Università Cattolica del Sacro Cuore

Come gestire la Pubblica Amministrazione? I Public Service Agreement britannici

di Carlo Cottarelli e Giulio Gottardo

11 febbraio 2021

Nel Regno Unito, tra 1998 e 2010, i Public Service Agreement (PSA) si sono dimostrati uno strumento efficace per la gestione della pubblica amministrazione attraverso una chiara definizione degli obiettivi da raggiungere e un monitoraggio accurato dei risultati raggiunti. Questo sistema, seppur nominalmente abolito nel 2010, è stato in parte mantenuto dai governi successivi e ha consentito di indirizzare maggiormente l’operato di ministri e dirigenti pubblici verso obiettivi concreti e coerenti con quelli del governo. I difetti principali dei PSA erano la mancanza di incentivi monetari per chi raggiungeva i risultati e la difficoltà da parte dei ministeri di allineare l’operato delle loro sotto-unità agli obiettivi generali indicati dal governo. Tuttavia, l’esperienza dei PSA è generalmente considerata positiva. Questa nota illustra tale esperienza e discute brevemente perché un simile approccio introdotto con la riforma Brunetta del 2009 non abbia invece funzionato.

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I Public Service Agreement

Quali sono gli “ingredienti” necessari per un sistema efficace di gestione e monitoraggio della Pubblica Amministrazione (PA)? Per individuarne almeno alcuni si può approfondire l’esperienza positiva del Regno Unito, in cui nel 1998 furono introdotti i Public Service Agreements (PSA, sostituiti nel 2010 dai Departmental Business Plans e dai Performance Reports).[1] Questi strumenti furono concepiti non solo per incrementare la trasparenza e monitorare l’efficienza della PA, ma anche – e soprattutto – per indirizzare e coordinare gli sforzi di ministeri, dipartimenti e altre sotto-unità verso gli obiettivi del governo. In altre parole, i PSA avevano principalmente una funzione di indirizzo, ma fornivano anche informazioni sulla performance dei ministeri. Detto questo, nel periodo 1998-2010 si sono costantemente evoluti sia nelle forme che nei contenuti, pur mantenendo lo scopo duplice appena descritto.

Fin dalla loro nascita nel 1998, quando Tony Blair era Primo Ministro e Gordon Brown Cancelliere dello Scacchiere (ossia ministro del Tesoro), i PSA erano basati su “accordi” (per quanto informali) tra il ministero del Tesoro, che metteva a disposizione risorse, e i vari ministeri, che le ricevevano. Questi accordi informali contenevano una lista di risultati concreti e misurabili che i ministeri dovevano raggiungere entro un orizzonte temporale fissato, solitamente di medio periodo (da 2 a 4 anni, ma con obiettivi intermedi annuali). Tali risultati erano naturalmente in linea con il programma e le priorità del governo. In questo senso, i PSA si configuravano come accordi tramite i quali il Tesoro, e implicitamente il Primo Ministro, chiedeva ai ministeri value for money, ovvero risultati tangibili. La lista dei PSA, passata da oltre 600 punti nel 1998 a soli 30 nel 2007, conteneva quindi degli indicatori di risultato il cui raggiungimento doveva idealmente diventare la priorità dell’operato di ministri e dirigenti pubblici.

I PSA erano esposti al rischio di portare i ministeri a trascurare le aree non incluse tra gli obiettivi. Per ovviare a questo i PSA tendevano a essere o talmente dettagliati (come quelli del 1998 con 600 obiettivi) o talmente generali (come i 30 obiettivi del 2007) da toccare, direttamente o indirettamente, quasi ogni ambito dell’operato della PA britannica. In pratica, infatti, il governo elaborava ogni due anni circa questa lista abbastanza onnicomprensiva di obiettivi concreti legati al proprio programma e alle problematiche generali individuate (ad esempio “ridurre in 5 anni l’assenteismo scolastico dell’8 per cento”), assegnando ogni target a uno o più ministeri e dipartimenti, che diventavano quindi responsabili del suo raggiungimento.[2] In seguito, questi organizzavano internamente lo sforzo necessario a raggiungerli, spesso selezionando obiettivi più granulari per le loro sotto-unità operative. L’idea sottostante a questo processo a cascata era di dare una direzione unitaria all’operato dell’intera PA, con il governo all’apice, che individuava le priorità e allocava le risorse per affrontarle e ciascuna sotto-unità guidata dagli obiettivi provenienti “dall’alto”.

A rimanere costanti nei 12 anni di esistenza dei PSA sono stati questo approccio a cascata e l’utilizzo quasi esclusivo di indicatori di risultato, che meglio catturavano l’idea ispiratrice di value for money. In altre parole, gli input e le modalità per raggiungere i risultati erano in secondo piano rispetto al loro reale effetto in termini di servizi al cittadino (value). Di contro, a evolversi fu innanzitutto il numero di target (600 nel 1998, 160 nel 2000, 130 nel 2002, 110 nel 2004 e 30 nel 2007), che diminuì progressivamente per consentire maggior spazio di manovra a ministeri e sotto-unità nello stabilire come raggiungere obiettivi principali di più ampio respiro e sempre più spesso trasversali tra vari ministeri. Anche l’attenzione del governo alla redazione e al monitoraggio dei PSA non fu costante: il “picco” fu raggiunto con i PSA del 2002 e del 2004, ovvero nel periodo in cui lo stesso Primo Ministro (Tony Blair) li mise in cima all’agenda del governo con la predisposizione della Prime Minister Delivery Unit (PMDU) presso l’ufficio del primo ministro, un’unità operativa incaricata di coordinare l’azione dei ministeri e della PA in generale, proprio con il fine di attuare il programma di governo mantenendo le promesse ai cittadini costituite dai PSA. Infine, nel 2010, nonostante l’abolizione dei PSA da parte del nuovo governo Conservatore – Liberaldemocratico, i dipartimenti britannici hanno continuato a dover redigere ogni due anni i Departmental Business Plans e i Performance Reports, che contengono liste di obiettivi, generalmente outcome, da considerarsi prioritari. Quindi, anche se il carattere unitario dei PSA è in parte venuto meno, molte delle loro funzioni sono ancora presenti nella PA britannica.

Come anticipato, gli scopi dei PSA erano molteplici. Se da una parte essi avevano una valenza organizzativa per l’esecutivo, il fatto che fossero pubblici e avessero come oggetto l’attuazione del programma di governo li rendeva anche un contributo alla trasparenza sull’operato di ministri e dirigenti. Grazie ai PSA, infatti, la valutazione della performance della PA nel Regno Unito poteva essere (ed è) basata su indicatori realmente informativi circa le aree di intervento prioritarie e il progresso sulle criticità individuate. Non a caso, i media e il Parlamento si servivano anche dei PSA per esercitare le loro funzioni di controllo sull’operato dell’esecutivo che, a sua volta, grazie al monitoraggio e alla pressione esterna, era più incentivato ad agire sugli aspetti più deboli dell’implementazione dei suoi programmi.[3] Inoltre, il fatto che gli obiettivi fossero oggetto di intenso scrutinio pubblico era un incentivo a fissare target al contempo ragionevoli e ambiziosi.

In pratica, la valutazione della performance effettuata tramite i PSA aveva poche conseguenze automatiche sulle unità amministrative e sui ministri e dirigenti pubblici coinvolti. Certamente il Tesoro – e in generale il governo – potevano rivedere l’allocazione della spesa pubblica anche sulla base dei progressi fatti e dell’efficacia delle varie unità registrati dai PSA, con conseguenze negative per le unità costantemente sottoperformanti. Questo esercizio era il principale oggetto delle spending review intraprese ogni due anni, il cui oggetto non era tanto il taglio della spesa, quanto verificare che la spesa stesse producendo i risultati desiderati. Tuttavia, lo stipendio dei dirigenti pubblici dipendeva in misura minima dalla loro performance rispetto ai target contenuti nei PSA, anche perché, a fronte di un risultato insoddisfacente, era molto complesso individuare i reali responsabili e valutare il contributo dei loro eventuali errori.[4] D’altra parte, il peso dei PSA nel dibattitto pubblico garantiva conseguenze politiche sia per i singoli ministri che per l’intero governo in caso di fallimenti, ovviamente a seconda della loro gravità percepita.

Punti di forza e debolezza dei PSA

Indirizzare l’azione della PA tramite indicatori trasparenti, quantificabili e indissolubilmente legati all’agenda politica sembra aver avuto l’effetto positivo di rendere ministri e dirigenti pubblici realmente determinati a impegnarsi per il raggiungimento degli obiettivi fissati. A fronte di casi rari di aggiramento dei target, questo sistema sembra aver reso l’operato dei ministeri inglesi effettivamente più outcome-oriented e allineato alle priorità di medio periodo del governo. Tuttavia, il processo a cascata con cui i PSA erano tradotti dai ministeri in obiettivi granulari per le loro sotto-unità amministrative non è mai decollato del tutto. Infatti, ad ogni passaggio verso il basso, i nuovi obiettivi più specifici perdevano progressivamente coerenza rispetto a quello originario fissato dal Tesoro.[5] Questo fenomeno potrebbe essere stato causato dalla necessità di adattare l’azione di ogni unità al contesto specifico, che è peraltro una delle critiche principali ai PSA.

L’importanza ricoperta dai PSA nell’operato quotidiano del settore pubblico britannico trova riscontro anche nelle testimonianze degli stessi dirigenti pubblici. I PSA avrebbero avuto successo nel vincolare l’azione di ciascun ministro e dei suoi collaboratori verso obiettivi trasparenti e di medio-lungo periodo, poco suscettibili alla volatilità del panorama politico e dell’opinione pubblica.[6] Per quanto riguarda gli incentivi forniti ai singoli dirigenti, pur mancando quasi del tutto ricompense o penalità economiche, ad essi potevano subentrare considerazioni di carriera e di reputazione. In altre parole, i dirigenti potevano essere interessati a proiettare un’immagine di competenza ed efficacia contribuendo in modo visibile al successo dell’agenda del governo, sperando di trarne benefici futuri.

Infine, l’eredità dei PSA è stata una macchina organizzativa con le competenze, l’esperienza e la cultura per mantenere un sistema di indirizzo e monitoraggio efficace e trasparente, di cui, pur abolendo formalmente i PSA (identificati con il precedente governo), i Conservatori si servono tuttora.[7]

I PSA sono replicabili?

Tra le varie ragioni, i PSA furono possibili grazie alla costanza dell’impegno del governo inglese, che consentì una maggior unità degli obiettivi da perseguire per i singoli ministeri (dal 1997 al 2010 ha governato ininterrottamente il Partito Laburista; dal 2010 a oggi ha governato, sempre ininterrottamente, il Partito Conservatore; in Italia dal 1997 ad oggi si sono succedute 8 coalizioni). Inoltre, i PSA si sono costantemente evoluti grazie all’interesse dei politici all’apice del Partito Laburista e del governo britannico per la messa a punto di uno strumento di indirizzo e controllo dell’azione della PA, ritenuto fondamentale per dare credibilità e seguito ai progetti di riforma del New Labour. Questo sforzo ha comunque richiesto quasi un decennio e, fra l’altro, non si è nemmeno fermato con l’abolizione dei PSA. Sembrerebbe quindi che, per mettere in piedi un sistema del genere servano, oltre a diversi anni per l’affinamento, una necessità percepita e una volontà politica sufficienti presso una serie di governi consecutivi, in modo che, di fronte alla complessità della sfida, ciascun progresso possa poggiarsi sui precedenti.

La situazione in Italia

È almeno dalla riforma Brunetta del 2009 che in Italia si prova a valutare e in parte indirizzare l’operato della PA e dei ministeri in particolare. Gli strumenti previsti dalla riforma, il ciclo della performance e il performance budgeting, in parte sovrapponibili nei contenuti, presentano però delle gravi criticità che, a oltre 10 anni dalla loro introduzione, li rendono più vicini ad adempimenti prettamente formali che a effettivi strumenti di valutazione del lavoro svolto dai ministeri.[8] Qualche (timida) apertura nei confronti di una riforma della valutazione dell’operato della PA si può trovare nella nuova bozza di Recovery Plan, nella versione approvata dal governo Conte 2 il 12 gennaio 2021, in cui è presente un breve riferimento all’introduzione di “valutazioni e remunerazioni basate sul risultato, che richiedono un nuovo sistema di misurazione e valutazione delle performance – anche attraverso il potenziamento della citizen satisfaction…”.[9] Tuttavia, la descrizione del progetto è troppo vaga per consentirne una valutazione informata.


[1] I PSA hanno raccolto giudizi generalmente positivi sia nella letteratura scientifica che nei report delle organizzazioni internazionali. Si veda, come esempio: http://documents1.worldbank.org/curated/en/218081468338485921/pdf/654080NWP0240g0C0disclosed011040110.pdf. Per una visione più critica, si veda: Micheli P., Neely A., 2010, “Performance Measurement in the Public Sector in England: Searching for the Golden Thread”, Public Administration Review, 70(4), https://onlinelibrary.wiley.com/doi/abs/10.1111/j.1540-6210.2010.02180.x.

[2] Una lunga raccolta di esempi di obiettivi (e fonte dell’esempio sull’assenteismo scolastico) è la lista di PSA del 2004 per il periodo 2005-2008. Vedi: http://news.bbc.co.uk/nol/shared/bsp/hi/pdfs/psa_complete_120704.pdf.

[3] Per un periodo, sembra che Tony Blair abbia tenuto delle riunioni settimanali con i suoi ministri per vigilare sul raggiungimento dei PSA e per far affrontare al suo governo eventuali criticità in modo coordinato. Vedi: https://www.instituteforgovernment.org.uk/sites/default/files/case%20study%20psas.pdf.

[5] Sembra che gli obiettivi per le unità più periferiche non fossero necessariamente allineati con il PSA che li avrebbe dovuti ispirare. Vedi: Micheli e Neely (2010), https://onlinelibrary.wiley.com/doi/abs/10.1111/j.1540-6210.2010.02180.x.

[6] “Some departments put PSAs at the core of their board reporting system, which increasingly focused on the

delivery of long-term outcomes regardless of political cycles and day-to-day urgencies.” Vedi: https://www.instituteforgovernment.org.uk/sites/default/files/case%20study%20psas.pdf.

[7] Circa la continuità tra gli strumenti post-2010 e i PSA, vedi: https://www.publicfinance.co.uk/2012/09/oh-what-a-performance.

[8] I problemi del ciclo della performance sono stati evidenziati dall’OCPI in questa nota: https://osservatoriocpi.unicatt.it/cpi-archivio-studi-e-analisi-la-valutazione-della-performance-della-pa-alcuni-spunti-di-riflessione. I problemi (simili) del performance budgeting sono stati chiariti in un’altra nota dell’OCPI: https://osservatoriocpi.unicatt.it/cpi-archivio-studi-e-analisi-performance-budgeting-un-analisi-del-caso-italiano.

[9] Bozza di PNRR di gennaio 2021, pag. 53.

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