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Cosa prevede il PNRR per la transizione digitale

03 giugno 2022

Intermedio

Cosa prevede il PNRR per la transizione digitale

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Questa nota analizza le spese che contribuiscono alla “transizione digitale”, a cui deve essere assegnato almeno il 20 per cento delle risorse del piano Next Generation European Union. Per tale obiettivo il nostro PNRR alloca 48,1 miliardi di euro (25,1 per cento delle risorse), superando il requisito minimo europeo. Il grosso della spesa per digitalizzazione sarà gestito dal settore pubblico, o per la diretta digitalizzazione della gestione e della fornitura di servizi pubblici o per infrastrutture pubbliche. La quota di spesa gestita dal settore privato è limitata alle misure per la “Digitalizzazione delle imprese” e parte degli investimenti in “Ricerca e Sviluppo” ed è quindi limitata a meno di un terzo del totale.

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Il piano Next Generation European Union prevede la destinazione di almeno il 20 per cento delle risorse a misure che contribuiscono alla transizione “digitale”. Dei 191,5 miliardi di euro messi a disposizione dell’Italia, il nostro PNRR destina il 25,1 per cento (48,1 miliardi) per gli obiettivi digitali; a differenza delle spese per la transizione ambientale, in cui l’Italia, superando marginalmente il minimo richiesto (37 per cento), è al penultimo posto nell’Unione per fondi destinati a questo scopo, il nostro paese è in migliore posizione rispetto alla transizione digitale.  La quota italiana rimane però sotto il valor medio europeo (27,1 per cento), anche a causa delle ingenti quote destinate alla transizione digitale da Austria a Germania. (Fig. 1)

La classificazione usata dalla Commissione per identificare le misure digitali

La Commissione Europea classifica le misure dei vari PNRR in i 143 “campi di intervento”. Tra questi 26 comprendono misure che sono relative alla digitalizzazione con coefficienti, rappresentanti l’apporto delle singole misure alla transizione digitale, del 100 o del 40 per cento (Tav. A1 in appendice).

La Commissione ha ritenuto che, delle 281 misure incluse nel nostro PNRR, 92 potessero essere classificate come “digitali”. Ottanta di queste hanno un coefficiente del 100 per cento, essendo le restanti tredici valutate al 40 per cento. (Tav.1). A causa di questa parziale considerazione di alcune misure, ai 48,1 miliardi qualificanti come digitali corrispondono 56,5 miliardi di spese totali.

 

Quali sono i principali settori di intervento?

 

Utilizzando le sei macrocategorie di spesa introdotte dalla Commissione Europea, le spese italiane per la digitalizzazione sono così suddivise:

  1. Digitalizzazione delle imprese (14,6 miliardi, 30 per cento del totale). La principale spesa è relativa agli incentivi, sotto forma di crediti d’imposta, previsti dal piano Transizione 4.0 (10,7 miliardi). Altra voce rilevante è l’investimento per rafforzare le smart grid (1,4 miliardi).[1] Con le risorse della Transizione 4.0,  le imprese italiane potranno acquisire: (i) i cosiddetti “beni strumentali 4.0”, ovvero beni direttamente connessi alla trasformazione digitale dei processi produttivi, sia materiali che immateriali (8,8 miliardi);[2] e (ii) i “beni immateriali non 4.0”(1,9 miliardi). Fra gli interventi più significativi oltre la Transizione 4.0, si citano la creazione e il rafforzamento di "ecosistemi dell'innovazione" (520 milioni qualificanti per la transizione digitale) e il rifinanziamento del Fondo 394/81 gestito da SIMEST (480 milioni per il digitale). Il primo intervento prevede il finanziamento di progetti che implichino contaminazione e collaborazione tra centri di ricerca, istituzioni locali, imprese e Università; il secondo contribuisce all’internazionalizzazione delle PMI italiane, erogando prestiti agevolati e contributi per attività innovative e sostenibili.
  2. E-government: Il PNRR stanzia per la digitalizzazione del settore pubblico quasi quanto per quello privato (13,9 miliardi vs i 14,6 della categoria precedente), nonostante il settore privato, in termini di valore aggiunto, sia molto più ampio. Questa categoria racchiude 46 investimenti da importi molto variabili che puntano a sostituire/digitalizzare/innovare macchinari (es: macchinari per terapie intensiva), sistemi (es: PagoPA), e servizi (es: telemedicina) nei più svariati settori dove opera lo Stato. La transizione verso un settore pubblico più digitale viene attuata sia tramite interventi minori che con investimenti più corposi, come i 3 miliardi stanziati per l’attivazione del sistema europeo di gestione del traffico ferroviario. Risultano cospicui anche i fondi per la digitalizzazione della sanità, ad esempio mediante l’ammodernamento del parco tecnologico e digitale ospedaliero (1,4 miliardi), il rafforzamento del Fascicolo Sanitario Elettronico (1,3 miliardi) e l’istituzione del servizio di telemedicina (1 miliardo).  
  3. Capitale umano, con una spesa di 7 miliardi. La maggior parte di questi interventi sono gestiti dai ministeri dell’Istruzione e dell’Università e ricerca (3,8 miliardi). Gli investimenti relativi alla scuola dell’obbligo servono per finanziare la realizzazione di aule informatiche e laboratori tecnologici (2,1 miliardi) e formare il personale scolastico con nuove competenze digitali (0,8 miliardi). Per quanto riguarda l’alta formazione, invece, vengono destinati 0,5 miliardi allo sviluppo di “competenze digitali avanzate” e 413 milioni per l’introduzione di dottorati innovativi in ambito digitale. La restante quota dei fondi è rivolta allo sviluppo di competenze digitali applicate alla formazione professionale.
  4. Infrastrutture pubbliche – Connettività: per lo sviluppo di reti a banda ultra-larga e 5G vengono destinati 6,7 miliardi. Parte di questi fondi sono destinati al potenziamento di reti ad alta velocità per gli istituti scolastici (261 milioni) e per le strutture ospedaliere (502 milioni).
  5. Infrastrutture pubbliche – Altre infrastrutture: Ulteriori 5 miliardi di euro sono stanziati per lo sviluppo di infrastrutture informatiche di varia natura: l’investimento più ingente (1,6 miliardi) è rappresentato dalla realizzazione di un sistema integrato di strutture di ricerca e innovazione del MIUR. A seguire vi sono il potenziamento di infrastrutture digitali per la PA e (0,9 miliardi) e i progetti finanziati da IPCEI (0,9 miliardi). Vanno inoltre menzionati i vari interventi in tecnologia satellitare (1 miliardo) e in Cybersecurity (623 milioni), che completano il quadro delle spese infrastrutturali.
  6. Ricerca e sviluppo in ambito digitale: solo il due per cento dei fondi (0,8 miliardi) sono destinati ad attività di ricerca e sviluppo: la voce più importante riguarda le attività connesse alla cd. “in-orbit economy” che mirano alla “progettazione, lo sviluppo di mezzi […] a sostegno delle attività di gestione del traffico spaziale” (580 milioni). Il potenziamento di centri di ricerca e la creazione di "campioni nazionali di R&S" viene invece finanziata con 240 milioni, mentre ulteriori attività di ricerca vengono finanziate col progetto “Orizzonte Europa” (80 milioni).

Da questa classificazione, è chiaro che il grosso della spesa per digitalizzazione sarà gestita dal settore pubblico, o per la diretta digitalizzazione della gestione e della fornitura di servizi pubblici (macrocategorie 2 e 3 e parte del 6) o per infrastrutture pubbliche (macrocategorie 4 e 5). La quota di spesa gestita dal settore privato è limitata alla macrocategoria 1 – Digitalizzazione delle imprese - e parte delle spese per la macrocategoria 6 (Ricerca e sviluppo). La quota del settore privato è quindi limitata a meno di un terzo del totale.

Appendice

Nel PDF che potete scaricare qui a destra trovate l'Appendice con la Tav. A1: I campi d'intervento per la transizione digitale secondo la Commissione Europea e le relative spese.


[1] Le smart grid sono l’insieme di reti di informazione e di distribuzione di energia elettrica “intelligenti”, ovvero in grado di minimizzare sovraccarichi di energia o variazioni di tensione elettrica. Questo aspetto è fondamentale, anche perché́ l’energia da fonti rinnovabili non è programmabile e richiede sistemi di distribuzione che possano controllare dei potenziali surplus di energia, redistribuendola efficacemente in aree deficitarie. Inoltre, mentre la tradizionale distribuzione dell’energia avviene in modo unidirezionale (dai grandi centri di produzione energetica fino alle singole utenze), una smart grid può permettere in modo efficiente e sicuro un’inversione di flusso, quindi un trasferimento di energia dai nodi periferici verso i grandi centri.

[2] Tra i beni immateriali, vengono considerati 4.0 quegli strumenti che impattano in maniera diretta il processo produttivo d’impresa, come i software “per il monitoraggio e controllo delle condizioni di lavoro delle macchine” ed i software per la “la progettazione e la modellazione 3D”. Un esempio di bene immateriale non 4.0, invece, sono i software per la realizzazione del “lavoro agile” che – pur comportando un investimento tecnologico nell’azienda – non modificano il processo produttivo della stessa. Vedi: Allegato A https://www.mise.gov.it/images/stories/documenti/Allegato_A_2016.pdf (beni strumentali materiali 4.0) & Allegato B https://www.mise.gov.it/images/stories/documenti/Allegato_B_2016.pdf (beni immateriali 4.0)

 

Un articolo di

Luca Brugnara e Cristina Orlando

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