Cerca

179 risultati trovati

  • Il PNRR e il gran pasticcio della giustizia tributaria

    Il PNRR mette il dito sulla piaga della giustizia tributaria, ossia le ex commissioni provinciali e regionali, ora diventate corti di primo e secondo grado. La riforma proposta nel PNRR (sulla base di una commissione presieduta da Giacinto Della Cananea) si è tradotta nella legge 130 del 31 agosto 2022; l’obiettivo è raggiunto, ma (per ora) quasi solo sulla carta. Ovviamente ci vorrà tempo per fare i concorsi e superare le resistenze della categoria degli attuali giudici onorari, destinati a sparire. Qualche progresso dovrebbe venire anche dal decreto legislativo 220 del 30 dicembre 2023 (decreto Leo) sul contenzioso tributario che tra l’altro prevede l’applicazione di sanzioni per la violazione dell’utilizzo obbligatorio delle modalità telematiche e la possibilità di attivare la conciliazione giudiziale anche in Cassazione. Il processo telematico è essenziale anche perché attualmente non esiste una banca dati delle sentenze delle corti tributarie; né esiste un massimario che possa orientare cittadini e professionisti. È dunque difficile dire che esiste una giurisprudenza tributaria, il che è davvero grave. Certo, esiste la giurisprudenza della Cassazione, ma purtroppo anche lì le cose non sono affatto semplici perché una quarantina di magistrati fanno fatica a star dietro a 10 mila ricorsi all’anno e a un arretrato di 50 mila (su un totale di 100 mila pendenza del civile).

  • Il PNRR, l’estensione del tempo pieno e le mense scolastiche nelle scuole primarie

    Per ovviare a queste lacune il PNRR ha stanziato circa 31 miliardi di euro, di cui 960 milioni destinati all’estensione del tempo pieno nelle scuole primarie: di questo ammontare, 400 milioni serviranno unicamente alla costruzione di mense. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) stanzia il 16 per cento delle risorse – circa 31 miliardi di euro – per investimenti in ambito di Istruzione e Ricerca, con circa i due terzi del totale destinati al “potenziamento dell’offerta dei servizi di istruzione". Sebbene la percentuale di giovani che lasciano precocemente l'istruzione e la formazione sia calata di oltre 5 punti dal 2010 al 2020 – passando dal 18,6 al 13,1 per cento – i dati italiani rimangono di gran lunga peggiori rispetto alla media europea, che nel 2020 si è attestata al 9,9 per cento (Fig. 1). Inoltre, una recente indagine di Save the Children – basata sulla consultazione diretta di oltre mille docenti di scuole primarie e secondarie di primo grado – suggerisce che il tasso di abbandono scolastico sia aumentato dall’inizio della pandemia. Questa scelta è giustificata – oltre che da ragioni di equità – dal fatto che in queste regioni si registrano tassi di abbandono scolastico superiori alla media nazionale: Calabria, Campania, Puglia e Sicilia sono le 4 regioni con il maggior tasso di dispersione scolastica (Fig. 2). Sebbene questa relazione sia fortemente influenzata da altre variabili e dal paese di riferimento in cui viene stimata, un recente studio quantifica che ogni anno di accesso al tempo pieno (rispetto al tempo normale) è associato a un aumento di reddito di circa 5 punti percentuali. Relativamente alla diffusione delle mense, esistono informazioni sia sulla percentuale di scuole con la mensa in una certa area, sia sulla percentuale di studenti che effettivamente utilizzano la mensa rispetto al totale degli studenti di una certa area.

  • Dalle riforme al PNRR: la corsa contro il tempo per la ripartenza

    Invece, al Mattarella bis si è arrivati, e solo per la grande disponibilità dimostrata dal nostro Presidente, dopo una settimana di personalismi, colpi di scena e spaccature continue tra i partiti che appoggiano Draghi. Lo stesso vale per la fondamentale riforma del fisco, che è stata inviata al Parlamento ma che deve essere ancora approvata, e per il disegno di legge delega sui contratti pubblici (la riforma del codice appalti). Non sono cose semplici e le difficoltà sono accresciute dal fatto che alcuni aspetti delle leggi delega, compresa la maggior parte della riforma fiscale, lasciano un’enorme spazio di manovra al Governo. Ma in realtà un ampio spazio di manovra significa che le difficili scelte, scelte di elevata valenza politica che potrebbero scuotere il Governo, devono ancora essere prese. La seconda area riguarda le condizioni definite nel Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza (PNRR) che dovranno essere rispettate nel 2022 per avere accesso ai quasi 50 miliardi di finanziamenti europei previsti per quest’anno. Oltre ad alcune cose già citate (la riforma del codice appalti da realizzare entro giugno 2022), c’è la legge sulla concorrenza, approvata dal Governo, ma che dovrà essere votata dal Parlamento entro dicembre. E, parlando di Europa, non possiamo dimenticarci che il 2022 sarà l’anno in cui verranno riscritte le regole europee sui conti pubblici, ora sospese per dare più flessibilità nell’affrontare la crisi pandemica, ma che ridiverranno operative, nella nuova forma, nel 2023.

  • Forzare la retribuzione verso l'alto non è la soluzione. Il PNRR è l'unica speranza

    Il PNRR è l'unica speranza Il Foglio Forzare la retribuzione verso l'alto non è la soluzione. Il PNRR è l'unica speranza 16 giugno 2022 L'Italia ha un colossale problema di produttività, che non significa affatto, come qualcuno sostiene, che la gente non lavora. Significa tutto ciò per cui è stato disegnato il Recovery, a partire dalle pubbliche amministrazioni che non funzionano, la giustizia che di giusto ha ben poco, le università infestate dalle varie concorsopoli. Nell’introduzione di Mario Draghi al PNRR, è detto chiaramente che l’Italia è uno dei paesi che nell’ultimo quarto di secolo è cresciuto di meno e che dietro questa bassa crescita c’è la stagnazione della produttività. Se invece si scopre che gli stipendi sono rimasti fermi negli ultimi decenni o addirittura sono diminuiti, questo è un tema che provoca reazioni indignate. Dal 1995 al 2019, il pil reale per ora lavorata (ossia il pil reale diviso il totale delle ore lavorate da tutti gli occupati) è cresciuto del 9 per cento in Italia, a fronte di valori compresi fra il 30 e il 50 per cento negli altri principali paesi. In Giappone, paese che fino a poco tempo fa veniva definito il malato del mondo, la crescita è stata del 34 per cento; in Germania, una volta considerata, con l’Italia, il malato d’Europa, la crescita è stata del 29; Francia e Regno Unito stanno attorno al 30.

  • PNRR, un confronto con il resto dell’Eurozona

    Come mostra la Tav. 1, solo nove Paesi all’interno dell’Eurozona hanno scelto di avvalersi dei prestiti messi a disposizione dal RRF, anche se molti hanno incrementato l’entità di fondi richiesti negli anni successivi alla presentazione dei piani originali. Notevole è il caso della Spagna, per la quale i fondi stanziati sono più che raddoppiati principalmente a causa della decisione – presa in un secondo momento – di avvalersi dei prestiti europei a lunga scadenza. Paesi come la Germania, per esempio, hanno deciso di avvalersi in misura più limitata delle risorse europee e di aggiungere risorse proprie per il loro piano di ripresa. Per alcuni Paesi il valore dei sussidi concessi eccede il tetto massimo (basato su una formula che cercava di cogliere per ogni Paese l’intensità della recessione causata dalla pandemia) a causa dell’inserimento del capitolo REPowerEU. È questo il caso dell’Italia, che a fronte di un ritardo contenuto nella presentazione delle richieste ha subìto notevoli ritardi nel versamento delle rate; in particolare, la richiesta della terza rata è stata inviata nel mese di dicembre 2022 e l’erogazione è avvenuta solo 3 trimestri più tardi. Secondo gli autori, i ritardi sono dovuti anche alla necessità di integrare i capitoli di REPowerEU nei RRP, alla sottostima dei tempi necessari per l’attuazione di alcune misure e alle incertezze relative alle norme di attuazione (come il principio “do not significant harm” parte del Green Deal europeo). Il ritardo nei versamenti delle rate è approssimato dal numero di trimestri che intercorrono fra la presentazione della richiesta di pagamento e l’effettivo versamento della rata, sottraendo a questo valore un trimestre per tenere conto del tempo di revisione ordinario.

  • I tempi della giustizia civile in Italia: gli anni della pandemia e il PNRR

    I rapporti della “Commissione per l'efficienza della giustizia del Consiglio d'Europa” hanno inoltre confermato lo stato allarmante della giustizia Italiana in relazione agli altri paesi europei: l’ ultimo rapporto – pubblicato nel 2020 e basato sui dati del 2018 – posiziona l’Italia all’ultimo posto per quanto riguarda i tempi dei procedimenti civili. Nel 2019 il disposition time medio in Italia era di 588 giorni per i tribunali e di 654 giorni per le Corti d’Appello: per definire un procedimento servivano dunque in media circa 19 mesi in primo grado e 21 in secondo. Nel 2020 invece vi è stato un netto peggioramento, principalmente dovuto all’impatto del Covid: il numero di procedimenti sopravvenuti è complessivamente calato del 22 per cento, mentre lo stock di procedimenti pendenti è rimasto pressoché costante. Gli aumenti più consistenti sono stati osservati nei tribunali del Mezzogiorno e delle Isole: un esempio è il tribunale di Vallo della Lucania, già il più lento nel 2019, il cui disposition time è più che triplicato nel 2020. Per quanto riguarda il secondo grado di giudizio, il peggioramento più evidente nel 2020 si è verificato nella Corte di Roma, che con quasi 4 anni di tempo di smaltimento supera Taranto diventando di fatto la più lenta d’Italia. Nel 2021 si osserva invece un netto miglioramento nei tempi di smaltimento delle procedure rispetto al primo anno di pandemia: solo 20 tribunali italiani hanno peggiorato le loro tempistiche nel 2021, mentre tutti gli altri hanno recuperato, sebbene non sempre ritornando ai tempi di smaltimento osservati nel 2019. Tale documento riporta anche i dati baseline del 2019 e la conseguente ripartizione dettagliata per grado di giudizio necessaria per raggiungere la riduzione del 40 per cento del disposition time relativo ai processi civili, che dovrebbe portare la durata complessiva dei processi dai 2.512 giorni del 2019 all’obiettivo di 1.507 da raggiungere a metà 2026.

  • Cosa prevede il PNRR per la transizione digitale

    La quota di spesa gestita dal settore privato è limitata alle misure per la “Digitalizzazione delle imprese” e parte degli investimenti in “Ricerca e Sviluppo” ed è quindi limitata a meno di un terzo del totale. Tra questi 26 comprendono misure che sono relative alla digitalizzazione con coefficienti, rappresentanti l’apporto delle singole misure alla transizione digitale, del 100 o del 40 per cento (Tav. A1 in appendice). A causa di questa parziale considerazione di alcune misure, ai 48,1 miliardi qualificanti come digitali corrispondono 56,5 miliardi di spese totali. Infrastrutture pubbliche – Altre infrastrutture : Ulteriori 5 miliardi di euro sono stanziati per lo sviluppo di infrastrutture informatiche di varia natura: l’investimento più ingente (1,6 miliardi) è rappresentato dalla realizzazione di un sistema integrato di strutture di ricerca e innovazione del MIUR. Il potenziamento di centri di ricerca e la creazione di "campioni nazionali di R&;S" viene invece finanziata con 240 milioni, mentre ulteriori attività di ricerca vengono finanziate col progetto “Orizzonte Europa” (80 milioni). Da questa classificazione, è chiaro che il grosso della spesa per digitalizzazione sarà gestita dal settore pubblico, o per la diretta digitalizzazione della gestione e della fornitura di servizi pubblici (macrocategorie 2 e 3 e parte del 6) o per infrastrutture pubbliche (macrocategorie 4 e 5). Le smart grid sono l’insieme di reti di informazione e di distribuzione di energia elettrica “intelligenti”, ovvero in grado di minimizzare sovraccarichi di energia o variazioni di tensione elettrica.

  • Atac e Antitrust: una svolta in vista grazie al PNRR

    Nei giorni scorsi, due sentenze della Giustizia amministrativa hanno dato l’impressione che l’impegno dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) per la messa a gara del trasporto pubblico locale (TPL) di Roma sia destinato all’insuccesso. Il commento che si può fare è che i tempi del TAR non sembrano compatibili con l’urgenza di agire che era implicita nel ricorso dell’AGCM e che in realtà vi era stata un’istanza cautelare contro la decisione della Giunta di prorogare per l’ennesima volta l’affidamento in house. L’argomento centrale è che in quegli anni (fra il 2017 e il 2022) la situazione di Atac era sostanzialmente fallimentare ed era in atto un regime concordatario in cui il comune di Roma si stava impegnando, anche con risorse finanziarie proprie, a risanare l’azienda. Per esempio, AGCM riporta che per il periodo 2018-2022 dai bilanci di Atac risultavano a consuntivo 28 milioni di euro di investimenti in nuovi autobus finanziati da Roma Capitale, a fronte di 7 milioni di euro in autofinanziamenti acquistati dal gestore. Proposte e confronti con l’estero Alla luce di tutte queste contestazioni, AGCM auspica che Roma Capitale valuti la possibilità di una graduale apertura alla concorrenza del mercato del trasporto pubblico locale non periferico. Le continue proroghe del contratto da parte di Roma Capitale non sembrano quindi trovare alcuna giustificazione concreta, e AGCM sembra aver ragione quando ritiene che, alla luce delle passate gestioni, le motivazioni presentate dall’ente per giustificare l’estensione del termine appaiono più una dichiarazione d’intenti che altro. Inoltre, in caso di affidamento in house di importo superiore alle soglie di rilevanza europea, l’articolo 17, comma 2, prevede che la delibera di affidamento sia basata su una qualificata motivazione che dia espressamente conto delle ragioni del mancato ricorso al mercato ai fini di un’efficiente gestione del servizio.

  • PNRR: le 419 condizioni per trasformare l’Italia

    I milestone e target sono inclusi nelle cosiddette “schede” che, nella versione proposta dalle autorità italiane, sono state circolate da alcuni giornali qualche giorno fa. Si tratta di 419 passi da compiere per trasformare l’Italia. I target invece sono definiti in modo più oggettivo, ma sono lontani nel tempo: tre quarti dei target sono concentrati tra il quarto trimestre del 2024 e la fine del 2026. Per valutare il progresso nella loro realizzazione e consentire l’erogazione dei corrispondenti finanziamenti (vedi punto 52 del regolamento 2021/241 della Recovery and Resilience Facility), le autorità italiane hanno identificato, nelle 2.500 pagine contenenti le cosiddette “schede”, 419 obiettivi che devono essere raggiunti a certe scadenze nel corso dei prossimi sei anni. le “milestone”, anche in questo caso relative sia a riforme sia a investimenti, sono obiettivi qualitativi, relativi, perlopiù all’approvazione di leggi, semplificazioni normative e riorganizzazioni; ce ne sono 205 e, vista la loro natura, spesso precedono i target nel tempo, spianando la strada al loro raggiungimento. Completamento del rinnovo di almeno 12 milioni di m2, con il risparmio di almeno il 40% dell'energia; rinnovo almeno 1,4 milioni di m2 a scopo antisismico. Completamento del rinnovo per almeno 32 milioni di m2, con risparmio di almeno il 40% dell'energia; rinnovo di 3,8 milioni di m2 a scopo antisismico. Riduzione dei tempi di disposizione (indicatore della durata dei procedimenti calcolato come rapporto tra i procedimenti pendenti alla fine dell’anno e quelli che sono stati conclusi) del 40% per tutte le istanze dei contenziosi civili e commerciali.

  • Il Piano Asili Nido nel PNRR

    Qui a sinistra potete scaricare la presentazione in PDF. Un articolo di Osservatorio Conti Pubblici Italiani Download SCARICA IL PDF.

  • Esame della proposta di Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza

    Il grado di specificità e dettaglio nella definizione delle azioni da intraprendere, compreso in termini di target e milestone che devono essere raggiunti per consentire l’erogazione dei finanziamenti. Ci sono senza dubbio tante cose appropriate (per esempio, l’attenzione agli investimenti pubblici che sono stati insufficienti negli ultimi anni), ma è naturale per me, volendo indicare aree di miglioramento, concentrarmi sugli aspetti negativi più che su quelli positivi. Il secondo punto è che una presentazione più concisa, non strettamente in termini di lunghezza ma di rapporto tra testo e contenuti sostanziali, sarebbe stata più efficace. Il PNRR abbonda di affermazioni di carattere generale e di ripetizioni che rendono il documento meno efficace di quello che dovrebbe essere e di più difficile lettura. L’adeguatezza della strategia di crescita che dovrebbe essere realizzata attraverso il PNRR Nelle sue prime pagine (in particolare dalla 12 alla 19) il PNRR definisce la strategia di crescita che l’Italia dovrebbe seguire. Meno del 30 per cento delle linee di intervento infatti definisce un obiettivo quantificato precisamente, come ad esempio il numero di beneficiari da raggiungere, di edifici da ristrutturare o di impianti da installare. Il regolamento richiede che i paesi descrivano nel loro piano i sistemi di controllo e le misure che impediranno l’insorgere e eventualmente individueranno, porteranno alla luce e correggeranno conflitti di interesse e fenomeni di corruzione e frode nell’uso delle risorse del PNRR.

  • La lista della spesa del PD

    Poco più di un terzo delle misure contenute nel programma sono in linea con gli obiettivi vincolanti del PNRR; le restanti proposte trattano sia di riforme legislative a costo zero, sia di ingenti investimenti. Solamente per le cinque voci di spesa più rivelanti per le quali è possibile una quantificazione, stimiamo un aumento di spesa compreso tra i 29 e i 58 miliardi di euro all’anno. Il programma elettorale del Partito Democratico – Italia Democratica e Progressista (dove dopo il trattino indica la presenza di Articolo Uno, Partito Socialista Italiano, DemoS, Movimento Repubblicani Europei, Volt, ma non di +Europa che ha un suo programma separato) prevede più di cento proposte suddivise in 8 indirizzi di spesa. Per quattro ulteriori interventi in questa categoria il programma elettorale del PD pone obiettivi più stringenti di quelli del PNRR: ad esempio, il Piano nazionale per il risparmio energetico prevede un obiettivo più elevato in termini di produzione energetica da fonti rinnovabili. Gli obiettivi programmatici in linea con il PNRR possono quindi essere di tre tipi: obiettivi che non richiedono coperture aggiuntive rispetto agli stanziamenti comunitari (24), obiettivi che comportano un aumento di spesa di tipo temporaneo (2), obiettivi che comportano un aumento di spesa tipo permanente (9). Italia 2027: le altre misure Oltre alle misure che ricalcano l’impostazione del PNRR, il PD propone, insieme con i suoi alleati, una serie di interventi mirati alla risoluzione del problema del carovita e dell’inflazione da una parte e riforme di tipo più strutturale dall’altra. La spesa associata alla maggior parte di queste e altre proposte è difficile da quantificare anche in termini approssimativi data l’assenza di specificità per quanto riguarda i beneficiari di tali interventi o il sistema di implementazione delle misure proposte nel documento.

  • Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza: il Piano in 6 punti

    Sebbene le risorse rese disponibili dall’UE siano diminuite, il PNRR Draghi è un po’ più ampio di quello di Conte anche perché si sono confermate spese che il PNRR Conte considerava ancora come incerte. La nota è stata ripresa da questo articolo di Repubblica del 7 maggio 2021 *** Le risorse del PNRR Sono circolate diverse cifre sul totale delle risorse messe a disposizione per il PNRR, l’ultima delle quali, riportata dal Presidente Draghi nelle sue relazioni al Parlamento, era di 248 miliardi. Draghi v. Conte: differenze nelle risorse disponibili e nel loro uso La versione del governo Draghi prevede, come detto, spese per 235 miliardi, 12 miliardi in più di quella del governo Conte (223 miliardi). La versione più recente, invece, rende esplicito che il PNRR sarà finanziato anche da 30,6 miliardi di maggior debito pubblico, coprendo quindi la perdita di 5 miliardi di minori finanziamenti europei, i 14 miliardi che il governo Conte aveva lasciato in sospeso e aggiungendo, in termini netti, altri 12 miliardi. Si tratta di 162 investimenti, di cui 107 sono sotto il miliardo di euro; la dimensione media dei progetti è di 1,3 miliardi, quella mediana di 650 milioni (Fig. 2). Tra i pochi grandi interventi previsti troviamo il piano Transizione 4.0 (18 miliardi, cioè la proroga con modifiche delle misure di Industria 4.0) e i finanziamenti di Ecobonus e Sismabonus (18 miliardi, cioè la proroga con modifiche del Superbonus 110 per cento introdotto nel 2020). Quest’ultima cifra è stata rivista leggermente al ribasso rispetto a quella contenuta nella bozza del PNRR circolata a gennaio dal governo Conte 2 (209,5 miliardi) perché l’ammontare di prestiti ottenibili con la RRF è stato ridotto di circa 5 miliardi.

  • I tempi della giustizia civile si sono ridotti… ma non abbastanza

    Inoltre, l’obiettivo del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) di ridurre del 40% la durata media entro giugno 2026 rispetto al 2019 appare ancora lontano: se il tasso annuo attuale di riduzione dovesse proseguire anche nel 2025 e nella prima metà del 2026, il calo complessivo si fermerebbe intorno al 25%. Questa nota aggiorna le informazioni sulla durata dei processi civili e sui procedimenti pendenti alla luce della pubblicazione di nuovi dati da parte della Commissione per l'Efficienza della Giustizia del Consiglio d'Europa (CEPEJ) nel settembre scorso e del Ministero della Giustizia a marzo 2025. L’analisi del CEPEJ dal 2010 al 2022 Il rapporto del CEPEJ, pubblicato ogni due anni, contiene stime sui tempi della giustizia di 44 Paesi. La durata dei processi è misurata dal Disposition time , il rapporto tra lo stock di processi pendenti a fine anno e il flusso dei processi definiti in quell’anno moltiplicato per 365 (per esprimerlo in giorni). Nonostante ciò, anche nel 2022 la durata dei processi in Italia resta significativamente superiore rispetto agli altri principali Paesi europei: in Francia e in Spagna la durata era di 3 anni e 8 mesi, in Germania di 1 anno e 5 mesi. I dati del ministero fino al 2024 Il Ministero della Giustizia, nel monitorare il progresso rispetto all’obiettivo del PNRR, riporta dati leggermente diversi da quelli del CEPEJ. Secondo il Ministero, la durata dei processi sarebbe scesa al 31/12/2024 a 2.008 giorni (5 anni e 6 mesi); la stima per i dati CEPEJ sarebbe 2.139 giorni (5 anni e 10 mesi), un dato ancora significativamente superiore a quello di Francia, Spagna e Germania.

  • La riforma infinita della PA

    Il costo e la complessità della burocrazia per cittadini e imprese uniti a politiche di reclutamento e di carriera del personale pubblico che faticano a favorire il merito individuale sono problemi noti nella Pubblica Amministrazione italiana e spesso richiamati nel dibattito sulle difficoltà di crescita economica del Paese. Non è un caso che la PA sia stata oggetto di numerose riforme, anche nel recente passato, e che sia oggi al centro di una delle riforme previste dal PNRR. La riforma della PA nel PNRR La riforma della PA, una delle 66 del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), è una riforma di carattere “orizzontale”, in quanto trasversale a tutte le missioni del Piano. La piattaforma, che prevede anche un repository comune dei curricula, è accompagnata dalla stesura di procedute volte all’inserimento di personale tecnico e specializzato per l’attuazione dei progetti del PNRR; una task force per la digitalizzazione e il monitoraggio (734,2 milioni di euro). Saranno offerti dei corsi mirati ad aumentare le competenze del personale, allo scopo di avere un crescente livello di specializzazione dal punto di vista tecnico ma anche organizzativo e di governance. Il costo del lavoro pubblico La diminuzione dei dipendenti pubblici rispetto al totale della forza lavoro si rispecchia anche in una diminuzione del costo del lavoro del pubblico impiego in rapporto al Pil. L’ultimo dato, riferito al 2022, colloca la spesa per i dipendenti pubblici al 9,5% del Pil (Fig. 4). Il personale comincia quindi ad aumentare più consistentemente dal 2019, ma è con la pandemia che, nel 2020, si tocca un picco nel costo del lavoro delle PA, anche se più a causa della forte contrazione del Pil che dell’aumento dell’organico (solo di circa 45 mila unità dal 2018).

  • Quali prospettive per la ricerca nelle università?

    Tuttavia, la principale voce di finanziamento degli atenei, il Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO), dopo qualche anno di incrementi in termini reali è tornato sul livello del 2000 e dovrebbe ridursi ulteriormente nel 2026-27. Accanto alle università, esistono altri centri di ricerca pubblici, con cui queste collaborano, ma con minori risorse complessive a disposizione: il Consiglio Nazionale delle Ricerche, il principale di questi centri, ha un budget pari a circa il 15% di quello di tutti gli atenei statali per la ricerca. Nonostante emerga di tanto in tanto (per esempio, in occasione del recente sciopero dei ricercatori [3] ), il tema del finanziamento alle università e del lavoro di ricerca rimane spesso ai margini del dibattito pubblico. Come è finanziata la ricerca nelle università? L’attività di ricerca nelle università italiane è finanziata prevalentemente dal settore pubblico, con un piccolo contributo da parte delle imprese private e delle realtà nonprofit (Fig. 1). Il Fondo di Finanziamento Ordinario Il Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) è un trasferimento unico dallo Stato alle università pubbliche, istituito dal 1994 (l. 557/1993) per garantire maggiore autonomia agli atenei e responsabilizzarli nella gestione dei bilanci tramite processi di valutazione dei risultati. Anche assumendo che tale quota complessiva sia intorno al 50%, [13] si tratterebbe comunque di una cifra molto rilevante, pari a circa 4,8 miliardi di euro, di poco inferiore al totale della spesa pubblica per la ricerca nelle università nel 2022. Considerando anche le borse concesse a giovani ricercatori per loro progetti (quasi due terzi delle quali ancora da assegnare), si tratta di oltre 5.000 unità di personale aggiuntive, un aumento di circa il 18% rispetto al numero totale di assegnisti e ricercatori a tempo determinato presenti in Italia nel 2020-21 (cioè pre-PNRR).

  • FMI e conti pubblici, la resilienza che serve

    Quello che sta scritto nel documento è integrato dai retroscena riassunti nell’ articolo pubblicato oggi sulle colonne di Repubblica . Cose di questo genere sono possibili solo con l’acqua alla gola e non lo siamo, grazie anche alla marea di soldi che sono arrivati in questi anni dalle istituzioni europee: forse troppi, col senno di poi. Il Fondo ritiene che un tale aggiustamento non avrebbe un impatto significativo sulla crescita perché tagli di sussidi e altre spese inutili potrebbero essere compensati da una piena realizzazione del PNRR: poca spesa buona in più annulla, in termini di Pil, il taglio di tanta spesa cattiva. Ma nel giro di uno o due anni quello che conta è l’impatto netto sulla domanda aggregata: nell’immediato, un taglio di spesa cattiva vale tanto quanto un aumento della spesa buona perché impattano in modo uguale sulla domanda dell’economia che, nel breve periodo, determina il livello del reddito. Come riassunto dal suo acronimo, il PNRR è un piano per sostenere la “ripresa” dopo il Covid e l’acquisizione di una “resilienza” che la nostra economia non aveva nel 2020 (da qui la necessità di finanziamenti dall’Europa). Ma siamo ancora lontani dal raggiungere la resilienza, ossia la capacità di sostenere shock economici da soli, il che richiede anche portare il nostro tasso di crescita in tempi buoni almeno al 2 per cento l’anno. Rinunciare ora agli obiettivi fissati rinegoziando (ancora!) il PNRR è sbagliato: insomma il PNRR non può essere trattato come le cose che di solito mettiamo nel milleproroghe.

  • Le riforme e gli investimenti del Piano strutturale di bilancio: cosa c’è di nuovo?

    Sebbene l’appendice sesta al Piano, resa disponibile in ritardo rispetto al documento iniziale, contenga scadenze precise e maggiore specificità nella descrizione degli interventi, diverse misure restano vaghe, in particolare per quanto riguarda le aree giustizia e imprenditorialità. Questa nota descrive le riforme del PSBMT italiano che sono aggiuntive rispetto a quelle incluse nel Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza (PNRR). Gli interventi previsti (riforme e investimenti) si focalizzano su cinque aree chiave che sono già state oggetto di interventi nel PNRR: giustizia, fisco, ambiente imprenditoriale, Pubblica Amministrazione e programmazione della spesa pubblica. Nel corpo principale del PSBMT gli interventi sono decritti in modo piuttosto generico, tanto che durante le audizioni parlamentari sul Piano diversi interventi (in particolare quelli dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio, del CNEL e della Banca d’Italia) [1] hanno sottolineato la vaghezza degli impegni presi. Nonostante il governo abbia richiesto un’estensione del piano di aggiustamento di bilancio fino al 2031, tutte le misure elencate devono essere realizzate entro il quarto trimestre del 2029, data la durata quinquennale dei Piani che gli Stati membri sono tenuti a presentare e rispettare. Nell’ambito della PA, gli interventi entro il quarto trimestre del 2028 riguardano: i) maggior valorizzazione del merito tramite processi di reclutamento mirati; ii) percorsi di carriera e sistemi di retribuzione che riflettano le performance; iii) interventi di formazione continua per i dipendenti pubblici. Nello specifico, l’implementazione delle riforme previste del PNRR comporterebbe un aumento del Pil del 2,2% entro il 2031, mentre il completamento delle nuove riforme programmate comincerebbe ad avere effetti positivi sull’economia a partire del 2028 e produrrebbe, nello stesso periodo, un ulteriore aumento di 1,7 punti percentuali.

  • Le 528 condizioni della Commissione Europea per il Recovery Fund

    Rispetto alla proposta iniziale del governo italiano, sono stati aggiunti 100 obiettivi e alcuni sono stati rivisti in senso più ambizioso. In particolare, l’articolo 52 ricorda la necessità del “conseguimento soddisfacente di obiettivi e traguardi dei PNRR” e la possibilità “in via eccezionale [per] uno o più Stati membri, qualora ritengano che vi siano gravi scostamenti dal conseguimento soddisfacente […], di chiedere di rinviare la questione al successivo Consiglio europeo”. Ma quali sono le condizioni che l’Italia dovrà soddisfare? Le schede tecniche del PNRR inviate alla Commissione su cui si è svolta la trattativa contenevano 419 condizioni, di cui 205 “milestone” (condizioni qualitative) e 214 “target” (condizioni quantitative). Da questo consegue un vincolo più debole in capo delle autorità italiane; Gli obiettivi quantitativi, generalmente più informativi sul successo dell’implementazione del piano, sono inevitabilmente più lontani nel tempo, perché nei primi anni quasi tutti gli interventi saranno in fase embrionale. Rispetto alla proposta italiana, la versione concordata con la Commissione ha incrementato sensibilmente gli obiettivi (+47 per cento) introducendone, appropriatamente, molti di intermedi tra 2023 e 2024, ma il problema è ancora visibile (Fig. 2); Esiste una discrasia tra la distribuzione temporale delle erogazioni e delle condizioni. Ad esempio, tra 2021 e 2022 verrà erogato quasi il 37 per cento dei fondi, ma in questo lasso di tempo sono concentrate meno del 28 per cento delle condizioni (e sono quasi tutte traguardi qualitativi). Ad esempio, il numero di imprese che deve aver utilizzato i crediti d’imposta di Transizione 4.0 entro metà 2024 è stato aumentato da 56.300 a 69.900 (obiettivi leggermente più ambiziosi sono stati introdotti anche per i nuovi posti in asili e scuole materne).

  • La governance del Recovery Plan. Cosa faranno gli altri paesi?

    Cosa faranno gli altri paesi? 17 febbraio 2021 Intermedio La bozza del Recovery Plan inviata dal governo Conte 2 alla Commissione Europea non includeva ancora una proposta per la governance del piano. Le caratteristiche italiane, ovvero un piano molto consistente (209 miliardi) e una PA non sempre rapida nell’esecuzione degli investimenti, appaiono più allineate a quelle dei paesi che hanno previsto la creazione di entità apposite per il coordinamento. Tuttavia, la proposta circolata in Italia a dicembre, ovvero una struttura “pesante” non solo di coordinamento, ma anche di gestione, parallela e in parte sostitutiva dei Ministeri, appare eccezionale rispetto a quella degli altri paesi. Questo problema riflette la mancanza di accordo sulla proposta di governance contenuta nella bozza di PNRR circolata a dicembre che proponeva una grande struttura “parallela” ai Ministeri, con poteri sia di coordinamento che di gestione. Nel suo discorso al Parlamento, il nuovo premier Draghi ha invece dichiarato che la governance del PNRR sarà “incardinata nel Ministero dell’Economia e Finanza con la strettissima collaborazione dei Ministeri competenti che definiscono le politiche e i progetti di settore”. La decisione del modello di governance per il Recovery Plan è, ad oggi, uno dei principali problemi che il governo dovrà affrontare, perché i PNRR nazionali saranno valutati dalla Commissione Europea anche in base alla credibilità della loro governance. Queste commissioni specifiche sono comunque di dimensioni ridotte, somigliando di più a piccoli gruppi di lavoro che a grandi organizzazioni con ampie responsabilità.Alcuni paesi hanno istituito Commissioni ad hoc vicine al Primo Ministro, pur mantenendo un ruolo per i Ministeri (Francia, Spagna, Portogallo).

  • L’evoluzione della spesa sanitaria italiana

    Con una dotazione totale di 191,5 miliardi di euro da investire tra il 2022 e il 2026, il PNRR destina 15,6 miliardi (8,2 per cento del totale) alla Missione Salute (M6). La spesa sanitaria prevista dalla Legge di Bilancio 2023 Per il 2023, le risorse per il Servizio Sanitario Nazionale sono previste in aumento di 4 miliardi rispetto al 2022. Nella Legge di Bilancio 2023 sono stati aggiunti altri 2 miliardi, portando il totale complessivo per il 2023 a 128 miliardi; di queste ulteriori risorse, la maggior parte (1,4 miliardi) andrà a coprire i maggiori costi delle fonti energetiche mentre 200 milioni saranno destinati all’aumento degli stipendi degli operatori del pronto soccorso. Pur contando su un aumento consistente di fondi, rispetto all’esperienza degli anni pre-Covid quando il finanziamento è aumentato di 1 miliardo all’anno, è solo il 3 per cento in più nonostante l’inflazione abbia raggiunto a novembre quasi il 12 per cento su base annua. L’aumento in termini reali si è verificato tutto nei primi anni del secolo; dopo la crisi finanziaria del 2008 e la successiva crisi dei debiti sovrani in Europa si osserva una riduzione seguita da un lungo periodo di stabilità, che si è concluso solo nel 2020 con l’esplosione della pandemia. Come noto, rispetto alla dotazione totale di 191,5 miliardi di euro da investire tra il 2022 e il 2026, il PNRR destina ben 15,6 miliardi (8,2 per cento del totale) alla sanità (oltre alle risorse, comprese nelle altre missioni, che hanno influenza sulla tutela della salute). La spesa di CN è maggiore della spesa di CE: la prima contabilizza i costi per la produzione dei servizi sanitari da parte di un qualsiasi ente facente parte della Pubblica Amministrazione, incluse le amministrazioni centrali.

  • Recovery, quei programmi troppo vaghi e una governance che scavalca i ministri

    Si tratta delle 6 aree indentificate già nelle Linee Guida con poche variazioni (la principale è quella di aver indicato appropriatamente nella quinta missione la parità di genere come obiettivo essenziale). Cosa si può dire di positivo, oltre a quello che ho già detto in termini di strategia generale? Primo, bene ha fatto il governo a riconoscere che una giustizia veloce è assolutamente essenziale per la società e l’economia italiana (nelle Linee Guida questo aspetto era meno evidente). Naturalmente, dietro al PNRR, ci potrebbero essere “schede” più specifiche, ma il fatto che non siano state pubblicate, se ci sono, suggerisce che non abbiano ancora raggiunto un sufficiente grado di completezza o di supporto politico. Sono i super manager che avranno non solo compiti di impulso, di monitoraggio e di definizione dei cronoprogrammi, ma anche poteri sostitutivi in caso di necessità. Più sotto c’è un “contingente di personale” di dimensione ancora imprecisata (si è detto inizialmente 300, ora si dice 90) comprendente esperti che potrebbero provenire anche dall’esterno della pubblica amministrazione. La bozza di PNRR dice che la struttura di missione costituisce un modello di “governance di secondo grado” rispetto ai ministeri. Ma che significa? Certo, struttura di missione e ministeri possono dialogare, ma avere troppi responsabili è una tipica malattia di una burocrazia che non funziona.

  • Lo Stato si, ma non solo

    Nel seguito mi limito alla fondamentale questione di come sarà rivisto il nuovo Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), su cui è caduto il precedente governo. Draghi ha detto che si tratterà, soprattutto, di rafforzare il PNRR in termini di obiettivi strategici e di riforme. Il precedente PNRR non chiariva esplicitamente la questione, ma sembrava orientato verso una maggiore presenza dello Stato nella gestione economica a partire dalla dimensione e dal ruolo previsto per gli investimenti pubblici. E sulla parità di genere non si punta sul “farisaico rispetto di quote rosa”, ma sul creare “parità di condizioni competitive tra generi”. Insomma occorre dare opportunità alle donne, per esempio attraverso “eguale accesso alla formazione” e “un sistema di welfare che permetta … di dedicare alla loro carriera le stesse energie dei loro colleghi uomini”. Primo, il precedente PNRR trascurava completamente la riforma del regime di concorrenza, che è ora invece tra le prime citate. Il quarto punto riguarda un’omissione, l’unica che ho trovato, ma che mi sembra importante: il nostro paese ha un disperato bisogno di una massiccia semplificazione burocratica (normativa e regolamentare), condizione sine qua non per attirare investimenti privati in quantità adeguata.

  • Def: apprezzabile la prudenza, debole la revisione della spesa

    Per gli anni successivi, la crescita programmatica del Pil dovrebbe attestarsi all’1,5 per cento nel 2024, all’1,3 per cento nel 2025 e all’1,1 per cento nel 2026. Il bilancio primario, ossia al netto degli interessi, passa da un deficit del 3,6 per cento del Pil nel 2022 (1 per cento al netto dei bonus edilizi riclassificati) a un avanzo dello 0,3 per cento già nel 2024 e al 2 per cento nel 2026. In particolare, la Legge di bilancio 2023 prevede una revisione del meccanismo di indicizzazione delle pensioni all’inflazione che comporterà nel triennio 2023-2025 un risparmio di poco più di 10 miliardi di euro, ripartiti come segue: 2,1 miliardi nel 2023, 4,1 miliardi nel 2024 e 4 miliardi nel 2025. La crescita del Pil nel 2023 Come già accennato, nel 2023 la crescita del Pil è stimata allo 0,9 per cento nel quadro tendenziale e all’1 per cento nel programmatico; il contributo maggiore alla crescita proviene dalla domanda interna. Il che vuol dire che le previsioni di questo Def scontano una diminuzione della spesa sanitaria in percentuale al Pil per l’orizzonte di programmazione economica del governo; per tornare sopra il 7 per cento (valore di riferimento per la media europea) ci vorrebbero quasi 20 anni (7,1 per cento nel 2045). Nel caso in cui le risorse del Piano vengano effettivamente utilizzate nella loro interezza, questo porterebbe dunque a una maggior crescita del Pil, pari al 2,3 per cento nel 2024, al 2,2 per cento nel 2025 e all’1,8 per cento nel 2026. In aggiunta, il PNRR porterebbe a un incremento rilevante degli investimenti totali dell’8 per cento nel 2023, dell’11 per cento nel 2024, del 13 per cento nel 2025 e del 12,4 per cento nel 2026, rispetto a uno scenario macroeconomico senza PNRR.

  • Le nuove norme sugli appalti previste dal dl Semplificazioni

    Inoltre, esse impongono anche una serie di regole armonizzate per le gare d’appalto che eccedono un determinato valore economico (cd. soglie comunitarie) e che quindi vengono considerate di interesse sovra-nazionale. In particolare, le direttive europee stabiliscono l’obbligatorietà dell’assegnazione tramite procedure competitive (gare d'appalto), oltre a determinare le modalità di redazione e pubblicazione dei bandi di gara e prevedere l’obbligo di trasmettere i contenuti degli appalti al supplemento della Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea. Regole per la partecipazione alle gare per appalti di lavori Focalizzandoci ora sugli appalti di lavori (ossia gli “investimenti pubblici”), Il Codice dei Contratti pubblici nel 2016 prevedeva forme semplificate di appalto nei contratti con valori più modesti, a partire dalla assegnazione diretta senza gara (Tav.1). Inoltre, per i contratti con valore inferiore ad un milione di euro sono stati allentati i paletti della procedura negoziata, consentendo di restringere la gara a un minor numero di operatori per gli di importi minori. Dopo alcune variazioni nel DL Semplificazioni del 2020, Il DL Semplificazioni del 2021 definisce tre modalità di gara: l’affidamento diretto per lavori sotto 150.000 euro; la procedura negoziata con 5 operatori ammessa per i contratti da 150.000 euro a 1 milione di euro. PNRR e pari opportunità Per quanto riguarda gli appalti relativi alle opere del PNRR, il dl Semplificazioni prevede l’obbligo per le aziende con più di 15 dipendenti di presentare un rapporto sulla situazione del personale in riferimento all’inclusione delle donne nelle attività e nei processi aziendali. Vengono inoltre introdotti ulteriori provvedimenti per rafforzare la trasparenza nelle procedure relative agli appalti: grazie all’accorpamento della banca dati degli operatori economici alla banca dati dei contratti pubblici, sarà possibile monitorare in maniera più efficiente le performance degli assegnatari dei contratti d’appalto da parte delle stazioni appaltanti.

Newsletter

Vuoi essere aggiornato
sui temi più importanti
di economia e conti pubblici?