Pubblica amministrazione

Il patrimonio immobiliare della pubblica amministrazione: un aggiornamento

10 dicembre 2021

Intermedio

Il patrimonio immobiliare della pubblica amministrazione: un aggiornamento

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Secondo il più recente rapporto del MEF (di settembre 2021 ma con dati del 2018) il patrimonio immobiliare della pubblica amministrazione include 2,6 milioni di immobili, di cui 1,2 sono terreni e il resto fabbricati. Il valore a prezzi di mercato di quest’ultimi è stimato in 297 miliardi di euro, mentre non viene riportata una stima per i terreni. Il numero di immobili e il valore patrimoniale sono in crescita rispetto agli anni passati, probabilmente per la maggior partecipazione al censimento da parte delle pubbliche amministrazioni (passata dal 69 per cento del 2015 all’83 per cento del 2018). Negli ultimi anni, numerosi interventi normativi sono stati finalizzati alla riduzione del patrimonio immobiliare, l’ultimo dei quali è il piano di dismissione triennale varato dal MEF nel 2019 per la vendita di oltre 1.600 immobili per 1,2 miliardi di euro. I dati preliminari sembrano indicare che le pubbliche amministrazioni potrebbero invece ricavare entrate per circa 1,4 miliardi, dunque un po’ più alte rispetto a quelle ipotizzate. Tuttavia, il piano di dismissione segue il mancato raggiungimento degli obiettivi di ridimensionamento del patrimonio immobiliare stabiliti nel 2014, che prevedevano una riduzione degli spazi occupati del 30 per cento e delle spese di locazione passiva del 50 per cento. 

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La consistenza del patrimonio immobiliare pubblico

Il patrimonio immobiliare pubblico è fotografato dal “Rapporto sui beni immobili della pubblica amministrazione”, la relazione annuale redatta dal Ministero dell’economia e delle finanze (MEF) a partire dal 2011. L’ultima versione è stata pubblicata lo scorso settembre, ma purtroppo contiene informazioni che si fermano al 2018.[1]

A fine 2018, gli immobili detenuti dalla Pubblica Amministrazione (PA, comprendente stato, regioni, provincie, comuni, città metropolitane e enti pubblici)  ammontavano a poco meno di 2,6 milioni, di cui 1,2 fabbricati e 1,4 terreni (asse sinistro di Fig. 1).[2] Il valore è in linea con quello del 2017, ma superiore rispetto al 2016 (2,4 milioni) e al 2015 (2,2 milioni): il patrimonio immobiliare pubblico, come rilevato dal censimento MEF, è dunque aumentato negli ultimi anni.[3] L’aumento è però probabilmente dovuto a una maggior adesione delle amministrazioni al censimento. Quelle che hanno aderito nel 2015 sono state infatti circa 7.500, il 69 per cento del totale, mentre nel 2018 sono state 9.100, con una copertura dell’83 per cento (asse destro di Fig. 1). Questo miglioramento ha riguardato tutti i tipi di amministrazioni, da quelle centrali (passate da una copertura del 67 per cento nel 2015 a una dell’88 per cento nel 2018) a quelle locali (dal 70 per cento all’82 per cento). Tuttavia, a quasi dieci anni di distanza dal primo rapporto, la copertura non è ancora totale.

Per quanto riguarda il valore patrimoniale, determinato in base ai prezzi di mercato elaborati dall’Osservatorio del mercato immobiliare dell’Agenzia dell’entrate, i dati messi a disposizione dal MEF forniscono solo un valore per i fabbricati. Manca infatti una stima sui terreni, che come si è visto rappresentano una componente importante del patrimonio immobiliare pubblico.[4] Nel 2018 il valore dei fabbricati ammontava a 297 miliardi (Tav. 1), in aumento di 5 miliardi rispetto al 2017. Anche in questo caso, la crescita del valore patrimoniale è giustificata dalla maggior adesione delle amministrazioni al censimento (vedi sopra).

Il valore del portafoglio immobiliare pubblico è prevalentemente riconducibile a fabbricati utilizzati direttamente dalle amministrazioni. Si tratta di 231 miliardi nel 2018 (riga A e C di Tav. 1), il 78 per cento del valore complessivo del portafoglio. I restanti 66 miliardi (riga B e D) sono utilizzati da soggetti diversi, prevalentemente privati, a cui gli immobili sono concessi in locazione (44 miliardi) o a titolo gratuito (7 miliardi). Circa 15 miliardi di valore patrimoniale sono invece riconducibili a fabbricati inutilizzati (13 miliardi) oppure in ristrutturazione/manutenzione (2 miliardi).

Come sta andando il ridimensionamento previsto dalla Legge del 2014?

Il patrimonio immobiliare pubblico può essere ridotto in due modi:

  1. Riduzione degli spazi occupati, che nel 2018 valgono 231 miliardi, parte dei quali può essere recuperata nel medio periodo attraverso un piano di razionalizzazione degli spazi utilizzati, basato ad esempio sull’accorpamento di sedi distaccate.
  2. Rimpiego degli spazi inutilizzati, che nel 2018 valgono 13 miliardi, i quali potrebbero essere integralmente recuperati già nel breve periodo attraverso la vendita, l’affitto o la concessione ad altre amministrazioni che attualmente pagano affitti (le c.d. locazioni passive).

La Legge 89/2014 richiedeva alla pubblica amministrazione di ridurre, rispetto ai valori del 2014 e a partire dal 2016, gli spazi utilizzati del 30 per cento e le spese per locazioni passive del 50 per cento (senza però fissare un termine entro cui raggiungere i risultati).[5] Rispetto al 2014, il censimento del 2018 riporta un aumento della superfice utilizzata di quasi il 14 per cento (da 241 milioni di mq a 274 milioni di mq, vedi righe A e C di Tav. 1), ma con una crescita del numero di enti adempienti di circa il 27 per cento (da 7.131 a 9.074). Se i nuovi enti avessero avuto una metratura mediamente uguale a quella delle amministrazioni allora adempienti, si sarebbe passati da una metratura di 307 milioni a 274 milioni di mq, un calo dell’11 per cento. Tuttavia è molto probabile che le amministrazioni entranti fossero di piccola dimensione, il che suggerisce come, a parità di campione, il calo effettivo sia stato inferiore all’11 per cento e comunque ben lontano dall’obiettivo del 30 per cento fissato nel 2014. Lo stesso ragionamento vale anche per il calo nella spesa per affitti, che nel 2014 ammontava a circa 900 milioni di euro e nel 2018 a 800 milioni.[6]

Il piano di dismissione per il 2019-21

Nel 2019 il MEF ha pubblicato il “Piano triennale di dismissione degli immobili pubblici” per il periodo 2019-2021, che, secondo la legge di bilancio 2019, dovrebbe generare entrate per 1,2 miliardi di euro. Queste entrate derivano per:

  • 420 milioni, dalla vendita da parte dell’Agenzia del Demanio di 420 immobili tramite bandi a livello nazionale;
  • 38 milioni, dalla vendita da parte dell’Agenzia del Demanio di 1.200 immobili tramite bandi a livello regionale;[7]
  • 160 milioni, dalla vendita di 40 immobili riconducibili al Ministero della difesa;
  • 610 milioni, dalle operazioni di vendita fatte da Invimit Sgr, società partecipata dal MEF.[8]

Questi valori rappresentano delle basi d’asta, ossia l’importo minimo a cui possono essere venduti gli immobili. Dato che il piano è ancora in corso, non sono ancora noti al momento i valori di vendita effettivi.[9] Tuttavia, alcune informazioni possono essere ricavate dalla vendita dei beni dismessi tramite i bandi regionali, visto che l’Agenzia del Demanio riporta anche i valori di vendita finale. Le regioni hanno dismesso 255 immobili per 6,7 milioni di euro nel 2019, 201 immobili per 27,7 milioni nel 2020 e 153 immobili per 19,6 milioni nel 2021 (Tav. 2). Complessivamente, quindi, le regioni hanno incassato 54 milioni, nonostante la base d’asta fosse di 36,3 milioni di euro (5,7+17,2+13,4). Il ricavo rispetto alla base d’asta è man mano cresciuto nel corso del triennio, anche in virtù della riduzione del numero di immobili venduti al prezzo minimo.

Dalle aste regionali emerge dunque un margine di vendita (la differenza tra il prezzo di vendita e la base d’asta) del 48 per cento. Ipotizzando che il margine per tutti gli immobili ricompresi nel piano sia inferiore del 50 per cento (quindi pari al 24 per cento), lo Stato potrebbe ricavare oltre 1,4 miliardi di euro.[10] Dunque, anche adottando un approccio di tipo prudenziale, il piano di dismissione degli immobili della PA potrebbe produrre entrate superiori agli 1,2 miliardi ipotizzati nel 2019.


[2] Più precisamente, le amministrazioni coinvolte nel censimento sono quelle del Settore S13 definito dall’ISTAT ai sensi della legge 196/2009 (vedi: https://www.istat.it/it/files//2016/09/Elenco_analitico_2021.pdf) e quelle individuate ai sensi del decreto legislativo 165/2001 (vedi: https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legislativo:2001-03-30;165!vig).

[3] Questi rappresentano il numero di immobili censiti dal MEF e sono un po’ più bassi di quelli dichiarati dalle amministrazioni perché corretti dei duplicati, ossia degli immobili dichiarati da più amministrazioni. Si noti inoltre che il censimento del MEF avviene per unità catastali che non coincidono necessariamente con il numero di immobili, perché un singolo immobile può essere composto da più unità catastali.

[4] Questa mancanza è stata osservata anche in una nota del 2018 dell’Osservatorio CPI: https://osservatoriocpi.unicatt.it/cpi-archivio-studi-e-analisi-il-patrimonio-immobiliare-della-pubblica-amministrazione

[5] Si veda l’articolo 24 della legge 89/2014: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2014/06/23/14A04717/sg

[6] Infatti, supponendo che i nuovi enti aderenti al censimento (+1.943 tra il 2014 e il 2018) abbiano sostenuto spese per locazioni passive mediamente uguali a quelle delle amministrazioni allora adempienti, si sarebbe passati da 1,1 miliardi di spese del 2014 a 800 milioni del 2018, un calo di circa il 27 per cento e dunque inferiore a quello del 50 per cento richiesto dalla legge 89/2014. Per i dati sulle locazioni passive vedi: http://www.dt.mef.gov.it/modules/documenti_it/programmi_cartolarizzazione/patrimonio_pa/Agenzia_Demanio_27_maggio_2015_Forum_PA.pdf

[8] Gli incassi di Invimit dovevano inizialmente derivare per 500 milioni dalla cessione di quote di fondi e per 110 milioni dalla vendita di immobili. Il peso di quest’ultime è però aumentato rispetto alle aspettative iniziali e già nel 2020 sono stai messi in vendita circa 300 immobili per 120 milioni (vedi: https://www.ilsole24ore.com/art/invimit-lancia-un-asta-300-immobili-ADcrO4h). A tale cifra va sommata la vendita decisa a ottobre 2021 di altri 474 immobili per oltre 155 milioni (vedi: https://www.ilsole24ore.com/art/invimit-vende-474-immobili-oltre-155-milioni-AEECuFo). Con la vendita di quote dei fondi Invimit ha invece incassato circa 260 milioni nel biennio 2019-2020 (vedi: https://www.invimit.it/wp-content/uploads/2021/09/Bilancio%2031.12.2020.pdf).

[9] Le procedure d’asta si possono consultare al sito: https://www.agenziademanio.it/opencms/it/progetti/pianovenditeimmobilidellostato/archivio-immobili/ da cui non è tuttavia possibile ricavare il prezzo di vendita effettivo. Per un elenco sintetico vedi: https://www.mef.gov.it/focus/documenti/2019/Comunicato_dellxAgenzia_del_Demanio_sui_bandi_del_18_luglio_2019.pdf

[10] Questa cifra si ottiene assumendo che gli immobili che compongono la base d’asta complessiva (1,2 miliardi) vengano assegnati con un rincaro medio del 24 per cento.

Un articolo di

Luca Brugnara e Giorgio Musso

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