L’OCSE, in occasione del G20 d’Indonesia, ha pubblicato un nuovo rapporto sui progressi riguardanti il primo pilastro della tassa minima globale che prevede che le multinazionali possano essere tassate anche nei paesi in cui si realizzano effettivamente i consumi dei loro prodotti, anche in assenza di una sede legale. In linea di principio, i 137 paesi firmatari dovrebbero implementare l’accordo entro il 2024 (un posticipo rispetto all’iniziale 2023). Tuttavia, sia negli Stati Uniti che all’interno dell’Unione Europea, molti ostacoli politici hanno impedito finora la ratifica.
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L'implementazione dell’accordo fiscale sovranazionale raggiunto lo scorso ottobre a Roma da 137 paesi comprendenti tutti i paesi del G7 e dell’Unione Europea, volto ad aumentare il gettito dalla tassazione dei profitti delle multinazionali ovunque esse operino, sta facendo qualche ulteriore passo avanti secondo un rapporto dell'OCSE consegnato ai ministri delle finanze del G20 e ai governatori delle banche centrali in occasione del loro incontro al G20 d’Indonesia il 15 luglio 2022.[1]
Il nuovo rapporto è focalizzato solo sugli sviluppi relativi al primo pilastro che prevede che le multinazionali con ricavi superiori ai 20 miliardi di euro possano essere tassate anche nei paesi in cui avvengono effettivamente i consumi dei loro prodotti, anche in assenza di una sede legale.[2] La relazione concernente l’attuazione del secondo pilastro che introduce un’aliquota minima globale effettiva del 15 per cento sui profitti delle multinazionali con ricavi superiori ai 750 milioni di euro sarà, invece, pubblicata entro fine 2022.
Si prevede, inoltre, che il completamento dei lavori avvenga entro la prima metà del 2023 con l’obiettivo di consentire l’entrata in vigore della nuova tassa globale entro il 2024 (e quindi non più entro il 2023 come annunciato in precedenza) tramite la ratifica dei paesi firmatari.
I progressi fatti dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea
I 137 paesi firmatari hanno programmato piani per introdurre le regole globali di tassazione minima. Tuttavia, ci sono ancora molti ostacoli politici che impediscono la ratifica:
- All’interno dell’Unione Europa l’adozione di norme fiscali necessitano il voto all’unanimità dei paesi membri. Ad aprile, la Polonia aveva annunciato la volontà di porre il veto alla direttiva riguardante la tassa minima a livello europeo, come reazione al blocco dei fondi del PNRR verso Varsavia dovuto alle violazioni dello stato di diritto. La Commissione Europea, anche per la gestione rigorosa della crisi in Ucraina da parte del governo polacco, aveva poi rimosso il blocco. Tuttavia, a giugno, Viktor Orban ha adottato la stessa strategia minacciando il veto con lo scopo presumibile di sbloccare i fondi del PNRR attualmente congelati per il mancato rispetto dello stato di diritto e i disaccordi sulla lotta alla corruzione nel paese.
- Per quanto riguarda gli Stati Uniti, il piano Build Back Better contenente la tassa minima non è riuscito a passare attraverso il Congresso. Il disegno di legge doveva ottenere il sostegno di tutti i 50 senatori Democratici in quanto tutti i senatori Repubblicani si erano già detti contrari. Tuttavia, il senatore Democratico Manchin si è opposto all’approvazione del piano. In conclusione, i Democratici si trovano ora in una situazione di stallo e hanno solo pochi mesi di tempo per approvare un altro disegno di legge contenente una forma di tassa minima senza l’aiuto dei Repubblicani che secondo i sondaggi avranno, con le elezioni di metà mandato di novembre, il controllo del Congresso. Senza la partecipazione degli Stati Uniti, il destino di una tassa minima globale rimane poco chiaro.
Contenuto del nuovo rapporto OCSE
La relazione ha confermato i criteri quantitativi espressi nel report precedente per quanto riguarda il primo pilastro:[3]
- Base imponibile: profitti meno il 10 per cento del fatturato (c.d. utile residuo).
- Ammontare della tassa: 25 per cento della base imponibile.
- Fatturato minimo per essere soggetto alla tassazione: 20 miliardi.
- Esclusione dalla tassazione: se i ricavi ottenuti in quel paese sono inferiori al milione. [4]
Il rapporto chiarisce solo l’accordo su alcuni punti tecnici, quali le definizioni e i metodi pratici per l’implementazione del primo pilastro. Di seguito elenco le questioni principali:
- I ricavi e profitti da attività estrattive e servizi finanziari regolamentati saranno esclusi da questa nuova tassa.
- Il calcolo dei ricavi ottenuti dal gruppo nel paese estero varierà a seconda che si tratti di beni fisici, servizi offerti all’interno dei confini nazionali, contenuti digitali, beni intermedi, servizi pubblicitari, servizi di transporto e prodotti/servizi sovvenzionati dalla giurisdizione in questione.
- Per determinare la base imponibile per le multinazionali, il bilancio consolidato del gruppo costituirà il punto di partenza. Da questo si ricaveranno gli utili prima delle imposte, che si adegueranno in base ad aggiustamenti contabili e fiscali. In particolare, si potranno dedurre dagli utili le perdite provenienti da un altro ramo del gruppo (transferred losses). Inoltre, saranno esclusi dagli utili (o dalle perdite) le spese fiscali, i dividendi e le plusvalenze.
- Introduzione del Marketing and Distribution Profits Safe Harbor. Questo meccanismo permette di variare l’ammontare della tassa per quelle giurisdizioni che già prevedono forme di tassazione sugli utili residui.
- Se i ricavi superano i 20 miliardi di euro per un periodo di tempo inferiore/superiore ad un anno, l’ammontare dei ricavi si adegua proporzionalmente alla durata del periodo. Stessa cosa per quanto riguarda il vincolo inferiore dei ricavi pari a 1 milione di euro.
- Infine, il rapporto elenca tutte le imposte sui servizi digitali esistenti e relative a misure simili che dovranno essere ritirate prima della ratifica del primo pilatro.
[3] L’extra gettito per l’Italia continua quindi a essere stimato in 400 milioni, come in precedenza.
[4] Il vincolo per l’esclusione si riduce a 250 mila euro se il PIL del paese dove avvengono i ricavi è inferiore ai 40 miliardi.