Il problema dell’inquinamento dell’aria relativo al particolato PM10 e PM2.5 è di primaria importanza sia a livello nazionale che europeo come evidenziato dai rapporti di Legambiente e dell’Agenzia Europea dell’Ambiente (EEA).
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La situazione italiana
Le polveri sottili (a seconda della dimensione PM10 e PM2.5) sono un insieme di particelle solide e liquide sospese nell’aria, prodotte per causa naturale (incendi boschivi, processi di erosione del suolo…) o antropica (in particolare processi di combustione e traffico veicolare), che provocano gravi problemi alle vie respiratorie, contribuendo alla diffusione di numerose malattie, comprese le patologie tumorali.[1] Alcuni recenti studi suggeriscono inoltre come la mortalità da Covid-19 sia più elevata in aree con una forte concentrazione di polveri sottili.[2]
I valori dei livelli di PM10 relativi al 2020 sono disponibili per 97 città italiane.[3] Nonostante il valore limite per la salvaguardia della salute umana previsto dalla direttiva comunitaria (media annua di 40 µg/mc) sia rispettato in tutte le città, vi sono differenze sostanziali tra regioni.
La Liguria è la regione con la più bassa presenza di PM10 (17,1 µg/mc), seguita da Valle D’Aosta (17,5 µg/mc) e Trentino Alto Adige (18,6 µg/mc), mentre le regioni più inquinate sono Veneto (32,3 µg/mc), Lombardia (31,6 µg/mc) e Piemonte (31,5 µg/mc).[4] (Fig. 1).
Si può presumere che il grado di industrializzazione della Pianura Padana sia la causa del maggiore livello di inquinamento. Essa è inoltre circondata per tre-quarti da catene montuose che impediscono una ventilazione ottimale e favoriscono la permanenza di inquinamento, soprattutto nel periodo invernale.[5]
La presenza di PM10 si è però ridotta nel periodo 2011-2020 in tutte le regioni eccetto la Basilicata. Si evidenza un miglioramento di almeno il 30% nelle regioni Calabria (39%), Marche (35%), Abruzzo (33%), Lombardia (31%), Piemonte (31%), Toscana (30%) e Valle D’Aosta (30%).[6] (Fig. 2).
Oltre alla maggiore efficienza energetica e alla diffusione di fonti rinnovabili (Progetto Life Prepair condotto dalle regioni Emilia Romagna, Piemonte, Veneto e Lombardia), altri diversi fattori hanno causato tale miglioramento: limiti di emissione più stringenti nei settori energia e industria (direttiva europea 2008/50/EC recepita dalla legislazione italiana con D.Lgs. 155/2010 che stabilisce i limiti di inquinamento di PM10 e PM2,5), produzione di automezzi e utilizzo di carburanti meno inquinanti, introduzione del gas naturale nella produzione elettrica e per il funzionamento degli impianti di riscaldamento domestici (ENEA, 2017).
La situazione è simile per la concentrazione di polveri 2.5: le regioni più inquinate restano Veneto (23,2 µg/mc), Lombardia (22,9 µg/mc) e Piemonte (20,5 µg/mc), mentre le più green sono Sardegna (9 µg/mc) e Sicilia (9,5 µg/mc). (Fig. 3).
La situazione europea
L’agenzia europea dell’ambiente (EEA) ha raccolto dati sui livelli di particolato PM 2.5 nel periodo 2019-2020 di 323 città europee.[7] L’Italia è uno dei paesi più inquinati d’Europa e il più inquinato dell’Europa occidentale, con un grado di concentrazione di PM2.5 di circa il 47 per cento superiore a quello della Germania (Fig. 4). Gli stati più puliti sono Estonia (4,6 µg/mc), Finlandia (5,0 µg/mc) e Svezia (5,7 µg/mc), mentre le aree più inquinate sono Bulgaria (18,7 µg/mc), Polonia (18,3 µg/mc) e Romania (16,4 µg/mc).
Tra le dieci città più inquinate, quattro sono italiane: Cremona (al secondo posto), Vicenza (al quarto), Brescia (al nono) e Pavia (al decimo).[8] Tra le principali città italiane, Milano è al ventunesimo posto mentre Roma al centodecimo posto.
Implicazioni di politica ambientale
Nonostante i miglioramenti avvenuti tra il 2011 e il 2020, la situazione italiana resta inadeguata. Il PNRR prevede la costruzione di edifici energeticamente più efficienti che presumibilmente dovrebbero contribuire alla riduzione dell’inquinamento da polveri sottili.[9] In generale, la transizione ecologica, indicata come obiettivo europeo da raggiungere entro il 2030, è alla base di un futuro più verde. L’organizzazione Mondiale della Sanità ha inoltre proposto, come obiettivo da raggiungere entro il 2030, il non superamento della concentrazione di 50 µg/mc di PM10 giornalieri per più di 3 giorni annui nei comuni capoluoghi di provincia.[10]
Tali obiettivi, se raggiunti, migliorerebbero la situazione attuale soprattutto nella zona della Pianura Padana, come abbiamo visto particolarmente esposta al rischio inquinamento a causa delle forti emissioni industriali.
Nonostante le procedure di infrazione europee contro l’Italia per il mancato rispetto dei limiti giornalieri imposti di PM 10 e 2,5 (rispettivamente nel 2014 e 2020), nonostante gli accordi che negli anni sono stati stipulati tra le Regioni e il Ministero dell’Ambiente per ridurre l’inquinamento atmosferico (Piano “Aria Pulita”, 2019) e nonostante le risorse destinate in passato e in futuro con il PNRR, in Italia manca ancora la convinzione di trasformare concretamente il problema in una opportunità. Opportunità che prevede inevitabilmente dei sacrifici e dei cambi di abitudini da parte dei cittadini, ma che potrebbero restituire città più vivibili, efficienti, salutari e a misura di uomo.
[1] L’IARC – Agenzia internazionale per la Ricerca sul Cancro – ha inserito il particolato tra le sostanze potenzialmente cancerogene per l’uomo.
[3] I dati sono contenuti in Ecosistema Urbano, un rapporto di Lega Ambiente che presenta dati ambientali per varie città attraverso 18 parametri (uso efficiente del suolo, verde urbano, presenza di biossido di azoto, …) raggruppati in 5 macroaree (aria, acqua, rifiuti, mobilità e ambiente). I dati sul particolato coprono tutte le regioni tranne il Molise. In questa nota ci concentriamo sul 2020, anno per cui sono disponibili i più recenti dati. Questi non sembrano tuttavia essere stati influenzati in modo apprezzabile dalle chiusure dovute al Covid. Infatti, il grado di inquinamento non è diminuito in modo marcato tra il 2019 e il 2020: città come Milano, Torino e Bologna mostrano anzi un aumento nella concentrazione di polveri PM10, mentre i valori sono stabili ad esempio a Roma.
[4] Gli indici regionali sono stati calcolati come medie ponderate dei dati relativi all’inquinamento delle singole città utilizzando come pesi gli abitanti delle varie città.
[6] L’aumento dell’inquinamento in Basilicata (rappresentata dalla sola città di Potenza, nella cui provincia è concentrato oltre il 60% delle imprese lucane) può essere in parte dovuto all’aumento del numero di imprese, che però è stato limitato a poco più del 5 per cento (vedi il censimento delle imprese in Report Basilicata | 2019, Istat, pagina 2). In ogni caso, il valore del 2020 (20,5 µg/mc) è comunque basso rispetto alle maggior parte delle regioni italiane.
[7] La classifica è stata redatta tenendo in considerazione il livello medio di particolato prodotto durante il 2019 e il 2020.
[8] Le città considerate sono quelle con una popolazione maggiore di 50.000 abitanti, escluse quelle senza stazioni di monitoraggio e che hanno riportato risultati per meno di 274 giorni annui.
[9] Anche secondo l’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (vedi “Piano nazionale di ripresa e resilienza #NextgenerationItalia e lo sviluppo sostenibile, Esame dei provvedimenti rispetto ai 17 obiettivi dell’agenda 2030”, p. 80) il raggiungimento degli obiettivi relativi alla costruzione di edifici energeticamente più efficienti contribuirà alla riduzione delle polveri sottili.
[10] Attualmente il limite massimo tollerato è di complessivi 35 giorni all’anno. Tuttavia, secondo l’ultima relazione di Ecosistema Urbano, 35 comuni italiani superano tale soglia. La situazione è peggiore nella Pianura Padana dove a Cremona, Ferrara, Milano, Modena, Padova, Rovigo, Torino, Treviso, Venezia, Verona e Vicenza la soglia è superata per oltre il doppio dei giorni consentiti.