La valutazione della performance della PA: alcuni spunti di riflessione
di Fabio Angei e Francesco Tucci
14 settembre 2020
Dal 2009, grazie alla riforma Brunetta, la Pubblica Amministrazione (PA) è tenuta a monitorare le proprie performance sulla base di obiettivi misurabili fissati ogni anno. In pratica, però, la riforma è stata implementata in modo inadeguato: (i) gli obiettivi sono poco ambiziosi, vaghi e spesso monitorati tramite indicatori di input di risorse più che con risultati e qualità dei servizi pubblici; (ii) i documenti del ciclo delle performance sono spesso pubblicati con ritardo; (iii) i risultati non sono di fatto utilizzati per valutare la performance delle amministrazioni; e (iv) l’esercizio è ignorato dai più. Inoltre, questo esercizio non è integrato con la programmazione economico-finanziaria, coordinata dalla Ragioneria Generale dello Stato e basata sulla legge di riforma del bilancio dello stato, anch’essa del 2009. In conclusione, una idea peraltro valida è stata attuata solo pro forma. Eppure, senza misurare i risultati ottenuti dalla PA è difficile migliorare la qualità dei servizi offerti dalla PA.
*La nota è stata ripresa da Repubblica in questo articolo del 14 settembre 2020.
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Nel corso degli ultimi due decenni diversi paesi hanno introdotto processi per valutare la performance della propria pubblica amministrazione, al fine di migliorarne i servizi e ridurne gli sprechi. L’Italia ne ha introdotti addirittura due:
- il primo è quello basato sulla legge 196 del 2009 (legge di riforma del bilancio dello stato), che ha introdotto formalmente in Italia il cosiddetto performance budgeting. Il bilancio dello stato viene suddiviso in diversi programmi di spesa, ad ognuno dei quali vengono associati obiettivi certi e indicatori specifici per valutarne il raggiungimento;
- il secondo è quello basato sul decreto legislativo (d.lgs.) n. 150 del 2009 (riforma Brunetta), in attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni, modificato dal D.P.R n. 105/2016 e dal d.lgs. n.74/2017. Questo decreto ha introdotto il cosiddetto “ciclo della performance” per tutta la PA. La procedura dovrebbe servire a monitorare l’attività della PA, porre dei chiari obiettivi (di gruppo o singoli) e, conseguentemente, migliorare l’efficienza e la qualità dei servizi.
Questi due processi non solo procedono in parallelo senza una chiara integrazione, ma restano in gran parte formali. Nel seguito si analizza in dettaglio il secondo processo ma le stesse critiche potrebbero essere rivolte anche al primo.
Il ciclo della performance ruota attorno a due documenti, che ogni amministrazione deve preparare:
- il Piano della performance è un documento di programmazione su orizzonte triennale che viene definito dall’organo di indirizzo politicoamministrativo (es. nel caso di un Ministero dal Ministro, dal Viceministro o dai Sottosegretari) in collaborazione con i vertici dell’amministrazione (es. i dirigenti ministeriali) e secondo le linee guida del Dipartimento della Funzione Pubblica (DFP), entro il 31 gennaio di ogni anno. Il piano individua gli obiettivi che devono essere raggiunti nel triennio.[1] A ogni obiettivo che si intende raggiungere, come prescritto dall’articolo 4 del d.lgs. n. 150 del 2009 e specificato dalle linee guida del DFP, vengono assegnati uno o più indicatori utili alla successiva misurazione e valutazione del raggiungimento dell’obiettivo, ed esplicitati i risultati attesi per ogni anno (target numerici per gli indicatori);
- la Relazione sulla Performance è il documento redatto “a consuntivo”: misura e valuta il raggiungimento (o meno) degli obiettivi, tramite il controllo del raggiungimento dei target degli indicatori programmati nel Piano. Viene redatta secondo gli indirizzi impartiti dal DFP e validata, in termini di forma e di contenuto, dall’Organismo Indipendente di Valutazione (OIV) entro il 30 giugno di ogni anno. L’OIV è un organo costituito da ogni amministrazione in forma collegiale o monocratica (il numero massimo di componenti è tre) e nominato dall’organo di indirizzo politicoamministrativo. L’OIV controlla il funzionamento complessivo, la trasparenza e l’integrità del sistema di valutazione, formulando apposite raccomandazioni in una relazione annuale sul funzionamento del sistema di valutazione.
Con riferimento al ciclo della performance dei Ministeri, i documenti non sono sottoposti allo scrutinio parlamentare né a quello collettivo del Governo, ma sono responsabilità esclusiva dei vertici amministrativi e dell’organo di indirizzo politico-amministrativo di ogni ente. Secondo l’articolo 5 del d.lgs. n.150/2009, l’ambito di intervento del Presidente del Consiglio riguarda solo la determinazione degli obiettivi amministrativi generali (coerenti con il programma di governo) con apposite linee guida adottate ogni tre anni.
In linea di principio, la mancata adozione del Piano della performance da parte di un’amministrazione comporta la non erogazione delle prestazioni salariali di risultato ai dirigenti individuati come responsabili. Inoltre, l’amministrazione che non presenta il Piano non può né procedere a nuove assunzioni né conferire incarichi di consulenza a qualunque titolo. Qualora la mancata adozione sia attribuibile all’organo di indirizzo politico-amministrativo, l’erogazione dei premi e di altri incentivi salariali è fonte di responsabilità amministrativa per il titolare dell’organo politico-amministrativo responsabile della mancata adozione del Piano. Ad ogni modo, indipendentemente dalla causa, la mancata adozione del Piano della performance deve essere adeguatamente giustificata al DFP.
Nonostante queste conseguenze teoriche, solo il 69 per cento delle amministrazioni che rientrano nel perimetro considerato dal Portale della Performance ha presentato i Piani, solo il 41 per cento le Relazioni, solo il 36 per cento le Validazioni delle relazioni e solo il 50 per cento le Relazioni sul funzionamento.[2] Delle amministrazioni che hanno pubblicato il Piano della performance, solo poco più di un terzo lo ha pubblicato entro la scadenza. Ritardi nelle presentazioni sono stati registrati anche per gli altri documenti.
I problemi relativi alla tempistica e, soprattutto, alla sostanza del processo di valutazione della performance sono nel seguito illustrati per alcuni Ministeri, a scopo di esempio.
Giustizia
Il Ministero della Giustizia, negli scorsi anni, ha spesso presentato in ritardo il Piano della performance nel Portale della performance. Anche nel 2020, il Piano della performance, che doveva essere pubblicato entro gennaio, è stato pubblicato l’11 marzo. La Relazione sulla performance, da pubblicare entro il 30 giugno è stata invece pubblicata entro il tempo massimo (24 giugno).
L’ultimo Piano comprende dieci obiettivi, con relativi indicatori e target da raggiungere. Ma diversi problemi emergono guardando più da vicino questi obiettivi, indicatori e target:
- una parte degli obiettivi non si riferisce a risultati o output (per esempio la diminuzione della durata media dei procedimenti civili e penali nei tribunali ordinari), bensì agli input (ad esempio la percentuale di uffici del Giudice di pace con servizi telematici attivi);
- i target degli indicatori associati agli obiettivi sono spesso poco ambiziosi. Per esempio, il Piano 2020 prevede per il 2020, 2021 e 2022 un target di durata media dei procedimenti civili uguale o inferiore a 376 giorni per la media dei procedimenti di primo grado. Ma il dato di 376 giorni è il valore della durata media dei procedimenti civili nei tribunali ordinari del 2017, che viene mantenuto come valore di riferimento e fissato come target (come indicato nella Nota integrativa del Ministero, ma non nel Piano delle performance). Per questo bisognerebbe fissare dei valori attesi più ambiziosi per il 2020, 2021 e 2022;[3]
- i target sono talvolta poco trasparenti, visto che non viene inserito il valore di partenza di un indicatore;
- gli indicatori potrebbero essere definiti in modo migliore. Per esempio, sarebbe utile fissare obiettivi non solo in termini medi, ma anche in termini di distribuzione dei risultati (ad esempio, avere il 70 per cento dei tribunali sotto una soglia minima di durata dei processi). L’utilizzo della sola media infatti non è pienamente informativo: il fatto che alcuni tribunali siano veloci potrebbe non compensare, a livello locale, la lentezza di altri. Un altro esempio è costituito dal “grado di soddisfazione dei frequentatori dei corsi di formazione ed aggiornamento”, con target percentuali di soddisfatti che oscillano intorno al 90 per cento: sarebbe utile infatti, più che misurare il grado di soddisfazione, misurare quanto effettivamente abbiano appreso i partecipanti al corso (e, anche qui, si potrebbe comunque notare che questo indicatore si riferisce, al massimo, alla qualità di un input e non a quanto prodotto dalla PA).
Una nota positiva, ma con margini di miglioramento, è il monitoraggio annuale del livello di soddisfazione degli utenti “interni” ed “esterni”, riportato nella Relazione sulle performance.[4] L’idea di monitorare la soddisfazione degli utenti dei servizi del Ministero è infatti positiva. La ricognizione avviene però solo per gli uffici che, nel corso dell’anno, sono diretti da un dirigente amministrativo o da un magistrato fuori ruolo, restringendo così l’indagine al solo fine di valutare la performance individuale dei dirigenti, e non di migliorare ed inquadrare nel complesso lo stato di salute dei servizi erogati.
Un ultimo punto riguarda il fatto che la misurazione della performance del Ministero non venga in modo chiaro legata alla valutazione della performance dei dirigenti. Anche l’OIV, nella valutazione sulla Relazione sulla performance, parlando delle criticità segnala la “non chiarezza nel collegamento tra obiettivi di performance organizzativa e valutazione del grado di raggiungimento degli obiettivi individuali”.[5]
Salute
Anche il Ministero della Salute ha spesso disatteso le scadenze previste dal ciclo della performance. Sul Portale della Performance mancano ancora la Relazione annuale relativa al 2019 (da presentarsi entro il 30 giugno 2020) e il Piano della Performance relativo al periodo 2020-2022, la cui presentazione era prevista per il 31 gennaio 2020.
Focalizzandoci quindi sulla Relazione precedente (quella relativa al 2018) e sul relativo Piano 2018-2020, per ogni obiettivo triennale e relativo indicatore viene esposto il livello di partenza (baseline), diversamente da quanto fatto dal Ministero della Giustizia. In totale vengono fissati dodici obiettivi. Anche qui ci sono vari problemi:
- tutti gli obiettivi si riferiscono a diversi input delle attività svolte dal Ministero, sia in termini di risorse finanziarie e tecnologiche (es. costituzione di una banca dati delle pubblicazioni scientifiche in ambito medico) sia di attività di promozione e di informazione attiva della cittadinanza (es. campagne promozionali su specifici rischi e malattie, pubblicazione di documenti specifici). Complice forse anche l’attribuzione di molte competenze in materia sanitaria a livello regionale, risultano quindi completamente assenti dal Piano della Performance ministeriale obiettivi misurati con indicatori di output relativi ai tempi e alla qualità delle prestazioni sanitarie erogate sul territorio nazionale;
- alcuni indicatori sembrano inadeguati a misurare l’attività del Ministero sia a livello di input che di output, in quanto si riferiscono ad attività di processo di natura burocratica. Si prenda per esempio il caso dell’indicatore della percentuale di “documenti a valenza esterna predisposti” rispetto a quelli “da predisporre”, che viene presentato come relativo all’obiettivo “Promuovere gli interventi in materia di corretta alimentazione attraverso il coordinamento delle azioni per superare le criticità dello stato nutrizionale della popolazione”. Fra l’altro sono previste percentuali di adempimento inferiori a 100: si pianifica che non tutti i documenti da predisporre saranno predisposti! E non è l’unico caso (vedi sotto);
- alcuni indicatori sono di natura troppo discrezionale. In alcuni casi non è chiaro infatti se il numero di documenti da adottare o di azioni da realizzare derivi da qualche fonte normativa o sia stato fissato dal Ministero stesso. In quest’ultimo caso l’indicatore risulterebbe di fatto del tutto arbitrario e poco rilevante. Un buon esempio di questa problematica è fornito sempre dal suddetto rapporto tra i “documenti a valenza esterna predisposti” e “da predisporre”. In assenza di riferimenti su quale sia l’atto che contiene il numero di documenti a valenza esterna da predisporre, l’indicatore risulta vago e discrezionale;
- alcune soglie obiettivo fissate dal Ministero risultano poco ambiziose, come ad esempio per l’indicatore “Percentuale delle economie registrate sugli stanziamenti di bilancio”, il quale decresce gradualmente nel corso del triennio 20182020 (quindi con risparmi decrescenti), senza che ne venga spiegata la ragione. Un altro esempio è dato dall’indicatore misurato dal rapporto tra il numero di flussi (informativi) del sistema statistico del SSN idonei all'interconnessione rispetto al numero totale potenziale dei flussi da interconnettere, relativo all’obiettivo di “valorizzazione del patrimonio informativo per l’elaborazione di nuove metodologie e indicatori per il monitoraggio dei livelli minimi di assistenza”, per il quale le soglie obiettivo vanno dal 25 per cento del 2018 al 40 per cento del 2020. Anche in questo caso si pianifica solo un parziale adempimento.
La parziale inadeguatezza dell’approccio seguito dal Ministero della Salute è stata rilevata dal relativo OIV. All’amministrazione vengono forniti punteggi distanti dalla best practice sia per la scelta degli indicatori con cui misurare la performance, sia per la scelta della soglia dei target annuali.[6]
Interni
Anche il Ministero degli Interni non ha ancora pubblicato il Piano della Performance 2020-2022, mentre la Relazione sulla Performance più recente è relativa al 2018.
Il Piano della Performance per il 2018-20 (l’ultimo disponibile) è molto dettagliato.[7] L’albero della performance del Ministero si ramifica infatti a partire da cinque macroaree di azione, tra le quali vengono poi ripartiti 21 obiettivi di performance derivanti dall’atto di indirizzo politico, affiancati da 16 obiettivi relativi ad attività amministrative continuative e generali, anche se tutti relativi ad una sola delle cinque macroaree. I primi 21 obiettivi sono poi ulteriormente ripartiti sulla base di 137 obiettivi operativi intermedi annuali, ciascuno corrispondente a una specifica linea di azione. Anche a questi vengono associati uno o più indicatori di varia natura. La performance viene misurata per ogni obiettivo da uno o più indicatori di diversa natura (sia di input, sia di output), rilevati rispetto ad un livello baseline di partenza, il che rappresenta sicuramente una best practice. Tuttavia, anche in questo caso ci sono problemi:
- alcuni indicatori sono definiti su basi diverse da quella triennale (riportando ad esempio i target solo per alcuni anni), mentre per altri non viene indicato il livello di partenza in base al quale misurare l’andamento delle performance nel triennio;
- il numero degli obiettivi previsti è molto elevato. Come affermato infatti anche all’interno delle linee guida elaborate dal DFP, un numero troppo elevato di obiettivi può disperdere le energie e le risorse dell’ente in troppe attività, senza che all’interno di esse siano identificate delle aree d’intervento prioritarie;[8]
- la rilevanza e trasparenza del documento di validazione dell’OIV sono di dubbia affidabilità. Il documento di validazione disponibile sul Portale della Performance consta di sole tre pagine piuttosto schematiche, nelle quali non c’è traccia di molte delle osservazioni sul Piano della performance del Ministero attribuite all’OIV, secondo quanto riportato nella Relazione sulla performance;[9],[10]
- alcuni indicatori non sono chiari. Per esempio, per l’indicatore “Numero di prodotti antincendio commercializzati controllati” non viene inserito il livello baseline e si fa riferimento esclusivamente per il 2020 ad una soglia obiettivo pari a sei, un numero che non si capisce bene a cosa si riferisca.
Affari Esteri e Cooperazione Internazionale
L’ultimo Piano delle performance del Ministero degli Esteri, pubblicato entro il limite del 31 gennaio 2020, dispone 11 diversi obiettivi derivanti direttamente dall’atto di indirizzo politico per il Ministero.[11] A questi sono affiancati 13 ulteriori obiettivi aventi carattere continuativo e generale per l’amministrazione. Tutti gli indicatori proposti per la misurazione del raggiungimento degli obiettivi sono accompagnati da rispettiva baseline e/o benchmark.
Date le caratteristiche ed il campo di azione del Ministero, il ciclo delle performance dell’amministrazione ed in particolare la decisione degli indicatori da associare ai singoli obiettivi non è sicuramente di facile valutazione. Ciononostante, l’approccio attuale risulta carente:
- è frequente il ricorso a indicatori di attività svolte più che di risultati raggiunti. Ad esempio, l’obiettivo “tutela degli interessi nazionali nel bacino del Mediterraneo”, è misurato con la frequenza degli incontri bilaterali con Paesi di competenza e dal numero di comunicati congiunti concordati con i principali partner internazionali;
- gli indicatori sono spesso espressi in numeri assoluti, compromettendo così un efficace misurazione del livello di raggiungimento dell’obiettivo a cui sono legati. Ad esempio, l’indicatore “numero di uffici consolari dotati di strumentazione attiva per la captazione dei dati biometrici per il rilascio del passaporto e per il loro telematico alle Sedi di I categoria” potrebbe essere espresso più efficacemente come percentuale degli uffici dotati di tale strumentazione sul totale degli uffici che potrebbero/dovrebbero esserlo in potenza. Simile discorso va fatto, ad esempio, per l’indicatore “numero di domande visto trattate dalla rete visti italiana nel corso del triennio successivo”, che potrebbe essere meglio espresso come numero delle domande di visto trattate sul totale delle domande pervenute;
- i target sono spesso poco sfidanti. Ad esempio, uno degli indicatori dell’obiettivo “promozione e valorizzazione delle attività istituzionali del Ministero e della rete all’estero”, misurato con la percentuale di richieste di informazioni da parte dei cittadini ai quali si dà riscontro entro cinque giorni lavorativi, parte da una baseline del 91 per cento e mantiene lo stesso valore di target anche per i tre anni successivi, non spronando così al miglioramento dei tempi operativi dell’amministrazione.
[1] Non entriamo nella giungla delle distinzioni tra obiettivi “strategici”, “specifici”, “generali”, “operativi”, termini pur definiti nella normativa ma che nel corso del tempo hanno assunto diversi significati e che anche ora non sono usati in modo coerente da tutte le amministrazioni.
[4] Min. della Giustizia (2020), Relazione delle Performance, paragrafo 3.4, disponibile al link: https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_29_6_9.page?previsiousPage=mg_1_29_6. Per utente interno si intende “un ufficio a valle rispetto a quello oggetto di valutazione nel processo di erogazione del servizio […] ad esempio il rapporto tra uffici centrali e strutture periferiche” e per utente esterno il soggetto “fruitore del servizio prevalentemente al di fuori del Ministero della Giustizia” ad esempio i Consigli dell’Ordine di Avvocati.
[6] Ministero della Salute (2019), La validazione da parte dell’OIV della Relazione sulla performance 2018, p. 17.
[9] Ministero dell’Interno (2019), Relazione sulla Performance anno 2018, p. 58.