Welfare
La spesa pubblica per la famiglia
Il numero medio di figli per donna nei paesi dell’Europa occidentale è diminuito da 2,8 nel 1960 a 1,6 negli anni Novanta. Negli ultimi trent’anni, la situazione è rimasta stabile.
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Intermedio
14 settembre 2021
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A più di due anni dalla sua introduzione, il Reddito di Cittadinanza (RdC) ha attenuato l’incidenza della povertà nelle famiglie italiane, ma presenta diverse criticità che ne limitano l’efficacia: (i) l’attuale scala di equivalenza sfavorisce le famiglie numerose con minori, (ii) i criteri di accesso escludono la maggior parte delle famiglie extra-comunitarie e, complessivamente, circa la metà delle famiglie in povertà assoluta, (iii) l’entità del sussidio non tiene conto del costo della vita nelle diverse aree geografiche e nei comuni di dimensioni diverse. Inoltre, solo una piccola minoranza dei beneficiari idonei a lavorare ha trovato un’occupazione tramite i Centri dell’impiego; un motivo è la perdita del sussidio una volta che il beneficiario inizia a lavorare, il che disincentiva la ricerca di un lavoro regolare.
In sostanza è necessario rivedere la struttura del RdC per raggiungere gli obiettivi con più efficacia. Da un lato, bisogna rivedere i criteri di accesso e la scala di equivalenza, avvicinandoli in parte a quelli del Reddito di Inclusione, pur mantenendo benefici più generosi di quest’ultimo. Dall’altro, vi è ampio consenso sull’introduzione di un parziale sussidio al reddito da lavoro anche dopo l’accettazione dell’offerta. Accanto a ciò, andrebbe migliorato il percorso di inserimento nel mondo del lavoro, incentivando il coinvolgimento delle imprese private e migliorando il coordinamento e il contenuto delle politiche attive, come suggeriscono le esperienze degli altri paesi.
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Dal 2005 al 2020, l’incidenza della povertà assoluta per le famiglie italiane è cresciuta dal 3,5 al 7,7 per cento.[1] Nonostante fosse già ampio il consenso a favore di strumenti di contrasto alla povertà, l’Italia era uno dei pochi paesi europei a non avere uno schema simile sino all’introduzione nel 2018 del Reddito di Inclusione (ReI), poi sostituito nel 2019 dal Reddito di Cittadinanza (RdC).[2] Dall’aprile del 2019 al giugno del 2021, il RdC ha raggiunto mediamente 1,1 milioni di nuclei familiari, corrispondenti a oltre 3 milioni di persone (comprendendo anche la Pensione di Cittadinanza). Le somme erogate in questo arco temporale ammontano a 15,2 miliardi.[3]
Il RdC è stato disegnato per raggiungere il duplice obiettivo di mitigare la povertà tramite trasferimenti monetari e accompagnare i disoccupati nel mondo del lavoro. Ma allo stato attuale sta realizzando questi obiettivi solo in misura molto limitata.
Per cogliere l’effetto del RdC sulla povertà, uno studio della Banca d’Italia del 2020 utilizza delle simulazioni basate su dati microeconomici dei patrimoni e delle spese per consumi delle famiglie.[4] Lo studio mostra che il RdC riduce l’incidenza della povertà assoluta di 2-3 punti percentuali.[5] Tale effetto è più ampio rispetto al Reddito di Inclusione, in ragione degli importi più elevati dei benefici (in media, oltre 500 euro contro i 250 del ReI) e della platea più ampia dei beneficiari (per circa cinque volte), quindi della maggior spesa.
La struttura attuale del RdC presenta però diverse criticità.[6] La prima è nella scala di equivalenza applicata. Il beneficio del RdC consiste in una parte, calcolata come la differenza tra la soglia di 6.000 euro annui (500 mensili) e il reddito familiare, e un’altra pari al canone dell’affitto per un massimo di 3.360 euro annui (280 mensili). La prima parte è moltiplicata per un coefficiente, secondo una “scala di equivalenza” che cresce all’aumentare del nucleo familiare.[7] Ma dato che per i nuclei con un unico componente si è voluto mantenere un beneficio ben più elevato di quello previsto dal ReI, al fine di contenere la spesa, la scala di equivalenza è stata appiattita rispetto agli standard generalmente utilizzati a livello internazionale. Ad esempio, per un single residente in affitto, il beneficio massimo è di 780 euro mensili (500 euro + 280 per l’affitto), mentre per un nucleo di 5 componenti (2 adulti e 3 minori), in affitto, il massimo è di 1.280 euro mensili. Di conseguenza, sono sfavorite le famiglie numerose con minori, per le quali è maggiore l’incidenza della povertà.
La seconda riguarda lo squilibrio territoriale. Al 2020, la quota maggiore di nuclei beneficiari risiede nel Mezzogiorno (per il 60 per cento) ed è superiore alla quota delle famiglie in povertà assoluta che vivono nella stessa area (38,6 per cento). Inoltre, il RdC è uguale su tutto il territorio nazionale e non tiene conto che il costo della vita (e quindi la soglia di povertà) è più alto nel Nord e nel Centro Italia e nelle grandi città. Ad esempio, per un single (tra i 18 e i 59 anni, in un comune con più di 50.000 abitanti) la soglia di povertà assoluta nel Nord è di 799 euro al mese, nel Centro di 761 euro e nel Mezzogiorno di 606 euro. Inoltre, la soglia di povertà è di 840 euro in una grande città metropolitana del Nord (con esclusione delle aree periferiche) e di 754 euro nei comuni fino a 50.000 abitanti (differenze simili si trovano anche per le diverse tipologie di comuni nel Centro e nel Mezzogiorno).
La terza riguarda i criteri anagrafici. Per richiedere il RdC bisogna essere cittadini italiani (o di un paese UE) o avere residenza in Italia da almeno dieci anni. Tale condizione esclude molte famiglie di extra-comunitari che percepiscono solo il 9 per cento del RdC, pur rappresentando circa il 30 per cento delle famiglie in povertà assoluta.
Il RdC così strutturato esclude dai potenziali beneficiari il 50 per cento delle famiglie in povertà assoluta (secondo le stime del modello di Banca d’Italia). Occorre poi aggiungere che una quota di beneficiari non si trova in quelle che l’Istat definisce condizioni di povertà assoluta, perché (i) legittimamente richiede il RdC rispettando i requisiti (ad esempio i single sono spesso beneficiari, anche se non sono considerati poveri dall’Istat) oppure perché (ii) li rispetta solo travisando il proprio status economico reale.
Per migliorare lo strumento, si potrebbe tornare a una scala di equivalenza e a un criterio per la residenza (2 anni invece dei 10 del RdC) analoghi a quelli che erano previsti dal Reddito di Inclusione, anche riducendo l’importo massimo per i nuclei a unico componente. In questo modo si migliorerebbe la condizione economica delle famiglie numerose con minori e verrebbero incluse più famiglie extra-comunitarie. Si potrebbe inoltre considerare di differenziare i benefici in base ai parametri, come l’area geografica e la dimensione del comune, che l’Istat utilizza per stimare la povertà assoluta.
I beneficiari che vengono ritenuti idonei al lavoro devono seguire un percorso di accompagnamento nel mondo del lavoro, presso i Centri per l’impiego, sottoscrivendo il c.d. “Patto per il lavoro”. Coloro che invece non vengono ritenuti idonei al lavoro perché i problemi sono più complessi vengono presi in carico dai servizi dei Comuni e stipulano il “Patto per l’Inclusione sociale”.
A giugno del 2021, 1,15 milioni di beneficiari (su oltre 3 milioni totali) avevano sottoscritto il Patto per il lavoro, ma al febbraio 2021 solo in 152.673 hanno instaurato un rapporto di lavoro.[8] Una delle ragioni è che il RdC per come è strutturato disincentiva la ricerca del lavoro (o incentiva il lavoro informale).[9] Il RdC, infatti, non è disegnato né come uno strumento di assistenza universale (ricevo un sussidio indipendentemente se lavoro o meno), né come sussidio al reddito lavorato (se partecipo al mercato del lavoro, ricevo anche una parte del sussidio).[10] Il beneficiario riceve dunque il RdC finché non accetta un’offerta di lavoro: l’aliquota marginale di sottrazione del sussidio è di fatto al 100 per cento. Una soluzione, proposta da più economisti e diffusa in altri paesi, è quella di offrire parte del sussidio anche quando il beneficiario inizia a lavorare, a integrazione del reddito guadagnato sul mercato (c.d. in-work benefit).
Ciò richiederebbe una maggiore spesa, che può essere in parte compensata dalla revisione degli importi del RdC, tenendo conto delle criticità indicate nel precedente paragrafo. Inoltre, la possibilità di rinnovare il RdC dopo la scadenza dei 18 mesi, che rende la sua durata potenzialmente illimitata, rafforza il disincentivo a ricercare un’occupazione formale (soprattutto nei casi in cui il beneficio è elevato rispetto ai salari medi dell’area geografica). Limitatamente ai beneficiari che vengono giudicati idonei al lavoro, si potrebbe perciò considerare la possibilità di ridurre gradualmente nel tempo l’entità del sussidio, considerando in ogni caso un periodo congruo in relazione alla concreta possibilità di ricevere le offerte di lavoro.
Un’altra ragione delle difficoltà a collocare le persone nel mercato del lavoro riguarda il processo di accompagnamento dei beneficiari, che andrebbe migliorato. Come suggerito di recente dall’OCSE, si potrebbe rafforzare l’affiancamento ai Centri per l’impiego delle imprese private che si occupano di formazione e reclutamento. Uno strumento già esistente è l’“assegno di ricollocazione”, un voucher che i beneficiari di RdC possono spendere presso tali imprese, ma che è stato attivato solo da 423 beneficiari all’aprile del 2021 (dati Anpal). Il ricorso ai voucher andrebbe incentivato: il sussidio al reddito da lavoro, come delineato sopra, potrebbe spingere i beneficiari a utilizzare gli strumenti disponibili per la ricerca del lavoro.
Infine, è necessario un coordinamento centrale per armonizzare le politiche attive, oggi frammentate a livello regionale. Come dimostra l’esperienza americana e di alcuni paesi europei, le politiche attive dovrebbero poi coinvolgere maggiormente i datori di lavoro, focalizzandosi sui settori che potrebbero offrire occupazione ai partecipanti ai programmi di formazione; in questo modo si potrebbe fornire una formazione coerente con le competenze richieste in tali settori e agevolare l’inserimento nel mondo del lavoro.[11]
[1] La soglia di povertà assoluta, stimata dall’Istat, rappresenta il valore del paniere di beni e servizi considerati essenziali per ciascuna famiglia, definita in base all’età dei componenti, alla ripartizione geografica e alla tipologia del comune di residenza.
[2] Baldini, M., Gallo, G., Lusignoli, L., & Toso, S. (2019). Le politiche per l’assistenza: il Reddito di cittadinanza.
[3] Osservatorio sul Reddito di Cittadinanza, INPS. Report luglio 2021.
[4] Tali modelli escludono gli effetti (positivi o negativi) del RdC sull’occupazione.
[5] Curci, N., Grasso, G., Recchia, P., & Savegnago, M. (2020). Anti-poverty measures in Italy: a microsimulation analysis. Banca d'Italia Eurosistema.
[6] Tali criticità erano state già affrontate dall’Osservatorio CPI, a un anno di distanza dall’introduzione del RdC. Si veda: https://osservatoriocpi.unicatt.it/cpi-archivio-studi-e-analisi-il-primo-anno-del-reddito-di-cittadinanza-alcune-evidenze-dai-dati-inps.
[7] Il coefficiente di equivalenza è pari a 1 per il primo componente adulto e incrementato di 0,4 per ogni altro membro adulto, di 0,2 per ogni minorenne e fino a un massimo di 2,1, o di 2,2 se nel nucleo vi sono disabili gravi o non autosufficienti.
[8] Si osservi che i nuclei familiari possono trovarsi in condizioni di povertà anche in presenza di un’occupazione (c.d. working poors). Per gli ultimi dati sull’occupazione nell’ambito del RdC, si veda: Relazione sul rendiconto generale dello Stato, 2020, Corte dei Conti e Nota sul reddito di cittadinanza n.5, 2021, Anpal.
[9] Per un’analisi sulla relazione tra povertà e occupazione, si veda: Lucifora, C. (2019), Welfare e lavoro povero.
[10] Per una chiara sintesi sul punto, si veda il thread del Prof. T. Monacelli: https://twitter.com/monacelt/status/1424098593653264390.
[11] Rodrik, D. & Stantcheva, S. (2021), Economic inequality and insecurity. Major Future Economic Challenges. Gli esempi di maggior successo sono negli Stati Uniti (Project Quest, Per Scholar, Wisconsin Regional Training Partnership, ecc.). In Germania i consulenti delle agenzie del lavoro devono impiegare il 20 per cento delle ore lavorative per i servizi ai datori di lavoro. In Svezia è stata predisposta un’unità che si occupa della collaborazione con i datori di lavoro nei settori in cui vi è carenza di lavoratori disponibili.