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500 risultati trovati

  • Politiche di bilancio non convenzionali in risposta alla pandemia

    Secondo il preconsuntivo redatto dal Fondo Monetario Internazionale, gli aumenti sono stati più forti nei paesi avanzati che nei paesi emergenti o a basso reddito, in parte per via del maggiore spazio fiscale di cui disponevano i primi. Il Regno Unito e gli Stati Uniti dovrebbero aver registrato i maggiori aumenti dei deficit (rispettivamente +12,2 e +11,1 punti di Pil); la Germania dovrebbe essere il paese con minori aumenti, verosimilmente perché meno colpita dalla prima ondata del Covid e dalle relative conseguenze negative su Pil e conti pubblici. L’aumento del rapporto debito/Pil è stato più marcato nei paesi avanzati (+18 punti, al 122,7 per cento) che nel resto del mondo (+9 punti, al 63,3 per cento); va però osservato che gli attuali livelli del debito, specie nei paesi più poveri, sono considerati difficilmente sostenibili. Ad esempio, la Germania ha avuto il minore peggioramento del deficit (+6,6 punti di Pil) e la minore caduta del Pil (-5,4 per cento), per l’evidente motivo che è stato uno dei paesi meno colpiti dall’epidemia. Fra i paesi considerati l’Italia è uno di quelli che ha attuato politiche di spesa più consistenti (+9,8 punti di Pil), il che porterebbe il totale della spesa pubblica al 58,5 per cento del Pil (Tav 3). Nel caso dell’Italia l’incremento del rapporto spesa totale/Pil (+9,8 per cento nel 2020) è attribuibile all’effetto meccanico del più basso denominatore per 4,4 punti; questo è quanto si ottiene rapportando la spesa nominale del 2020 al Pil del 2019. Ad esempio, per la Germania, il FMI specifica che sono stati varati due pacchetti di misure, uno a marzo per 156 miliardi di euro (4,9 per cento del Pil) e uno in giugno per 130 miliardi (4 per cento del Pil).

  • Emersione del lavoro irregolare in Italia: la sanatoria del decreto Rilancio è stata efficace?

    Nel decreto legge “Rilancio” (DL 34/2020) del maggio scorso era prevista una procedura per l’emersione di rapporti di lavoro irregolari; fra le motivazioni che erano state addotte vi era la carenza di manodopera straniera per l’agricoltura. Alla luce delle diverse opinioni in campo, lo scopo di questa nota è quindi di offrire una breve valutazione del provvedimento, con l’intento di capire se, come sostenuto da alcuni, si potesse fare di più. L’istanza doveva inoltre soddisfare una serie di requisiti, tra cui il pagamento di due contributi forfettari: uno da 500 euro per ciascun lavoratore da regolarizzare e un altro di importo variabile per le somme dovute dal datore di lavoro a titolo di sanatoria retributiva, contributiva e fiscale. Nel resto della nota ci concentriamo solo sulle domande di regolarizzazione relative a cittadini extracomunitari senza permesso di soggiorno; ciò perché analoghi provvedimenti di sanatoria adottati in passato hanno prodotto risultati pressoché nulli relativamente all’emersione di rapporti di lavoro con cittadini italiani, comunitari ed extracomunitari con permesso di soggiorno. Tra queste, la quota maggiore di domande è stata presentata per la regolarizzazione di rapporti di lavoro nel settore domestico e dell’assistenza alla persona (176.848), mentre appena il 15 per cento ha riguardato l’emersione di rapporti lavorativi nel comparto dell’agricoltura (30.694). Stando al dettato della norma, le domande di emersione avrebbero potuto infatti riguardare rapporti di lavoro intrattenuti irregolarmente con cittadini italiani, comunitari, extracomunitari con permesso di soggiorno ed extracomunitari senza permesso di soggiorno. Per la carenza di incentivi e la presenza di costi amministrativi di cui si è detto in precedenza, l’unica categoria realmente interessata ad accedere alla sanatoria è però quella dei cittadini extracomunitari senza permesso di soggiorno.

  • Le dimensioni dello Stato imprenditore italiano

    Si dice spesso che le imprese pubbliche in Italia hanno ora un peso minore che in Francia e Germania e che dovrebbero svolgere nel nostro paese un maggiore ruolo “strategico”. Tuttavia, se si considera il comparto delle maggiori imprese, quelle che possono svolgere un ruolo strategico, le partecipate pubbliche hanno già un peso simile in Italia rispetto alla Francia (e superiore a Germania, Spagna e Regno Unito). La nota è stata ripresa da questo articolo di Repubblica del 27 dicembre 2020 * * * In Italia, lo Stato centrale e gli enti locali gestiscono direttamente e indirettamente un “universo” di migliaia di partecipate. Gli enti locali infatti hanno fatto sempre più utilizzo di società di diritto privato per la gestione di servizi e per l’esercizio di attività pubbliche, il che ha posto la necessità di limitare l’utilizzo dello strumento societario da parte dei piccoli comuni e di razionalizzare le partecipate locali. Di conseguenza, per avere un’idea dell’intervento dello Stato imprenditore nelle grandi imprese che possono avere un ruolo strategico, è più utile utilizzare dati diversi, che si focalizzano direttamente sulle grandi imprese. Infatti, anche se impiegano circa un terzo dei dipendenti delle corrispondenti francesi e tedesche, le principali partecipate pubbliche italiane hanno comunque una quota superiore al 30 per cento della forza lavoro delle 50 maggiori imprese del paese, un dato di 5,3 e 8,8 punti percentuali superiore rispetto a Francia e Germania (Tav. 1). È probabile che questo sia almeno in parte dovuto alla buona performance delle imprese di pubbliche o para-pubbliche che hanno beneficiato di una gestione più trasparente ed efficiente, grazie alla privatizzazione di diritto (ad es. Eni ed Enel in Italia).

  • Osservazioni al Disegno di Legge di Bilancio 2021-2023

    Quadro complessivo di finanza pubblica Il quadro di finanza pubblica in cui si inserisce il Disegno di Legge di Bilancio (DDL) per il triennio 2021-23 è quello presentato nel Documento Programmatico di Bilancio 2021 (DPB) elaborato a metà ottobre (Tav.1). La Manovra Il disegno di legge di bilancio prevede misure espansive per 30,8 miliardi nel 2021, 34,8 miliardi nel 2022 e 32,5 miliardi nel 2023; le coperture previste ammontano a 6,2 miliardi per il 2021, 22,7 miliardi per il 2022, 35,9 miliardi per il 2023 (si veda Tav.2). L’indebitamento netto aumenta quindi rispetto al quadro a legislazione vigente di 24,6 miliardi nel 2021 e 12,0 miliardi nel 2022; diminuisce di 3,5 miliardi nel 2023. Basandosi sulle informazioni contenute nella Nadef 2020 sull’uso dei fondi europei, l’Ufficio Parlamentare di Bilancio stima che le retroazioni fiscali potrebbero essere sovrastimate di almeno un quarto (oltre 3 miliardi nel 2022 e oltre 5 miliardi nel 2023). Nello specifico, il “Fondo di rotazione” avrà una dotazione di 35,3 miliardi nel 2021, 41,3 nel 2022 e 44,6 nel 2023, per un totale di 121,2 miliardi. Questo orientamento, eccezionalmente espansivo, della politica di bilancio è giustificato dalla gravità della crisi sanitaria ed economica ed è resa possibile dai massicci acquisti di titoli di Stato da parte dell’Eurosistema, nonché dalla disponibilità di risorse imponenti provenienti dalle istituzioni europee. Al netto delle risorse previste dal NGEU, secondo la Nadef la spesa per investimenti fissi lordi della PA dovrebbe avere il seguente profilo: 41,2 miliardi del 2019, 44,6 miliardi nell’anno in corso, 47,5 miliardi nel 2021, 50,6 miliardi nel 2022 e 49,7 nel 2023.

  • Garanzie statali: quale quota di prestiti bancari è garantita dallo Stato?

    Quale quota dei prestiti bancari è coperta dalle garanzie statali? Rispondere a questa domanda è essenziale per capire quali prestiti potrebbero degenerare in NPL (ovvero crediti deteriorati) col prolungarsi della crisi e mettere quindi in difficoltà le banche e, indirettamente, le imprese. Quello degli NPL è un problema da non sottovalutare ed è di recente stato richiamato dal Gruppo dei 30 in un rapporto di un gruppo di lavoro guidato da Mario Draghi e Raghuram Rajan. Per fronteggiare il problema, nell’attuale contesto di crisi, lo Stato italiano, come gli altri stati, ha concesso ampie garanzie sui prestiti bancari. Inoltre, il Decreto Liquidità ha rafforzato il ruolo di SACE, società a controllo indiretto statale (tramite la Cassa depositi e prestiti S.p.A., che ne detiene il 100 per cento del capitale), il cui ruolo è quello di sostenere l'internazionalizzazione delle imprese italiane. L’attività dell’ente è stata ampliata attraverso Garanzia Italia, strumento introdotto per assistere in via temporanea le imprese medio-grandi danneggiate dalla crisi e le PMI che hanno esaurito la loro capacità di accesso al Fondo di Garanzia. L’importo totale di tali garanzie al novembre 2020 era di 220 miliardi, di cui, come indicato sopra, quasi 130 sono state fornite a seguito dei predetti decreti. Per quelle del Fondo, invece, è concesso il rilascio di garanzie a fronte di prestiti esistenti a condizione che l’erogazione sia stata effettuata non più di 3 mesi prima della richiesta al Fondo e, comunque, non prima del 31 gennaio 2020.

  • Calo della mobilità in Italia: confronto tra prima e seconda ondata

    Com’è cambiata la mobilità in novembre rispetto alla situazione precedente la pandemia? Per valutare il calo della mobilità a novembre si considera il dato al 24 novembre, per evitare di includere anche l’effetto delle riaperture iniziate dal 29. Il calo della mobilità a livello nazionale ha interessato un po’ più la domanda con una diminuzione degli spostamenti verso i luoghi di svago del 38 per cento, anche se il calo verso punti di vendita di prodotti essenziali (supermercati e farmacie) è stato naturalmente più contenuto (10 per cento). Dai dati trimestrali di contabilità nazionale si può stimare che in aprile il calo del Pil potrebbe essere stato dell’ordine del 23 per cento rispetto a gennaio, in corrispondenza di un calo della mobilità, come abbiamo visto, del 63 per cento. Mantenendo la stessa proporzione tra calo del Pil e calo della mobilità, il calo del Pil potrebbe essere stato nell’ordine del 9 per cento in novembre (sempre rispetto al livello di inizio anno). Effetto dell’introduzione di misure restrittive La minore mobilità di novembre rispetto a inizio anno può essere stata influenzata non solo dalle restrizioni introdotte in quel mese con il Dpcm del 3 novembre, ma anche da altri fattori, come il già basso livello della mobilità prima delle restrizioni. Per isolare l’effetto delle restrizioni introdotte con il Dpcm del 3 novembre, che è diventato effettivo il 6 novembre, si confrontano il valore del martedì precedente l’inizio delle prime restrizioni (in particolare il 27 ottobre, per evitare effetti legati all’annuncio) e quello successivo all’ultima restrizione (24 novembre). I risultati mostrano un calo della mobilità verso i luoghi di svago del 17 per cento, dell’11 per cento verso alimentari e farmacie e del 7 per cento verso i luoghi di lavoro (Tav.2).

  • La giustizia civile italiana resta la più lenta d’Europa, ma c’è qualche miglioramento

    La performance della giustizia civile italiana nel biennio 2017-2018: l’ultimo rapporto CEPEJ Due sono i principali indicatori tratti dal rapporto su cui vale la pena di soffermarsi: (1) il tasso di smaltimento dei procedimenti e (2) il tempo necessario per portare a compimento i procedimenti. (1) Il tasso di smaltimento dei procedimenti Il tasso di smaltimento misura il rapporto tra i procedimenti definiti e quelli iscritti in un anno (moltiplicato per 100) e quindi dà informazioni sulla capacità degli uffici o sistemi giuridici di gestire il proprio carico di lavoro. Il disposition time per i processi che giungono al terzo grado di giurisdizione (Corte di Cassazione), di solito i processi più importanti, si è ridotto nel 2018 da 2.950 a 2.656 giorni (meno 294 giorni). Questo andamento complessivo deriva da un miglioramento del secondo e terzo grado di giudizio (rispettivamente di 130 e 176 giorni), mentre il disposition time del primo grado è aumentato, anche se solo marginalmente (13 giorni) (Fig. 2). Il Tribunale di Patti è in ultima posizione nel 2019, con 938 giorni, a causa di un aumento della durata media dei procedimenti di 214 giorni dal 2017. In terzultima e in penultima posizione ci sono il Tribunale di Vibo Valentia (912 giorni) e Vallo della Lucania (749 giorni), anche se la durata media dei loro procedimenti si è ridotta rispettivamente di 117 e 35 giorni dal 2017. Ad esempio, se in un ufficio i procedimenti definiti alla fine di un anno sono 80 e quelli pendenti 40, il disposition time di quell’ufficio è pari a 730 giorni e indica che a quell’ufficio serviranno due anni per esaurire l’ammontare di procedimenti rimasti aperti a fine anno.

  • Gli stipendi dei dipendenti pubblici sono troppo bassi?

    A chi ha fatto notare che, in questo momento, sono i lavoratori del settore privato a sostenere il peso della crisi, è stato risposto che gli stipendi pubblici erano stati erosi dai blocchi al rinnovo dei contratti iniziati nel 2010. Attualmente il rapporto tra stipendi pubblici e privati non appare particolarmente basso, essendo solo di poco inferiore alla media degli ultimi decenni. Anche confrontando i livelli del rapporto tra stipendi pubblici e stipendi privati con gli altri paesi, non sono attualmente rilevabili grosse anomalie: il blocco dei rinnovi ha portato le retribuzioni degli statali italiani in linea con quelle dei dipendenti pubblici degli altri paesi avanzati. L’evoluzione del rapporto tra retribuzioni pubbliche e private Effettivamente, il blocco dei contratti pubblici ha portato a una caduta di questi salari rispetto a quelli privati. Il confronto internazionale Oltre al confronto nel tempo, è utile confrontare il rapporto tra stipendi pubblici e privati con quello degli altri paesi. Conclusione In conclusione, l’attuale livello delle retribuzioni dei dipendenti pubblici rispetto a quelli privati è di poco inferiore rispetto alla media degli ultimi quarant’anni, mentre il wage premium è in linea con quello degli altri paesi avanzati. Inoltre, è possibile che la crisi porti ad una caduta delle retribuzioni nel settore privato tale da innalzare questo rapporto di più rispetto allo stanziamento previsto dal governo.

  • Coronavirus e blocco delle attività: cosa succede all'estero?

    Spagna Le misure attualmente in vigore in Spagna sono simili a quelle adottate in Italia, e prevedono la chiusura di tutte le attività “non essenziali”, sia commerciali sia produttive. Alcune misure di chiusura erano già in vigore dal 14 marzo, ma sono state rafforzate dal 30 marzo fino (per ora) al 9 aprile. Francia Tutte le attività produttive non aperte al pubblico restano aperte. Belgio Le attività produttive “non essenziali” sono bloccate solo se non possono essere svolte tramite telelavoro o garantendo le distanze di sicurezza all’interno dell’azienda (1,5 metri tra una persona e l’altra). Tutti i negozi e le attività commerciali sono chiusi, ad eccezione di alimentari, farmacie, edicole, stazioni di servizio e parrucchieri; tutti gli altri possono fare solo consegne a domicilio. Paesi Bassi Attualmente sono chiusi fino al 28 aprile soltanto i bar, i ristoranti e in generale tutte le attività commerciali non essenziali che richiedono il contatto fisico (come i parrucchieri). Alcuni Stati hanno provveduto a chiudere solamente le scuole, mentre altri come lo Stato di New York (dove si concentra il maggior numero di casi di coronavirus) hanno chiuso bar, ristoranti, cinema e tutte le attività che comportano un contatto fisico (come i parrucchieri).

  • Blocco dei settori “non essenziali”: quali risvolti per l’economia nazionale?

    La lista dei settori ritenuti “essenziali” per i quali è stata consentita la continuità dell’attività produttiva è stata pubblicata per la prima volta all’interno dell’allegato 1 del Dpcm 22 marzo 2020 ed è stata aggiornata con il Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico del 25 marzo. Sulla base dei dati Istat, si può stimare che circa il 40 per cento del valore aggiunto e della produzione italiana è imputabile ai settori bloccati. Importazioni Per quanto riguarda l’import, occorre tenere conto di due fattori: da un lato, si deve considerare la riduzione delle importazioni relative agli input intermedi destinati ai settori bloccati; dall’altro lato, si possono registrare incrementi delle importazioni dovute all’interruzione della produzione italiana a seguito della chiusura dei settori bloccati. Vi è infatti una parte della domanda di input intermedi destinati ai settori produttivi “essenziali” che prima era soddisfatta dai settori che sono stati chiusi. La riduzione di importazioni di input dovuto al blocco della produzione nei settori “non essenziali” è quantificabile in poco meno di 140 miliardi, pari al 32,5 per cento del totale delle importazioni. Per altro verso, gli input intermedi che in condizioni ordinarie sono forniti dai settori bloccati ai settori “essenziali” sono quantificabili in circa 200 miliardi, che corrispondono al 22,5 per cento del totale degli input totali necessari ai settori “essenziali”. Ogni colonna rappresenta la produzione (nazionale e importata) di una branca ed ogni cella della riga contiene il valore della produzione della branca che affluisce alle altre branche dell’economia, sotto forma di input intermedi, nonché ai vettori della domanda finale (consumi, investimenti, esportazioni).

  • Le prospettive per i conti pubblici nel 2020

    Di quanti soldi avrà bisogno lo Stato italiano quest’anno in uno scenario di caduta del Pil del 6 per cento? Prevedere l’andamento dei conti pubblici quest’anno è particolarmente difficile. In un primo scenario ipotizziamo che: Il Pil reale scenda del 6 per cento nonostante le misure di sostegno, che in ogni caso non potranno alleviare lo “shock di offerta” derivante dalla chiusura di parte delle attività produttive. Sulla base di queste ipotesi, e anche tenendo conto della perdita di entrate dovuta alla recessione, il deficit pubblico dovrebbe salire quest’anno a 139 miliardi, ossia all’8,2 per cento del Pil (contro l’1,6 per cento nel 2019). Il totale di acquisti di titoli di Stato italiani e di altri prestiti da parte di istituzioni europee, assumendo che l’Italia utilizzi i fondi del MES, potrebbe quindi ammontare a 277 miliardi (224+17+36). Fabbisogno e finanziamento nel caso di una caduta del Pil reale del 10 per cento La Tavola 1 presenta anche uno scenario di caduta del Pil reale del 10 per cento. Implicazioni di queste tendenze per la sostenibilità del debito pubblico Una minore quota di debito detenuta dal settore privato riduce nell’immediato il rischio associato a un certo livello di debito pubblico, in termini di possibili crisi sul mercato dei titoli di Stato. Si ipotizza quindi che tutti gli acquisti di titoli italiani in questo programma (ottenuto moltiplicando l’importo totale del programma di 750 miliardi per la capital key dell’Italia, pari al 17 per cento) consistano in titoli di Stato.

  • Le nuove norme sugli appalti previste dal dl Semplificazioni

    Inoltre, esse impongono anche una serie di regole armonizzate per le gare d’appalto che eccedono un determinato valore economico (cd. soglie comunitarie) e che quindi vengono considerate di interesse sovra-nazionale. In particolare, le direttive europee stabiliscono l’obbligatorietà dell’assegnazione tramite procedure competitive (gare d'appalto), oltre a determinare le modalità di redazione e pubblicazione dei bandi di gara e prevedere l’obbligo di trasmettere i contenuti degli appalti al supplemento della Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea. Regole per la partecipazione alle gare per appalti di lavori Focalizzandoci ora sugli appalti di lavori (ossia gli “investimenti pubblici”), Il Codice dei Contratti pubblici nel 2016 prevedeva forme semplificate di appalto nei contratti con valori più modesti, a partire dalla assegnazione diretta senza gara (Tav.1). Inoltre, per i contratti con valore inferiore ad un milione di euro sono stati allentati i paletti della procedura negoziata, consentendo di restringere la gara a un minor numero di operatori per gli di importi minori. Dopo alcune variazioni nel DL Semplificazioni del 2020, Il DL Semplificazioni del 2021 definisce tre modalità di gara: l’affidamento diretto per lavori sotto 150.000 euro; la procedura negoziata con 5 operatori ammessa per i contratti da 150.000 euro a 1 milione di euro. PNRR e pari opportunità Per quanto riguarda gli appalti relativi alle opere del PNRR, il dl Semplificazioni prevede l’obbligo per le aziende con più di 15 dipendenti di presentare un rapporto sulla situazione del personale in riferimento all’inclusione delle donne nelle attività e nei processi aziendali. Vengono inoltre introdotti ulteriori provvedimenti per rafforzare la trasparenza nelle procedure relative agli appalti: grazie all’accorpamento della banca dati degli operatori economici alla banca dati dei contratti pubblici, sarà possibile monitorare in maniera più efficiente le performance degli assegnatari dei contratti d’appalto da parte delle stazioni appaltanti.

  • Il PNRR è appena iniziato e c’è già molto da fare

    Già entro la fine dell'anno dovranno essere attuate 51 condizioni delle 528 complessive che scadenzano la realizzazione del piano fino al 2026 e che consentono l’erogazione delle relative risorse europee. Tra queste una sfida particolare sarà soddisfare le condizioni relative alle riforme, sia per la loro numerosità (24 da completare entro dicembre) sia per la complessità di alcune di esse (come, ad esempio, le condizioni relative alle riforme del processo penale e civile). L’erogazione dei 191,5 miliardi per l’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) è vincolata al soddisfacimento di 528 condizioni che il Governo italiano ha concordato con l’Unione Europea. Secondo le schede tecniche del PNRR, 51 condizioni dovranno essere realizzate già entro la fine del 2021 per sbloccare la prima tranche di finanziamenti (dopo il sopra citato prefinanziamento) da 24,1 miliardi, di cui 11,5 miliardi a fondo perduto e 12,6 miliardi a prestito. Cosa è stato fatto finora? Delle 51 condizioni per il 2021, 5 traguardi erano da completare entro giugno (secondo trimestre) e 4 entro settembre (terzo trimestre). Inoltre, anche su quest’area alcuni traguardi potrebbero risultare spinosi, come l’adozione di una legge quadro sulle disabilità o l’approvazione della riforma del sistema di istruzione terziaria (comprensiva di riforma delle classi di laurea, delle lauree abilitanti e dei dottorati). Le riforme orizzontali sono quelle di interesse trasversale a tutte le missioni del PNRR; le riforme abilitanti sono quelle funzionali a garantire l’attuazione del PNRR; le riforme settoriali sono quelle specifiche delle missioni del PNRR.

  • Due anni di Reddito di Cittadinanza: come sta andando e come può essere migliorato

    Inoltre, solo una piccola minoranza dei beneficiari idonei a lavorare ha trovato un’occupazione tramite i Centri dell’impiego; un motivo è la perdita del sussidio una volta che il beneficiario inizia a lavorare, il che disincentiva la ricerca di un lavoro regolare. Da un lato, bisogna rivedere i criteri di accesso e la scala di equivalenza, avvicinandoli in parte a quelli del Reddito di Inclusione, pur mantenendo benefici più generosi di quest’ultimo. Nonostante fosse già ampio il consenso a favore di strumenti di contrasto alla povertà, l’Italia era uno dei pochi paesi europei a non avere uno schema simile sino all’introduzione nel 2018 del Reddito di Inclusione (ReI), poi sostituito nel 2019 dal Reddito di Cittadinanza (RdC). Ad esempio, per un single (tra i 18 e i 59 anni, in un comune con più di 50.000 abitanti) la soglia di povertà assoluta nel Nord è di 799 euro al mese, nel Centro di 761 euro e nel Mezzogiorno di 606 euro. Inoltre, la soglia di povertà è di 840 euro in una grande città metropolitana del Nord (con esclusione delle aree periferiche) e di 754 euro nei comuni fino a 50.000 abitanti (differenze simili si trovano anche per le diverse tipologie di comuni nel Centro e nel Mezzogiorno). Limitatamente ai beneficiari che vengono giudicati idonei al lavoro, si potrebbe perciò considerare la possibilità di ridurre gradualmente nel tempo l’entità del sussidio, considerando in ogni caso un periodo congruo in relazione alla concreta possibilità di ricevere le offerte di lavoro. Uno strumento già esistente è l’“assegno di ricollocazione”, un voucher che i beneficiari di RdC possono spendere presso tali imprese, ma che è stato attivato solo da 423 beneficiari all’aprile del 2021 (dati Anpal).

  • Un aggiornamento sull’aumento dell’inflazione

    Ora il livello dei prezzi ha superato il trend pre-crisi anche nell’area dell’euro (seppure solo leggermente), mentre negli Stati Uniti si è ben oltre il trend. Nell’area dell’euro il tasso di inflazione mensile dei prezzi al consumo è salito allo 0,8 per cento su base mensile (contro lo 0,5 per cento di settembre); sui 12 mesi terminanti a ottobre il tasso di inflazione è stato del 4,1 per cento (3,4 per cento in settembre). Nell’area euro il livello dei prezzi è rimasto sotto il trend pre-Covid fino a settembre, mentre a ottobre il trend è stato leggermente superato (dello 0,6 per cento). L’aumento dei prezzi è in parte spiegato dalla rapidità con la quale le economie stanno tornando ai livelli di crescita precedenti alla pandemia, con la ripresa della produzione sostenuta dalle riaperture e la ripresa della domanda sostenuta da politiche monetarie e fiscali espansive. In particolare, il rincaro dei combustibili fossili è stato sostenuto da più fattori: il minor stoccaggio di gas naturale dovuto all’inverno più freddo, la produzione sotto-target di petrolio da parte di alcuni paesi dell’OPEC, la minor produzione di energia eolica e idroelettrica a causa delle alterate condizioni climatiche. Il rincaro dei combustibili si traduce in aumenti dei prezzi dell’energia per i consumatori e spiega la maggior parte della crescita dell’inflazione degli ultimi mesi sia negli Stati Uniti sia nell’Eurozona (in particolare la variazione mensile di ottobre; fig. 3 e 4). Inoltre, ha conseguenze negative sulla disponibilità e sui costi dei fattori produttivi delle imprese (ad esempio il prezzo dei fertilizzanti, di cui il gas naturale è un fattore produttivo fondamentale, è aumentato del 133 per cento da giugno 2021) con effetti a catena sui prezzi dei prodotti.

  • Segnali positivi sulla ripresa dai dati Apple e Google sulla mobilità

    Restano ancora lievemente al di sotto della baseline (inizio 2020) gli spostamenti verso luoghi di svago e quelli verso i luoghi di lavoro, mentre hanno superato la baseline gli spostamenti verso i punti vendita di prodotti essenziali, quelli in auto e con mezzi di trasporto pubblico. Il progressivo rilassamento delle restrizioni a partire dal Decreto n. 52 del 22 aprile 2021 ha portato a una graduale normalizzazione della mobilità. Quindi, il livello di mobilità sembra essere tornato alla normalità, anzi sembra averla superata. Il dato più sorprendente riguarda i mezzi pubblici, il cui utilizzo durante la pandemia aveva subito un calo più accentuato. Il calo è però molto differenziato tra regioni: si passa da cali del 31 e 19 per cento in Valle d’Aosta e Trentino a un calo di solo il 4 per cento in Sardegna. Ciò potrebbe riflettere in parte un mutamento radicale nelle modalità di lavoro che protendono sempre di più verso lo smart-working. In generale, la ripresa della mobilità che si è verificata in risposta alle prime riaperture unita alla prospettiva di ulteriori aperture nelle prossime settimane e ad un effetto stagionalità fanno ben sperare in un rimbalzo della crescita nel secondo trimestre del 2021 e durante la stagione estiva.

  • Memoria sulla delega alla riforma fiscale per la Commissione Finanze

    Premessa La cosa che più colpisce nella lettura del ddl sulla riforma fiscale è la flessibilità che verrebbe data al governo nel contenuto dei decreti legislativi necessari per attuare i punti più importanti della riforma fiscale. Tale flessibilità è molto più ampia di quella accordata in occasione di precedenti deleghe in materia fiscale, tra cui la fondamentale riforma del 1971-74 e quella del 2014 (legge 11 marzo 2014, n.23). L’assenza di specificità in parti essenziali del ddl non consente per esempio di valutare: L’entità delle risorse finanziarie che si vogliono destinare alla riforma fiscale e le relative coperture. Il grado di progressività (maggiore o minore rispetto alla situazione attuale) che emergerà dalla riforma e quindi come il carico fiscale sarà ripartito tra le diverse classi di reddito. Esiste quindi certamente una questione di armonizzazione dei regimi di tassazione del risparmio, attualmente molto diversi, ma la questione dovrebbe essere, in linea di principio, risolta all’interno della questione della tassazione del reddito da capitale. Vale anche la pena di ricordare che sarebbe opportuno, nel rivedere la tassazione dei redditi da capitale e le relative aliquote, tener conto delle forme di tassazione patrimoniale attualmente esistenti (in primis IMU e imposta di bollo). Valutazione finale Non c’è dubbio che il ddl va potenzialmente nella direzione giusta dando la possibilità di una significativa riforma del nostro sistema fiscale attraverso la sua semplificazione (esigenza prioritaria), l’eliminazione di evidenti distorsioni e una maggiore equità orizzontale e verticale.

  • Review of the EU economic governance framework: a focus on the revision of the SGP fiscal rules

    Fiscal rules need to be clear and simple : this means that they will likely to be analytically inferior with respect to fiscal standards that that into account all relevant information (as the ones proposed by Blanchard, Leandro and Zettelmeyer). Fiscal constraints affecting annual budget deficits should apply only to countries whose fiscal accounts are in need of a fiscal correction over the medium term, as evidenced by a public debt-to-GDP ratio that exceeds (or is expected to exceed over the planning period; see below) a certain threshold. Given the developments during the Covid crisis, consideration should be given to excluding from the public debt figures relevant for assessing compliance with the debt threshold the amount of public debt purchased by the ECB under the PEPP facility . This medium term fiscal adjustment plan should be based on reasonable growth, interest rate and other relevant assumptions (e.g. on privatization revenues), as assessed by the Commission, and possibly the European Fiscal Council (in addition to national fiscal councils). The spending rule requires public spending, adjusted for discretionary changes in taxation, to grow at a certain speed, taken to be the long-term growth rate of the economy, so as to ensure the desired spending ratio beyond cyclical fluctuations of the economy. But then one might as well continue to follow the structural adjustment rule, with no need of estimating potential output growth through the current complicated method, by using the same long-term GDP growth rate as a proxy of the potential growth rate. See Carlo Cottarelli, “The role of fiscal rules in relation with the green economy”, A contribution requested by the Economic Governance Support Unit and Policy Department A, Directorate-General for Internal Policies, European Parliament, PE 651.364 - August 2020.

  • Qualche segnale positivo dagli ultimi dati sull’inflazione

    La decelerazione dell’inflazione in Germania e in generale nei paesi dell’Eurozona è un segnale positivo in quanto consentirebbe alla BCE di mantenere tassi di interesse bassi e prolungare il programma di acquisti di titoli di stato. In una precedente nota avevamo evidenziato che l’aumento dell’inflazione che si è verificata nelle economie avanzate nel primo semestre del 2021 in realtà ha avuto intensità diversa nelle diverse aree. L’incremento dell’indice dei prezzi nell’Area Euro nei primi sette mesi dell’anno annualizzato è stato del 3,7 per cento (contro il 5,2 per cento nei primi sei mesi), mentre negli Stati Uniti è stato del 7,6 per cento (contro il 9,7 per cento sempre nei primi sei mesi; Fig.1). Questo rallentamento è dovuto in Europa al calo del livello dei prezzi in alcuni paesi (Grecia, Lussemburgo, Portogallo, Spagna) che ha compensato una dinamica dei prezzi ancora elevata soprattutto in Germania. Nell’Area Euro, persistono effettivamente differenze significative tra i tassi di inflazione dei diversi paesi, anche per effetto di quanto è avvenuto nel 2020. Se l’inflazione continuasse a rallentare nell’Eurozona, la BCE potrebbe mantenere più a lungo la politica di bassi tassi di interesse e di acquisti di titoli di stato che sta aiutando la sostenibilità dei conti pubblici italiani. Vedi: https://osservatoriocpi.unicatt.it/ocpi-pubblicazioni-l-aumento-dell-inflazione-in-europa-e-stati-uniti-e-i-rischi-per-l-italia [2] Ai fini della presente analisi abbiamo utilizzato l’Indice dei Prezzi al Consumo non armonizzato per evitare possibili distorsioni derivanti dall’anticipo dei saldi estivi in alcuni paesi.

  • Aggiornamento sulle misure dirette a sostegno della liquidità delle imprese

    Il Decreto Cura Italia era stato criticato per la poca attenzione riservata alle imprese di medie e grandi dimensioni; ricordiamo, infatti, che il decreto aveva previsto lo stanziamento di 1,5 miliardi per il Fondo di Garanzia (art. Il Capo I sulle misure di accesso al credito per le imprese amplia i poteri di SACE S.p.A., società del gruppo Cassa Depositi e Prestiti specializzata nel sostegno finanziario delle imprese che vogliano espandersi nel mercato globale (art. L’importo complessivo massimo di garanzie concedibili è pari a 200 miliardi di euro, di cui almeno 30 miliardi sono comunque destinati a supporto di piccole e medie imprese che abbiano esaurito la loro capacità di utilizzo della garanzia che può essere loro rilasciata dal Fondo centrale di garanzia. L’internazionalizzazione costituiva un punto di attenzione anche nel Decreto Cura Italia che prevedeva a tal proposito l’istituzione di un fondo per la promozione delle esportazioni con una dotazione iniziale di 150 milioni di euro per il 2020 (art. Un tema cruciale è infatti il trade-off tra la necessità di effettuare controlli al fine di garantire che le risorse vengano impiegate in modo efficiente, tenendo anche conto dei rischi di infiltrazioni della criminalità organizzata, e l’esigenza di agire in tempi brevi. Infine, non è chiaro se e in quale misura le banche potranno assumere rischi erogando finanziamenti, a fronte di garanzie che sono disposte per legge, ma che, a differenza di quelle relative all’usuale operatività del Fondo di garanzia, non trovano corrispondenza in un effettivo capitale versato. Si tratta di una garanzia autonoma rispetto al contratto a cui è legata, che può essere eseguita su base della semplice richiesta da parte del beneficiario senza possibilità di opposizioni del garante, senza necessità di preavviso ed entro un limite di tempo stabilito.

  • Le 528 condizioni della Commissione Europea per il Recovery Fund

    Rispetto alla proposta iniziale del governo italiano, sono stati aggiunti 100 obiettivi e alcuni sono stati rivisti in senso più ambizioso. In particolare, l’articolo 52 ricorda la necessità del “conseguimento soddisfacente di obiettivi e traguardi dei PNRR” e la possibilità “in via eccezionale [per] uno o più Stati membri, qualora ritengano che vi siano gravi scostamenti dal conseguimento soddisfacente […], di chiedere di rinviare la questione al successivo Consiglio europeo”. Ma quali sono le condizioni che l’Italia dovrà soddisfare? Le schede tecniche del PNRR inviate alla Commissione su cui si è svolta la trattativa contenevano 419 condizioni, di cui 205 “milestone” (condizioni qualitative) e 214 “target” (condizioni quantitative). Da questo consegue un vincolo più debole in capo delle autorità italiane; Gli obiettivi quantitativi, generalmente più informativi sul successo dell’implementazione del piano, sono inevitabilmente più lontani nel tempo, perché nei primi anni quasi tutti gli interventi saranno in fase embrionale. Rispetto alla proposta italiana, la versione concordata con la Commissione ha incrementato sensibilmente gli obiettivi (+47 per cento) introducendone, appropriatamente, molti di intermedi tra 2023 e 2024, ma il problema è ancora visibile (Fig. 2); Esiste una discrasia tra la distribuzione temporale delle erogazioni e delle condizioni. Ad esempio, tra 2021 e 2022 verrà erogato quasi il 37 per cento dei fondi, ma in questo lasso di tempo sono concentrate meno del 28 per cento delle condizioni (e sono quasi tutte traguardi qualitativi). Ad esempio, il numero di imprese che deve aver utilizzato i crediti d’imposta di Transizione 4.0 entro metà 2024 è stato aumentato da 56.300 a 69.900 (obiettivi leggermente più ambiziosi sono stati introdotti anche per i nuovi posti in asili e scuole materne).

  • Le novità sull’evasione fiscale e contributiva in Italia

    La relazione contiene inoltre le stime preliminari per l’evasione fiscale nel 2019, che confermano il trend positivo del 2018 specialmente per quanto riguarda la riduzione dell’evasione dell’IVA grazie all’introduzione dell’obbligo della fatturazione elettronica e il rafforzamento dello split payment. Il tax gap è calato in misura marcata nel 2018, raggiungendo la cifra di 102,8 miliardi di euro, corrispondente ad una propensione all’evasione pari al 19,3 per cento (Fig.1). Dati preliminari sul 2019 indicano che l’evasione sulle entrate tributarie (al netto dell’Irpef da lavoro dipendente e della TASI) si è ulteriormente ridotta di circa 5,1 miliardi di euro. IRES e IRAP hanno mostrato un lieve calo nella propensione all’evasione, che nel 2019 si è attestata rispettivamente al 22,8 e 18,4 per cento. Il tax gap per l’IVA si è ridotto di 9,3 miliardi nel biennio 2017-2019, raggiungendo per la prima volta una propensione all’evasione inferiore al 20 per cento. La prima misura - introdotta dalla Legge di Stabilità del 2015 per le vendite alla Pubblica Amministrazione - prevede che il versamento dell’IVA allo Stato sia effettuato direttamente dal cliente, cioè dalla stessa pubblica amministrazione, e non dal venditore; tale meccanismo è stato successivamente esteso nel 2017 per altre categorie di soggetti pubblici. Nonostante l’ulteriore miglioramento nel grado di evasione nel 2019, si può stimare che anche nel 2019 il nostro paese resti al quarto posto.

  • Un chiarimento sul legame tra il prefinanziamento e gli investimenti del PNRR

    Il prefinanziamento non è però vincolato a specifici investimenti, ma le informazioni diffuse ipotizzano semplicemente che la spesa per gli investimenti del PNRR relativa al 2020 e al 2021 (individuata sulla base delle “schede tecniche” del PNRR) sarà finanziata con parte delle risorse appena erogate. In generale, non è rilevante se il prefinanziamento o le future rate siano legati a specifici investimenti, in quanto le sole condizioni poste per il loro ricevimento sono gli obiettivi e i traguardi concordati con la Commissione e il Consiglio Europeo al momento dell’approvazione del PNRR. Alcuni articoli di stampa, basandosi sulle “schede tecniche” inviate alla Commissione dal governo italiano per l’approvazione del piano, indicano che le risorse dell’anticipo serviranno a finanziare la spesa del 2020-21 per gli investimenti del PNRR (suddivisi in 106 progetti). Gli unici vincoli che il governo deve rispettare sono quelli fissati nel nostro Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza (PNRR) approvato dalla Commissione Europea e dal Consiglio Europeo. Parte della confusione è dovuta al fatto che lo stesso governo ha creato un sito (“Italia Domani”) in cui si presenta una versione aggiornata e semplificata delle schede tecniche del PNRR. Infatti, le linee costruite entro il 2023 non condizionano direttamente l’erogazione delle risorse, poiché il primo “obiettivo” relativo a quest’area è fissato per il settembre del 2024: costruire almeno 25 km di corsie del trasporto pubblico nelle aree di Perugia, Pozzuoli e Trieste. Occorre dunque distinguere tra le condizioni per il ricevimento delle risorse, con scadenze degli obiettivi quantitativi concentrate negli ultimi tre anni del piano, e ciò che nel frattempo verrà svolto in linea con il piano, ma che non rappresenta un vincolo per il loro ottenimento.

  • La tassazione agevolata sui Titoli di Stato in Italia

    In Italia i redditi finanziari vengono attualmente tassati per i soggetti IRPEF con prelievo del 26 per cento applicato direttamente dagli intermediari, tranne che per i Titoli di Stato per i quali l’aliquota è del 12,5 per cento. L’Italia è uno dei pochi paesi europei che applica un’aliquota diversa sugli interessi dei Titoli di Stato rispetto alle obbligazioni societarie (Fig.1). La tassazione italiana dei Titoli di Stato è inferiore rispetto a quella applicata nella maggior parte dei paesi dell'UE (12,5 per cento contro il 17 per cento circa della media), mentre è più alta per le obbligazioni societarie (26 per cento contro il 21 per cento in media). Il trattamento di favore dei Titoli di Stato in Italia In Italia il trattamento di favore per i Titoli di Stato esiste da diversi decenni. Primo, i contribuenti che sono titolari di reddito di impresa sono tassati dall’aliquota IRPEF che si applica in base al reddito complessivo dell’attività commerciale in cui confluiscono gli interessi sui Titoli di Stato. Tale misura eliminerebbe però un sostanziale e ingiustificato vantaggio fiscale (una tassazione a titolo definitivo ad un tasso che è quasi la metà di quello della aliquota minima dell’IRPEF) per gli investitori individuali, che attualmente possono investire anche somme molto ingenti in Titoli di Stato. Quest’ultima concludeva: “La tassazione ordinaria andrebbe estesa anche agli interessi dei titoli di Stato partendo da quelli di nuova emissione, eliminando un incentivo anacronistico e poco giustificato all’indebitamento pubblico rappresentato dall'aliquota ridotta del 12,5 per cento che, quantomeno, si potrebbe avvicinare a quella applicata sugli altri redditi da capitale”.

  • Confronto tra paesi sul numero di deputati

    Dall’analisi risultava che, tenendo conto del bicameralismo paritario in Italia, l’attuale numero di parlamentari appare solo di poco al di sopra di quello appropriato sulla base dei confronti con gli altri paesi europei. Anche in questo caso la conclusione è che al momento il numero dei parlamentari è al di sopra della norma, ma che, con il taglio proposto scenderemmo al di sotto della norma. β ln(popolazione)+ε dove il logaritmo del rapporto tra numero di parlamentari e popolazione è messo in relazione col logaritmo della popolazione. L’effetto della popolazione è molto significativo e il coefficiente è negativo: paesi di maggiore dimensione hanno un più basso rapporto tra numero di parlamentari per 100.000 abitanti (come evidente anche dalla figura 1). Per vedere se l’Italia ha un numero di parlamentari più elevato di quanto spiegabile dalla sua dimensione, occorre andare a vedere come il rapporto tra numero di parlamentari e popolazione si colloca rispetto alla retta di regressione interpretabile come le “media” del comportamento degli altri paesi (Figura 2). Sulla base di questo modello l’Italia sembra avere un numero di deputati elevato rispetto agli altri paesi. In altre parole, sebbene l’attuale numero di deputati risulti superiore rispetto agli altri paesi, un taglio di 230 deputati risulta eccessivo.

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