L’approvazione del disegno di legge sull’autonomia differenziata rappresenta un momento cruciale per le Regioni italiane, aprendo la possibilità di richiedere al governo maggiori competenze e risorse su ventitré materie diverse, inclusi istruzione, sanità e trasporti. Questo provvedimento mira a una gestione più vicina al territorio, ma solleva questioni sulle disuguaglianze tra Nord e Sud. Già ora le differenze regionali nei servizi sono evidenti, con il Nord che ottiene risultati migliori rispetto al Sud in quasi tutti gli indicatori considerati (LEA per sanità, posti-km per il trasporto pubblico locale, Invalsi per istruzione e posti asili nido). L’analisi dei servizi gestiti da diversi livelli di governo mostra inoltre una correlazione positiva tra reddito, capitale sociale e qualità dei servizi.
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L’approvazione del disegno di legge sull’autonomia differenziata rappresenta un momento cruciale per le Regioni italiane, perché apre loro la possibilità di richiedere al governo maggiori competenze e maggiori risorse su ventitré materie molto diverse fra di loro, che includono anche settori chiave come istruzione, sanità e trasporti, cioè servizi pubblici locali che influenzano la percezione dei cittadini in merito all’azione pubblica.
Nell’idea dei proponenti, il provvedimento sull’autonomia differenziata mira a garantire una gestione più vicina al territorio e teoricamente più efficiente, ma solleva importanti questioni riguardo alle disuguaglianze esistenti tra Nord e Sud del Paese. Numerosi contributi hanno infatti evidenziato il rischio che l’autonomia differenziata possa accentuare ulteriormente il divario tra le due aree del Paese.[1]
L’esistenza di diseguaglianze tra diverse aree del Paese emerge chiaramente anche dalle opinioni dei cittadini raccolte attraverso una indagine recente condotta dall’Istituto Demopolis per la “Fondazione con il Sud”.[2] Solo il 18% degli intervistati percepisce l’Italia come un Paese “unito” dal punto di vista sociale ed economico, mentre il 45% ritiene che il divario Nord-Sud si sia ampliato negli ultimi cinque anni. Il PNRR è percepito come un’occasione mancata, con meno di un quinto degli italiani che crede nell’efficacia della spesa. Nella medesima indagine, il 70% dei residenti nel Nord promuove i servizi pubblici locali, a differenza del Sud e delle Isole dove il 61% è insoddisfatto. Queste differenze nelle opinioni sulla qualità dei servizi si riflettono anche sui giudizi relativi all’autonomia. L’autonomia differenziata è infatti considerata "necessaria e urgente" da oltre il 50% degli italiani nelle regioni del Nord, ma solo dal 14% del Sud. Al Nord, il 66% vede positivamente l’autonomia, mentre l’81% del Sud la considera negativamente.
Quello che emerge implicitamente dalle opinioni dei cittadini è che una maggiore autonomia regionale possa apportare benefici al Nord e danni al Sud, mostrando come la tesi dell’efficienza si contrapponga a quella opposta della “secessione dei ricchi”. Ma quali evidenze emergono dai dati disponibili se prendiamo alcuni servizi “gestiti” da livelli di governo diversi? Qual è la direzione delle disuguaglianze?
Per scoprire se e come la governance (nazionale, regionale e locale) è correlata con le diseguaglianze tra le diverse aree del Paese, consideriamo alcuni servizi per i quali è sufficientemente identificabile il livello di governo coinvolto nella gestione. A livello nazionale, consideriamo quindi l’istruzione e analizziamo le competenze scolastiche degli studenti, misurate dai risultati dei test Invalsi. A livello regionale, l’analisi si concentra sulla sanità e le diseguaglianze verranno misurate sul punteggio ottenuto nei monitoraggi dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), un indicatore chiave per valutare la qualità e l’efficacia dei servizi sanitari offerti nelle diverse Regioni.[3] Infine, a livello locale, si prendono in considerazione il trasporto pubblico locale (TPL) e gli asili nido, misurando le differenze territoriali nella disponibilità di entrambi i servizi.
L’analisi, meramente descrittiva, è condotta a livello regionale: mostriamo la semplice correlazione tra una misura di reddito e l’indicatore utilizzato per valutare il singolo servizio. Poiché il reddito regionale potrebbe suggerire che la performance è influenzata dalla disponibilità di risorse aggiuntive a livello regionale (in particolare per i servizi con governance regionale o locale), si utilizza anche una misura di “capitale sociale” in alternativa al reddito (in particolare, l’indicatore di capitale sociale è la popolazione di età superiore ai 14 anni che ha praticato attività di volontariato nell’ultimo anno).
Governance e servizi
Le prove Invalsi sono prove oggettive standardizzate somministrate annualmente a tutti gli studenti italiani delle classi previste dalla normativa.[4] Sono lo strumento utilizzato per rilevare e misurare periodicamente il livello di apprendimento degli studenti italiani. Attualmente si prevede la somministrazione di prove per valutare le competenze in italiano, matematica e inglese con un punteggio massimo di 100 punti.
Come mostrano le Figg. 1 e 2, i risultati di sintesi degli Invalsi delle scuole primarie (classi II e V) e delle scuole secondarie di primo grado (classe III) e secondo grado (II e ultimo anno) relativi al 2023 a livello regionale variano significativamente. Sicilia, Calabria, Sardegna e Campania registrano punteggi gravemente insufficienti (sotto i 55 punti) mentre le cinque Regioni più virtuose che hanno totalizzato un punteggio superiore a 65 sono tutte del Centro-Nord. Inoltre, dalle due figure emerge una chiara correlazione positiva e significativa tra (a) il reddito pro-capite e il punteggio Invalsi e (b) tra il livello del capitale sociale e il punteggio Invalsi. Laddove il reddito e il capitale sociale sono più elevati si raggiungono punteggi Invalsi migliori. Naturalmente, sul punteggio Invalsi incidono tante variabili, per esempio il background famigliare degli studenti; ma ciò non toglie nulla alla correlazione positiva che si osserva nelle due figure per un servizio la cui gestione è largamente nelle mani dello Stato.
Nelle Figg. 3 e 4 vengono mostrati i punteggi LEA, ovvero i punteggi ottenuti dalle amministrazioni regionali nel monitoraggio dei Livelli Essenziali di Assistenza, che sono tutte le prestazioni e i servizi che il SSN è tenuto a fornire a tutti i cittadini. I dati si riferiscono al 2022 e vengono messi in relazione al reddito pro-capite e al capitale sociale.[5] Come per i punteggi Invalsi, a livello nazionale si nota una grande variabilità nei punteggi, che evidenziano Regioni con criticità rilevanti e altre con performance notevolmente positive. Per esempio, la Calabria risulta inadempiente con un punteggio complessivo inferiore ai 140, il più basso fra le Regioni sottoposte a verifica, mentre il Veneto e l’Emilia-Romagna risultano adempienti con un punteggio superiore ai 280 punti. Anche in questo caso emerge una netta spaccatura tra i punteggi LEA delle Regioni del Sud e i punteggi LEA delle Regioni del Centro-Nord.
L’analisi dei punteggi LEA, inoltre, mostra ancora una correlazione positiva con (a) il reddito pro capite e (b) il capitale sociale. Anche in questo caso, i punteggi LEA possono dipendere da tante variabili (per esempio, l’organizzazione del Servizio sanitario regionale oppure le politiche imposte da un eventuale Piano di Rientro), ma – di nuovo – ciò non toglie nulla alla correlazione tra le variabili, che ricalca quella già osservata in precedenza per i punteggi Invalsi.
Infine, a livello locale, le Regioni con i capoluoghi di Provincia che offrono un servizio più ampio sul fronte del trasporto pubblico locale (TPL) sono la Lombardia con quasi 12 mila posti offerti agli utenti nell’arco dell’anno per abitante, seguita dal Lazio con quasi 7 mila e dal Veneto con 5,4 mila (Figg. 5 e 6).[6] Le Regioni dove il servizio è più carente sono il Molise e la Valle d’Aosta con meno di 1.000 posti per abitante, seguite da Basilicata, Calabria e Sicilia (1.200, 1.600 e 1.700 posti per abitante all’anno). Anche per questo servizio, emerge una chiara correlazione positiva (a) sia con il reddito pro-capite, (b) sia con il capitale sociale.
Risultati del tutto analoghi al TPL (e agli altri servizi gestiti a livello statale e regionale) si osservano per gli asili nido. Le Figg. 7 e 8 mostra la disponibilità di posti negli asili nido delle Regioni italiane per i bambini di età compresa tra gli zero e i due anni.[7] Solo sei Regioni, tutte situate nel Centro-Nord del Paese, raggiungono il target europeo del 33% di copertura. Questo dato evidenzia l’ennesimo divario significativo rispetto al Sud, dove la copertura è nettamente inferiore e può raggiungere anche i 30 punti percentuali nel caso di Campania, Sicilia e Calabria se confrontati con l’Umbria. Questi risultati evidenziano una situazione particolarmente preoccupante per quanto riguarda l’accesso ai servizi per la prima infanzia soprattutto per quanto riguarda il Mezzogiorno.
Non solo i risultati delle prove Invalsi e dei LEA, e l’efficienza del TPL, sono correlati al reddito pro-capite e al capitale sociale, ma anche il livello di copertura dei posti negli asili nido mostra una chiara correlazione positiva con (a) il reddito pro-capite e (b) il capitale sociale a livello regionale. Le Regioni del Nord, generalmente più ricche e con un capitale sociale più sviluppato, sono infatti quelle che presentano un tasso di copertura dei posti asili nido più ampio rispetto alle Regioni del Sud, dove tali indicatori sono inferiori.
C’è un divario Nord-Sud a ogni livello di governance
In conclusione, il divario tra il Centro-Nord e il Sud del paese si ritrova a tutti i livelli di governance considerati: statale, regionale e locale. L’ordinamento scolastico e le disposizioni generali sull’istruzione sono materie di competenza statale e il divario nei risultati Invalsi testimonia la grande divergenza a livello di governance nazionale. Anche a livello regionale, i LEA certificano le difficoltà della maggior parte delle Regioni del Mezzogiorno. Infine, anche in ambito di competenze locali, come i servizi degli asili-nido e del trasporto pubblico locale, le Regioni del Sud incontrano notevoli difficoltà nel raggiungere i livelli di servizio delle Regioni del Centro-Nord.
Non sorprendentemente, questi divari possono contribuire a spiegare il contesto attuale, caratterizzato da elevati livelli di spopolamento, elevati tassi di migrazione e crescente impoverimento delle Regioni meridionali, tutti fattori che possono aggravare ulteriormente le disparità economiche e sociali già presenti nel nostro Paese. Suggeriscono però anche che incolpare la governance regionale delle diseguaglianze che si osservano nei servizi sanitari è un po’ come guardare il dito invece che la luna.
[1] Per la ricostruzione del dibattito, si vedano le nostre precedenti note: “Autonomia differenziata, il rischio dello Stato arlecchino”, 19 giugno 2024; “Cosa prevede davvero la legge sull’autonomia differenziata e perché è tanto controversa”, 13 luglio 2024.
[2] Per maggiori informazioni si veda il seguente link. L’indagine è stata condotta dal 3 al 12 maggio 2024 dall’Istituto Demopolis per “Fondazione Con il Sud” su un campione di 4.002 intervistati, statisticamente rappresentativo dell’universo della popolazione italiana maggiorenne, stratificato per quote sulla base del genere, dell’età e della macro-area geografica di residenza.
[3] Per maggiori informazioni si veda la nostra precedente nota: “Cosa insegna l’esperienza dei LEA per l’autonomia differenziata”, 31 marzo 2023.
[5] Per la realizzazione del grafico, i punteggi LEA 2022 sono stati ottenuti come somma dei punteggi delle tre Aree che concorrono alla determinazione del punteggio totale (Preventiva, Distrettuale e Ospedaliera), fornite dal Nuovo Sistema di Monitoraggio.
[6] I dati si riferiscono agli ultimi dati disponibili (2019 per Posti-km e 2018 per capitale sociale).
[7] Il riferimento è agli ultimi dati disponibili (relativi al 2021 per copertura degli asili nido e al 2018 per capitale sociale).