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Stiamo privatizzando la sanità?

11 ottobre 2024

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Stiamo privatizzando la sanità?

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La privatizzazione della sanità può essere intesa sia come un aumento del peso della spesa privata sul totale della spesa sanitaria (a scapito del ruolo del pubblico) sia come un aumento del coinvolgimento dei fornitori privati nella produzione di servizi sanitari. In questa nota ci focalizziamo sulla prima dimensione, valutando l’evoluzione della spesa sanitaria privata e pubblica nei Paesi OCSE, con particolare attenzione all’Italia. Nel 2022, la spesa sanitaria pubblica italiana in percentuale al Pil era in linea con la media OCSE ma inferiore ad altri Paesi europei come Germania e Francia. La spesa privata italiana, invece, era leggermente superiore alla media (sempre in percentuale al Pil) ma più alta rispetto a Francia e Germania e inferiore a Paesi come Stati Uniti e Spagna. In termini di incidenza sul totale, il peso della spesa sanitaria privata in Italia è rimasto pressoché costante negli ultimi vent’anni, ma con una tendenza alla riduzione che ha cambiato di segno dopo le crisi finanziaria e dei debiti sovrani. Guardando al futuro, se la crescita economica non dovesse irrobustirsi, potrebbe aumentare la necessità di ricorrere al finanziamento privato con il rischio di una progressiva “privatizzazione” della sanità. Questo processo andrebbe governato, definendo i ruoli del pubblico e del privato e un quadro regolatorio entro il quale l’attività delle assicurazioni complementari al pubblico possano svolgere il loro ruolo.

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Si sente spesso parlare di “privatizzazione” della sanità pubblica, ma raramente viene chiarito cosa si intenda con questo termine. La “privatizzazione” può essere intesa in due modi differenti: da un lato, la privatizzazione del finanziamento, che si riferisce alla quota di spesa sanitaria privata rispetto a quella pubblica; dall’altro, la privatizzazione della produzione, ossia il coinvolgimento dei fornitori privati nella produzione di servizi sanitari, anche nell’ambito del Servizio sanitario nazionale. Nel primo caso, la privatizzazione implica un aumento del ruolo della spesa privata nel finanziamento della spesa complessiva, quindi una riduzione del ruolo del pubblico nel settore sanitario. Nel secondo caso, la privatizzazione implica un aumento del ruolo dei produttori privati nella produzione di servizi sanitari per conto dello Stato, e non implica necessariamente una riduzione dei fondi pubblici destinati alla sanità. In questa nota ci focalizzeremo sulla prima dimensione, esplorando l’evoluzione della spesa sanitaria privata in rapporto all’evoluzione della spesa pubblica in diversi Paesi OCSE, per caratterizzare il caso italiano.

Le definizioni di spesa pubblica e privata secondo l’OCSE

Negli ultimi decenni, la spesa sanitaria privata ha mostrato un moderato ma costante aumento a livello internazionale, con variazioni significative tra i Paesi. Anche la spesa pubblica però è cresciuta, e per valutare la “privatizzazione” è necessario confrontare la crescita delle due componenti della spesa totale. Ci concentriamo quindi su un confronto internazionale basato sugli ultimi dati disponibili (2022), insieme a un’analisi storica di queste dinamiche per alcuni Paesi OCSE.

Per confrontare Paesi con sistemi sanitari diversi occorre prima specificare cosa si intende con spesa sanitaria pubblica e privata. Utilizzeremo a tal fine le definizioni fornite dall’OCSE.[1] La componente pubblica della spesa sanitaria è quella finanziata dalle entrate dello Stato, che comprendono le imposte, i contributi per l’assicurazione sociale (nei Paesi basati su questo modello) e altri pagamenti obbligatori, nonché le assicurazioni obbligatorie. L’obiettivo del governo, in questi casi, è tipicamente quello di garantire l’accesso all’assistenza sanitaria, generalmente per tutti i cittadini o per gruppi specifici di cittadini, come quelli più vulnerabili e in situazioni socio-economiche svantaggiate.

La spesa sanitaria privata, invece, include i premi per i regimi assicurativi volontari e i pagamenti diretti delle famiglie (out-of-pocket, OOP) sempre per acquisti volontari di servizi. Nel dettaglio, i regimi assicurativi volontari si riferiscono all’acquisto facoltativo di una polizza assicurativa sanitaria da parte di individui o imprese. Questi regimi non sono imposti dal governo e le polizze possono essere acquistate sia da compagnie di assicurazione private (profit e non-profit) sia da enti pubblici o quasi-pubblici. L’assicurazione sanitaria volontaria può essere di tipo “primario” (o sostitutivo) quando copre persone escluse dal sistema pubblico, oppure “complementare” (o integrativa) per coprire prestazioni non incluse nel sistema pubblico o obbligatorio. Queste assicurazioni possono essere acquistate a livello individuale o di gruppo, per esempio tramite il datore di lavoro. Invece, i pagamenti OOP rappresentano le spese dirette che le famiglie devono sostenere per beni e servizi sanitari. Non coinvolgono un “terzo pagatore”, il che significa che il paziente paga direttamente nel momento in cui riceve il servizio. Gli OOP includono le compartecipazioni e i pagamenti informali. Tuttavia, in alcuni casi, le spese OOP possono essere parzialmente ridotte grazie a detrazioni fiscali previste dall’ordinamento tributario (come nel caso italiano). Le spese coperte da assicurazioni volontarie non sono considerate spese OOP e solo il costo del premio assicurativo rientra nella spesa sanitaria privata.

Spesa pubblica e privata in rapporto al Pil

L’analisi del ruolo della spesa pubblica e privata nell’ambito dei Paesi OCSE suggerisce come alcuni Paesi, come quelli del nord Europa, mantengono sistemi sanitari prevalentemente finanziati dal settore pubblico, mentre altre nazioni, in particolare nel sud Europa, mostrano una maggiore dipendenza dai contributi privati. Questa differenza geografica riflette le diverse strutture dei sistemi sanitari e le priorità politiche di finanziamento adottate dai diversi governi. In questo contesto, l’Italia rappresenta un caso interessante di sistema “misto”, dove il Servizio sanitario nazionale copre buona parte delle cure, ma dove si registra comunque un ruolo non marginale della spesa privata.

Come mostra la Fig. 1A, l’Italia si colloca al di sotto della maggior parte dei Paesi avanzati in termini di spesa pubblica dedicata alla sanità in percentuale al Pil. Nel 2022, infatti, l’ammontare di spesa pubblica italiana in sanità corrispondeva al 6,7% del Pil, in linea con la media dei Paesi OCSE ma in ogni caso più bassa di altri Paesi europei come Germania (10,9%) e Francia (10,1%), che sono comunque caratterizzati da assicurazioni sociali.[2] La variabilità è notevole: all’estremo opposto si trovano Paesi come la Polonia e l’Irlanda, che spendono meno del 5% del Pil.

La dinamica della spesa sanitaria, come noto, mostra una crescita in tutti i Paesi (Fig. 1B). La spesa pubblica sul Pil in Italia è cresciuta negli ultimi vent’anni di quasi due punti percentuali, se si considera che nel 1995 la spesa in rapporto al Pil era pari al 4,9%.[3] La crescita della spesa sanitaria in rapporto al Pil osservata in Italia è comune anche agli altri Paesi ed è eclatante nel caso degli Stati Uniti, passati dal 5,8% del 1995 al 13,8% del 2022 per effetto dell’Obamacare, la riforma del sistema sanitario americano che ha introdotto l’obbligatorietà delle coperture assicurative (e per questo, in base alla definizione OCSE, definisce un aumento delle coperture pubbliche accanto ai programmi federali Medicare e Medicaid).

Per quanto riguarda la spesa privata, la Fig. 2A mostra come nel 2022 questa ammontava al 2,3% del Pil italiano, poco sopra la media dei Paesi OCSE (2,2% circa). Il dato italiano è al di sopra di Paesi come Francia (1,8%) e Germania (1,7%), una osservazione che potrebbe fare pensare che la spesa privata è “sostitutiva” della spesa pubblica: rispetto all’Italia, Francia e Germania mostrano un ruolo inferiore della spesa privata ed uno maggiore della spesa pubblica.[4] Ma il dato italiano è inferiore a quello di paesi come Stati Uniti (2,7%) e Spagna (2,5%), che mostrano anche una maggiore spesa pubblica rispetto al nostro paese, in qualche modo suggerendo che la spesa privata possa essere “complementare” a quella pubblica.

Se si osserva la dinamica temporale, nel corso degli ultimi vent’anni, la spesa privata in Italia in % del Pil è rimasta pressoché costante, non superando mai i 2,5 punti di Pil, anche se con una leggera tendenza alla crescita avviatasi nel 2010 (Fig. 2B). Nel primo decennio del nuovo millennio Francia e Germania hanno registrato dei valori superiori al dato italiano, ma sono poi scesi bruscamente al di sotto di quest’ultimo, per via di alcune riforme che hanno trasformato coperture obbligatorie in volontarie (e quindi hanno comportato una riclassificazione della spesa dal privato al pubblico). Per gli Stati Uniti, dalla figura emerge in maniera evidente l’effetto dell’Obamacare, in modo speculare rispetto a quanto già notato per la spesa pubblica: dal 2013 al 2014 la spesa privata è scesa dall’8,1% del Pil al 2,8%.

Che la spesa sanitaria privata possa essere sostitutiva o complementare rispetto a quella pubblica si nota anche dalla Fig. 3, che evidenzia la relazione tra le due componenti della spesa totale. Dai dati del 2022 non sembra emergere nessuna correlazione tra le due voci di spesa. Le rette verticale e orizzontale nella figura rappresentano rispettivamente la media OCSE di spesa pubblica (≈6,9%) e privata (≈2,2%) e dividono il grafico in quattro quadranti: in alto a destra abbiamo i Paesi che spendono una quota elevata del proprio Pil in sanità sia pubblica che privata, mentre in basso a sinistra quelli che spendono meno della media su entrambe le componenti. Gli Stati Uniti sono un esempio per il primo (alta spesa pubblica e privata) mentre l’Irlanda sono un esempio per il secondo. In basso a destra ci sono i Paesi con un’incidenza maggiore della spesa pubblica su quella privata rispetto alla media, mentre in alto a sinistra ci sono i Paesi dove è la spesa privata a incidere maggiormente sempre rispetto alla media. I Paesi del nord Europa (Danimarca, Svezia e Finlandia) e dell’Europa continentale (Francia, Germania, Paesi Bassi) sono tutti esempi del primo gruppo, mentre Grecia e Portogallo esempi del secondo.

C’è una “privatizzazione” del finanziamento della sanità?

A questo punto possiamo provare a rispondere alla domanda dalla quale siamo partiti: c’è stata una privatizzazione nel finanziamento della sanità? Nel 2022 la spesa privata in sanità in Italia ammontava a 44,9 miliardi di euro, mentre la spesa pubblica arrivava a 130,8 miliardi. Sul totale della spesa sanitaria, pari a 175,7 miliardi di euro circa (la somma delle due componenti), la spesa privata corrispondeva al 25,6% (Fig. 4A), un valore in linea con la media OCSE (24,4%), ma comunque più elevato di molti altri Paesi europei come Francia (15,3%) e Germania (13,3%) e degli stessi Stati Uniti (16,4%). Il caso italiano è simile a quello della Spagna e del Belgio, Paesi dove circa un quarto della spesa sanitaria totale è coperta da fondi privati.

Guardando alla serie storica, appare chiaramente che la spesa privata rispetto alla spesa totale in Italia è rimasta pressoché invariata rispetto a un ventennio fa e, anzi, è leggermente diminuita: dal 28,7% del 1995 siamo infatti passati al 25,6% del 2022 (Fig. 4B). Difficile, con questi numeri, sostenere che oggi stiamo “privatizzando” il finanziamento della sanità. Tuttavia, si noti come il segno delle variazioni è cambiato nel tempo: alla fine degli anni Novanta, l’incidenza della spesa privata andava via via decrescendo; dal 2010 in avanti, invece, si è avuta un’inversione di tendenza e l’incidenza della spesa privata sulla spesa totale ha cominciato a crescere di nuovo. Una possibile spiegazione è il rallentamento della crescita del finanziamento pubblico dovuto alle crisi (finanziaria e dei debiti sovrani) e al rallentamento della crescita economica successivo a queste due crisi.

Quest’ultima osservazione suggerisce una riflessione per quello che è lecito attendersi: se la crescita economica non riprende vigorosa sarà complicato per il governo riuscire a trovare risorse pubbliche per rispondere alle tendenze al rialzo della spesa sanitaria, per l’invecchiamento della popolazione e il progresso tecnologico. In questo caso, con il trend di aumento del peso del finanziamento privato che sembra essere destinato ineluttabilmente a continuare, il rischio di “privatizzare” la sanità è reale. Se vogliamo però evitare di “privatizzare” la sanità in modo disordinato, il governo dovrebbe chiarire cosa ragionevolmente può essere garantito in modo sostenibile dal Servizio sanitario nazionale e cosa invece dovrebbe essere coperto da un mercato delle assicurazioni sanitarie private realmente complementari al sistema pubblico. E proporre, coerentemente, un quadro regolatorio entro il quale le assicurazioni complementari al pubblico possano svolgere il loro ruolo.


[1] Per un ulteriore approfondimento, si veda il report dell’OCSE “A system of Health Accounts 2011”.

[2] In termini assoluti, a prezzi correnti l’Italia ha speso 2.219 euro pro capite, un valore molto inferiore al dato francese (3.910,7 euro) e al dato tedesco (5.054,4 euro).

[3] Per un ulteriore approfondimento si vedano le nostre precedenti note: “L’evoluzione della spesa sanitaria italiana”, 5 gennaio 2023; “L’evoluzione dei finanziamenti alla sanità in Italia”, 16 maggio 2024; “Come viene finanziata la sanità tra le Regioni?”, 31 maggio 2024.

[4] La natura “sostitutiva” della spesa privata si osserva anche quando si confrontano i Paesi del nord e del sud Europa. Nei Paesi del nord Europa come Norvegia, Svezia e Danimarca, la spesa privata per la sanità è significativamente più bassa, sia in termini assoluti sia in rapporto al Pil, rispetto a Paesi come Italia, Spagna e Grecia. Nel 2022, la Norvegia e la Svezia hanno registrato spese private pari rispettivamente all’1,14% e all’1,5% del loro Pil, a fronte del 2,5% della Spagna e del 3,2% della Grecia. Questa differenza è dovuta ragionevolmente alla struttura dei sistemi sanitari, che nei Paesi nordici sono fortemente finanziati dallo Stato, lasciando una quota minore alla spesa privata. Al contrario, nei Paesi del sud Europa, la popolazione tende a dipendere maggiormente da soluzioni private per accedere alle cure mediche.

Un articolo di

Rossana Arcano, Alessio Capacci, Gilberto Turati

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