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Cambierà qualcosa sui medici a gettone?

13 dicembre 2024

Intermedio

Cambierà qualcosa sui medici a gettone?

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In base alle poche evidenze disponibili, il fenomeno di medici (e infermieri) “gettonisti” sembra essere relativamente limitato, sia in termini di addetti che di spesa complessiva, se confrontato con i numeri del personale dipendente del Servizio Sanitario Nazionale, ma in crescita dagli anni della pandemia secondo un rapporto dell’ANAC. Il lavoro dei gettonisti si rende spesso necessario per sopperire alla carenza di personale nelle strutture sanitarie pubbliche in un contesto di crescente domanda di servizi, ma sembra inefficiente perché più costoso e qualitativamente peggiore di quello dei medici dipendenti. In questa nota analizziamo due recenti cambiamenti normativi. Primo, la definizione dei prezzi massimi a cui appaltare le prestazioni a gettone, passaggio atteso da oltre un anno e importante per correggere in parte gli incentivi altrimenti distorti a sfavore dell’impiego nella sanità pubblica. Secondo, il superamento al tetto di spesa per il personale sanitario imposto alle regioni per vent’anni, che ha contribuito a spingere le regioni alla ricerca di altre soluzioni per la copertura dei fabbisogni: nonostante il limite venga formalmente rimosso dal 2025, è probabile che rimarrà di fatto ancora in vigore, per via di una normativa complicata e in assenza di finanziamenti specificamente dedicati.

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L’espressione “medici a gettone” (o “gettonisti”) identifica quei medici liberi professionisti che prestano servizio presso gli ospedali e le altre strutture sanitarie pubbliche, ricevendo un compenso per coprire singoli turni. Al contrario dei medici dipendenti (ma lo stesso vale per gli infermieri), i gettonisti lavorano “a chiamata”, tipicamente tramite cooperative private che stipulano dei contratti di fornitura con le strutture pubbliche.

Nelle scorse settimane, hanno fatto discutere le dichiarazioni di Guido Bertolaso, assessore al Welfare della Lombardia, una delle regioni che ricorre maggiormente alle prestazioni dei gettonisti secondo un recente rapporto dell’Autorità Nazionale Anti Corruzione (ANAC). Bertolaso ha dichiarato che “i gettonisti sono la vergogna della sanità pubblica”, sottolineando il diverso trattamento economico tra loro e i medici dipendenti.[1] A dicembre 2023, la Giunta della Regione Lombardia, unica fra le regioni italiane, aveva adottato una delibera che vietava la stipula di nuovi contratti per l’esternalizzazione dei servizi o il rinnovo di quelli in vigore, e stabiliva dei princìpi per la centralizzazione delle procedure di reclutamento del personale.[2] Il TAR aveva però sospeso in via cautelare la delibera regionale a marzo 2024, nella parte che vietava la stipula di nuovi contratti, accogliendo un ricorso presentato da una delle società che offrono questi servizi.

La questione rimane viva, al punto che il governo ha da poco emanato il decreto per stabilire i prezzi massimi a cui le strutture pubbliche possono aggiudicare questi servizi.[3] L’intervento era atteso da oltre un anno, a completamento di una legge nazionale (l. 26/2023) che già limita il ricorso ai gettonisti a casi di “necessità e urgenza”, a cui non sia possibile sopperire con il personale in servizio.[4]

Il lavoro dei gettonisti, per quanto necessario per garantire la continuità dei servizi sanitari (per esempio, a fronte dell’assenza temporanea dei lavoratori dipendenti di un ospedale per maternità o malattia), sembra essere inefficiente rispetto a un’assunzione a tempo determinato, perché molto più costoso e spesso qualitativamente peggiore di quello dei medici dipendenti.[5] In assenza di dati sistematici che consentano una mappatura del fenomeno, secondo diverse ricostruzioni giornalistiche, infatti, il gettone lordo poteva variare tra i 90 e i 100 euro all’ora, un compenso orario almeno doppio di un dipendente con anni di esperienza.[6] Inoltre, per quanto paradossale, non è garantito che la specializzazione del medico a gettone sia compatibile con quella del reparto in cui si trova a operare, vincolo che invece caratterizza il lavoro dipendente.[7]

Questa nota ha l’obiettivo di provare a identificare le ragioni del fenomeno e di discutere i più recenti cambiamenti normativi volti a contenerlo, pur in assenza di finanziamenti specificatamente dedicati a nuove assunzioni.

Le cause: tetto di spesa per il personale e carenze di organico?

Vent’anni fa, nella Legge di Bilancio per il 2005 (l. 311/2004), fu introdotta una norma per contenere la spesa per il personale sanitario a livello regionale negli anni successivi: il limite stabilito era il livello di spesa del 2004 diminuito dell’1%, poi ulteriormente ridotto al livello del 2004 meno l’1,4% (l. 296/2006). La misura era parte del più ampio blocco del turnover, cioè delle nuove assunzioni in sostituzione del personale che andava in pensione nei vari comparti della PA. Nel caso della sanità, la numerosità del personale era limitata solo indirettamente dal tetto alla spesa.[8] Tale limite rimase sostanzialmente invariato fino al 2019, quando, con il decreto Calabria (d.l. 35/2019), fu alzato al livello di spesa del 2018, consolidando di fatto l’eventuale eccesso di spesa negli anni precedenti. Il valore doveva poi essere aumentato ogni anno del 10% della variazione annuale del finanziamento corrente del fondo sanitario regionale, più un ulteriore 5% che le regioni potevano richiedere sulla base di una nuova metodologia per il calcolo del fabbisogno di personale sanitario (approvata, tuttavia, solo all’inizio del 2023).

Il decreto Liste di attesa (d.l. 73/2024), convertito in legge a luglio di quest’anno, stabilisce almeno formalmente il superamento del tetto di spesa a partire dal 2025 ma, come discutiamo più avanti, non è detto che questo accada davvero.[9]

Secondo l’ultima Relazione della Corte dei conti sulla gestione dei servizi sanitari regionali, tale politica di contenimento della spesa sanitaria ha contribuito a determinare una riduzione del numero di dipendenti del SSN, almeno nel periodo pre-pandemico.[10] In particolare, dopo alcuni anni di crescita della spesa per i redditi da lavoro dipendente e di riduzione del personale, che fanno supporre significativi aumenti stipendiali nel comparto, tra il 2010 e il 2017 la spesa negli enti sanitari locali si è ridotta del 6,3%, mentre il personale in servizio nelle ASL e Aziende ospedaliere è diminuito del 6,6% (Fig. 1).[11] Sia la spesa che il personale sono poi aumentati negli ultimi tre anni.

Nel decennio precedente alla pandemia, anche il numero di medici e infermieri (compresi nel personale) è diminuito, rispettivamente del 4,8% e del 2,8% tra il 2010 e il 2019 (Fig. 2). Dopo un timido aumento, il numero di medici è calato nuovamente nel 2021 e 2022, mentre quello degli infermieri è in ripresa.

Gli effetti della riduzione del personale sanitario specialmente in alcuni reparti, come quelli di emergenza-urgenza, sono emersi in modo dirompente negli ultimi anni, anche alla luce della crescente domanda di prestazioni sanitarie generata sia dalla pandemia che dal naturale invecchiamento della popolazione (in vent’anni il tasso di dipendenza della popolazione anziana over 65 è aumentato di quasi 9 punti percentuali, dal 28,8% del 2004 al 37,5% nel 2022).[12] Una parte crescente di questa domanda rimane insoddisfatta, come evidenziato dal numero di persone che rinuncia alle cure a causa della lunghezza delle liste d’attesa (3 milioni nel 2023; erano 1,5 milioni nel 2019).[13]

L’evidenza presentata, per quanto descrittiva, suggerisce che il tetto alla spesa per il personale sanitario abbia spinto gli enti del SSN nelle varie regioni a trovare delle soluzioni alternative a nuove assunzioni per coprire diffuse carenze di organico per la copertura dei turni, specialmente quelli notturni e festivi.

La composizione della spesa sanitaria nel tempo supporta questo argomento. In quasi tutte le regioni, infatti, la quota di spesa per i redditi da lavoro sul totale della spesa sanitaria è diminuita tra il 2004 e il 2022, mentre è aumentata la quota di spesa per i consumi intermedi, che include la spesa per le prestazioni fornite dai medici e infermieri a gettone e non è soggetta al tetto previsto dalla legge. L’unica eccezione significativa è la Provincia autonoma di Bolzano, dove la prima è aumentata di 6,8 punti percentuali e la seconda è calata di 5 (Tavv. 1 e 2).[14] Le stesse tendenze si osservano anche limitate al periodo 2019-2022, per quanto più moderate, coerentemente con i dati aggregati descritti in precedenza.

I pochi numeri disponibili

Non sono disponibili dati pubblici sul numero di gettonisti impiegati e sul numero di turni da loro coperti. Tuttavia, assumendo che gli appalti per le prestazioni a gettone vengano assegnati in prevalenza a cooperative, è possibile arrivare a una stima approssimativa dei gettonisti partendo dai dati Istat sugli addetti delle cooperative che operano nel settore dell’assistenza sanitaria: erano quasi 16 mila nel 2022, di cui 1.844 impiegati nell’assistenza ospedaliera, in diminuzione di oltre 700 unità rispetto al 2019 (Fig. 3).[15]

D’altra parte, è possibile che non tutti i gettonisti figurino come addetti delle cooperative, ma vengano piuttosto reclutati da queste come lavoratori autonomi.

Secondo un rapporto dell’ANAC pubblicato a febbraio 2024, infatti, c’è stato un forte aumento dei contratti di fornitura di personale medico stipulati da strutture riconducibili al SSN dopo l’inizio della pandemia, il cui valore è quasi quadruplicato tra il 2019 e il 2022 (da 9,6 a 36,9 milioni di euro) (Fig. 4).[16] Inoltre, il dato per il personale generico nel 2023, fermo al mese di agosto, era già quasi il doppio rispetto al 2022.

Il valore cumulato dei contratti per la fornitura di personale (medico, infermieristico e generico) da parte delle stesse strutture tra il 2019 e il 2023 ammonta a 1,9 miliardi di euro.[17] Si tratta di una cifra relativamente bassa, dato che nello stesso periodo la spesa stimata per i redditi da lavoro dipendente e per i consumi intermedi è stata rispettivamente di 175 e 122 miliardi.[18]

Sempre secondo l’ANAC, le regioni che hanno speso di più per i servizi di fornitura di personale nel periodo considerato sono la Toscana (184 milioni), la Lombardia (170 milioni), l’Abruzzo (153 milioni), il Piemonte (101 milioni), e l’Emilia (92 milioni).

Un’inchiesta giornalistica del 2023, poi, aveva raccolto alcuni dati sui turni appaltati ai medici a gettone nel 2022 nelle principali regioni del Nord.[19] Più della metà dei turni coperti dai gettonisti in Lombardia e in Veneto, per esempio, sono stati nei Pronto soccorso (PS) o nei reparti di anestesia e rianimazione, su un totale di oltre 45 mila e 42 mila turni, rispettivamente. Un numero analogo di turni in PS (oltre 14 mila) è stato coperto in Piemonte, e altri 2.700 nel solo PS di Ferrara. Questo conferma, almeno in forma aneddotica, che le aziende sanitarie ricorrono ai gettonisti per coprire i turni proprio nei reparti che soffrono di una carenza di organico strutturale.

Uno sguardo al futuro

Uno dei problemi principali è che i gettonisti guadagnano più dei dipendenti delle strutture, creando un incentivo distorto a sfavore dell’impiego nella sanità pubblica. Per correggere almeno in parte questo incentivo, il Ministero della Salute ha stabilito alla fine di ottobre le linee guida con i prezzi di riferimento e gli standard qualitativi richiesti per le prestazioni di medici e infermieri forniti da terzi. I medici gettonisti non possono essere pagati più di 85 euro lordi all’ora nei PS e nei reparti di anestesia/rianimazione, né più di 75 euro per gli altri servizi medici. Il compenso massimo per gli infermieri è di 28 euro lordi all’ora nei PS e di 25 euro negli altri reparti.

Ai gettonisti sarà anche richiesto di sottoscrivere autonomamente un’assicurazione per colpa grave, in modo da esonerare la struttura sanitaria pubblica da eventuali responsabilità per il loro operato, e di osservare un riposo adeguato tra un turno e l’altro, con un massimo di 48 ore settimanali.

Definire un tetto al compenso dei gettonisti è un passo particolarmente importante alla luce della concentrazione dal lato dell’offerta, che potrebbe altrimenti comportare – come è presumibilmente avvenuto finora – una contrattazione al rialzo: secondo l’ANAC, appena quattro operatori (di cui tre con sede legale in Lombardia e uno nel Lazio) si sono aggiudicati i tre quarti dell’importo totale dei bandi per la fornitura di personale (medico, infermieristico e generico) in tutte le regioni italiane tra il 2019 e il 2023.

Inoltre, in mancanza di regolamentazione, l’incentivo economico – già esistente – a lasciare l’impiego nel pubblico per prestare servizio a gettone, magari nelle stesse strutture ma con maggiore flessibilità e un compenso più elevato, potrebbe diventare ancora più forte, aggravando ulteriormente la carenza di organico del personale sanitario.

Una seconda questione è legata alla possibilità per le regioni di assumere nuovo personale per rispondere alle esigenze di copertura dei turni. Come accennato, il decreto Liste di attesa del ministro Schillaci ha formalmente rimosso il tetto alla spesa per il personale sanitario imposto a livello regionale a partire dal 2025, una delle misure che dovrebbe permettere di colmare le carenze di organico tramite nuove assunzioni e accorciare, così, le liste di attesa.[20]

Tuttavia, il superamento del tetto di spesa è subordinato alla definizione del fabbisogno triennale di personale sanitario da parte di ogni regione. Tale fabbisogno va calcolato sulla base di un non meglio precisato metodo (art. 5, comma 2 del decreto), che andrà elaborato e approvato con un provvedimento successivo. Fino a quel momento, rimarranno valide le disposizioni del decreto Calabria citate in precedenza. Di conseguenza, è probabile che il vincolo rimarrà in vigore, di fatto, ben oltre l’inizio del 2025.[21] Va da sé che l’eventuale aumento di spesa per il personale dovrà rispettare il vincolo di bilancio regionale e seguirà quindi la dinamica dei finanziamenti.[22]

Anche ipotizzando una rimozione immediata del tetto, poi, restano irrisolti diversi problemi strutturali che alimentano la carenza di offerta di specifiche professionalità. Tra questi, c’è il mismatch tra il numero di borse di specializzazione bandite e il numero di iscritti alla prova, soprattutto per alcune specialità come medicina d’urgenza e anestesia e rianimazione.[23] A ciò si aggiungono sia l’elevato numero di pensionamenti previsto a breve (in Italia, un medico su quattro ha oggi più di 65 anni), nonostante la sospensione dell’obbligo di pensionamento a 70 anni, sia le basse retribuzioni soprattutto per gli infermieri, che rendono la professione poco attrattiva.[24]


[1] Vedi “Bertolaso contro i medici gettonisti”, Il Giorno, e il lancio di ANSA, 22 novembre 2024.

[2] Delibera n. 1514 del 13 dicembre 2023.

[3] Il decreto è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 25 ottobre 2024, ma risale al 17 giugno. La notizia è stata però riportata dai quotidiani solo all’inizio di dicembre: vedi per esempio “Sanità, arrivano le linee guida sull’uso e sui costi di medici e infermieri gettonisti”, Il Sole 24 Ore, 2 dicembre 2024.

[4] Si tratta della conversione in legge del d.l. n.34 del 30 marzo 2023, il c.d. “Decreto bollette”. Tra le disposizioni in materia di sanità (articoli 8-16), il decreto prevedeva anche l’incremento della retribuzione oraria per gli straordinari svolti dai medici e dagli infermieri nei reparti di emergenza-urgenza (inclusi i Pronto Soccorso).

[5] In un parere espresso dall’Autorità Nazionale Anti Corruzione (ANAC) a luglio 2024 si legge che “l’affidamento in appalto dei servizi medici […] comporta, di norma, costi molto elevati e una minore qualità del servizio, diretta conseguenza della devoluzione ad un soggetto terzo del processo di selezione del personale medico ed infermieristico.”

[6] Vedi per esempio “Io, medico gettonista, non speculo sulla sanità”, Corriere della Sera, 29 novembre 2024, e “Io, dottore a gettone, guadagno più di un primario”, Repubblica, 23 agosto 2023.

[8] Per approfondire l’evoluzione normativa del tetto alla spesa per il personale sanitario, vedi “Il tetto spesa per il personale SSN sta per festeggiare 20 anni”. Quotidiano Sanità, 30 gennaio 2024.

[10]Relazione al Parlamento sulla gestione dei Servizi sanitari regionali, 2022-23”, Corte dei conti, 28 marzo 2024. Sull’efficacia del contenimento della spesa sanitaria, almeno fino al 2019, vedi la nostra precedente nota “I Piani di Rientro nella sanità regionale: quali risultati finora?”, 5 agosto 2019.

[11] Vedi anche la nostra nota “Blocco e sblocco del turnover: gli effetti sulla PA”, 10 aprile 2021.

[12] Nella relazione della Corte dei conti si legge che “[…] il biennio dell’emergenza pandemica ha evidenziato alcune criticità strutturali del SSN, come le carenze nella rete dei servizi territoriali ed il sottodimensionamento delle risorse umane […]”. È emblematica la riduzione del personale nei Pronto Soccorso, di cui abbiamo analizzato le ragioni in una precedente nota (minore possibilità di integrare la retribuzione con attività libero professionale, maggiore esposizione ad aggressioni e a contenziosi legali). Vedi la  nostra precedente nota “Cosa spiega il mismatch nel mercato del lavoro socio-sanitario?”, 24 gennaio 2024.

[14] Vedi il rapporto annuale “Il monitoraggio della spesa sanitaria”, Ministero dell’Economia e delle Finanze, anni 2019 e 2023.

[15] La voce prevalente rispetto al dato aggregato è quella degli “altri servizi”, che comprende varie attività (laboratorio, fisioterapia, ecc.) svolte in luoghi diversi dagli ospedali (per questo non direttamente riconducibili ai gettonisti, per come li abbiamo descritti).

[16] Vedi il rapporto “Servizi di fornitura di personale medico ed infermieristico”, ANAC, febbraio 2024.

[17] Il personale generico comprende anche personale medico e infermieristico, il cui contratto è però associato alla voce CPV più generica “fornitura di personale”. Come chiarisce l’ANAC nel suo rapporto, non è possibile stabilire esattamente in che misura questi siano riconducibili al fenomeno dei gettonisti, a meno di condurre un’analisi dettagliata di ogni contratto affidato.

[18] Per entrambe le voci, la spesa tra gennaio e agosto 2023 è stimata pari a due terzi della spesa annuale, ipotizzando che questa cresca allo stesso tasso dell’anno precedente (fonte: Mef).

[20] Per una discussione più approfondita del decreto in questione e dei suoi altri aspetti critici, vedi la nostra precedente nota “La questione aperta delle liste d’attesa”, 28 giugno 2024.

[21] Vedi anche “Il tetto di spesa del personale e il rischio che non venga rimosso nel 2025”, Quotidiano Sanità, 6 giugno 2024.

[22] La maggior parte delle entrate per la sanità delle Regioni a statuto ordinario viene dal bilancio dello Stato. Per approfondire, vedi la nostra precedente nota “Come viene finanziata la sanità fra le Regioni?”, 31 maggio 2024.

[23] Vedi le nostre precedenti note “C’è un mismatch anche nel comparto socio-sanitario?”, 1 dicembre 2023, e “Cosa spiega il mismatch nel mercato del lavoro socio-sanitario?”, 24 gennaio 2024.

Un articolo di

Carlo Cignarella, Gilberto Turati

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