Pubblica amministrazione

La riforma infinita della PA

13 giugno 2024

Intermedio

La riforma infinita della PA

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La Pubblica Amministrazione italiana è al centro dell’ennesima fase di riforma, questa volta guidata dal PNRR, che si articola su tre principali obiettivi: “accesso e reclutamento”, mirato a modernizzare e rendere più trasparenti i processi di selezione del personale; “semplificazione e buona amministrazione”, volto a ridurre la burocrazia e a migliorare l’efficienza dei servizi pubblici; “competenze e carriere”, che punta a valorizzare e aggiornare le competenze dei dipendenti pubblici attraverso percorsi di formazione continua e opportunità di carriera. Tuttavia, la maggior parte di questi obiettivi avrebbe dovuto essere già raggiunta con le precedenti riforme della PA, che purtroppo non sono riuscite a produrre gli effetti desiderati. In particolare la riforma Brunetta, introdotta per migliorare l’efficienza e la meritocrazia del settore pubblico, non è stata pienamente applicata, lasciando irrisolti molti dei problemi strutturali e organizzativi che affliggono oggi la PA. Negli ultimi due decenni, il numero dei dipendenti pubblici in Italia è diminuito sia in termini assoluti che in percentuale al totale della forza lavoro. Parallelamente, la spesa pubblica per i dipendenti della PA sta diminuendo in percentuale al Pil. Questi trend riflettono politiche macroeconomiche di razionalizzazione e contenimento della spesa pubblica che sono ineludibili dato lo stato dei conti pubblici italiani. Per evitare che queste politiche finiscano per aggravare le difficoltà della PA nel nostro Paese è essenziale che siano adeguatamente supportate dalle misure del Piano.

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Il costo e la complessità della burocrazia per cittadini e imprese uniti a politiche di reclutamento e di carriera del personale pubblico che faticano a favorire il merito individuale sono problemi noti nella Pubblica Amministrazione italiana e spesso richiamati nel dibattito sulle difficoltà di crescita economica del Paese.[1] Non è un caso che la PA sia stata oggetto di numerose riforme, anche nel recente passato, e che sia oggi al centro di una delle riforme previste dal PNRR.

La riforma della PA nel PNRR

La riforma della PA, una delle 66 del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), è una riforma di carattere “orizzontale”, in quanto trasversale a tutte le missioni del Piano. Lo scopo dichiarato è quello di migliorare l’efficienza e la competitività del Paese. Più nel dettaglio, l’obiettivo esplicitato nel Piano è quello di sviluppare la capacità amministrativa a livello centrale e locale, migliorando i processi di selezione, formazione, promozione e mobilità dei dipendenti pubblici, snellendo la burocrazia e digitalizzando le procedure amministrative, superando così la carenza di personale e la complessità normativa che hanno ostacolato i servizi pubblici e gli investimenti.[2]

La riforma del pubblico impiego è fondamentale per l’implementazione stessa del PNRR, in quanto la realizzazione degli investimenti è strettamente collegata alla capacità gestionale e amministrativa del personale in servizio ai diversi livelli della PA. La riforma prevede da una parte misure urgenti volte a un utilizzo efficace dei finanziamenti del PNRR, e dall’altra misure che attuano riforme organizzative e strutturali che siano in grado di garantire un cambiamento durevole della PA nel suo complesso. Per fare ciò, la riforma si basa su tre principali linee di intervento:

  1. accesso e reclutamento, per semplificare e digitalizzare le procedure di selezione, dando il giusto peso alle competenze del personale e favorendo il ricambio generazionale;
  2. buona amministrazione e semplificazione, per eliminare i vincoli burocratici, riducendo tempi e costi sia per i cittadini che per le imprese, partendo da un’accelerazione delle procedure volte all’attuazione del PNRR stesso;
  3. competenze e carriere, per allineare le conoscenze e le capacità organizzative alle esigenze moderne, rimuovere i vincoli alla mobilità dei dipendenti e offrire nuove prospettive di carriera, in particolare per i non dirigenti.

Gli investimenti chiave includono:[3]

  1. la creazione di un portale unico di reclutamento (per un totale di 20,5 milioni di euro). La piattaforma, che prevede anche un repository comune dei curricula, è accompagnata dalla stesura di procedute volte all’inserimento di personale tecnico e specializzato per l’attuazione dei progetti del PNRR;
  2. una task force per la digitalizzazione e il monitoraggio (734,2 milioni di euro). Le amministrazioni saranno assistite tecnicamente da gruppo di esperti nella transizione al nuovo sistema digitale e le nuove procedure saranno implementate in un archivio unico con validità giuridica nazionale. Si prevede anche di migliorare i meccanismi di valutazione della PA, tramite misure di performance mirate come ad esempio l’individuazione di Key Performance Indicator (KPI) o il consolidamento del ruolo degli Organismi Indipendenti di Valutazione (OIV);
  3. il miglioramento delle competenze amministrative con un forte focus sulla formazione e lo sviluppo strategico della forza lavoro (489,9 milioni di euro). Saranno offerti dei corsi mirati ad aumentare le competenze del personale, allo scopo di avere un crescente livello di specializzazione dal punto di vista tecnico ma anche organizzativo e di governance.

In termini di avanzamento del Piano, la riforma della PA si articola in 10 milestone (traguardi) e 6 target (obiettivi).[4] Entro la fine del 2023 erano previsti 7 traguardi e 1 obiettivo, che sono stati conseguiti (sebbene le informazioni sul sito Italiadomani siano discordanti rispetto a quelle fornite dalle relazioni della Corte dei conti).[5] Per metà 2026 dovranno essere raggiunti i restanti 3 traguardi e 5 obiettivi.[6]

Come già per le passate riforme, la riforma della PA del PNRR dovrebbe rappresentare un punto di svolta per l’efficientamento delle procedure burocratico-amministrative e per il contributo alla crescita potenziale del Paese. Tuttavia, per ora, la maggior parte degli interventi sono stati di carattere normativo, amministrativo o procedurale (milestone), mentre i risultati quantificabili di tali interventi sono previsti solo nei prossimi anni (target). Nonostante ciò, la natura stessa della riforma della PA, così come prevista dal PNRR, non prevede cambiamenti sostanziali a livello di assunzioni o retribuzioni, ma la costruzione di un contesto più efficiente che poi, negli anni, ha l’obiettivo di impattare sul numero di dipendenti, gli avanzamenti di carriera e così via.

La stessa Corte dei conti, infatti, sottolinea che una volta effettuati gli interventi normativi gli obiettivi della riforma devono essere effettivamente realizzati attraverso una pluralità di strumenti attuativi, quali ulteriore normazione primaria e secondaria, atti di indirizzo (linee guida, circolari, pareri ecc.), misure organizzative (implementazione di nuove tecnologie, formazione ecc.), contrattazione collettiva (CCNL), nonché un’azione di supporto e sostegno delle Amministrazioni più sollecitate nelle traiettorie di cambiamento.[7] In sintesi, le misure previste dal Piano non possono considerarsi ultimate sotto il profilo attuativo, perché potrebbero necessitare di ulteriori passaggi legislativi rispetto agli obiettivi concordati in sede europea. Oltre alle misure di natura attuativa e organizzativa, giocherà un ruolo anche la capacità della PA di tradurre gli interventi in cambiamenti della “cultura organizzativa” all’interno degli enti pubblici, nonché la capacità di monitorare in itinere la riforma per valorizzarne i punti di forza e correggerne gli aspetti che non contribuiscono o impediscono il raggiungimento degli obiettivi “reali” sottesi al conseguimento dei milestone e dei target: lo snellimento della burocrazia e l’efficientamento delle procedure amministrative.

I dipendenti pubblici in Italia

Ma chi e quanti sono i destinatari della riforma della PA in Italia? Quanti sono i dipendenti pubblici e in quali comparti sono attivi? Per analizzare l’andamento dell’occupazione nel settore pubblico si può fare riferimento al “Conto annuale” delle Pubbliche Amministrazioni, redatto ogni anno dalla Ragioneria Generale dello Stato (RGS) del Ministero dell’Economia e delle Finanze.[8] La banca dati del personale dipendente delle PA viene costruita annualmente grazie all’invio dei dati da parte delle singole amministrazioni tramite il Sistema Conoscitivo del personale dipendente delle amministrazioni pubbliche (SICO). Le amministrazioni coinvolte nella rilevazione sono identificate dal decreto legislativo 165/2001 e comprendono i dipendenti di tutte le amministrazioni dello Stato, tra cui gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado, le altre istituzioni di formazione e istruzione, le università, le aziende e amministrazioni dello Stato a ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane e loro consorzi e associazioni, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale e l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN).[9] Dal 1° gennaio 2014, inoltre, il decreto legislativo 101/2013 (convertito nella legge 125/2013) ha incluso ulteriori tipologie precedentemente escluse (la cosiddetta “lista S13”).[10] Queste comprendono federazioni sportive, autorità portuali, casse previdenziali, fondazioni lirico-sinfoniche, consorzi universitari e alcune società per azioni.

Partendo da queste definizioni delle amministrazioni incluse nella PA, dal 2001 al 2022 il numero di dipendenti delle pubbliche amministrazioni si è ridotto, passando da più di 3,5 milioni a quasi 3,3 milioni (poco più di 3,2 milioni escludendo la lista S13). In particolare, vi è stata una diminuzione pari a quasi 200 mila unità di lavoro dal 2008 al 2012 (il periodo del blocco del turnover) e un leggero incremento nel 2022 (circa 30 mila dipendenti dal 2021).

Anche la quota di dipendenti della PA sul totale della forza lavoro si è andata riducendo negli anni, passando dal 14,7% all’inizio degli anni Duemila al 13,3% nel 2012.[11] Nell’ultimo decennio, il pubblico impiego ha sempre costituito tra il 13 e il 13,6% della forza lavoro italiana, con una tendenza alla riduzione fino all’arrivo della pandemia nel 2020 (Fig. 1).

I comparti identificati nell’analisi degli occupati nelle PA della RGS sono sei: i) Funzioni centrali; ii) Funzioni locali; ii) Istruzione e ricerca; iv) Sanità; v) Comparto autonomo o fuori comparto; vi) Personale in regime di diritto pubblico.[12] La distribuzione del personale pubblico fra questi comparti non sembra variare molto nel tempo anche se, in vent’anni, dal 2001 al 2022, si nota una leggera ricomposizione (Fig. 2). Già dal 2001 il comparto Istruzione e ricerca copriva la maggior parte dei dipendenti pubblici (il 34,9%), seguito dalla Sanità (il 19,6%). Nel 2022, è ancora così: si tratta rispettivamente del 39,2% e del 20,8%. D’altra parte, è diminuita la percentuale di dipendenti delle Funzioni centrali (dal 9,4% al 6,1%) e locali (dal 16,9% al 15,0%), mentre restano pressoché invariate le quote degli altri due comparti.

La distribuzione per genere dei dipendenti pubblici, pressoché bilanciata nel 2001, vede nel 2022 la prevalenza di dipendenti donna (59,4%). Di queste, circa la metà appartiene al comparto Istruzione e ricerca (il 77% dei dipendenti del comparto) e quasi un quarto alla Sanità (il 69% dei dipendenti del comparto) (Fig. 3).[13] Si tratta rispettivamente del 30% e del 14% del totale dei dipendenti pubblici nel 2022. La quota femminile è invece particolarmente bassa per il Personale in regime di diritto pubblico (magistratura, carriera diplomatica, carriera prefettizia, carriera penitenziaria, corpi di Polizia, forze armate e Vigili del fuoco), dove le donne costituiscono solo il 13,1% dei dipendenti.

Il costo del lavoro pubblico

La diminuzione dei dipendenti pubblici rispetto al totale della forza lavoro si rispecchia anche in una diminuzione del costo del lavoro del pubblico impiego in rapporto al Pil. L’ultimo dato, riferito al 2022, colloca la spesa per i dipendenti pubblici al 9,5% del Pil (Fig. 4). Nell’ultimo decennio si nota una tendenza decrescente, con valore minimo nel 2017, forse collegata almeno in parte anche al tetto imposto alle retribuzioni nel pubblico impiego. Dal 1° maggio 2014, infatti, il limite massimo retributivo per tutto il personale pubblico è stato fissato a 240 mila euro.[14] Tale misura si è andata ad affiancare alle limitazioni nelle assunzioni nelle PA, fra cui il blocco del turnover, introdotto con l’obiettivo di frenare l’aumento della spesa per personale registrato nei primi anni Duemila e attivo fino al 2019.[15] Dal 2008 al 2013, l’applicazione di tali misure si è tradotta in una riduzione dell’organico di circa 200 mila unità, per poi stabilizzarsi nei cinque anni successivi.[16] In particolare, dal 2009 al 2017 si è registrata una riduzione del personale impiegato nel comparto sanità (-46.539 dipendenti), dati i vincoli di spesa imposti alle Regioni (come il tetto alle spese per il personale, pari all’importo della spesa del 2014 ridotto dell’1,4%). Il personale comincia quindi ad aumentare più consistentemente dal 2019, ma è con la pandemia che, nel 2020, si tocca un picco nel costo del lavoro delle PA, anche se più a causa della forte contrazione del Pil che dell’aumento dell’organico (solo di circa 45 mila unità dal 2018). Già nel biennio successivo, infatti, i valori della spesa sembrano ristabilizzarsi a quelli precedenti all’emergenza sanitaria e riprendono la tendenza decrescente degli ultimi quindici anni.

I problemi aperti

Questi dati macroscopici non consentono di evidenziare i problemi ancora aperti in tema di personale della PA, nonostante le riforme che si sono succedute negli anni, come la “riforma Brunetta” (d.lgs. 150/2009). La riforma mirava a migliorare l’efficienza e la qualità del lavoro pubblico, incrementare la produttività, ridurre l’assenteismo, aumentare la selettività e la competitività nelle progressioni di carriera, stabilire standard qualitativi ed economici per funzioni e servizi e garantire una maggiore trasparenza delle operazioni delle amministrazioni pubbliche attraverso: i) la revisione del sistema di valutazione delle prestazioni delle strutture pubbliche e del personale; ii) una maggiore trasparenza dell’organizzazione del lavoro e dei sistemi retributivi; iii) la valorizzazione del merito con meccanismi premiali; iv) la definizione di un sistema più rigoroso di responsabilità dei dirigenti pubblici; v) la riforma di nuove procedure di contrattazione collettiva.

Questi ambiziosi obiettivi non sono stati tuttavia raggiunti. Per esempio, la riforma ha mancato di risolvere le criticità del sistema dei rapporti collettivi e individuali nel pubblico impiego.[17] Inoltre, restano grandi perplessità sull’attuale sistema di valutazione della performance dei dipendenti pubblici e sulla reale capacità di incidere in questo processo degli Organismi Indipendenti di Valutazione. L’ultimo report della Corte dei conti, infatti, evidenzia l’appiattimento verso l’alto delle valutazioni del personale, la conseguente attribuzione di premialità senza adeguati presupposti meritocratici e l’insufficiente efficacia del sistema di misurazione e valutazione, inidoneo a determinare in maniera uniforme e pienamente adeguata la qualità delle prestazioni dei dipendenti pubblici.[18] Inoltre, l’aggravarsi della crisi economica e le manovre economiche del 2010-2011 hanno di fatto bloccato due punti essenziali della riforma: la valutazione e classificazione delle amministrazioni centrali in tre categorie di merito “decrescenti”, con la conseguente assegnazione di risorse decrescenti per la contrattazione di secondo livello e la valutazione e classificazione del merito individuale del personale e della dirigenza in tre categorie anch’esse decrescenti (con un 25% di lavoratori con valutazione negativa già stabilita per legge).

Questi ultimi punti sono stati in parte ripresi con il terzo obiettivo della riforma della PA del PNRR, “Competenze e carriere”. Nel dettaglio, il PNRR prevede un sistema di classificazione del personale e sul sistema delle progressioni retributive e di carriera per rendere più attrattivi i ruoli anche non dirigenziali e offrire ai migliori funzionari prospettive di carriera alternative alla dirigenza. Inoltre, la selezione nei ruoli dirigenziali dovrà prevedere anche delle prove concorsuali capaci di tenere conto anche delle performance dimostrate e delle competenze maturate nei ruoli assunti.

L’indicazione che se ne trae è che questo, come gli altri interventi previsti dal Piano, riprendono – almeno parzialmente – le iniziative della riforma Brunetta, sebbene con azioni meno mirate (non viene fatto riferimento esplicito alla contrattazione o alle retribuzioni) e più genericamente volte alla deburocratizzazione e all’efficientamento della Pubblica Amministrazione, perché permangono ancora forti criticità in tema di personale pubblico, criticità che le infinite riforme della PA non sono state in grado di risolvere. Queste criticità devono essere risolte, altrimenti le ineludibili politiche di contenimento della spesa rischiano di aggravare la crisi della PA italiana.


[1] Vedi per esempio i rapporti “Doing Business” della World Bank.

[2] Vedi “Riforma della Pubblica Amministrazione”, Italiadomani.

[3] A questi si aggiungono i 24,3 milioni per la sub-riforma “Riforma del mercato del lavoro delle PA”. Ogni investimento è inoltre diviso in sub-investimenti specifici. Per maggiori dettagli, vedi “Il PNRR per la PA: riforme e investimenti”, Ministero per la Pubblica Amministrazione.

[4] Questi sono pertinenti alla Missione 1 (Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo), Componente 1 (Digitalizzazione, innovazione e sicurezza nella PA): M1C1-51, M1C1-52, M1C1-53, M1C1-54, M1C1-56, M1C1-57, M1C1-58, M1C1-59, M1C1-60, M1C1-61, M1C1-63, M1C1-64, M1C1-65, M1C1-66, M1C1-67, M1C1-00-ITA-1.

[5] Il documento (in formato Excel) che è possibile scaricare dalla pagina web di Italiadomani sull’Avanzamento dell’attuazione del Piano indica che tutti i Milestone e Target siano stati raggiunti entro il termine (fino a fine 2023), mentre dalla pagina di Italiadomani dedicata alla Riforma della Pubblica Amministrazione e dalla pagina del Ministero per la PA dedicata a Milestone e Target della Riforma della PA sembra che gli ultimi due Milestone (M1C1-58 e M1C1-59) siano ancora “In corso”. Le Relazioni sullo stato di attuazione del PNRR della Corte dei Conti (nello specifico quella di Maggio 2024 e quella di Novembre 2023) riportano il conseguimento dei due Milestones in questione. Un problema simile si riscontra per i Milestone e Target successivi, che secondo il Ministero sono “In corso” e secondo la pagina di Italiadomani “Da avviare”, mentre non solo presenti nella sezione sull’avanzamento.

[6] I codici di riferimento di quelli conseguiti sono M1C1-51, M1C1-52, M1C1-53, M1C1-54, M1C1-56, M1C1-57, M1C1-58, M1C1-59; quelli da conseguire sono invece M1C1-60, M1C1-61, M1C1-63, M1C1-64, M1C1-65, M1C1-66, M1C1-67, M1C1-00-ITA-1. Per lo stato di avanzamento, si è fatto riferimento a quando riportato nella pagina “Andamento dell’attuazione del Piano” sul sito di Italiadomani e ai contenuti delle Relazioni sullo stato di attuazione del PNRR della Corte dei Conti.

[8] Vedi “Conto annuale”, l’apposito sito del MEF redatto dalla RGS.

[9] Vedi il decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165 (art. 1, comma 2; art. 60, comma 3; art. 70, comma 4).

[10] Il decreto-legge 31 agosto 2013, n.101 ha incluso le amministrazioni pubbliche individuate dall’Istat ai sensi della legge 196/2009 (art. 1, comma 3), con esclusione degli organi costituzionali.

[11] Per le stime si è utilizzato il dato della Rilevazione sulle forze di lavoro (RFL) Istat per la fascia di età 20-64 anni.

[12] Ogni comparto include diversi contratti/tipologie di ente. Il comparto Funzioni centrali include Ministeri, agenzie fiscali, enti pubblici non economici; Funzioni locale include comuni, città metropolitane e province; Istruzione e ricerca include scuola, istituti per l’alta formazione artistica e musicale (Afam) e enti di ricerca; Sanità include IRCCS, policlinici, ASL/AO; il Comparto autonomo o fuori comparto fa riferimento alla Presidenza del Consiglio dei Ministri; il Personale in regime di diritto pubblico include magistratura, carriera diplomatica, carriera prefettizia, carriera penitenziaria, corpi di Polizia, forze armate e Vigili del fuoco.

[13] Sul tema del personale socio-sanitario vedi la nostra precedente nota: “C’è un mismatch anche nel comparto socio-sanitario?”, 1 dicembre 2023.

[14] Per maggior informazioni vedi “Trattamento economico dei dirigenti”, Camera dei deputati, 23 febbraio 2018. Un tetto massimo era stato introdotto già con il governo Monti nel 2011.

[15] La legge finanziaria del 2007 ha introdotto i primi limiti, modificati in seguito nel 2009 e ancora nel 2014. Vi erano inoltre regole differenti per i vari settori della PA. Per maggiori dettagli, vedi “Relazione sullo Stato di Attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR)”, Corte dei conti, marzo 2022.

[16] Dal 2013 è stata introdotta nel conteggio la categoria “S13”. Se si considera l’andamento a parità di enti, dunque senza considerare le nuove categorie incluse, la diminuzione continua fino al 2018 ed è pari a circa 250 mila unità. Per maggiori informazioni, vedi la nostra precedente nota: “Blocco e sblocco del turnover: gli effetti sulla PA”, 10 aprile 2021.

[17] Vedi G. Bolego, “Il pubblico impiego dalle riforme degli anni ’90 ad oggi”, Atti del convegno “Pubblica amministrazione e impiego pubblico. Prospettive di riforma nel quadro delle iniziative di ripresa del Paese”, 1-2 luglio 2021, pp. 13-20.

[18] Per maggiori informazioni si veda il report della Corte dei conti al seguente link.

 

Un articolo di

Ilaria Maroccia, Francesco Scinetti, Gilberto Turati

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