PNRR

Il PNRR, l’estensione del tempo pieno e le mense scolastiche nelle scuole primarie

13 maggio 2022

Intermedio

Il PNRR, l’estensione del tempo pieno e le mense scolastiche nelle scuole primarie

Condividi su:

Nel confronto europeo, l’Italia presenta numerose carenze nel comparto dell’Istruzione e Ricerca. Tra queste, il tasso di abbandono scolastico nella scuola dell’obbligo, nel nostro paese è del 13,1 per cento, molto superiore alla media europea del 9,9 per cento. Secondo uno studio condotto da Save the Children, la pandemia ha aggravato la nostra posizione: il tasso di dispersione implicita, ovvero la percentuale di alunni che pur completando gli studi non raggiungono livelli minimi di competenze risulta cresciuto negli ultimi due anni. Per ovviare a queste lacune il PNRR ha stanziato circa 31 miliardi di euro, di cui 960 milioni destinati all’estensione del tempo pieno nelle scuole primarie: di questo ammontare, 400 milioni serviranno unicamente alla costruzione di mense. Circa il 58 per cento dei fondi andrà alle regioni del Sud, per permettere di colmare il marcato divario territoriale. La letteratura rilevante ha messo in luce come il tempo pieno non sia solo uno strumento fondamentale per combattere la dispersione scolastica, ma possa portare altri benefici di breve, medio e lungo termine agli alunni e ai loro genitori. In questa nota presentiamo una breve panoramica sulla letteratura e riportiamo lo stato della diffusione e fruizione delle mense scolastiche nelle scuole primarie italiane.

***

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) stanzia il 16 per cento delle risorse – circa 31 miliardi di euro – per investimenti in ambito di Istruzione e Ricerca, con circa i due terzi del totale destinati al “potenziamento dell’offerta dei servizi di istruzione". Il maggior investimento in tal senso è attribuibile ai 4,6 miliardi di investimenti per il Piano Asili Nido.  La scelta di investire in questo campo è giustificata dal ritardo che abbiamo in quest’area rispetto agli altri paesi europei e dall’evidenza empirica che ha dimostrato l’importanza dell’istruzione prescolastica sia per i bambini, sia per favorire la partecipazione femminile nel mondo del lavoro.[1]

Una seconda area, relativa alla scuola dell’obbligo, dove l’Italia è in ritardo rispetto all’Unione europea riguarda l’abbandono scolastico. Sebbene la percentuale di giovani che lasciano precocemente l'istruzione e la formazione sia calata di oltre 5 punti dal 2010 al 2020 – passando dal 18,6 al 13,1 per cento – i dati italiani rimangono di gran lunga peggiori rispetto alla media europea, che nel 2020 si è attestata al 9,9 per cento (Fig. 1).

Inoltre, una recente indagine di Save the Children – basata sulla consultazione diretta di oltre mille docenti di scuole primarie e secondarie di primo grado – suggerisce che il tasso di abbandono scolastico sia aumentato dall’inizio della pandemia. Infine, gli ultimi test INVALSI mostrano che il tasso di “dispersione implicita” – che comprende gli studenti che pur completando il percorso didattico non raggiungono un livello di competenze minime – è salito nell’ultimo biennio.[2]

L’obiettivo fissato dall’Unione Europea di portare entro il 2030 la quota di giovani che abbandonano prematuramente gli studi sotto il 9 per cento richiede politiche per ridurre ulteriormente la quota di abbandono scolastico e contrastare l’aumento di dispersione implicita registrato di recente.

Con questo fine, un’importante iniziativa inclusa nel PNRR riguarda l’ampliamento del tempo pieno scolastico, a cui sono destinati 960 milioni di euro, 400 dei quali sono finalizzati alla costruzione di mense. Le amministrazioni locali avevano tempo fino al 28 febbraio per presentare i progetti di costruzione e ampliamento delle mense, ma il Ministero dell’Istruzione aveva preventivamente stabilito l’allocazione territoriale dei Fondi: 240 milioni (pari al 60 per cento dei fondi) sono destinati alle regioni in maniera direttamente proporzionale al numero di studenti delle scuole primarie, mentre i restanti 160 milioni sono destinati esclusivamente a 6 regioni (Basilicata, Calabria, Campania, Lazio, Puglia, Sicilia) per colmare l’esistente divario rispetto alle altre regioni. Questa scelta è giustificata – oltre che da ragioni di equità – dal fatto che in queste regioni si registrano tassi di abbandono scolastico superiori alla media nazionale: Calabria, Campania, Puglia e Sicilia sono le 4 regioni con il maggior tasso di dispersione scolastica (Fig. 2). In complesso, il 57,7 per cento dei fondi risulta destinato alle regioni del Sud.

I vantaggi del tempo pieno

L’estensione del tempo pieno genera un aumento di offerta educativa che può avere conseguenze di breve, medio e lungo periodo.

  • Un primo possibile effetto riguarda i risultati scolastici di breve periodo. A tal proposito, la letteratura economica ha trovato però effetti misti: il tempo pieno ha un effetto positivo sul tasso di partecipazione scolastica, ma non produce risultati significativi sui risultati scolastici correnti. Ciò detto, nel caso italiano, uno studio di Battistin e Meroni riporta un effetto positivo dell’estensione degli orari scolastici sull’apprendimento dei bambini di fasce economiche più svantaggiate. Un’estensione delle ore scolastiche incide in maniera positiva anche su misure che esulano dall’ambito scolastico: aumentano l’offerta di lavoro dei genitori e, di riflesso, il reddito familiare;[3]
  • Tra gli effetti di medio periodo, invece, alcuni studi indicano che l’aumento dell’orario scolastico nelle prime fasi educative porta a risultati scolastici successivi migliori (Cascio, 2009) e a una minore probabilità di incappare in comportamenti rischiosi: una maggiore presenza a scuola è correlata con la riduzione delle maternità tra giovani studentesse e la partecipazione in attività criminali;[4]
  • Gli effetti di lungo periodo riguardano i risultati nel mondo del lavoro ottenuti dagli studenti che sono stati esposti alla didattica a tempo pieno. Sebbene questa relazione sia fortemente influenzata da altre variabili e dal paese di riferimento in cui viene stimata, un recente studio quantifica che ogni anno di accesso al tempo pieno (rispetto al tempo normale) è associato a un aumento di reddito di circa 5 punti percentuali. Lo stesso studio riporta una correlazione positiva tra il tempo pieno e la probabilità di avere un lavoro qualificato nell’età adulta.[5]

Diffusione e fruizione delle mense nelle scuole primarie italiane

Per rendere fattibile l’istituzione del tempo pieno è necessario dotare le scuole di mense, che questa nota discute con riferimento alle scuole primarie.

Relativamente alla diffusione delle mense, esistono informazioni sia sulla percentuale di scuole con la mensa in una certa area, sia sulla percentuale di studenti che effettivamente utilizzano la mensa rispetto al totale degli studenti di una certa area. Il secondo indice riflette naturalmente non solo la disponibilità di mense ma anche il loro effettivo grado di utilizzo.[6]

A livello nazionale, la maggior parte delle scuole non ha una mensa: solo il 39 per cento delle scuole primarie, infatti, è dotato di questa infrastruttura. La percentuale degli studenti che utilizzano il servizio è però più alta (57 per cento, Tav. 1). Il motivo per cui questa seconda percentuale è più alta della prima è che (in generale in tutte le regioni d’Italia) le scuole con mensa sono di solito quelle di maggiore dimensione, spesso situate in grandi città.[7]

Esiste inoltre una profonda disuguaglianza territoriale nella diffusione e nell’utilizzo di mense (Tav. 1):

  • Riguardo alla diffusione, per il Sud e le Isole - in cui la media semplice è del 21,6 per cento - nessuna regione è sopra le media nazionale. Nel Centro (dove la media è del 49,2 per cento), solo il Lazio sta sotto la media nazionale. Nel Nord (media 50,1 per cento), solo il Friuli- Venezia Giulia sta sotto la media (e di poco), anche se la Lombardia è proprio alla media.
  • Riguardo all’utilizzo, emergono le stesse disuguaglianze territoriali. La media per le regioni del Sud e le Isole è del 24,1 per cento, quella per le regioni del Centro è del 68,8 per cento; quella delle regioni del Nord è del 77,7 per cento.

Da notare che, in termini di utilizzo, la dispersione all’interno di ogni macroarea è più bassa di quella relativa alla diffusione delle mense. Per esempio, nelle le regioni del Nord, mentre per la diffusione si passa da percentuali del 38 per cento (Friuli V.G.) all’88 per cento (Val d’Aosta), per l’utilizzo si va dal 71 per cento (Veneto) all’88 per cento (Liguria).

 

Marcate disuguaglianze esistono però anche all’interno delle macroaree e all’interno delle stesse regioni. Focalizzandoci, in particolare, sul numero di alunni che usufruiscono del servizio di mensa (Tavola A1), le disuguaglianze intra-regionali più accentuate si osservano nelle regioni del Centro e del Nord in cui l’utilizzo del servizio è medio-alto, mentre le differenze sono più attenuate nelle regioni del Sud e Isole, dove l’utilizzo è basso. In Campania, ad esempio, la provincia dove il maggior numero di alunni va a mensa è Napoli con il 29 per cento, mentre la provincia con il minor numero è Caserta con il 22 per cento. Nel Lazio invece si osserva la maggior disparità intra-regionale: la provincia di Roma ha infatti un utilizzo del servizio di mensa dell’82 per cento, mentre la provincia di Latina del 21 per cento.

 

I dati sulla diffusione di mense indicano poi che la presenza delle mense nelle scuole primarie rappresenta un indicatore di altre differenze nella qualità degli istituti scolastici. Per tutte le dimensioni considerate nella Tavola 2, tranne una, le scuole con mensa hanno percentuali più elevate di offerta di servizi aggiuntivi (come aule informatiche e palestre) e migliori caratteristiche relative alla fruibilità e alla sicurezza degli istituti.

Valutazione

Le marcate differenze esistenti nella diffusione e nell’utilizzo delle mense scolastiche tra macroaree e all’interno delle stesse suggerisce la necessità di investimenti pubblici per sanare queste disuguaglianze. Si potrebbe sostenere che queste derivano da fattori oggettivi, in particolare dal diverso tasso di occupazione femminile. Ove questa è più elevata (come nei grandi centri urbani o al Nord), la domanda e quindi l’offerta servizi di mensa è più elevata. Tuttavia, un’offerta maggiore potrebbe incentivare la popolazione femminile a lavorare e al contempo offrire agli alunni del tempo pieno i benefici sopra discussi.

Il PNRR alloca 960 milioni al “Piano di estensione del tempo pieno e mense”. Come questi fondi saranno distribuiti per area geografica e come saranno utilizzati sarà discusso in una separata nota dell’Osservatorio CPI di imminente circolazione.

Appendice

Nel PDF (scaricabile cliccando su "Scarica il PDF") potete trovare in Appendice la Tavola A1 che riporta la percentuale di alunni della scuola primaria che usufruiscono del servizio di mensa nelle province italiane.

[1] Tra i tanti contributi accademici, si veda “Childhood Circumstances and Adult Outcomes: Act II” (https://www.aeaweb.org/articles?id=10.1257/jel.20171164) per una panoramica generale della letteratura recente. Per una specifica analisi dell’impatto dell’offerta di asili nido sull’offerta di lavoro delle madri in Italia si veda il lavoro di F. Carta e L. Rizzica: Early kindergarten, maternal labor supply and children's outcomes: evidence from Italy (2018).

[3] Per maggiori dettagli sugli studi che si concentrano sui risultati scolastici di breve periodo, si veda: “Improving Education in Developing Countries: Lessons From Rigorous Impact Evaluations” di A. Ganimian, R. Murnane (2016) e “Should we increase instruction time in low achieving schools? Evidence from Southern Italy” di E. Battistin e E. Meroni (2016); per l’effetto dell’estensione dell’offerta didattica sulla partecipazione dei genitori al mercato del lavoro si rimanda invece al seguente articolo “The effectiveness of policies that promote labor force participation of women with children: a collection of national studies” di E. Cascio, S. Haider e H.S. Nielsen (2015).

[4] Si veda: “Do investments in universal early education pay off? Long-term effects of introducing kindergartens into public schools” di E. Cascio (2009) e “Risky behavior among youth: Incapacitation effects of school on adolescent motherhood and crime in Chile” di M. Berthelon e D. Kruger (2011).

[5] Per maggiori dettagli, si veda: “Long-Term Gains from Longer School Days” di P. Dominguez e K. Ruffini (2016).

[6] Un motivo per utilizzare entrambi gli indici è che le informazioni sulla frequenza di scuole con mensa potrebbe non essere del tutto accurata, sulla base di analisi descrittive compiute sulla serie storica dell’anagrafe dell’edilizia scolastica. I dati relativi all’edilizia scolastica si trovano al seguente link: https://dati.istruzione.it/opendata/opendata/catalogo.

[7] Questo è anche il motivo per cui le province di Roma, Milano, Napoli e Torino, che hanno il maggior numero di studenti per provincia nelle loro rispettive regioni, hanno utilizzi del servizio più elevati rispetto alla media delle altre province nella stessa regione.

Un articolo di

Luca Brugnara e Cristina Orlando

Condividi su:

Newsletter

Vuoi essere aggiornato
sui temi più importanti
di economia e conti pubblici?