 miliardi (ipotizzando anche la convergenza della quota verso la capital key alla fine del programma): quindi, rispettivamente 152 e 147 miliardi nel 2021.
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Un confronto tra i voti della maturità e i risultati INVALSI prima e dopo la pandemia
Tuttavia, a fronte del peggioramento dei testi INVALSI nelle quinte superiori, si è avuto un miglioramento dei voti dell’esame di maturità. Il fenomeno può essere dovuto a vari fattori contingenti, ma suggerisce che i test INVALSI sono relativamente robusti: essi consentono, meglio dei voti scolastici, di effettuare confronti omogenei non solo fra scuole e regioni diverse, ma anche fra diverse coorti di studenti. Questo fatto è chiaramente testimoniato dai risultati dei test INVALSI, come è già stato ampiamente segnalato in sede di pubblicazione del rapporto INVALSI [1] e ripreso da gran parte della stampa nazionale. Nello stesso periodo, la frequenza delle lodi è più che raddoppiata, passando dall’ 1,5 del 2019 al 3,2 per cento nel 2021 (con un valore del 2,7 per cento nel 2020). Nel 2019 il voto finale in centesimi era determinato dal risultato delle prove scritte di italiano e matematica (massimo 20 punti ognuna), dal colloquio orale (fino a 20 punti) e dai crediti formativi acquisiti nel corso del percorso scolastico (sino a 40 punti). Visto che nel 2020 e nel 2021 le prove scritte sono state abolite, il voto finale è determinato per il 60 per cento dai crediti formativi acquisiti e per il 40 per cento dal colloquio orale. Essi quindi consentono, meglio dei voti scolastici, di effettuare dei confronti non solo - come ormai noto – nello spazio, ossia fra scuole e regioni del paese, ma anche nel tempo, fra coorti diverse di studenti.
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Come funzionerà la tassa minima globale
Il meccanismo di imposizione al centro dell’accordo permetterebbe di aggirare l’opposizione dei paesi che vorrebbero continuare a praticare una tassazione effettiva sui profitti inferiore al 15 per cento. Inoltre, l’accordo prevede l’introduzione di un meccanismo per ripartire tra paesi una parte dei profitti delle multinazionali più grandi sulla base della geografia delle vendite al posto della residenza. Invece, per la ripartizione geografica dei profitti le soglie stabilite sono decisamente timide, dato che includerebbero soltanto una frazione dei profitti di poche centinaia di imprese. Come funzionerebbe questa tassa minima globale (global minimum tax, GMT)? L’accordo contiene due elementi distinti: un meccanismo per implementare una tassa minima sui profitti societari e un sistema per ripartire tra paesi una parte dei profitti (e quindi della base imponibile) delle multinazionali più grandi. Questo accordo è un successo? Anche le voci più critiche di questo accordo, come J. Stiglitz, riconoscono che, se implementato, costituirebbe comunque un miglioramento rispetto allo status quo, riducendo gli incentivi alla competizione fiscale tra paesi e generando circa 50 miliardi di euro di maggiori entrate per gli Stati. Tuttavia, questi risultati sono ridimensionati dal confronto con la stima OCSE del costo attuale del profit shitfting, tra 100 e 240 miliardi di dollari di minori entrate, [15] e con l’iniziale proposta americana di una tassa minima del 21 per cento, che avrebbe generato circa il doppio delle entrate. L’aliquota minima del 15 per cento, essendo al di sotto di quelle di quasi tutti i paesi avanzati (l’aliquota media di tassazione dei paesi OCSE è intorno al 23 per cento), incentiverà comunque le imprese a contabilizzare i profitti in giurisdizioni favorevoli.
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L’età di pensionamento: un confronto fra l’Italia e l’estero
In pratica, a causa di agevolazioni e anticipazioni, l’età effettiva di pensionamento per gli italiani non solo è inferiore rispetto ai requisiti richiesti dalla legge, ma è anche più bassa rispetto alla media internazionale. Nelle classifiche internazionali, l’Italia occupa le prime posizioni tra i paesi sviluppati per età di pensionamento statutaria, con requisiti ben superiori rispetto alle medie OCSE (64,3 anni per gli uomini e 63,5 anni per le donne). Nel periodo 2013-2018, l’età di pensionamento effettiva in Italia era di 63,3 anni per gli uomini e 61,5 anni per le donne (dati OCSE). L’Italia si trova agli ultimi posti tra gli stati sviluppati, le cui età reali di pensionamento sono 65,4 e 63,7 anni in media, rispettivamente per gli uomini e le donne. Poiché l’anzianità media di pensionamento è aumentata, nel 2018 l’età effettiva di pensionamento è maggiore di quanto sopra indicato, ma c’è stato un aumento anche negli altri paesi, sicché quasi certamente la posizione italiana non è cambiata sostanzialmente (probabilmente ancora inferiore rispetto alla media OCSE). Combinando le misurazioni sull’età effettiva di pensionamento con le aspettative di vita al momento dell’uscita dal mercato del lavoro, è possibile calcolare gli anni attesi di durata del pensionamento: ovvero il numero di anni durante il quale un anziano si aspetta di percepire il pagamento della pensione. Nel 2018, la stima puntuale dell’età effettiva di pensionamento era di 63,9 anni per gli uomini e 62,9 per le donne (vedi il settimo rapporto “Il Bilancio del Sistema Previdenziale italiano”) Un articolo di Edoardo Bella Download Scarica il PDF.
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NRRP: education funds
L’evento si è tenuto nell’ambito del sesto seminario INVALSI sul ruolo dei dati come strumento per la didattica e la ricerca. L’intervento dell’Osservatorio si è focalizzato sul Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), con particolare enfasi sulle risorse destinate dal piano al settore educativo e sui progetti che tali risorse andranno a finanziare. Tra questi rientra anche il piano asili nido, uno dei progetti più rilevanti in ambito educativo previsti dell’intero PNRR: l’intervento dell’Osservatorio ne ha pertanto tratteggiato le caratteristiche, l’importanza e le principali criticità. Qui a sinistra trovate le slide dell’intervento. Un articolo di Osservatorio sui Conti Pubblici Download Scarica il PDF.
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Non è un paese per giovani
Nei paesi di destinazione (principalmente Regno Unito, Germania e Francia) c’è più lavoro, sia per i giovani che per le altre fasce d’età, le retribuzioni sono più alte e il rendimento dell’istruzione universitaria è maggiore. Il Regno Unito, la Germania e la Francia rappresentano le mete europee più ambite: secondo i dati di fine 2019 dell’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero (AIRE), sui ben 5,5 milioni di italiani residenti all’estero circa 1,6 milioni risiede in uno di questi tre paesi. Molti di questi sono giovani laureati che emigrano con la speranza di trovare un lavoro e di essere valorizzati per le loro competenze. Dal 2010, sono infatti 208mila gli italiani in possesso di una laurea ad essersi trasferiti all’estero (circa il 23 per cento dei 900mila totali). Secondo i dati OCSE suddivisi per fascia di età (relativi al 2018), in Italia il tasso di occupazione è al 69,8 per cento per gli adulti (25-54 anni) e al 17,7 per cento per chi ha meno di 24 anni (Fig. 2). (iv) La scarsa gratificazione dei titoli di studio Non sono solamente le migliori opportunità di lavoro e l’eterogenea progressione retributiva a incidere sulla decisione di emigrare all’estero, ma anche la scarsa valorizzazione dei titoli di studio in Italia. Anche nel confronto con altri paesi europei dove la quota di italiani emigrati è più bassa, una laurea assicura comunque un guadagno maggiore rispetto a un equivalente titolo di studio italiano (Fig. 5).
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I risultati del Superbonus 110%
Per usufruire del Superbonus veniva stabilito il requisito necessario di effettuare almeno un intervento “trainante” (isolamento termico o sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale); una volta rispettato questo requisito, la detrazione era però estendibile anche ad altri interventi di efficientamento energetico (cd. trainati). Nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) viene prevista la proroga di 12 mesi per il Superbonus, che quindi dovrebbe essere esteso almeno fino a dicembre 2022 per l’edilizia privata e fino a luglio 2023 per gli alloggi sociali. Sebbene nei mesi successivi si sia registrato un marcato aumento del numero di richieste presentate ed approvate (a maggio 2021 erano arrivate a 14.450, per un ammontare complessivo di 1,82 miliardi di finanziamenti) la misura presentava un utilizzo molto al di sotto delle aspettative. I proprietari di case sembrano propensi all’utilizzo di questo bonus, tanto che il totale degli investimenti ammessi alla detrazione risulta già essere di 7,5 miliardi di euro (+311 per cento rispetto al dato di maggio) [9] . Il 68,2 per cento di questo ammontare (5,1 miliardi di euro) rappresenta la quota di importi dei lavori già completati: un dato percentuale costante anche rispetto alla rilevazione di maggio. Uno sguardo al mercato immobiliare In base ai dati dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare (OMI) presso l’Agenzia delle Entrate, il numero delle compravendite di immobili residenziali risulta essere di 558 mila nel 2020, in calo del 7,7 per cento rispetto al dato dell’anno prima. Nonostante l’investimento medio sia più alto per lavori condominiali (558 mila euro contro i 102 e 94 mila euro rispettivamente per gli edifici unifamiliari e le unità immobiliari funzionalmente indipendenti), la percentuale di tali lavori è molto meno rilevante rispetto a quelli delle altre due categorie di edifici (il restante 14 per cento).
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La spesa pubblica comunale: un’analisi delle principali città al voto
Le maggiori entrate legate alla gestione del patrimonio e al contrasto di illeciti e irregolarità hanno permesso a Milano di spendere di più per l’erogazione di molti servizi, in particolare per il trasporto pubblico locale e la manutenzione stradale. La variabilità delle uscite complessive di Torino è infatti dovuta alle anticipazioni finanziarie, che sono cresciute di circa 60 punti percentuali tra il 2016 e il 2019. A loro volta, le maggiori entrate di Milano sono da ricondurre prevalentemente a quelle di natura extra tributaria, ossia ad entrate derivanti dalla vendita di beni e servizi del comune, dalla gestione del suo patrimonio e dalle attività di contrasto a irregolarità e illeciti (Figura 3). Durante l’ultima consiliatura, le entrate extra tributarie di Milano sono state, in media, di oltre 1.000 euro l’anno per abitante, circa 4 volte superiori rispetto a quelle di Napoli (280 euro) e quasi 3 volte superiori rispetto a quelle di Bologna (401 euro), Roma (369 euro) e Torino (362 euro). Su questo fronte, la spesa sostenuta dagli altri comuni è stata invece sensibilmente inferiore, sia in termini complessivi che in termini di spesa corrente: 383 euro a Roma, 335 euro a Napoli, 142 euro a Torino e 113 euro a Bologna. Per “sviluppo sostenibile e tutela del territorio”, voce che comprende prevalentemente le uscite per il servizio di raccolta rifiuti, il primato di spesa lo detiene Roma, con uscite medie pro-capite di circa 300 euro all’anno tra il 2016 e il 2019 (quasi tutte di natura corrente). In effetti, guardando la specifica voce “rifiuti” si osserva come la spesa pro-capite media sostenuta nella Capitale durante l’ultima consiliatura sia stata di 280 euro, decisamente superiore a quella di Napoli (238 euro), Milano (212 euro), Torino (210 euro) e Bologna (202 euro).