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Blocco e sblocco del turnover: gli effetti sulla PA
A partire dal 2008 le assunzioni della pubblica amministrazione (PA) sono state bloccate attraverso una serie di provvedimenti, che hanno previsto anche limitazioni alla sostituzione del personale in uscita. I limiti hanno riguardato fino al 2014 sia la spesa sostenuta per gli uscenti sia il numero di dipendenti (limite capitario) e dopo il 2014 solo la prima, consentendo un aumento del personale a parità di spesa. Anche nel settore privato si è osservato un calo dell’occupazione all’incirca nello stesso periodo, ma è stato meno forte: tra 2008 e 2012 il numero dei lavoratori del settore privato si è ridotto di circa 320.000 unità (2 per cento contro 5,6 per cento), per poi tornare a crescere fino al 2019. Questo aumento è in parte “fisiologico” in un paese che invecchia: nello stesso tempo, l’età media della popolazione italiana è aumentata di due anni e mezzo (da 43 a 45,5 anni) e l’aumento dell’età media dei dipendenti pubblici ha anche risentito dell’aumento dell’età di pensionamento. La legge finanziaria per il 2007 prevedeva che, in tutte le amministrazioni, si potesse procedere ad assunzioni per una spesa pari al 20 per cento di quella relativa alle cessazioni avvenute nell’anno precedente e per un numero di dipendenti non superiore al 20 per cento di quelli cessati. Per quanto riguarda gli enti di ricerca, il limite in termini di spesa dell’anno precedente è stato adeguato a quanto previsto per le amministrazioni centrali (oltre al limite di spesa dell’80 per cento delle entrate correnti). Questo diverso meccanismo, non legato alle uscite di personale ma a valori di bilancio, consente agli enti di incrementare la spesa per il personale laddove ci siano risorse disponibili, ma comunque nei limiti previsti dai decreti attuativi stessi.
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Sistemi di integrazione salariale: un confronto europeo
In generale i paesi in cui queste misure sono state accompagnate da limitazioni dei licenziamenti hanno previsto percentuali di integrazione a favore dei lavoratori meno elevate. In Francia, Austria e Portogallo, a differenza degli altri paesi, è previsto un costo a carico del datore di lavoro per la partecipazione ai sistemi di integrazione, ma ciò non sembra aver scoraggiato l’utilizzo di queste misure. Grazie a queste estensioni, secondo i dati Inps, il numero di ore di cassa integrazione autorizzate dal 1° aprile 2020 al 31 gennaio 2021 è arrivato a 4.238,4 milioni, di cui 1.957,4 milioni di CIG ordinaria, 1.434,3 milioni per l’assegno ordinario dei fondi di solidarietà e 846,7 milioni di CIG in deroga. Dal confronto dei sistemi adottati, sembra che i paesi che hanno introdotto un blocco sui licenziamenti, cioè Italia, Spagna e Grecia, abbiano anche previsto misure di integrazione salariale meno generose rispetto ai paesi che non hanno previsto alcun divieto. In Grecia, invece, è stata prevista una integrazione più generosa di Italia e Spagna (seppur meno elevata di altri paesi europei, quali Francia, Svizzera, Lussemburgo, Portogallo e Norvegia) ed è anche stato imposto un blocco sui licenziamenti meno stringente. La generosità dei programmi di integrazione per i datori di lavoro Un’altra caratteristica rilevante in termini di generosità è il costo a carico del datore di lavoro. Il Fondo di integrazione salariale (FIS) fa parte dei fondi di solidarietà, ovvero quei fondi che forniscono strumenti di sostegno al reddito in caso di sospensione o cessazione dell'attività lavorativa dei lavoratori dipendenti di aziende appartenenti a settori non coperti dalla normativa in materia d'integrazione salariale.
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Fondi strutturali e d’investimento europei: a che punto siamo?
Eppure la programmazione 2007-2013 si è conclusa con il quasi totale assorbimento dei 27,9 miliardi di risorse stanziate; sono stati persi solo 193 milioni. La normativa europea all’epoca consentiva infatti di spendere le risorse entro il 31 dicembre 2015, ma per alcuni progetti è stato possibile spendere le risorse fino al 2019 e in alcuni casi la spesa sarà possibile fino addirittura al 2023. Cosa è successo nella programmazione 2014-2020? L’attuazione del piano è iniziata in ritardo, in parte a causa della tardiva adozione del quadro normativo europeo, e in parte anche per l’accavallamento di risorse che si è creato per l’utilizzo degli strumenti di flessibilità consentiti dalla Commissione Europea. A che punto siamo nella spesa dei fondi europei per il 2014-20? Nel Quadro finanziario pluriennale appena concluso (QFP 2014-2020) per l’Italia erano stati stanziati 44,6 miliardi da cinque dei Fondi strutturali e d’investimento europei (fondi SIE). Da questi tre fondi provengono 50,5 miliardi – 33,6 miliardi di risorse comunitarie e 16,9 di risorse nazionali – dei 75,1 miliardi complessivamente stanziati. L’Italia riceve risorse da cinque Fondi strutturali e d’investimento europei (fondi SIE): il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), il Fondo sociale europeo (FSE), il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR), il Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (FEAMP) e l’Iniziativa Occupazione Giovani (IOG). In realtà i dati sulle risorse allocate e spese effettuate sono disponibili al 30 giugno 2020 solo per i progetti cofinanziati, oltre che da risorse nazionali, anche dai fondi FSE, FESR e IOG. I dati disponibili per i progetti cofinanziati dai fondi FAMP e FEASR sono aggiornati al 31 dicembre 2019.
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Il test della telefonata: le risposte delle Agenzie delle Entrate
La nota è stata ripresa da questo articolo di Repubblica del 15 maggio 2021 * * * Dopo il nostro esperimento sui tempi di risposta delle Prefetture alle domande dei cittadini, abbiamo telefonato agli oltre 100 Uffici provinciali dell’Agenzia delle Entrate per effettuare un’indagine simile. Questa istanza, in base a quanto riportato sul sito dell’Agenzia delle Entrate, si può effettuare presentando all’Ufficio provinciale un modulo compilato assieme a dati anagrafici, catastali e documentazione della differenza tra rendita effettiva e rendita catastale. uffici (16,1 per cento della popolazione, 9,5 milioni) hanno ricevuto 1 punto e 21 uffici (16,0 per cento della popolazione, 9,5 milioni) hanno ricevuto il punteggio massimo (Tav. 1). Il punteggio medio è stato 0,6; il punteggio medio pesato per la popolazione (gli uffici che coprono province più popolate hanno un peso maggiore) è stato 0,5. In ogni caso, il problema principale rimane il fatto che – per due terzi della popolazione italiana – contattare l’Ufficio provinciale territorio dell’Agenzia delle Entrate per una semplice domanda è un’operazione che richiede più di tre tentativi oppure si traduce in una risposta sbagliata. Chiamando questi numeri, dopo una parte registrata che è comune sul territorio nazionale, la struttura delle opzioni varia da regione a regione, portando, comunque, a parlare con l’ufficio di cui si necessita. Inoltre, la somma delle quote di popolazione non è 100 perché la Provincia Autonoma di Bolzano è stata esclusa, in quanto il suo Ufficio provinciale è organizzato troppo diversamente per essere comparabile .
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La governance del Recovery Plan. Cosa faranno gli altri paesi?
Cosa faranno gli altri paesi? 17 febbraio 2021 Intermedio La bozza del Recovery Plan inviata dal governo Conte 2 alla Commissione Europea non includeva ancora una proposta per la governance del piano. Le caratteristiche italiane, ovvero un piano molto consistente (209 miliardi) e una PA non sempre rapida nell’esecuzione degli investimenti, appaiono più allineate a quelle dei paesi che hanno previsto la creazione di entità apposite per il coordinamento. Tuttavia, la proposta circolata in Italia a dicembre, ovvero una struttura “pesante” non solo di coordinamento, ma anche di gestione, parallela e in parte sostitutiva dei Ministeri, appare eccezionale rispetto a quella degli altri paesi. Questo problema riflette la mancanza di accordo sulla proposta di governance contenuta nella bozza di PNRR circolata a dicembre che proponeva una grande struttura “parallela” ai Ministeri, con poteri sia di coordinamento che di gestione. Nel suo discorso al Parlamento, il nuovo premier Draghi ha invece dichiarato che la governance del PNRR sarà “incardinata nel Ministero dell’Economia e Finanza con la strettissima collaborazione dei Ministeri competenti che definiscono le politiche e i progetti di settore”. La decisione del modello di governance per il Recovery Plan è, ad oggi, uno dei principali problemi che il governo dovrà affrontare, perché i PNRR nazionali saranno valutati dalla Commissione Europea anche in base alla credibilità della loro governance. Queste commissioni specifiche sono comunque di dimensioni ridotte, somigliando di più a piccoli gruppi di lavoro che a grandi organizzazioni con ampie responsabilità.Alcuni paesi hanno istituito Commissioni ad hoc vicine al Primo Ministro, pur mantenendo un ruolo per i Ministeri (Francia, Spagna, Portogallo).
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Le conseguenze della crisi sulla finanza pubblica: un confronto tra economie avanzate
In genere, i paesi anglosassoni hanno registrato deficit maggiori, anche a parità di contrazione del Pil. Nell’Europa continentale, i paesi più colpiti (Spagna, Italia) hanno dovuto incrementare il deficit di più rispetto agli altri (Germania e paesi nordici). Inoltre, dato che la crisi è stata più grave nell’Europa meridionale, il debito pubblico dei questi paesi è aumentato di più rispetto a quello dei paesi del Nord Europa. Secondo le previsioni del Fondo Monetario Internazionale, già dall’anno prossimo la differenza fra il debito dell’Italia e quello della Germania supererà 90 punti di Pil. La nota è stata ripresa da Repubblica in questo articolo del 17 aprile 2021. Per fornire sostegno alle attività più colpite e sostenere la ripresa, i governi hanno reagito incrementando i deficit pubblici che, tra misure discrezionali e stabilizzatori automatici, hanno raggiunto i livelli più alti dalla Seconda Guerra mondiale. Per esempio, a fronte di una caduta del Pil reale di quasi 5 punti, la Germania ha reagito con un’espansione fiscale del 5,5 per cento del Pil, il Giappone del 9,1 per cento (Fig .1). I grandi paesi dell’Eurozona hanno approvato espansioni fiscali più contenute rispetto a quelli anglosassoni, anche a parità di caduta del Pil. All’interno dell’Eurozona, i paesi colpiti da recessioni più gravi (Spagna, Italia) hanno incrementato maggiormente il deficit rispetto a quelli meno colpiti (Germania, ma anche Paesi Bassi e Finlandia). Per quanto riguarda l’incremento del debito pubblico, nonostante i deficit elevati, i paesi anglosassoni non hanno registrato gli aumenti maggiori, grazie a contrazioni del Pil nominale più contenute.
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Stipendi pubblici e privati: un aggiornamento
Di contro, le retribuzioni nel settore privato nel triennio in questione sono cresciute del 2,2 per cento, poco al di sopra dell’incremento dei prezzi. Infatti, mentre le previsioni ISTAT circa l’indice dei prezzi indicano di nuovo un aumento contenuto dell’1,8 per cento, l’incremento delle retribuzioni per unità di lavoro nel settore pubblico rispetto al 2018 potrebbe raggiungere il 6,5 per cento a fine 2021. Questo aumento si compone di una crescita moderata nel 2019 (+0,2 per cento, fonte ISTAT) e di un rapido aumento negli anni successivi (+2,1 per cento nel 2020 e +4,1 per cento nel 2021), in base alle stime della Relazione Tecnica alla LdB 2020 e degli stanziamenti aggiuntivi della LdB 2021 (Fig. 1). L’incremento delle retribuzioni pubbliche nel triennio in corso è quindi principalmente dovuto agli stanziamenti delle ultime due Leggi di Bilancio, con cui sono stati stanziati complessivamente quasi 3,8 miliardi di euro per il rinnovo dei contratti dei dipendenti delle amministrazioni centrali nel 2021 (di cui 400 milioni con l’ultima LdB). Infatti, dopo che il blocco aveva portato questo rapporto appena al di sopra di 1,2 (le retribuzioni nella PA erano del 21,3 per cento maggiori rispetto a quelle private nel 2015), il rapporto potrebbe superare 1,3 a fine 2021 (Fig. 2). Tuttavia, anche assumendo per le retribuzioni private una crescita sostenuta, al di sopra dell’inflazione e in linea con il triennio 2016-2018 nonostante la crisi economica (Scenario “basso” della Fig. 2), nel 2021 le retribuzioni nella PA arriverebbero comunque a essere del 30,2 per cento superiori rispetto a quelle private. Di conseguenza, sembrerebbe che le retribuzioni nel settore pubblico si trovino su un sentiero di crescita sostenuta molto al di sopra dell’inflazione, che potrebbe portarle a livelli simili a quelli pre-blocco.
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Sospensioni fiscali: quanto dovranno pagare i contribuenti nei prossimi mesi?
Di conseguenza, nel 2021 verranno richiesti ai contribuenti 12,2 miliardi di imposte e contributi che avrebbero dovuto essere pagati nel 2020 e che si aggiungeranno a quelli da pagare per il 2021, con oneri particolarmente gravosi tra marzo e giugno, e ulteriori 1,8 miliardi nel 2022. Quanto valgono i pagamenti aggiuntivi che dovranno essere effettuati quest’anno e nel 2022? I primi interventi, dal Cura Italia di marzo al decreto Rilancio di maggio, hanno posticipato solo di qualche mese i pagamenti dovuti. Lo stesso decreto ha rinviato al 30 aprile 2021 il versamento della seconda rata di acconto delle imposte sui redditi e dell’IRAP per i contribuenti forfettari e per quelli che hanno adottato gli indici sintetici di affidabilità (ISA), per un importo di 2,2 miliardi. Il primo decreto Ristori di ottobre ha posticipato, per i datori di lavoro operanti nei settori individuati dall’allegato 1 al decreto, i versamenti dovuti a novembre 2020 di contributi e premi di assicurazione obbligatoria per un importo di 0,5 miliardi. Il decreto Ristori-bis ha esteso la proroga al 16 marzo 2021 anche per i versamenti di novembre dovuti per IVA, addizionali e ritenute su redditi da lavoro dipendente e assimilato, e ha aumentato la platea dei beneficiari del rinvio, prevedendo però che gli stessi operino in settori o zone particolarmente colpite. Lo stesso decreto ha rinviato a marzo 2021 (in una soluzione o in quattro rate mensili di pari importo a partire da marzo) i versamenti di dicembre riguardanti ritenute su redditi da lavoro dipendente e assimilato, addizionali, contributi e IVA per un’ampia platea di contribuenti più colpita dalle chiusure. Per IVA, ritenute e addizionali i beneficiari sono coloro che esercitano un’attività: i) sospesa dal DPCM del 3/10/20; ii) di ristorazione in zona arancione o rossa; iii) in zona rossa e individuata dall’allegato 2 al decreto; iv) in zona rossa e nel settore turistico (art.
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Quanto si “differenzia” in Italia?
Su queste differenze regionali influiscono principalmente il grado di informazione fornita ai cittadini, sia sul modo di attuare la differenziata sia sulla destinazione dei rifiuti, e gli orari di raccolta; per aumentare il grado di differenziazione sono necessari più controlli e maggiore trasparenza da parte delle istituzioni. Secondo ISPRA, in Italia sono stati prodotti nel 2019 circa 30 milioni di tonnellate di rifiuti urbani, di cui oltre 18 (il 61 per cento) sono finiti nella raccolta differenziata. Le regioni ai primi posti sono del Nord e Centro Italia, insieme alla Sardegna, mentre le ultime posizioni sono occupate prevalentemente da regioni del Sud; in particolare, Basilicata, Calabria e Sicilia differenziano meno della metà dei rifiuti urbani prodotti. Tuttavia, se così fosse si dovrebbe trovare una correlazione negativa anche tra grado di differenziazione e altri aspetti relativi alla qualità della raccolta (frequenza di raccolta, quantità di contenitori e sacchetti, cattivi odori causati dall’umido non raccolto, dubbi sull’utilità di differenziare); tale correlazione è invece positiva o nulla. Le principali, in termine di preferenza, sono: maggiore garanzia che i rifiuti vengano riciclati, sanzioni per chi non rispetta le regole di raccolta e agevolazioni fiscali per chi invece le rispetta. La prima misura richiede maggiore trasparenza verso i cittadini, in modo da fugare dubbi riguardo alla destinazione dei rifiuti differenziati; le altre due, invece, indicano l’utilità di penalità o ricompense volte ad incentivare la raccolta differenziata, e quindi l’esigenza di maggiori controlli. In assenza di questi ultimi, è più facile che un cittadino pensi (comunque non correttamente) che, se si è in pochi a rispettare la separazione dei rifiuti, il proprio sforzo diventi inutile.
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Tutto quello che avreste voluto sapere sul “Recovery Fund”
Che rapporto c’è tra Next Generation EU (NGEU) e Recovery and Resilience Facility (RRF)? Il NGEU (anche noto Recovery Fund) dispone di risorse per 750 miliardi, di cui 390 miliardi in sovvenzioni (cioè finanziamenti a fondo perduto) e 360 miliardi in prestiti. La RRF è lo strumento più corposo del NGEU, che assorbe l’intero ammontare dei prestiti ed eroga ulteriori 312,5 miliardi come sovvenzioni per un totale di 672,5 miliardi (art. L’ammontare di sovvenzioni è rimasto invariato rispetto a quanto indicato nell’ultima bozza di PNRR, mentre l’importo dei prestiti è stato rivisto al ribasso di 5 miliardi a seguito dell’introduzione del sopra menzionato tetto massimo del 6,8 per cento dell’RNL. La Commissione può proporre una sospensione nei casi in cui un paese sottoposto a procedura di deficit eccessivo non adotti misure adeguate per far fronte agli squilibri eccessivi o in altre circostanze di mancato aggiustamento per i paesi che abbiano contratto prestiti per superare squilibri macroeconomici. Tuttavia, tale condizionalità è attenuata da tre fattori: La condizionalità macroeconomica è sospesa finché sono sospese le regole europee sui conti pubblici, ovvero fino a quando rimarrà attiva la clausola di salvaguardia generale (“escape clause”) del patto di stabilità e crescita, attivabile in caso di grave recessione in Europa. Almeno il 37 per cento delle risorse del piano deve essere destinato a misure che contribuiscono alla transizione verde (art.16) e 20 per cento a misure che contribuiscono alla transizione digitale. Nel caso in cui, a seguito della revisione degli importi massimi entro il 30 giugno 2022, risulti che a uno Stato membro sia stato erogato un prefinanziamento superiore al 13 per cento del contributo finanziario aggiornato, i pagamenti successivi vengono ridotti fino a compensare l’eccesso.
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Dodici note per dodici mesi
La proposta, votata favorevolmente dagli italiani, ha previsto un taglio di 345 parlamentari, una riduzione forse eccessiva per il corretto funzionamento di un sistema bicamerale, tenuto anche conto della marginale diminuzione della spesa pubblica che comporta. A settembre si è parlato anche di aumentare il numero di insegnanti per ovviare al presunto problema delle classi pollaio in modo permanente e non solo per il periodo di emergenza Covid. La risposta del Governo all’aumento dei contagi è stata quella di adottare un sistema basato su 21 indicatori, che assegnano un colore diverso a ciascuna regione, determinando l'adozione di misure più o meno restrittive in base al grado di severità dell'epidemia. L’indice si compone di cinque dimensioni: la diffusione dell’infrastruttura a banda larga e la sua qualità (connettività), le competenze digitali dei singoli cittadini (competenze digitali), l’uso medio di internet (utilizzo di internet), la digitalizzazione delle imprese (digitalizzazione imprese) e il grado di digitalizzazione della PA (digitalizzazione dei servizi pubblici). Febbraio 2020 Che effetti può avere una pandemia sull’economia mondiale? Quali potrebbero essere gli effetti economici di una pandemia di Coronavirus? Rispondere a questa domanda è complicato, soprattutto perché la risposta dipende in larga misura dall’estensione del contagio. C’è chi ha confrontato solo il numero assoluto, notando che l’Italia è il paese col numero più alto di parlamentari in Europa; c’è chi, invece, ha confrontato il totale di parlamentari per abitanti e ha sostenuto che l’Italia ne ha un numero abbastanza contenuto. Nel 2021 il fabbisogno lordo di finanziamento per lo Stato è stimato in circa 500 miliardi, di cui 141 miliardi per coprire il deficit, previsto arrivare all’8 per cento di Pil, e i restanti 357 miliardi per titoli in scadenza da rimborsare, assumendo che non ci saranno nuove emissioni.
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Anatomia dei ristori in alcuni paesi europei
Si trascurano altri aspetti non meno importanti delle politiche di sostegno – o ristoro - quali le dilazioni o cancellazioni di imposte, gli ammortizzatori sociali, le misure per la liquidità; l’insieme di queste misure è stato analizzato in una precedente nota. Germania Il primo pacchetto di misure adottato nel marzo scorso in favore degli operatori economici (lavoratori autonomi e piccole imprese) è stato il programma Soforthilfe, che prevedeva l’erogazione di contributi una tantum indipendentemente dal settore di operatività, a copertura dei costi operativi di tre mesi. Successivamente, con uno schema valido nel periodo giugno-agosto 2020, il sostegno generalizzato alle imprese ha assunto la forma di un contributo mensile per tutte le attività economiche con un calo del fatturato cumulativo tra aprile e maggio di oltre il 60 per cento, rispetto allo stesso periodo del 2019. Per tutte le tipologie di aiuto, il “periodo di riferimento” rispetto a cui calcolare la differenza di fatturato rispetto a quando si fa domanda al fondo è o lo stesso mese del 2019 o la media mensile del fatturato nel 2019, qualora quest’ultimo caso sia più conveniente per l’operatore. Per quanto riguarda il modello tedesco, le differenze più importanti rispetto a quello italiano sono: • la possibilità di ristorare le imprese indipendentemente dal settore di operatività, al solo verificarsi di una perdita di fatturato. In Italia la scelta iniziale di utilizzare la perdita di fatturato di aprile 2020 rispetto ad aprile 2019 è stata mantenuta nel corso dell’intero anno per sveltire le pratiche, ma è con tutta evidenza una procedura assolutamente sub-ottimale. Una caratteristica interessante del sistema francese rispetto a quello italiano è data dalla rappresentatività del periodo di tempo considerato per calcolare il valore della perdita, in quanto il mese da considerare del 2019 è quello corrispondente a quello in cui viene fatta la richiesta di contributo.
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Il debito pubblico costa poco: come sfruttare l’occasione
Lo Stato potrebbe ottenere dei risparmi di lungo periodo sulla spesa per interessi continuando ad allungare la scadenza media dei nuovi titoli emessi, in modo da “congelare” gli attuali interessi bassi. La curva dei rendimenti La diminuzione dei tassi d’interesse sul debito, cioè sui titoli emessi dallo Stato italiano, ha interessato sia i titoli a breve sia quelli a lunga scadenza (tra 10 e 30 anni). Negli ultimi anni, la curva dei rendimenti dei titoli di Stato italiani, cioè l’insieme dei tassi d’interesse sul debito suddivisi per scadenze, si è considerevolmente abbassata e appiattita (Fig. 1). Con la crisi dei debiti sovrani del 2011, la curva dei rendimenti era diventata ripida, poiché gli investitori scontavano un maggior rischio di default o ristrutturazione del debito pubblico italiano nel medio-lungo periodo. Un simile calcolo eseguito sui titoli di Stato a 10 anni e 1 anno produce lo stesso risultato: se i rendimenti tornassero ai livelli precedenti al 2013, l’emissione oggi di un BTP a 10 anni sarebbe più conveniente nell’arco di 10 anni dell’emissione e del continuo rinnovo di un BOT a 1 anno. In linea con lo spirito di questa raccomandazione, la vita media del debito pubblico è in aumento dal 2014, ovvero da quando la crisi dei debiti sovrani è rientrata e la politica monetaria della BCE ha favorito un appiattimento della curva dei rendimenti. Tuttavia, l’attuale vita media del debito pubblico (6,9 anni a fine 2020) rimane minore rispetto al livello raggiunto prima della crisi dei debiti sovrani (7,2 anni a fine 2010), quando i rendimenti dei titoli a lunga scadenza erano comunque molto maggiori di oggi.
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L’Italia e le procedure d’infrazione: una pericolosa inversione di tendenza
Negli ultimi anni vi è stata invece un’inversione di tendenza in peggio, tanto che l’Italia si colloca oggi al primo posto per numero di casi pendenti o giudicati presso la Corte di Giustizia Europea. E sempre all’Ambiente si riferiscono tre procedure su sei tra quelle per cui l’Italia è stata sanzionata dalla Corte di Giustizia Europea, tra le quali risultano particolarmente rilevanti quelle relative alla presenza di discariche abusive e al mancato adeguamento delle reti fognarie agli standard europei. Se lo Stato non adempie, la Commissione può portare il caso dinanzi la Corte di Giustizia Europea (di qui in avanti la “Corte”), dando avvio alla seconda fase della procedura (detta “giudiziaria”). Un modo per cogliere questa caratteristica è quello di guardare al numero di procedure attive portate all’attenzione della Corte, ovvero quelle per cui è stato presentato ricorso e quelle per cui è stata emanata una sentenza (e che sono in attesa di adempimento da parte dello Stato). Nella seconda sentenza di condanna la Corte ha sottolineato come una quota consistente di aiuti fosse stata effettivamente recuperata rispetto a quanto constatato nell’ambito del primo giudizio; tuttavia, la Corte ha rigettato la tesi avanzata dall’Italia secondo cui la parte di aiuti ancora non riacquistata fosse impossibile da recuperare. Dal 2012 ad oggi, le sentenze di seconda condanna inflitte all’Italia sono costate più di 750 milioni di euro, di cui 152 versati per sanzioni forfettarie e circa 600 a titolo di penalità (Fig. 6). L’inadempimento alla normativa europea di uno Stato membro può essere riscontrato autonomamente dalla Commissione o attraverso segnalazioni di terzi; in entrambi i casi la Commissione non è obbligata ad iniziare una procedura in virtù degli ampi margini di discrezionalità che gli sono riconosciuti dai Trattati.
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Come sarà finanziato il deficit e il fabbisogno lordo di finanziamento nel 2021? Un aggiornamento.
dicembre 2020 Intermedio Alla luce del recente annuncio della BCE sul prolungamento delle operazioni di acquisto di titoli, si conferma che le istituzioni europee, e in particolar modo la BCE, finanzieranno tutto il probabile deficit del 2021. Nel 2021 il fabbisogno lordo di finanziamento per lo Stato (approssimativamente, la somma del deficit e dei titoli di stato in scadenza) è stimato in circa 500 miliardi, di cui metà sarà coperto dalle istituzioni europee. Entro la fine del 2021 il 29 per cento del debito pubblico italiano sarebbe detenuto dalle istituzioni europee, in primis dalla BCE. La nota è stata ripresa da Repubblica in questo articolo del 19 dicembre 2020. Si stima che i titoli italiani posseduti dalla BCE che scadranno nel 2021 e che verranno rinnovati valgono 53 miliardi a cui si devono sommare circa 158 miliardi derivanti dalla quota del PEPP e dell’APP spettante all’Italia nel 2021. Ipotizzando che questi 500 miliardi siano utilizzati nei 9 mesi in cui è stata prevista l’estensione del programma PEPP e prevedendo una ripartizione mensile uniforme in questo periodo, 333 miliardi sarebbero destinati a copertura del secondo semestre 2021. Le altre risorse europee provenienti dal Next Generation EU valgono complessivamente 25 miliardi, di cui 14 a fondo perduto (di cui 10 dalla Recovery and Resilience Facility, RRF e 4 dal fondo React-EU) e 11 di prestiti (dall’RRF). Rispetto a quanto calcolato in passato dall’Osservatorio, i titoli in scadenza sono diminuiti da 372 miliardi a 357 per effetto di varie operazioni (concambi, riacquisto titoli o rimborsi anticipati) per un valore complessivo di 15 miliardi.
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Le novità del decreto Sostegni
Il decreto da 31,5 miliardi, finanziato in deficit, modifica infatti i criteri per l’erogazione dei contributi a fondo perduto (abbandonando i codici ATECO e utilizzando la caduta del fatturato nell’intero 2020) e del Reddito di Cittadinanza. Il DL Sostegni, pubblicato il 22 marzo, ricalca gli obiettivi dei precedenti decreti Ristori, cioè assistere le categorie più colpite dalle chiusure con l’estensione dei contributi a fondo perduto, delle agevolazioni fiscali e del sostegno ai lavoratori e alla PA (Tav. 1). Il decreto (31,6 miliardi) è stato finanziato in deficit, utilizzando quasi tutto lo scostamento di bilancio richiesto dal governo Conte a gennaio, che ammontava a 32 miliardi. Il governo ha comunque già annunciato che richiederà un ulteriore scostamento di bilancio – si dice dell’ordine di 20 miliardi - per finanziare a breve un secondo DL Sostegni. In parallelo con i precedenti Ristori, una parte rilevante del DL Sostegni riguarda varie agevolazioni fiscali, quali l’esonero del pagamento dei contributi a carico di autonomi e professionisti (1,5 miliardi) e il rinvio dei termini del versamento di alcune cartelle (1,3 miliardi). La cancellazione riguarda 16 milioni di posizioni e quindi (ipotizzando un importo medio di 2.000 euro per posizione) comporta la cancellazione di circa 30 miliardi di crediti. Inoltre, il decreto stanzia 2,1 miliardi per l’acquisto e la distribuzione dei vaccini anti Covid e 700 milioni per l’acquisto di farmaci per i pazienti Covid (ad es. Remdesivir).
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Audizione sulla riforma dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e altri aspetti del sistema tributario
La discussione di una riforma di una delle principali imposte, l’IRPEF, potrebbe aver più facilmente luogo nel contesto di una discussione s una riforma complessiva del sistema tributario, non fosse altro per il fatto che possibili spostamenti di gettito potrebbe essere raccomandabili tra diverse forme di imposizione. Rispetto a quest’ultimo obiettivo, se anche non si semplificasse nulla sarebbe comunque opportuna la preparazione di un Testo Unico sull’IRPEF col fine, per lo meno, di facilitare la consultazione di una normativa che è certamente molto complessa. L’attuale sistema “duale” di tassazione che si è sviluppato in Italia e nella maggior parte dei paesi avanzati, comporta una tassazione diversificata sui redditi da lavoro e i redditi che derivano da impiego di capitali. Primo, penso che le categorie dei redditi di impresa minore e di lavoro autonomo potrebbero essere riunificate come “redditi di lavoro indipendente”, quindi con un’unica base imponibile, determinata in base al principio misto di cassa/competenza esistente per le imprese minori. Il mantenimento delle due attuali categorie (redditi di capitale e redditi diversi) a seconda che il rendimento di un investimento finanziario si realizzi attraverso il pagamento di interessi o dividendi o attraverso una plusvalenza non ha una giustificazione economica e complica inutilmente il sistema. Tale sistema però aumenterebbe, rispetto all’attuale situazione di tassazione separata, l’aliquota marginale in caso di decisione di entrata nel mondo del lavoro del secondo percettore di reddito, solitamente donna. Al contrario si dovrebbe almeno dare una seria considerazione all’introduzione di una minore tassazione, su base temporanea, del secondo percettore di reddito, cosa peraltro giustificata dal fatto che l’elasticità dell’offerta di lavoro di tale percettore risulta solitamente elevata.
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Assegno unico: caratteristiche e risorse disponibili
Le risorse messe a disposizione per finanziare la misura sono pari a 21,6 miliardi tra risorse già stanziate in passato, le nuove risorse previste dalla legge di bilancio 2021 anche per i prossimi anni e minori costi/maggiori entrate derivanti dalle sei misure che verranno sostituite dall’assegno unico. Questo intervento, che corrisponde a un aumento del 40 per cento rispetto agli stanziamenti delle sei misure abolite, avvicinerà l’Italia alla media europea in termini di spesa pubblica sostenuta per politiche a supporto delle famiglie con figli. A giugno dello scorso anno è stato presentato in Parlamento il disegno di legge 1892/2020 relativo al riordino, semplificazione e potenziamento delle misure a sostegno dei figli a carico attraverso l'assegno unico e universale. Esso sarebbe, inoltre, compatibile con altre forme di sostegno (es. il Reddito di Cittadinanza) e verrebbe riconosciuto sotto forma di credito di imposta o di erogazione della somma dovuta. Non era l’unico testo a occuparsi di riordino delle misure per il sostegno alle famiglie; l’attenzione a questa tematica era presente anche nel cosiddetto Family Act, più propriamente denominato “Deleghe al Governo per il sostegno e la valorizzazione della famiglia” (il cui esame è iniziato alla Camera il 30 luglio 2020). A queste si aggiungono le risorse stanziate appositamente dalla legge di bilancio per il 2020 (1.044 milioni per il 2021 e 1.244 a partire dal 2022) per la creazione di un Fondo Assegno Universale, risorse che sono state incrementate di circa 3 miliardi per il 2021 stanziati dall’ultima legge di bilancio. L’incremento di risorse derivante dagli stanziamenti per l’assegno unico a partire dal 2022 (cioè dal momento in cui il valore si stabilizzerà in base alle disposizioni attuali) è pari a 6 miliardi (21,6 miliardi meno i 15,6 attualmente spesi per famiglie con figli a carico).
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Come funziona il sistema sanitario tedesco?
L’offerta di servizi sanitari è per la maggior parte privata: solo un quarto degli ospedali sono pubblici, anche se offrono quasi la metà dei posti letto. Le principali differenze sono che: per quelle pubbliche il contributo è fissato dalla legge, pari al 14,6 per cento del salario lordo dell’assicurato (di cui metà è a carico del datore di lavoro), indipendentemente dal suo stato di salute. In caso di necessità, il medico di base (medico di medicina generale) è sempre un punto di riferimento, ma ci si può anche rivolgere subito a uno specialista senza necessità di un’impegnativa, diversamente da quanto avviene in Italia. Solo il numero di posti letto di terapia intensiva è aumentato del 31 per cento dai 20.200 del 1991 ai 26.397 del 2019, e più della metà sono situati in ospedali pubblici. Le ragioni del calo sono da ricercarsi nell’impiego di nuove tecnologie, di migliori cure, di una migliore prevenzione e di un’ampia rete di strutture sanitarie. All’assicurazione sanitaria si aggiungono una assicurazione infermieristica per l’assistenza domiciliare obbligatoria, pari al 3,3 per cento del salario lordo dell’assicurato (c’è una riduzione al 3,05 per cento se ci sono figli o minori di 23 anni assicurati) e un importo aggiuntivo di circa l’1 per cento stabilito dalle singole casse assicurative. A questi numeri, si deve sommare il personale che opera fuori dagli ospedali: circa 11mila medici e 112mila unità di personale non medico per le strutture preventive o riabilitative (dati 2017), 796mila unità di personale sanitario per le case di cura e 422mila unità di personale sanitario per i servizi di assistenza ambulatoriale (dati 2019).
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Come gestire la Pubblica Amministrazione? I Public Service Agreement britannici
Questo sistema, seppur nominalmente abolito nel 2010, è stato in parte mantenuto dai governi successivi e ha consentito di indirizzare maggiormente l’operato di ministri e dirigenti pubblici verso obiettivi concreti e coerenti con quelli del governo. I difetti principali dei PSA erano la mancanza di incentivi monetari per chi raggiungeva i risultati e la difficoltà da parte dei ministeri di allineare l’operato delle loro sotto-unità agli obiettivi generali indicati dal governo. Fin dalla loro nascita nel 1998, quando Tony Blair era Primo Ministro e Gordon Brown Cancelliere dello Scacchiere (ossia ministro del Tesoro), i PSA erano basati su “accordi” (per quanto informali) tra il ministero del Tesoro, che metteva a disposizione risorse, e i vari ministeri, che le ricevevano. Questi accordi informali contenevano una lista di risultati concreti e misurabili che i ministeri dovevano raggiungere entro un orizzonte temporale fissato, solitamente di medio periodo (da 2 a 4 anni, ma con obiettivi intermedi annuali). Di contro, a evolversi fu innanzitutto il numero di target (600 nel 1998, 160 nel 2000, 130 nel 2002, 110 nel 2004 e 30 nel 2007), che diminuì progressivamente per consentire maggior spazio di manovra a ministeri e sotto-unità nello stabilire come raggiungere obiettivi principali di più ampio respiro e sempre più spesso trasversali tra vari ministeri. Questo fenomeno potrebbe essere stato causato dalla necessità di adattare l’azione di ogni unità al contesto specifico, che è peraltro una delle critiche principali ai PSA. L’importanza ricoperta dai PSA nell’operato quotidiano del settore pubblico britannico trova riscontro anche nelle testimonianze degli stessi dirigenti pubblici. Inoltre, i PSA si sono costantemente evoluti grazie all’interesse dei politici all’apice del Partito Laburista e del governo britannico per la messa a punto di uno strumento di indirizzo e controllo dell’azione della PA, ritenuto fondamentale per dare credibilità e seguito ai progetti di riforma del New Labour.
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L’istruttoria tecnica sui profili finanziari nell’esame parlamentare dei provvedimenti: i dossier dei Servizi Bilancio.
dicembre 2020 Intermedio Le quantificazioni delle norme e le relative coperture che accompagnano, per obbligo di legge, ogni atto normativo proposto dal Governo dovrebbero essere oggetto di un’attività di verifica sistematica da parte del Parlamento e in particolare da parte delle commissioni bilancio. Ciò avviene malgrado il fatto che la legge del 2009, che regola la contabilità pubblica, preveda una robusta attività di verifica dei profili finanziari delle norme da parte del Parlamento ed elenchi minuziosamente gli ambiti in cui si deve svolgere tale attività. Questo stato di cose è una delle tante conseguenze negative del modo frettoloso con cui si fanno le leggi e del numero spesso esorbitante di articoli, commi ed emendamenti che vi afferiscono. Il Disegno di Legge di Bilancio 2021 Si esamina di seguito, a titolo di esempio, il Dossier pubblicato il 25 novembre scorso nella collana congiunta dei due Servizi Bilancio sul Disegno di Legge di Bilancio 2021 (A.C. Coerenza fra i tetti di spesa previsti e la finalità della norma Molte misure delle DDL Bilancio sono configurate come “limiti massimi di spesa”, il che significa che non è possibile spendere più di quanto preventivato dalla norma. Dal punto di vista sostanziale, però, la prassi di prevedere tetti di spesa che poi si rivelano insufficienti priva la Legge di Bilancio del suo compito precipuo, che è quello di fornire un quadro sufficientemente affidabile, a meno di eventi eccezionali, dell’andamento programmato dei conti pubblici dell’anno successivo. Mancanza di chiarezza su quali misure siano già scontate nel tendenziale Il Dossier evidenzia che parte dell’onere di alcune misure viene scontato dalla RT direttamente nei tendenziali di finanza pubblica, rendendo quindi complicata l’individuazione del reale effetto oneroso aggiuntivo prodotto da una nuova norma rispetto alla legislazione vigente.
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Esame della proposta di Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza
Il grado di specificità e dettaglio nella definizione delle azioni da intraprendere, compreso in termini di target e milestone che devono essere raggiunti per consentire l’erogazione dei finanziamenti. Ci sono senza dubbio tante cose appropriate (per esempio, l’attenzione agli investimenti pubblici che sono stati insufficienti negli ultimi anni), ma è naturale per me, volendo indicare aree di miglioramento, concentrarmi sugli aspetti negativi più che su quelli positivi. Il secondo punto è che una presentazione più concisa, non strettamente in termini di lunghezza ma di rapporto tra testo e contenuti sostanziali, sarebbe stata più efficace. Il PNRR abbonda di affermazioni di carattere generale e di ripetizioni che rendono il documento meno efficace di quello che dovrebbe essere e di più difficile lettura. L’adeguatezza della strategia di crescita che dovrebbe essere realizzata attraverso il PNRR Nelle sue prime pagine (in particolare dalla 12 alla 19) il PNRR definisce la strategia di crescita che l’Italia dovrebbe seguire. Meno del 30 per cento delle linee di intervento infatti definisce un obiettivo quantificato precisamente, come ad esempio il numero di beneficiari da raggiungere, di edifici da ristrutturare o di impianti da installare. Il regolamento richiede che i paesi descrivano nel loro piano i sistemi di controllo e le misure che impediranno l’insorgere e eventualmente individueranno, porteranno alla luce e correggeranno conflitti di interesse e fenomeni di corruzione e frode nell’uso delle risorse del PNRR.
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Le misure del Piano Biden per fronteggiare la crisi economica
Per le misure di rilancio dell’economia, bisognerà attendere ulteriori provvedimenti che sono stati già annunciati e dovrebbero prevedere investimenti in infrastrutture e altre misure orientate alla crescita. Il piano ammonta complessivamente a 1,9 trilioni di dollari, di cui 1,16 trilioni sono stanziati per il 2021, 529 miliardi per il 2022, 114 miliardi per il 2023 e la restante parte tra il 2024 e il 2025. Gli effetti sul deficit Le stime del Congressional Budget Office (CBO) di febbraio, che includevano l’ultimo pacchetto di misure dell’amministrazione Trump, prevedevano una riduzione del deficit federale dal 16,0 per cento del Pil nel 2020 - pari a 3.310 miliardi di dollari – al 10,3 per cento – pari a 2.258 miliardi di dollari. Si tratta di un credito d’imposta anticipato sulle tasse del 2021 che si somma ai due precedenti assegni di 1.200 e 600 dollari menzionati precedentemente - con alcune rilevanti modifiche che aumentano l’ammontare del beneficio; [6] Ulteriore espansione del credito d’imposta per i figli a carico (“Child Tax Credit”) per 19,5 miliardi. Il piano Biden aumenta l’importo detraibile per ogni figlio a carico (che è passato da 2.000 dollari per i figli a carico minori di 17 anni a 3.600 dollari per i figli di età compresa tra 0 e 5 anni e 3.000 dollari per gli altri figli a carico). A differenza del Next Generation EU, il cui principale obiettivo è incentivare gli Stati membri ad intraprendere cambiamenti strutturali (ad esempio, transizione digitale, transizione ecologica), l’ARPA concentra la maggior parte delle risorse su spese di breve periodo (il 61 per cento delle risorse sono destinate al 2021). La principale modifica riguarda l’estensione dei familiari considerati a carico: mentre i primi due assegni prevedevano la possibilità di ottenere 600 dollari per ogni figlio a carico minore di 17 anni, questa misura estende il beneficio addizionale a tutti i familiari a carico senza limiti d'età.
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Gender tax: tra criticità e alternative
A fronte di critiche relative alla costituzionalità della misura, alla mancanza di equità o alla difficoltà di implementazione, alcuni autori hanno proposto alternative indipendenti dal genere che possano comunque stimolare l’occupazione femminile. Inoltre secondo gli autori potrebbe essere implementata senza alcun effetto sul deficit, compensando una minore tassazione per le donne con una maggiore tassazione per gli uomini: la diversa elasticità consentirebbe, a parità di gettito, di aumentare l’occupazione. Alcuni autori affermano anche che una tassazione basata sul genere potrebbe portare a una perdita di equità: un uomo con un reddito più basso potrebbe essere tassato con un’aliquota maggiore rispetto ad una donna con un reddito più alto. Infine, anche se la misura venisse introdotta senza effetti sul deficit di lungo termine, ci sarebbe comunque una prima fase di perdita di gettito poiché l’aggiustamento dell’offerta di lavoro femminile rispetto ad una tassazione più bassa non sarebbe immediata. Saint Paul (2007) critica l’idea di una tassazione basata sul genere, ma propone, comunque, un sistema di tassazione che, di fatto, agevola il secondo percettore di reddito, e quindi solitamente la donna. Alcuni interventi non trovano espressione nel bilancio di genere in quanto di natura regolamentare e quindi privi di effetti in termini di spesa, o perché composti da trasferimenti ad altre PA, come le norme su “quote rosa” e femminicidio, o le spese per servizi all’infanzia erogati dai comuni. “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. . Un articolo di Raffaela Palomba Download Scarica il PDF.
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PNRR: le 419 condizioni per trasformare l’Italia
I milestone e target sono inclusi nelle cosiddette “schede” che, nella versione proposta dalle autorità italiane, sono state circolate da alcuni giornali qualche giorno fa. Si tratta di 419 passi da compiere per trasformare l’Italia. I target invece sono definiti in modo più oggettivo, ma sono lontani nel tempo: tre quarti dei target sono concentrati tra il quarto trimestre del 2024 e la fine del 2026. Per valutare il progresso nella loro realizzazione e consentire l’erogazione dei corrispondenti finanziamenti (vedi punto 52 del regolamento 2021/241 della Recovery and Resilience Facility), le autorità italiane hanno identificato, nelle 2.500 pagine contenenti le cosiddette “schede”, 419 obiettivi che devono essere raggiunti a certe scadenze nel corso dei prossimi sei anni. le “milestone”, anche in questo caso relative sia a riforme sia a investimenti, sono obiettivi qualitativi, relativi, perlopiù all’approvazione di leggi, semplificazioni normative e riorganizzazioni; ce ne sono 205 e, vista la loro natura, spesso precedono i target nel tempo, spianando la strada al loro raggiungimento. Completamento del rinnovo di almeno 12 milioni di m2, con il risparmio di almeno il 40% dell'energia; rinnovo almeno 1,4 milioni di m2 a scopo antisismico. Completamento del rinnovo per almeno 32 milioni di m2, con risparmio di almeno il 40% dell'energia; rinnovo di 3,8 milioni di m2 a scopo antisismico. Riduzione dei tempi di disposizione (indicatore della durata dei procedimenti calcolato come rapporto tra i procedimenti pendenti alla fine dell’anno e quelli che sono stati conclusi) del 40% per tutte le istanze dei contenziosi civili e commerciali.