Il disegno di legge “Interventi per la concretezza delle azioni delle pubbliche amministrazioni e la prevenzione dell’assenteismo”
di Luca Gerotto
28 maggio 2019
L’idea di fondo che ispira il disegno di legge (ddl) - ora in discussione al Senato dopo l’approvazione alla Camera - non è di fare l’ennesima grande riforma della pubblica amministrazione (PA), che rischia di rimanere sulla carta, ma di fare poche cose concrete per migliorarne il funzionamento. L’approccio in sé è interessante, ma le poche cose concrete di cui si occupa hanno in effetti una portata ridotta. A parte un giusto contrasto ai cosiddetti “furbetti del cartellino”, il ddl prevede la creazione di un Nucleo per la Concretezza composto da 53 persone che dovrebbe monitorare la realizzazione di un Piano per la concretezza, che verrebbe stilato dal Dipartimento della Funzione Pubblica. Il ddl infine conferma il turnover dei dipendenti pubblici al 100 per cento previsto a legislazione vigente in alcuni settori, legando così la percentuale di turnover alla spesa per dipendenti che vanno in pensione, piuttosto che al numero dei dipendenti, il che comporta il rischio di un aumento tendenziale, e senza una specifica decisione politica, del numero dei dipendenti della PA.
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L’assenteismo nelle pubbliche amministrazioni
L’assenteismo nella PA è uno dei fattori che influenza la performance del settore pubblico.1 Certo, non è un fenomeno solo italiano.[2] E neppure si deve generalizzare: oltre il 60 per cento dei lavoratori pubblici italiani non ha fatto nemmeno un giorno di assenza nel corso dell’anno.[3] Ma resta un fenomeno grave: il numero medio di giorni di assenza per malattia nel pubblico è circa doppio che nel privato (dieci a sei).[4] Una maggiore assenza dal lavoro rispetto al settore privato potrebbe essere fisiologica: il personale della PA ha una diversa composizione sociodemografica rispetto al settore privato, con una maggior presenza di donne ed una più alta età media, caratteristiche che portano ad assentarsi più spesso degli altri.[5] Ma vi è probabilmente anche un problema di incentivi: un basso rischio di perdere il posto di lavoro incentiva comportamenti opportunistici.[6]
Quanti sono i “furbetti del cartellino”? Non esistono dati affidabili, ma per farci un’idea del rilievo dell’assenteismo in generale possiamo guardare ad un’altra forma di assenteismo, ossia l’abuso delle assenze per malattia. Secondo il già citato studio di Vincenzo Scoppa, un lavoratore della PA fa in media 2,27 giorni di assenza in più all’anno rispetto a uno simile (per sesso, età, etc) di una piccola azienda; questo valore sale a 2,77 esclusi i docenti. Moltiplicando questi 2,77 giorni di assenza per 1,7 milioni di lavoratori, parliamo di 4,7 milioni di giorni di assenza “in eccesso”. Dato che si lavora circa 270 giorni l’anno, 4,7 milioni di giorni di assenza corrispondono ad un anno di lavoro di circa 17.500 dipendenti pubblici. E visto che il costo del lavoro è superiore a 45mila euro annui per lavoratore nella PA, queste assenze “in eccesso” portano lo Stato a pagare poco meno di 800 milioni senza che questi si tramutino effettivamente in lavoro.[7] A questi 800 milioni per le assenze “di troppo” per malattia vanno sommati i costi per altre forme di assenteismo come, per l’appunto, la falsa presenza. Quest’ultima forma sarà verosimilmente più contenuta, dato che attestare falsamente la presenza è più rischioso di darsi malati.
Il ddl concretezza prevede lo stanziamento una tantum di 35 milioni per acquistare e installare apparecchi di verifica biometrica e videosorveglianza degli accessi negli uffici pubblici interessati.[8] La cifra è contenuta e sarebbe più che giustificata se il provvedimento fosse percepito come un chiaro segnale nella lotta all’assenteismo.[9] Qual è il rovescio della medaglia? In primis, l’idea di controllare rigidamente gli accessi è agli antipodi rispetto al sempre più diffuso concetto di lavoro agile, il cosiddetto smart-working.[10] Inoltre, non è detto che alle minori assenze corrisponda una maggiore quantità di lavoro effettivo. Le altre norme del ddl cercano in qualche modo di affrontare questo problema, ma in modo piuttosto indiretto.
Il Nucleo per la concretezza
Il ddl prevede la costituzione di un “nucleo per la concretezza” composto da 53 persone – di cui 30 da assumere attraverso concorso pubblico - con lo scopo di verificare l’applicazione delle misure “concrete” (stilate dal Dipartimento per la funzione pubblica in un apposito piano triennale) volte al miglioramento dell’efficienza della PA. Se è vero che è indispensabile intervenire sull’efficienza della PA e che il costo del nucleo avrebbe un impatto quasi nullo sulle finanze pubbliche (4 milioni annui) d’altro canto la misura lascia spazio a diverse problematiche che potrebbero minarne l’efficacia. Primo: non è chiaro se un nucleo composto da sole 53 persone possa avere un impatto significativo su una pubblica amministrazione che, come abbiamo visto, conta oltre tre milioni di lavoratori. Secondo: dal testo del ddl non è chiaro se il piano triennale delle “azioni concrete” sia lo stesso per tutte le amministrazioni centrali, che potrebbero avere esigenze diverse e necessitare quindi di “ricette” differenti.[11] Terzo: quasi metà dei componenti del Nucleo proverranno dalla stessa pubblica amministrazione che, per l’appunto, mediamente non brilla per concretezza ed efficienza. Il Ministro per la Funzione Pubblica, in una sua recente intervista a Il Messaggero, ha parlato della riforma della dirigenza e dell’intenzione di coinvolgere “soggetti esterni [che] aiuteranno la dirigenza a fissare gli obiettivi e che poi faranno le valutazioni” specificando che questi soggetti esterni sarebbero “società specializzate, come già accade nel privato”.[12] Forse l’efficientamento e l’applicazione di azioni concrete nella PA è proprio il campo in cui sarebbe utile appoggiarsi a professionisti esterni.
Le regole sul turnover dei dipendenti della PA
Al fine di svecchiare la PA, il ddl prevede che dal 2019 le amministrazioni dello Stato (anche ad ordinamento autonomo), le agenzie e gli enti pubblici nazionali non economici (escluse però Forze di Polizia, Vigili del Fuoco, scuole ed università) possano procedere “ad assunzioni di personale a tempo indeterminato nel limite di un contingente di personale complessivamente corrispondente ad una spesa pari al 100 per cento di quella relativa al personale di ruolo cessato nell'anno precedente”, confermando una misura già indicata dal d.l. 90/2014 ed applicata, con percentuali minori, già negli scorsi anni.[13]
La norma avrà scarsa attuazione per il 2019, in quanto l’ultima Legge di Bilancio ha bloccato comunque le assunzioni a tempo indeterminato nella Pubblica Amministrazione fino al 15 Novembre, ma in linea di principio sblocca il turnover nella PA. Però, se da un lato la regola facilita l’aggiornamento delle competenze,[14] dall’altro si basa non sulle necessità future ma sulla allocazione storica della spesa nelle diverse parti della PA. Sarebbe più efficiente usare queste risorse per indirizzare le nuove assunzioni laddove è maggiormente necessario. Inoltre, come era stato rilevato già nel 2014, un meccanismo di turnover che si basa solo sulla spesa e non anche sul numero di dipendenti “prefigura senz'altro un elemento di "indebolimento" nel meccanismo, nel medio-lungo periodo, dei fattori che incidono sulla spesa per redditi di lavoro dipendente sostenuta dalle Amministrazioni”[15]. In altre parole, in assenza di un’attenta valutazione degli oneri che scaturirebbero negli anni a venire dalle scelte di assunzione odierne, la regola può comportare un aumento tendenziale del numero dei dipendenti pubblici e della relativa spesa, a meno di non accompagnare al provvedimento misure che rallentino la crescita dello stipendio pro-capite.
Altre principali misure del ddl [16]
- Snellimento e velocizzazione delle procedure per i concorsi pubblici: attraverso delle norme transitorie per il 2019-2021, le assunzioni citate al punto precedente sarebbero effettuate con modalità semplificate e derogando ad alcune procedure. Nello specifico, l’80 per cento dei posti verrebbe coperto con scorrimento delle graduatorie esistenti o, in subordine, attraverso concorsi con modalità semplificate: verrebbero istituite sottocommissioni anche per le prove scritte e verrebbero attuate altre semplificazioni, quali l’effettuazione di prove preselettive, il possibile utilizzo di domande a risposta multipla anziché aperte, l’accorpamento di più prove scritte in una unica, la valutazione dei titoli da effettuarsi solo dopo l'orale. Inoltre, è previsto lo sviluppo di un portale del reclutamento che dovrebbe consentire, fra le altre cose, la gestione automatizzata delle varie procedure e la creazione di un fascicolo elettronico per ciascun candidato. La maggiore velocità che scaturirebbe dall’applicazione di queste norme potrebbe realizzarsi anche al costo dell’effettuazione di alcune nuove assunzioni non indispensabili: potrebbero infatti essere effettuate nuove assunzioni mediante concorso senza assicurarsi che non vi siano altri dipendenti pubblici che, trasferendosi per scelta, sarebbero in grado di coprire il posto vacante, e si riduce da 60 a 45 giorni l’intervallo nel quale l’amministrazione pubblica deve attendere una eventuale assegnazione di personale in “esubero” (cd. Mobilità collettiva) da altre amministrazioni, prima di poter avviare le procedure per il concorso. Sono, come detto, disposizioni transitorie, ma in un’ottica di più lungo termine sarebbe però preferibile rendere queste procedure di mobilità più veloci, piuttosto che derogare ad esse nell’interesse della velocità.
- Mobilità: accorciamento della durata della collocazione in disponibilità dei lavoratori sottoposti a mobilità collettiva. In particolare, il rapporto di lavoro viene risolto anche prima del termine dei 24 mesi previsti qualora il dipendente in disponibilità rinunci per due volte ad un’assegnazione nell’ambito della provincia da lui indicata. Questa norma dovrebbe costituire un incentivo per il lavoratore ad accettare un lavoro che gli viene offerto.
- Commissari: per sveltire le procedure per la formazione delle commissioni, il ddl prevede di istituire un Albo nazionale dei componenti delle commissioni esaminatrici di concorso, cui attingere per la formazione delle commissioni, e di consentire a personale in pensione da non più di 4 anni di far parte delle commissioni. Inoltre, si prevede di aggiornare i compensi per i commissari.
- Passaggio pubblico-privato: infine, il ddl si propone di agevolare il passaggio del lavoratore dal pubblico al privato e viceversa, attraverso un uso più lungo e più diffuso del collocamento in aspettativa.
[1] Si veda, per esempio, Daniela Cristofoli , Alex Turrini & Giovanni Valotti (2011) Coming Back Soon: Assessing the Determinants of Absenteeism in the Public Sector, Journal of Comparative Policy Analysis, 13:1, 75-89, DOI: 10.1080/13876988.2011.538542.
[2] In diversi paesi l’assenza dal lavoro è più comune fra i lavoratori pubblici che fra quelli privati. Si vedano: per il Canada, Statistics Canada, 2009, Work absence rates 2008, http://www.statcan.gc.ca/pub/71-211-x/71-211-x2009000-eng.pdf; per la Germania, Andrea Ichino & Regina T. Riphahn (2004) Absenteeism and Employment Protection: Three Case Studies; e per il Regno Unito, Cristofoli et al. (2011).
[3] Vincenzo Scoppa (2010) Worker Absenteeism and Incentives: Evidence from Italy. Managerial and Decision Economics 31: 503–515 (2010). Lo studio fa riferimento a dati di oltre 10 anni fa; tuttavia, confrontando le assenze medie nella pubblica amministrazione riportate nel Conto Annuale 2017 della Ragioneria dello Stato con quelle del Conto Annuale 2010 non si rinvengono grosse differenze.
[4] https://www.lavoce.info/archives/32235/quanto-ci-si-ammala-nel-pubblico-impiego/
[5] Per approfondimenti sull’impatto delle caratteristiche individuali sulle assenze dal lavoro, vedere Andrea Ichino & Enrico Moretti (2009) Biological Gender Differences, Absenteeism, and the Earnings Gap. American Economic Journal: Applied Economics, 1:1, 183–218, e Flavia Coda Moscarola, Elsa Fornero & Steinar Strøm (2016) Absenteeism, childcare and the effectiveness of pension reforms, IZA Journal of European Labor Studies, 5:1 sull’assenteismo delle nonne che devono prestare cure ai nipoti.
[6] Si vedano, per esempio, il sopracitato studio di Andrea Ichino e Regina T. Riphahn del 2004 e quello del 2005 (The Effect of Employment Protection on Worker Effort: Absenteeism During and After Probation, Journal of the European Economic Association March 2005 3(1):120–143) sull’assenteismo fra i lavoratori pubblici (in Germania) e privati (in una grande banca italiana).
[7] La stima del costo del lavoro è contenuta nel Conto Annuale 2017 della Ragioneria dello Stato (si sono considerate solo le categorie interessate dal provvedimento). Il dato di circa 270 giorni è ottenuto considerando 6 giorni di lavoro a settimana e sottraendo 4 settimane di ferie e 12 festività. Considerando invece 5 giorni di lavoro a settimana, le giornate di lavoro sarebbero circa 220, ergo 4,7 milioni di giorni di assenza corrisponderebbero ad un anno di lavoro di circa 21500 dipendenti pubblici, e il costo dell’assenteismo sarebbe quindi di oltre 950 milioni.
[8] La Verifica delle quantificazioni del 3/4/19 redatta dal Servizio Bilancio della Camera nota che le relazioni allegate al ddl non contengono alcuna verifica dettagliata delle cifre su acquisto e installazione dei sopracitati apparecchi .
[9] Naturalmente una diminuzione dell’assenteismo non porterebbe, almeno nel breve termine, ad una corrispondente riduzione della spesa pubblica, a meno di ridurre le assunzioni pubbliche.
[10] Secondo l’Osservatorio sullo Smart Working del Politecnico di Milano, “si può stimare l’incremento di produttività per un lavoratore derivante dall’adozione di un modello “maturo” di Smart Working nell’ordine del 15%”. I lavoratori pubblici che attualmente hanno contratti che prevedono lavoro agile sono naturalmente esclusi dal provvedimento.
[11] È invece esplicito che regioni, enti strumentali regionali, enti del Servizio sanitario regionale ed enti locali avranno un piano diverso; ma anche qui, non è chiaro il livello di dettaglio.
[12] https://www.ilmessaggero.it/pay/edicola/statali_bongiorno_migrazioni_dipendenti_pubblici_oggi_ultime_notizie-4489113.html
[13] La pratica di legare la percentuale di turnover alla spesa per dipendenti che vanno in pensione, e non anche al numero dei dipendenti, era stata introdotta dal governo Renzi col d.l. 90/2014, che prevedeva che “Le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, le agenzie e gli enti pubblici non economici […] possono procedere, per l'anno 2014, ad assunzioni di personale a tempo indeterminato nel limite di un contingente di personale complessivamente corrispondente ad una spesa pari al 20 per cento di quella relativa al personale di ruolo cessato nell'anno precedente. La predetta facoltà ad assumere è fissata nella misura del 40 per cento per l'anno 2015, del 60 per cento per l'anno 2016, dell'80 per cento per l'anno 2017, del 100 per cento a decorrere dall'anno 2018. Ai Corpi di polizia, al Corpo nazionale dei vigili del fuoco, al comparto della scuola e alle università si applica la normativa di settore.” In seguito, si derogò da tale provvedimento attraverso la Legge di Stabilità 2016 (legge 208/2015, articolo 1 comma 228) che, per quanto riguarda il personale non dirigenziale, abbassò al 25 per cento le percentuali previste per gli anni 2016, 2017 e 2018, producendo quindi effetti più modesti sul turnover e sulla spesa.
[14] Nello specifico, l’obiettivo è di reclutare figure professionali con le seguenti competenze: Digitalizzazione; razionalizzazione e semplificazione dei processi e dei procedimenti amministrativi; qualità dei servizi pubblici; gestione dei fondi strutturali e della capacità di investimento; contrattualistica pubblica; controllo di gestione e attività ispettiva; contabilità pubblica e gestione finanziaria.
[15] Dalla nota di lettura n. 57 del Servizio Bilancio del Senato, relativa al “d.l 90/2014 - misure urgenti Pubblica Amministrazione” http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/00798596.pdf
[16] Queste norme non comporterebbero oneri per la finanza pubblica, ma il Servizio Bilancio del Senato (vedi nota di lettura n.73 del Maggio 2019) sottolinea che diverse voci potrebbero portare a maggiori costi, per esempio effettuare prove pratiche nei concorsi pubblici, o creare un Portale del reclutamento concorsuale del personale delle pubbliche amministrazioni e un Albo nazionale dei componenti delle commissioni esaminatrici di concorso.