Welfare
La spesa pubblica per la famiglia
Il numero medio di figli per donna nei paesi dell’Europa occidentale è diminuito da 2,8 nel 1960 a 1,6 negli anni Novanta. Negli ultimi trent’anni, la situazione è rimasta stabile.
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19 febbraio 2022
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Come è cambiata la distribuzione del reddito negli ultimi decenni in Italia? Abbiamo confrontato le principali analisi disponibili. A livello generale, le disuguaglianze di reddito sono cresciute dopo la crisi valutaria di inizio anni ’90, per poi stabilizzarsi prima della crisi finanziaria del 2008-09 e della crisi del debito sovrano del 2011-13. Durante queste due crisi, la disuguaglianza nella distribuzione del reddito è aumentata, ma non in modo marcato. Tuttavia, l’aumento sarebbe stato più forte senza l’azione redistributiva realizzata attraverso tasse e trasferimenti pubblici. Inoltre, durante le due crisi, l’andamento è stato diverso per la popolazione lavorativa e non lavorativa: la distribuzione del reddito è diventata più diseguale per la popolazione lavorativa, mentre è rimasta stabile per le persone con più di 65 anni. Anche in questo caso, l’intervento dello Stato è risultato decisivo: il grado di redistribuzione è stato infatti più intenso per gli anziani rispetto alla popolazione lavorativa. Ci sono pochi risultati relativi al periodo Covid. Tuttavia, prime indicazioni suggeriscono che l’intervento pubblico abbia contenuto gran parte dell’aumento delle disuguaglianze nella distribuzione del reddito, almeno nella prima parte della crisi.
La nota è stata ripresa da Repubblica in questo articolo del 19 febbraio 2022.
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Per rispondere alla domanda nel titolo di questa nota, abbiamo confrontato i risultati delle analisi svolte da tre principali istituzioni che stimano la distribuzione del reddito in Italia (Banca d’Italia, OCSE e World Inequality Lab), concentrandoci sulla classica misura della distribuzione del reddito, l’indice di Gini, pari a 0 quando il reddito complessivo è distribuito in modo uguale tra le unità della popolazione e a 1 quando è concentrato in una singola unità (o da 0 a 100, come nel seguito, se espresso come punti percentuali, o p.p.).
La Banca d’Italia ha condotto da molti anni analisi della distribuzione del reddito basate principalmente sull’Indagine sui bilanci delle famiglie italiane (IBF). L’indagine è biennale e i risultati sono disponibili in media con due anni di ritardo: purtroppo, per una serie di motivi in parte legati all’epidemia Covid, l’ultimo aggiornamento (pubblicato nel 2018) si riferisce al 2016.
I risultati sotto riportati guardano alla distribuzione del reddito complessivo (da lavoro dipendente, da lavoro autonomo, da capitale) e al netto delle tasse pagate al settore pubblico e dei trasferimenti da questo ricevuto (es. pensioni e assistenza sociale).[1]
Secondo questa fonte, negli ultimi trent’anni, la disuguaglianza nella distribuzione del reddito è aumentata soprattutto all’inizio degli anni ’90. L’indice di Gini, pubblicato in un lavoro di alcuni economisti della Banca d’Italia (Brandolini, Gambacorta e Rosolia, 2018), è aumentato di 4,7 p. p. tra il 1991 e il 1995 (Fig. 1). Secondo questo lavoro, la causa dell’aumento è la crisi valutaria di inizio anni ’90. In quel periodo, il reddito medio (sempre al netto di tasse e trasferimenti) scese del 5 per cento; tuttavia, le famiglie che occupavano il 20 per cento più alto della distribuzione non subirono perdite, mentre il reddito al primo quartile scese dell’11 per cento. È da notare però che, con l’aumento della disuguaglianza nella distribuzione del reddito verificatasi all’inizio degli anni ‘90 si sarebbe invertito parzialmente un trend in corso dalla fine degli anni ’60 verso una riduzione delle disuguaglianze. Agli inizi degli anni ’90, l’indice di Gini sarebbe tornato ai livelli di fine anni ’70.[2]
Dopo il picco raggiunto nel 1998, tra il 2000 e il 2016 l’indice ha oscillato intorno a valori abbastanza stabili, anche se con la crisi finanziaria e la crisi del debito sovrano, la disuguaglianza è aumentata leggermente. Tra il 2006 e il 2014, l’indice è infatti aumentato dello 0,8 (Fig. 1). In questo periodo, il forte aumento della povertà (Fig. 2) è dovuto, più che a spostamenti nella distribuzione del reddito, al calo del reddito medio. Nel 2016 l’indice è aumentato di 0,6 p.p., non raggiungendo tuttavia il picco del 1998.
L’analisi nella distribuzione del reddito è però più complessa di quanto sopra indicato. La stessa Banca d’Italia nella Relazione sul 2018, indicava un aumento significativo delle disuguaglianze dopo il 2008. Come mai? Questo risultato veniva ottenuto focalizzandosi solo sulla popolazione in età lavorativa (escludendo dunque i pensionati) e sul reddito da lavoro (escludendo i redditi da capitale e i trasferimenti). Tale misura del reddito è al netto delle tasse ma non dei trasferimenti ed è tratta dalla Rilevazione delle forze di lavoro di Istat (secondo la metodologia di Carta, 2019). Con questa base dati, l’indice di Gini aumenta di 3 punti percentuali, principalmente perché cresce la quota di individui appartenenti a nuclei senza reddito da lavoro.[3] Lo stesso risultato si ottiene utilizzando, limitatamente ai redditi da lavoro, i dati dall’Indagine sui bilanci delle famiglie (Fig. 3, linea rossa).
Il differente andamento dell’indice di Gini calcolato sulla distribuzione da reddito da lavoro rispetto ai redditi complessivi (tralasciando la discrepanza dovuta all’esclusione dei trasferimenti verso i lavoratori) suggerisce che l’aumento delle disuguaglianze nei redditi da lavoro sia stato in parte compensato da una maggiore uguaglianza nei redditi da altre fonti, probabilmente quelli da pensione, visti i provvedimenti presi in quel periodo (riduzione dell’indicizzazione per le pensioni alte e la “quattordicesima” introdotta per le pensioni basse).[4] In ogni caso, dal 2014 al 2018, l’indice di Gini calcolato per i redditi da lavoro diminuisce invece di 1,4 p.p., perché cala la quota di famiglie senza occupati (dall’11,2 per cento al 10 per cento) (Fig. 3).
Le stime dell’OCSE (che ugualmente si riferiscono al reddito al netto di tasse e trasferimenti; vedi nota metodologica in Appendice) confermano che dal 2007 al 2018 le variazioni nella distribuzione del reddito complessivo sarebbero state limitate. Queste stime si basano, a partire dal 2006, sull’indagine sui Redditi e le condizioni di vita delle famiglie (European Union Statistics on income and living conditions; EU-SILC), condotta da Eurostat-Istat, una base dati più ampia di quella utilizzata nell’IBF.[5] In questa base dati, l’indice di Gini aumenta nel 2009, riportandosi sui valori del 2004 e rimanendo poi su questi livelli fino al 2018 (Fig. 4).
L’analisi di OCSE conferma, inoltre, che la disuguaglianza nella distribuzione del reddito sarebbe aumentata soprattutto per i redditi dei non pensionati rispetto a quella dei pensionati (Fig.5), ma le differenze negli andamenti non sarebbero comunque enormi.
I dati OCSE consentono anche di misurare la capacità redistributiva dello Stato attraverso l’indice Reynolds-Smolensky (d’ora in poi indice di redistribuzione), dato dalla differenza tra l’indice di Gini calcolato sul reddito lordo (da lavoro e capitale) e quello sul reddito al netto di tasse e trasferimenti.
L’indice di redistribuzione è aumentato di circa 2 p.p. tra il 2006-07 e il 2014 (Fig. 6). L’interpretazione è che con le due crisi del 2008-09 e del 2011-12 la distribuzione del reddito prima dell’azione dello Stato sia aumentata, ma che tasse e trasferimenti abbiano impedito un sostanziale aumento della concentrazione dei redditi. L’intervento dello Stato sarebbe stato particolarmente efficace per i pensionati: l’indice di distribuzione aumenta soprattutto per i pensionati mentre rimane stabile per la popolazione in età lavorativa (vedi grafici in Appendice).
Il World Inequality Lab raggiunge risultati però in parte diversi da quelli raggiunti da Banca d’Italia e OCSE. [6] Secondo questa fonte, l’indice di Gini sul reddito dopo le tasse e i trasferimenti sarebbe aumentato tendenzialmente dalla metà degli anni ’80, tranne che tra il 1999 e il 2007, quando si sarebbe sostanzialmente stabilizzato (Fig. 7). Nel 2018-19 la disuguaglianza sarebbe ai massimi negli ultimi quarant’anni.
Questo indicatore presenta, in linea di principio, un vantaggio rispetto a quelli della Banca d’Italia/OCSE, considerando anche gli effetti redistributivi (o meno) delle imposte indirette sui consumi e di tutta la spesa pubblica (oltre le pensioni e i trasferimenti) e valutando, nel calcolare la distribuzione del reddito, anche quello percepito dalle imprese, compresa la parte non distribuita attraverso gli utili. Inoltre, cerca di correggere i dati tratti dai bilanci delle famiglie per possibili effetti legati alle unità che non dichiarano correttamente il loro reddito nelle indagini (c.d. errori di non campionamento).[7]
Questo maggiore grado di copertura comporta però alcune ipotesi forti:
Per tali ragioni, ai fini dell’analisi di questa nota, tendiamo a considerare più affidabili le indicazioni provenienti dalle analisi di Banca d’Italia e OCSE, rispetto a quelle di WIL.
Un indicatore alternativo all’indice di Gini è la quota di reddito (dopo le tasse e i trasferimenti) detenuta dalle varie frazioni della distribuzione. Le sopracitate fonti (Banca d’Italia e OCSE) non riportano la distribuzione del reddito per diverse fasce o le riportano solo per periodi relativamente brevi.
Tuttavia, la World Bank, che comunque utilizza dati coerenti con le fonti nazionali, riporta informazioni in proposito: secondo la World Bank, la quota del 10 per cento delle famiglie a reddito più elevato avrebbe oscillato tra il 25 e il 27 per cento dal 1995 al 2017, scendendo fin al 2007 e risalendo successivamente (Fig. 8).[8] Tuttavia, secondo Brandolini, la quota sarebbe cresciuta in maniera sostanziale tra gli anni ’80-’90. [9]
L’evidenza empirica degli effetti della crisi pandemica sulla distribuzione del reddito è limitata a causa dei ritardi temporali con cui sono disponibili i dati delle indagini. Tuttavia, alcuni studi offrono dei primi risultati.
Due ricercatrici della Banca d’Italia, Carta e De Philippis (2021), hanno effettuato delle simulazioni concentrandosi sul reddito da lavoro dopo le tasse e i trasferimenti (escludendo i pensionati), stimato sulla base della Rilevazione sulla forza lavoro di Istat. I risultati mostrano che, considerando gli strumenti esistenti prima della pandemia (Cassa Integrazione e Naspi, ma non il Reddito di Cittadinanza) e alcuni interventi di contrasto alla pandemia (divieto di licenziamento per i lavoratori dipendenti, estensione degli strumenti di integrazione salariale, sussidi a lavoratori autonomi e stagionali), l’indice di Gini è rimasto sostanzialmente stabile. In assenza di questi interventi straordinari l’indice di Gini sul reddito netto sarebbe invece cresciuto di 4 p.p nel primo semestre 2020, un aumento superiore rispetto a quello avvenuto durante la crisi finanziaria e del debito sovrano. Tale incremento sarebbe stato attribuibile per il 75 per cento all’aumento dei nuclei familiari senza reddito da lavoro e per il 25 per cento alla riduzione parziale dei salari delle famiglie con componenti occupati.
Per l’intero 2020, una micro-simulazione dell’Istat (2021) stima che l’intervento pubblico ha ridotto l’indice di Gini di 14 p.p: dal 44 per cento calcolato sul reddito lordo al 30 per cento sul reddito post-tasse e trasferimenti. In particolare, il Reddito di Cittadinanza e la Cassa Integrazione hanno ridotto l’indice di 1,2 punti percentuali. Le misure straordinarie, come il Reddito di Emergenza (REM) e i sussidi erogati ai lavoratori autonomi, hanno ridotto l’indice rispettivamente dello 0,1 e 0,3 per cento.
D’altra parte, alcuni fattori legati alla pandemia potrebbero ampliare le disparità nei redditi da lavoro, secondo la raccolta di letteratura condotta da Stantcheva (2022). Tra questi, il vantaggio economico potenzialmente associato al lavoro da remoto è distribuito iniquamente, poiché i lavoratori con redditi più bassi hanno minori possibilità di lavorare da casa. Bonacini et al. (2021) trovano una relazione positiva in Italia tra la possibilità di lavorare da remoto e l’appartenenza ai decili più alti della distribuzione dei redditi (ad esempio, per lavoratori con un’educazione elevata, impiegati in settori come finanza, assicurazioni e i servizi IT).
Alvaredo, F., Atkinson, A., Blanchet, T., Chancel, L., Estevez Bauluz, L., Fisher-Post, M., Flores, I., Garbinti, B., Goupille-Lebret, J., Martínez-Tol C. (2021). "Distributional National Accounts Guidelines Methods and Concepts Used in the World Inequality Database", PSE Working Papers.
Brandolini, A. (2013), ‘’Istruzione, disuguaglianza e mobilità sociale: alcuni fatti e poche riflessioni’’, Investire nei giovani: se non ora, quando?, XV Indagine AlmaLaurea sulla condizione occupazionale dei laureati, Università Ca’ Foscari.
Banca d’Italia. (2019). Relazione annuale sul 2018.
Blanchet, T., Chancel, L., & Gethin, A. (2020). "Why Is Europe More Equal Than the United States?," Working Papers.
Bonacini, L., Gallo, G., & Scicchitano, S. (2021). “Working from home and income inequality: risks of a ‘new normal’ with COVID-19”. Journal of population economics, 34(1), 303-360.
Brandolini, A., Gambacorta, R., & Rosolia, A. (2018). “Inequality amid income stagnation: Italy over the last quarter of a century”. Bank of Italy Occasional Paper, (442).
Carta, F. (2019). “Timely indicators for labour income inequality”. Bank of Italy Occasional Paper, (503).
Carta, F., & De Philippis, M. (2021). “The impact of the COVID-19 shock on labour income inequality: Evidence from Italy.” Bank of Italy Occasional Paper, (606).
Istat. (2021). La distribuzione del reddito in Italia.
Stantcheva, S. (2022). “Inequalities in the Times of a Pandemic” (No. w29657). National Bureau of Economic Research.
Appendice II: Redistribuzione per fasce d'età (OCSE)
Le due figure mostrano l’indice di redistribuzione, calcolato sui dati OCSE, tra popolazione in età da lavoro e popolazione con più di 65 anni tra il 2006 e il 2018.
[1] Banca d’Italia, come OCSE (citato in seguito), considerano il reddito familiare equivalente, ossia il reddito familiare moltiplicato per la scala di equivalenza OCSE (1 per il primo membro della famiglia, + 0,7 per ogni membro adulto oltre il primo, + 0,5 per ogni bambino). WIL (pure citato in seguito) invece considera il reddito dei singoli individui, dividendo equamente per le coppie i redditi familiari.
[2] Vedi: https://www.almalaurea.it/sites/almalaurea.it/files/convegni/venezia2013/materiale-presentato/presentazione_brandolini.pdf. Si noti che fino al 1987, i dati delle Indagini di Banca d’Italia non comprendevano i redditi da capitale finanziario.
[3] Il vantaggio di utilizzare la Rilevazione delle forze di lavoro di Istat è di avere dati con maggiore frequenza (annuale) e minor ritardo (sei mesi circa), anche se solo relativi al reddito da lavoro.
[4] Per la quattordicesima sulle pensioni vedi: https://www.inps.it/prestazioni-servizi/quattordicesima. Per la riduzione dell’indicizzazione vedi: https://www.inps.it/docallegatiNP/Mig/AllegatiNews/Brochure_perequazione.pdf
[5] Negli anni precedenti al 2006 l’OCSE utilizza l’indagine IBF e il modello di micro-simulazione MASTRICT dell’Istat. il campione di EU-SILC per l’Italia è più ampio di quello di IBF (40.000 famiglie, contro 8.000 famiglie).
[6] I dati si basano sulle linee guide aggiornate di Alvaredo et al. (2021). Per la distribuzione del reddito nei paesi europei la metodologia aggiornata è sviluppata da Blanchet, Chancel e Ghetin (2020).
[7] I bilanci delle famiglie utilizzati sono quelli dell’indagine EU-SILC che vengono però integrati con informazioni di altri studi e indagini (per l’Italia con l’IBF di Banca d’Italia e l’indagine sui bilanci delle famiglie di Istat) attraverso tecniche di apprendimento automatico.
[8] Le analisi della World Bank sono condotte sulle indagini delle istituzioni statistiche nazionali e sul Luxembourg Income Study (LIS).