-
Nadef, il problema è il debito
Un maggior declino del rapporto tra debito pubblico e Pil è impedito dall’ancor debole saldo del bilancio primario (ancora in deficit nel 2024) e dal fatto che il debito sarà alimentato anche dall’impatto di cassa dei bonus edilizi (il cui effetto sul deficit è contabilmente registrato soprattutto nel periodo 2020-2023). Tuttavia, anche solo per raggiungere lo 0,8 per cento in media annua occorre che, dopo il calo del secondo trimestre (-0,4 per cento), il Pil registri un discreto rimbalzo nella seconda parte dell’anno (ad esempio, +0,2 per cento e +0,3 per cento nel terzo e quarto trimestre rispettivamente). Per arrivare ai tassi di crescita previsti dal governo nel 2024-25 sarebbe necessario mantenere, dopo il rimbalzo ipotizzato sopra per il 2023, una crescita trimestrale dello 0,3-0,4 per cento nel corso del biennio, a tassi quindi un po’ più alti di quelli considerati nella stessa Nadef come crescita del Pil potenziale dell’Italia. L’inflazione è una variabile chiave per i conti pubblici in quanto è una componente del Pil nominale che sta al denominatore del rapporto debito/Pil e perché il Pil nominale è la variabile cruciale da cui dipende il gettito fiscale. Un divario fra i due deflatori può essere giustificato dal fatto che nel 2024 viene ipotizzata una caduta (ulteriore rispetto a quella del 2023) dei prezzi all’import (-0,2 per cento a fronte di -5,4 per cento nel 2023), per via di una graduale stabilizzazione dei mercati energetici. Per esempio, se il deflatore del Pil avesse lo stesso andamento del deflatore dei consumi, il Pil nominale crescerebbe del 3,5 per cento, invece del previsto 4,1 per cento, il che sarebbe da solo sufficiente a determinare una crescita del debito/Pil, anziché la leggerissima discesa prevista dalla Nadef. In sostanza fra il Def e la Nadef, il deficit (di cassa) è aumentato di ben 16 miliardi (0,8 per cento del Pil) nel 2024 e 18 miliardi (0,9 per cento del Pil) nel 2025, per un totale di maggior debito di ben 34 miliardi.
-
Perché un debito pubblico elevato è un rischio per la nazione: un vademecum
Vi è inoltre un effetto di spiazzamento degli investimenti produttivi: per dato tasso di risparmio, l’emissione di titoli del debito pubblico assorbe risorse che sarebbero altrimenti state investite nelle imprese come capitale produttivo. Ciò potrebbe indurre i risparmiatori a temere che il debito non venga onorato e, di fronte a questo aumento del rischio percepito, lo Stato è costretto ad aumentare il tasso di interesse sul debito per convincere i risparmiatori ad acquistare ulteriori titoli. Tipicamente, lo spread che viene preso in considerazione è il divario tra il rendimento di un titolo di Stato a scadenza decennale di un Paese (per esempio i BTP italiani) e il rendimento di un titolo considerato più sicuro, in Europa generalmente il Bund tedesco. Ad oggi lo spread dell’Italia è sceso attorno ai 100 punti base, il che è motivo di una certa soddisfazione, dal momento che per tanti anni è stato al di sopra di questo livello. Tuttavia, è bene ricordare che uno spread di 100 punti base comporta che a regime (dopo circa 7-10 anni) la spesa per interessi sia più alta dell’1,35% del Pil rispetto a quella che avremmo potuto sostenere nel caso in cui avessimo beneficiato degli stessi tassi d’interesse della Germania. A volte, una crisi di fiducia ha i caratteri di una profezia autoavverante: il solo rischio che una crisi possa realizzarsi in futuro è una ragione per ridurre gli investimenti nel Paese, il che appesantisce ulteriormente la gestione del debito. Di conseguenza, prevedere la traiettoria di medio periodo dello stock di debito è un’operazione complessa che impone di considerare molte più informazioni di quelle espresse individualmente dallo spread fra due titoli o dal rapporto debito/Pil di un Paese.
-
I regimi di tutela nel settore del gas e dell’energia elettrica
Il fatto significativo è che molti clienti hanno cambiato fornitore, ma non hanno fatto ritorno ai regimi di tutela, rimanendo nel libero mercato: nel 2023, il 20,3% dei clienti domestici ha cambiato fornitore di energia elettrica, mentre il 17% ha fatto lo stesso nel settore del gas. Inoltre, vi è evidenza che nei paesi senza prezzi amministrati i tassi di switching sono più alti rispetto ai paesi che, accanto alle offerte sul libero mercato, dispongono di una offerta standard definita dal regolatore o dal governo. In realtà, non tutte le offerte del libero mercato sono direttamente comparabili ai prezzi di tutela: le offerte sul libero mercato presentano molti elementi di differenziazione che non sempre rendono possibile un confronto diretto con la tutela. In particolare, i consumatori – sia nel caso del gas, sia in quello dell’energia elettrica – sembrano prediligere in maggioranza contratti a prezzo fisso (che, rispetto a quelli a prezzo variabile come la tutela, contengono una sorta di opzione finanziaria contro gli incrementi repentini delle quotazioni della materia prima). Inoltre, i consumatori spesso sottoscrivono contratti con componenti aggiuntive di servizio, quali la garanzia di energia 100% green, servizi nel campo dell’efficienza energetica o programmi di fidelizzazione, che ovviamente distinguono queste offerte da quelle prive di tali caratteristiche (come la tutela). Anzi, si è verificato il contrario: nel corso degli anni i consumatori hanno abbandonato i regimi di tutela, con un tasso di uscita superiore di almeno un ordine di grandezza a quello dei rientri. Il caso del gas La struttura del mercato Prima della liberalizzazione del mercato del gas, regolata dal Decreto Letta del 2000, la vendita del gas ai piccoli clienti era riservata ai gestori delle reti di distribuzione locale, ai tempi circa 800 imprese (oggi meno di 200).
-
Verso il G7 sull’Intelligenza Artificiale
Non è un gran merito essere dei bravissimi regolatori se poi il campo di gioco è occupato da altri; può anche essere un demerito se la regolazione, per quanto ben congegnata, ha l’effetto di scoraggiare i player che dovrebbero giocare nella propria metà del campo. Le auto più recenti utilizzano sistemi di “computer vision” che consentono di mantenere l’auto in carreggiata o di frenare di fronte a un pedone in caso di distrazione del guidatore o di emergenza. Sul sito di Leonardo-Spazio, si legge: “Di recente il concetto di digital twin sta assumendo nuovi significati: un modello digitale olistico di un sistema reale, ovvero una sua rappresentazione virtuale che ne replica lo stato e i relativi cambiamenti grazie all’utilizzo combinato di dati, simulazioni e intelligenza artificiale. Sempre in India, una collaborazione con United Phosphorous (UPL) ha portato alla creazione di una app di previsione dei rischi di attacco da parte di parassiti; l’IA indica in anticipo il rischio di attacchi da parte di parassiti comuni, consentendo così ai coltivatori di prendere misure preventive. L’esempio forse più importante è quello di AlphaFold, che stando a ciò che si legge sul sito, ha risolto il problema di come trovare la struttura di qualcosa come 200 milioni di diverse proteine presenti nel nostro organismo. Sistemi di tutoraggio intelligenti che forniscono feedback personalizzati agli studenti (Carnegie Learning), di valutazione automatica (Turnitin), di rilevamento della disattenzione, di personalizzazione dei percorsi di apprendimento, di suggerimento di risorse educative (IBM Watson Discovery), di learning analytics ecc. [27] Previsione di insuccessi accademici degli studenti . Un esempio di questo è l’applicazione di modelli di IA per la previsione di insuccessi accademici degli studenti, con l’obiettivo di poter fornire strategie di supporto personalizzate (si veda lo studio di Vieira Martins et al. del 2021).