Dal 2012, l’assegno vitalizio che spettava ai parlamentari al termine del loro mandato è stato sostituito con un trattamento pensionistico simile a quello previsto per gli altri lavoratori. Il trattamento però non è identico. Una peculiarità è che per avere accesso alla pensione è necessario essere stato in carica per almeno 4 anni, 6 mesi e un giorno. Questo implica che i neoeletti della XVIII legislatura (a inizio legislatura) non avrebbero diritto alla pensione parlamentare se le Camere venissero sciolte prima del 24 settembre 2022 e perderebbero tutti i contributi versati (fino a 50 mila euro). In questa categoria rientrano il 68 per cento dei deputati e il 73 per cento dei senatori.
La nota è stata ripresa da Repubblica in questo articolo del 30 ottobre 2021.
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Il sistema pensionistico attuale
Nel 2012 il vitalizio spettante ai parlamentari al termine del loro mandato è stato sostituito con un trattamento pensionistico simile a quello applicato per gli altri lavoratori, anche se con qualche importante differenza.
Per i parlamentari eletti per la prima volta a partire dal 1 gennaio 2012, il sistema di calcolo della pensione parlamentare è di tipo puramente contributivo.[1] La pensione viene erogata al compimento dell’età di pensionamento pari a 65 anni, anche se per ogni anno di ulteriore mandato oltre la prima legislatura, il parlamentare può anticipare il pensionamento di un anno, sino a un’età minima di 60 anni. La riforma ha però previsto che i parlamentari possano richiedere il trattamento pensionistico solo nel caso in cui abbiano completato almeno un mandato parlamentare della durata di 5 anni. In realtà, a causa del sistema di calcolo semestrale utilizzato, per maturare il diritto alla pensione è sufficiente essere stati in carica per 4 anni, 6 mesi e un giorno nel corso della stessa legislatura.[2] Nel caso questo periodo minimo non sia stato raggiunto, i contributi sociali pagati dai parlamentari sono persi completamente, non potendo essere riagganciati a quelli relativi ad altre attività lavorative. Questo sistema è punitivo rispetto a quello spettante agli altri cittadini, i cui contributi di norma non vengono persi in presenza di un cambiamento di attività.[3]
La perdita per chi non raggiunge il sopra indicato periodo minimo è elevata. Per un deputato che arrivasse a quattro anni e sei mesi di mandato, i contributi versati sarebbero di circa 50 mila euro.
Quanti parlamentari perderebbero i contributi versati in caso di prematura fine della legislatura?
Dati i criteri della riforma, i parlamentari neoeletti a inizio legislatura e i neoeletti subentrati nel corso della legislatura perderebbero i contributi nel caso le camere fossero sciolte prima del 24 settembre 2022, a meno che non avessero già completato un mandato.
Alla Camera, ben 446 deputati risultano essere neoeletti all’inizio della XVIII legislatura (il 71 per cento). Inoltre, 3 neoeletti deputati sono subentrati nei primi sei mesi della legislatura e potrebbero ancora maturare i 4 anni e mezzo di servizio se le camere fossero sciolte dopo il 24 settembre. Altri 19 deputati sono invece subentrati dopo i 6 mesi iniziali e, anche se la legislatura finisse nel 2023, perderebbero i contributi versati. Complessivamente dunque sono 427 i deputati che, per i motivi citati, avrebbero un interesse a veder durare la legislatura oltre il 24 settembre 2022.
Il gruppo parlamentare con la maggior percentuale di neoeletti risulta essere la Lega: 123 su un totale di 133 deputati (92 per cento). A pari merito troviamo Coraggio Italia con 22 neoeletti su 24, seguiti dal gruppo parlamentare di Fratelli d’Italia con una percentuale dell’89 per cento (33 neoeletti su 37 deputati). Liberi e Uguali e il Partito Democratico risultano invece i gruppi parlamentari con la più bassa percentuale di neoeletti (rispettivamente 42 per cento e 44 per cento) e gli unici gruppi parlamentari con un valore al di sotto del 50 per cento.
Al Senato, risultano neoeletti 244 senatori (il 76 per cento). In più, 11 neoeletti senatori sono subentrati, ma solo uno entro i 6 mesi dall’inizio della legislatura. Di conseguenza 234 perderebbero i contributi versati nel caso la legislatura finisse prima del termine minimo.
I gruppi parlamentari con la maggior percentuale di senatori neoeletti risultano essere Fratelli d’Italia e Lega, rispettivamente con il 95 e l’89 per cento. Al contrario, gruppi parlamentari con la minor percentuale di senatori neoeletti risultano essere il Misto e le Autonomie.
Come notato, l’incentivo economico a evitare uno scioglimento del Parlamento prima del 24 settembre è elevato e viene acuito dal fatto che, con il passaggio del numero dei parlamentari da 945 a 600 unità, la probabilità di essere rieletti, evitando la perdita dei contributi, si è ridotta notevolmente.
[1] Al contrario, per i parlamentari eletti prima del 1 gennaio 2012, la pensione viene calcolata con un sistema pro quota: una parte dell’importo determinato dal valore dell’assegno vitalizio già maturato al 31 dicembre 2011 e la restante parte dai contributi versati negli ulteriori anni di mandato.
[2] Nel 2015, il Consiglio di Presidenza del Senato e l'Ufficio di Presidenza della Camera dei deputati hanno ciascuno approvato il decadimento del diritto alla pensione nel caso in cui un parlamentare venga condannato in via definitiva per reati di particolare gravità (ad esempio mafia, terrorismo o contro la pubblica amministrazione).
[3] Un vantaggio per i parlamentari è che non si applica il vincolo di contribuzione ventennale che è invece necessario per gli altri cittadini per ricevere la pensione all’età di pensionamento.