Il crollo delle nascite che ha interessato l’Italia negli ultimi cinquant’anni ha generato un divario tra le persone che escono ed entrano nella fascia di età lavorativa. Ciò, a parità di altre condizioni, riduce la forza lavoro, cioè il numero di occupati e di persone in cerca di occupazione. Per comprendere quali fattori guidano le variazioni della forza lavoro, abbiamo ricostruito il corrispondente bilancio demografico. Negli ultimi tre decenni, l’impatto delle dinamiche demografiche sulla forza lavoro è stato più che compensato da un saldo migratorio positivo e dall’aumento della partecipazione al mondo del lavoro. Tuttavia, nei prossimi anni il quadro tenderà ad aggravarsi perché il divario tra uscenti ed entranti in età lavorativa si amplificherà con il pensionamento delle coorti dei baby boomers degli anni ’50 e primi anni ‘60, mentre il saldo migratorio – in calo già negli ultimi anni – potrebbe, nello scenario mediano dell’Istat, assestarsi a livelli più bassi che in passato. È quindi necessario programmare un’immigrazione regolare e favorire la partecipazione al mercato del lavoro – in particolare delle donne – per limitare la perdita di forza lavoro nei prossimi anni.
La nota è stata ripresa da Repubblica in questo articolo del 29 gennaio 2022.
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Diversi fattori determinano variazioni nella forza lavoro compresa tra i 15 e i 64 anni, ossia l’insieme delle persone - in questa fascia di età - che hanno un lavoro o che lo cercano attivamente:[1]
- il saldo demografico tra quelli che raggiungono e quelli che lasciano l’età lavorativa, convenzionalmente compresa tra 15 e 64 anni;
- il numero di persone decedute in età lavorativa;
- il saldo migratorio, ossia la differenza tra la migrazione in entrata e in uscita;[2]
- la variazione della partecipazione al mercato del lavoro delle persone in età lavorativa, ossia le persone che da inattive iniziano a lavorare o a cercare attivamente un’occupazione (e viceversa).
Abbiamo così ricostruito il bilancio della forza lavoro – spiegandone le variazioni annuali tramite i fattori sopracitati – sia negli ultimi tre decenni sia nei prossimi vent’anni.
Il bilancio della forza lavoro negli ultimi tre decenni
La tavola 1 descrive il bilancio della forza lavoro (tra i 15 e i 64 anni) negli ultimi tre decenni.
La colonna A della tavola riporta, per ogni anno, l’effetto sulla forza lavoro del saldo demografico della popolazione in età lavorativa, ossia la differenza tra la popolazione che compie 65 anni (e che esce, potenzialmente, dal mondo del lavoro) e quella che compie 15 anni (entrando potenzialmente nel mondo del lavoro). I dati anagrafici sono però moltiplicati per il tasso di partecipazione al mercato del lavoro nello stesso anno, per tener conto che una parte delle persone in età lavorativa non partecipa al mercato del lavoro.[3]
L’andamento del saldo demografico è influenzato dal calo delle nascite che ha interessato l’Italia negli ultimi cinquant’anni. Le nascite sono calate dalle 900.000 unità di inizio anni Settanta a poco più di mezzo milione tra la fine degli anni Ottanta e l’ultimo decennio, sino alla prevista discesa sotto le 400.000 unità nel 2021. Di conseguenza, da metà anni Novanta in poi, il saldo demografico è divenuto negativo (Fig. 1). Ad esempio, nel 2005, 715.000 persone hanno raggiunto 65 anni, a fronte di 578.000 neo-quindicenni. Lo squilibrio è dovuto al fatto che 65 anni prima (nel 1940) erano nate 1 milione di persone, mentre 15 anni prima (nel 1990) ne erano nate solo 580.000. Il saldo demografico è rimasto negativo negli ultimi 25 anni, peggiorando nel tempo.
La colonna B riporta il dato effettivo dei decessi tra 15 e 64 anni. Tali decessi esercitano una pressione negativa sulla forza lavoro, ma questa si è ridotta nel tempo perché è aumentata la sopravvivenza all’interno di questa fascia di età (si è passati da 111.000 morti nel 1992 a 66.000 nel 2019). Anche il numero dei decessi è moltiplicato per il tasso di partecipazione alla forza lavoro.
La colonna C riporta l’effetto sulla forza lavoro del saldo migratorio. Tale effetto è calcolato moltiplicando il saldo migratorio per (i) la percentuale di migranti in età lavorativa e (ii) il tasso di partecipazione al mercato del lavoro dei migranti.[4]
Il saldo migratorio aumenta la forza lavoro, anche perché la maggior parte dei migranti stranieri è in età lavorativa e partecipa al mercato del lavoro mediamente di più rispetto alla popolazione residente. Il saldo è divenuto positivo negli anni Novanta, risultando particolarmente intenso nel primo decennio degli anni Duemila, ma ha conosciuto un netto calo nel secondo decennio (Fig. 2). Nei cinque anni prima della crisi finanziaria 2007-08 la media del saldo migratorio era di 313.000 unità, mentre nei cinque anni precedenti la crisi Covid la media è stata di 160.000 unità.
La colonna D riporta l’effetto sulla forza lavoro della variazione della partecipazione al mercato del lavoro, ossia le persone in età lavorativa che da inattive iniziano a lavorare o a cercare attivamente lavoro (e viceversa). Tale effetto è calcolato come la variazione del tasso di partecipazione (tra 15 e 64 anni) moltiplicato per la popolazione in età lavorativa dell’anno precedente.[5] Il tasso di partecipazione è passato dal 60 per cento degli anni Novanta al 66 per cento del 2019, per poi calare di circa un punto e mezzo percentuale con la crisi pandemica nel 2020.
L’ultima colonna riporta il residuo tra variazione della forza lavoro e le sue determinanti identificate. Il basso valore di questo residuo suggerisce la validità della ricostruzione del bilancio della forza lavoro contenuto nella tavola.
A parità di altre condizioni, il saldo demografico negativo della popolazione in età lavorativa, assieme ai decessi, ridurrebbero la forza lavoro. Tuttavia, negli ultimi tre decenni, tale dinamica negativa è stata più che compensata dal saldo migratorio positivo e dalla maggiore partecipazione al mercato del lavoro: la forza lavoro è cresciuta di 1,9 milioni di unità tra il 1993 e il 2019, per poi subire un brusco calo di 700.000 unità nel 2020, a causa della crisi Covid (Fig. 3).
L’aumento di 1,2 milioni di persone in forza lavoro è spiegato da: l’effetto negativo del saldo demografico (meno 1,7 milioni di persone), i decessi di persone in età lavorativa (meno 1,4 milioni), l’effetto positivo delle migrazioni (più 2,6 milioni) e la maggiore partecipazione al mercato del lavoro delle persone in età lavorativa (più 1,7 milioni, considerando il calo di 600.000 unità nel 2020).
Il bilancio demografico in futuro
Se negli ultimi tre decenni l’impatto del saldo demografico e dei decessi sulla forza lavoro è stato compensato dai saldi migratori e dalla partecipazione al mercato del lavoro, le prospettive future sembrano tuttavia più gravi.
Il saldo demografico delle persone in età lavorativa è destinato a diventare rapidamente più negativo (Fig. 1): da - 180.00 unità del 2020, passa a -300.000 unità nel 2026, restando stabilmente oltre -400.000 unità per tutti gli anni ‘30. Il saldo demografico inizia a crescere solo dal 2040 in poi, perché gli effetti del calo delle nascite degli anni Settanta iniziano a riflettersi anche sul numero di persone che compie 65 anni.
Il saldo migratorio dovrebbe assestarsi su valori inferiori rispetto a quelli osservati nel primo decennio degli anni 2000 (Fig. 2). Infatti, secondo lo scenario mediano dell’ISTAT, il saldo migratorio dovrebbe rimanere su una media di 130.000 unità per i prossimi trent’anni. Tuttavia, i flussi migratori sono fenomeni incerti e l’intervallo di previsione presentato dall’Istat va da uno scenario “alto”, con un saldo intorno alle 200.000 unità (simile alla media osservata nel primo ventennio di questo secolo) a uno “basso”, intorno a 50.000 unità
Abbiamo quindi stimato il bilancio della forza lavoro fino al 2040 sotto diversi scenari: [6]
- scenario mediano del saldo migratorio e tasso di partecipazione invariato (Tav. 2);
- scenario “alto” del saldo migratorio e tasso di partecipazione invariato (Tav. 3);
- scenario “alto” e aumento del tasso di partecipazione di 5 punti percentuali – un incremento simile a quello osservato negli ultimi tre decenni (Tav. 4);[7]
Nel primo scenario il saldo demografico, ampiamente negativo, traina il calo della forza lavoro, solo parzialmente compensato dal saldo migratorio: la forza lavoro perde più di 4 milioni di unità in vent’anni (con perdite concentrate maggiormente tra il 2026 e il 2040).
Nel secondo scenario, il migliore saldo migratorio contribuisce ad attenuare l’effetto negativo del saldo demografico: la forza lavoro diminuisce di 3,5 milioni (175.000 in media all’anno)
Nella terza previsione, oltre al saldo migratorio favorevole, l’aumento della partecipazione al mercato del lavoro attenua ulteriormente la perdita di forza lavoro, che comunque scende di 1,8 milioni (circa 90.000 unità in media annua).
Considerazioni finali
Un forte calo della forza lavoro riduce la disponibilità di lavoratori nei vari settori, anche per servizi essenziali (ad esempio, i medici).[8] I nostri scenari mostrano che per sostenere la forza lavoro nei prossimi vent’anni, a fronte di dinamiche demografiche sempre peggiori, sia necessario favorire l’immigrazione regolare, portandola a livelli superiori di quelli osservati nel primo ventennio di questo secolo, e un consistente aumento del tasso di partecipazione.
Per questo è necessaria un’attenta attività di programmazione dei flussi migratori. Non è soltanto un problema di numeri, ma anche di competenze. Da un lato, i migranti tipicamente trovano occupazione in lavori dove vi è carenza di offerta, ad esempio l’assistenza agli anziani e il settore agricolo (Boeri, 2018).[9] Dall’altro, nei prossimi anni il calo demografico potrebbe comportare anche una carenza di forza lavoro specializzata e professionale. In tal senso, affinché la popolazione migrante più giovante possa contribuire in futuro all’offerta di lavoro qualificato, bisognerebbe favorire l’integrazione e l’educazione degli stranieri (Marois et al., 2020).[10]
Dal lato della partecipazione al mercato del lavoro, vi è ad oggi un divario di quasi 20 punti percentuali tra il tasso di partecipazione maschile (73,5 per cento al 2020) e femminile (54,7 per cento). Raggiungere la parità di genere nella partecipazione al lavoro – oltre a ridurre un evidente diseguaglianza – si tradurrebbe in un aumento del tasso di partecipazione (di tutta la popolazione tra 15-64 anni) di quasi 10 punti percentuali. Un simile incremento nei prossimi vent’anni, insieme allo scenario “alto” sui flussi migratori, ridurrebbe quasi a zero la perdita di forza lavoro nei vent’anni
In un’ottica di più lungo periodo, anche un aumento della natalità sarebbe importante, ma avrebbe effetti solo dopo l’orizzonte temporale qui considerato, che è quello dove l’impatto del calo demografico degli ultimi decenni risulta più forte.
[1] Per semplicità questa nota si concentra sulla forza lavoro nella fascia di età indicata.
[2] Si tiene conto solo della migrazione regolare, poiché i dati a disposizione sul saldo migratorio si basano sulle iscrizioni/cancellazioni dall’anagrafe.
[3] Nella media del periodo il tasso di partecipazione al mercato del lavoro è stato del 62 per cento.
[4] Per semplicità si assume che il saldo sia composto interamente da stranieri. Sia per la percentuale di migranti (stranieri) in età lavorativa e per il tasso di partecipazione al lavoro della popolazione migrante si utilizzano le medie del periodo (rispettivamente l’82 e il 71 per cento).
[5] Il tasso di partecipazione al mercato del lavoro (o tasso di attività) è il rapporto tra la forza lavoro dei 15-64enni e la popolazione in età lavorativa.
[6] Si assumono costanti, a livello 2019: il tasso di partecipazione di entranti e uscenti dall’età lavorativa, la percentuale di decessi tra 15 e 64 anni rispetto al totale, la percentuale di migranti in età lavorativa e il loro tasso di partecipazione.
[7] L’aumento del tasso di partecipazione è spalmato equamente lungo gli anni di previsione.
[8] La carenza di lavoratori in determinati settori può essere anche amplificata da diversi fattori che peggiorano l’incrocio tra lavoro domandato e offerto (es. competenze dei lavoratori, indisponibilità a spostarsi geograficamente, indisponibilità a svolgere determinate mansioni, ecc.).
[9] Vedi: https://www.inps.it/news/costi-e-benefici-dellimmigrazione-lintervento-del-presidente-boeri
[10] Vedi: Marois, G., Bélanger, A., & Lutz, W. (2020). Population aging, migration, and productivity in Europe. Proceedings of the National Academy of Sciences, 117(14), 7690-7695