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Il PNRR: dodici mesi di commenti e monitoraggio

01 gennaio 2022

Intermedio

Il PNRR: dodici mesi di commenti e monitoraggio

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Nelle pagine che seguono troverete una raccolta di estratti di 12 note sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza pubblicate dall’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani nel corso del 2021.

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Introduzione

Dal cambio di Governo avvenuto tra gennaio e febbraio 2021, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) è stato uno dei più importanti temi nel dibattito pubblico italiano. Già nel discorso di insediamento a febbraio, il Presidente del Consiglio Mario Draghi presentò la sua visione sul meccanismo di governance del PNRR. Nel mese successivo, il regolamento della Recovery and Resilience Facility (RRF) – lo strumento primario di finanziamento del piano Next Generation European Union - definiva i finanziamenti attribuibili all’Italia, ossia 191,5 miliardi di euro di cui 68,9 miliardi in sovvenzioni e 122,5 in prestiti. Tali fondi, come indicato nel piano presentato in aprile, sono stati integralmente richiesti dall’Italia: il piano complessivo risulta tuttavia più ingente – con una cifra che supera i 235 miliardi di euro - a causa degli altri fondi comunitari e dei 30 miliardi di fondo complementare finanziato con emissioni obbligazionarie italiane. A seguito dell’approvazione definitiva del piano italiano, sono stati resi noti i dettagli sull’allocazione dei fondi tra i singoli investimenti e il contenuto delle riforme.

 

A fronte di questi sviluppi, l’Osservatorio CPI ha analizzato i principali aspetti e le criticità relative alle aree più importanti del PNRR, come istruzione, ricerca, concorrenza, divari territoriali e la riforma della pubblica amministrazione. L’approvazione definitiva del PNRR da parte del Consiglio Europeo, arrivata il 13 luglio 2021, è stata accompagnata dalla fissazione di 527 condizioni – suddivise in traguardi qualitativi (“milestones”) e obiettivi quantitativi (“targets”) - da rispettare: questi “paletti” risultano estremamente importanti, perché l’erogazione delle rate semestrali sarà condizionato al soddisfacimento di tali condizioni.[1]  Ad agosto l’Italia ha ricevuto un prefinanziamento di 25 miliardi e a settembre vi erano 42 condizioni ancora da raggiungere entro la fine dell’anno, quasi interamente di carattere qualitativo: in particolare, l’approvazione di leggi delega per la riforma del processo civile e penale, e l’entrata in vigore di tutte gli atti legislativi per la revisione del sistema degli appalti pubblici. Queste condizioni sono state poi tutte soddisfatte. Nell’ultimo trimestre del 2021 sono emersi ulteriori dettagli sul piano: quali ministeri avrebbero gestito il maggior numero di progetti? Come saranno ripartiti i fondi europei tra amministrazioni centrali ed enti locali? Guardando in avanti, l’Italia nel 2022 dovrà rispettare 100 condizioni, di cui 83 traguardi qualitativi e 17 obiettivi. Tra le principali condizioni vi sono l’approvazione del nuovo codice dei contratti pubblici, il passaggio parlamentare della legge sulla concorrenza e la riforma dell’istruzione primaria e secondaria.

La governance del Recovery plan: cosa faranno gli altri paesi?

La bozza di Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) del governo Conte circolata a gennaio non includeva una proposta per la governance del piano. Nel discorso di insediamento del nuovo governo, Mario Draghi ha invece dichiarato che la governance sarà "incardinata" nel ministero dell'Economia, con la "strettissima collaborazione" degli altri dicasteri competenti. In generale, la decisione del modello di governance è uno dei problemi principali che il nuovo governo deve affrontare, perché i PNRR nazionali saranno valutati dalla Commissione Europea anche in base alla credibilità della loro governance. Altri paesi europei hanno già scelto la propria struttura: alcuni hanno preferito appoggiarsi solo su enti già esistenti, mentre altri hanno creato commissioni per coordinare e supportare il lavoro dei ministeri. Le caratteristiche italiane, ovvero un piano molto consistente (oltre 200 miliardi) e una pubblica amministrazione non sempre rapida nell’esecuzione degli investimenti, appaiono più allineate a quelle dei paesi che hanno previsto la creazione di entità apposite per il coordinamento. Tuttavia, la proposta circolata in Italia prima dell’insediamento del nuovo governo di una struttura “pesante”, ossia non solo di coordinamento, ma anche di gestione, parallela e in parte sostitutiva dei ministeri, appare eccezionale rispetto a quella degli altri paesi.

Tutto quello che avreste voluto sapere sul Recovery fund

Nel febbraio del 2021 è stato pubblicato il regolamento della Recovery and resilience facility (RRF), lo strumento principale del Next generation European Union (NGEU). Quest’ultimo stanzia risorse per 750 miliardi di euro, di cui 390 miliardi in sovvenzioni e 360 in prestiti. L’RRF assorbe l’intero ammontare dei prestiti e 312,5 miliardi di sovvenzioni (per un totale di 672,5 miliardi). La restante parte di sovvenzioni di NGEU sono invece erogate attraverso il programma React-EU (47,5 miliardi) e altri cinque specifici fondi (Orizzonte europa, InvestEU, Sviluppo rurale, Just transition fund, RescEU per un totale di 30 miliardi). La ripartizione delle risorse della RRF tra gli stati membri si basa su alcuni criteri. Per le sovvenzioni, l’importo massimo è calcolato per il 70 per cento in base a popolazione, inverso del Pil pro capite e tasso di occupazione, mentre il restante 30 per cento è allocato in base a Pil pro capite, popolazione, variazione del Pil reale nel 2020 e variazione aggregata tra il 2020 e il 2021. I prestiti non possono invece superare il 6,8 per cento del reddito nazionale lordo (RNL) del paese al 2019. In base a queste regole, le risorse massime che può ricevere l’Italia dalla RRF sono pari a 191,5 miliardi, di cui 68,9 miliardi in sovvenzioni e 122,5 in prestiti. Per ricevere queste risorse l’Italia deve presentare, così come ogni altro stato membro, un piano di investimenti e riforme alla Commissione Europea e ricevere da quest’ultima un parere positivo. Il giudizio della Commissione dipende da diversi elementi, a ciascuno dei quali è attribuito un voto che varia da A (miglior giudizio possibile) a C (peggior giudizio possibile). Tra questi elementi rientrano ad esempio i vincoli di destinazione delle risorse, che richiedono ai paesi membri di destinare rispettivamente il 37 e il 20 per cento delle risorse a misure che contribuiscono alla transizione verde e alla transizione digitale. Altro elemento da rispettare è il principio del “do not significat harm”, che richiede agli stati membri di non inserire nei propri piani progetti che possano arrecare un danno significativo all’ambiente.

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza in sei punti

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) è stato inviato a fine aprile dal governo Draghi alla Commissione Europea. Sei punti meritano di essere discussi. Primo: diverse cifre sono circolate riguardo l’ammontare del piano. La cifra di 204,5 miliardi si riferisce a finanziamenti resi disponibili all’Italia tramite il programma Next Generation EU, mentre la cifra di 235 miliardi si ottiene sommando ai 204,5 miliardi i 30 miliardi del “fondo complementare” a carico della finanza nazionale. Secondo: il PNRR Draghi è un po’ più ampio di quello Conte (per 12 miliardi) anche perché si sono confermate spese che il piano Conte considerava come incerte. Le principali differenze nella distribuzione delle risorse riguardano la spesa per innovazione, energia pulita e istruzione. Terzo: l’impatto del piano sul Pil nei prossimi anni (2021-2026) è stato rivisto al rialzo, non tanto per la maggiore spesa, ma per la diversa composizione della stessa. Nello specifico, nel 2026 il Pil dovrebbe essere del 3,6 per cento maggiore rispetto allo scenario ipotetico in assenza del PNRR, contro il 3,0 per cento del piano precedente. Quarto: la struttura del piano appare molto frammentata, visto che oltre due terzi degli investimenti previsti (107 su 162) sono sotto il miliardo di euro. Ciò potrebbe creare difficoltà sia per l’implementazione sia per il monitoraggio dei progetti. Quinto: sebbene i finanziamenti per il PNRR siano disponibili solo temporaneamente, molti degli interventi previsti comporteranno un aumento permanente delle spese di gestione (ad esempio, per l’assunzione di personale). Sesto: la parte inerente alle riforme orizzontali e abilitanti è abbastanza dettagliata, ma lo stesso non vale per investimenti e riforme settoriali, per i quali mancano ancora informazioni cruciali, compresi i tempi di implementazione.

Cosa c’è nel PNRR: istruzione e ricerca

Istruzione: Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) del governo Draghi contiene la componente “Potenziamento dell’offerta dei servizi di istruzione”. A questa sono destinati 21 miliardi, di cui 19,5 dalla Recovery and resilience facility e 1,5 dal React EU. La componente si articola in quattro settori di intervento: ampliamento dei servizi di istruzione (10,6 miliardi), miglioramento dei processi di reclutamento degli insegnanti (0,8 miliardi), potenziamento delle infrastrutture scolastiche (7,6 miliardi) e riforma dei dottorati (0,4 miliardi). I fondi sono dunque ripartiti per il 64 per cento alla scuola dell’obbligo, per il 23,6 per cento alla scuola di prima infanzia e per il restante 12,3 per cento all’istruzione accademica. Questi fondi andranno a finanziare progetti che, seppur presentati come temporanei, aumenteranno con molta probabilità la spesa corrente dello Stato in modo permanente.

Ricerca: In Italia la spesa per ricerca e sviluppo (R&S) è molto bassa rispetto alle principali economie avanzate. Per raggiungere il livello francese, l’Italia avrebbe bisogno di 5 miliardi addizionali annui. Se per i prossimi sei anni (2021-2026) si volesse finanziare questa somma tramite il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), la ricerca dovrebbe ricevere 30 miliardi. Raggiungere il livello tedesco è ancora più ambizioso, visto che servirebbero 10 miliardi addizionali ogni anno. Il PNRR del governo Draghi prevede invece uno stanziamento complessivo di 12,9 miliardi su sei anni, di cui solo una somma tra i 5,9 e i 6,5 miliardi si tradurrà in un aumento della spesa per R&S (i restanti sono per misure infrastrutturali, organizzative e incentivi). Le risorse per R&S nel PNRR sono dunque ben inferiori a quanto servirebbe per colmare il divario tra l’Italia e le altre grandi economie europee.

Cosa c’è nel PNRR: concorrenza e mezzogiorno

Concorrenza: A differenza del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) del governo Conte, quello del governo Draghi dedica una sezione specifica al tema della concorrenza. Le misure in essa ricomprese si suddividono in tre macro-aree: sviluppo delle infrastrutture, rimozione delle barriere all’entrata, servizi pubblici e sostenibilità ambientale. Oltre alle misure di carattere settoriale contenute nelle macro-aree, il PNRR prevede anche il rafforzamento di alcuni poteri e prerogative dell’AGCM e delle altre authority indipendenti (ad es. ARERA, ART e CONSOB). Molte delle misure per la concorrenza citate nel PNRR derivano da una segnalazione effettuata dall’AGCM lo scorso marzo. Tuttavia, oltre a quelli menzionati nel PNRR, l’AGCM aveva indicato una serie di altri provvedimenti in grado di migliorare la concorrenzialità del sistema economico italiano. Tra i principali interventi esclusi troviamo le misure per favorire la concorrenza nelle gare per le concessioni balneari, nel settore del commercio su aree pubbliche e nel comparto farmaceutico.

Mezzogiorno: Il Piano nazionale di ripresa e resilienza del Governo Draghi destina al Sud 82 miliardi di euro, cioè il 40 per cento delle risorse territorializzabili (pari a 206 miliardi). A questi vanno aggiunti circa 8 miliardi derivanti dal React‑EU, 54 miliardi dai Fondi strutturali e d’investimento europei (per il periodo 21-27), 58 miliardi dal Fondo per lo sviluppo e la coesione (sino al 2030) e un miliardo dal Just transition fund. A fronte di questa mole di risorse, la domanda chiave è se vi sarà la capacità di spendere e di realizzare le opere. Infatti, secondo la Banca d’Italia, la realizzazione delle opere richiede in media quasi un anno in più al Sud che al Centro-Nord. Inoltre, le regioni meridionali hanno i tassi più elevati di inutilizzo dei fondi europei e di opere incompiute. L’obiettivo principale che gli investimenti del PNRR per il Sud puntano a conseguire è quello di ridurre i divari territoriali, obiettivo al raggiungimento del quale anche le riforme (in particolare quella della pubblica amministrazione) potranno contribuire notevolmente.

La riforma della pubblica amministrazione: cosa manca nel PNRR

Uno degli aspetti chiave per la riuscita del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) è la riforma della pubblica amministrazione (PA), che si articola in una lunga serie di interventi. Tra questi, rientrano anche la gestione e valutazione delle amministrazioni pubbliche tramite la definizione di obiettivi monitorabili, di indicatori di performance specifici, di un processo di valutazione dei risultati e del relativo premio al merito. Nonostante una riforma del 2009 sia intervenuta su questi aspetti, in Italia la gestione e valutazione della PA tramite la definizione di obiettivi chiari e misurabili non si è mai affermata in pratica. Gli strumenti previsti – “ciclo della performance” e “performance budgeting” – sono stati interpretati dalle varie amministrazioni come esercizi puramente formali. A questo proposito, la riforma descritta nel PNRR sembra andare nella direzione giusta: nello specifico, si prevede di introdurre: i) nuovi indicatori outcome-oriented (obiettivi di risultato) per le PA, elaborati da Organismi Indipendenti di Valutazione (e non dagli stessi ministeri valutati, come accade oggi); ii) un “link” tra performance dell’ente pubblico e valutazione individuale della performance dei suoi dirigenti; iii) una piattaforma accessibile e interattiva contenente le informazioni sulla performance degli enti, incrementando la trasparenza dell’intero processo all’opinione pubblica. Tuttavia, l’implementazione del “ciclo della performance” e del “performance budgeting” è scandita da una sola milestone fissata per fine 2024, che prevede una vaga “implementazione di un insieme di indicatori della performance outcome-oriented” e l’inizio della redazione semestrale di un report su questi indicatori. Anche la finestra temporale per l’implementazione di queste misure non è incoraggiante: nelle schede tecniche la voce “timeline” indica un periodo che va dal secondo trimestre 2021 al secondo trimestre 2026, che quasi coincide con la fine della programmazione del PNRR.

Le 527 condizioni della Commissione europea per il Recovery Fund

L’approvazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) da parte della Commissione Europea ha concluso la fase di redazione e trattative, anche se i finanziamenti (191,5 miliardi) dovranno essere approvati dal Consiglio Europeo. Questa somma sarà erogata in 10 rate da qui al 2026 se l’Italia rispetterà le condizioni concordate con la Commissione, anch’esse distribuite tra oggi e il 2026, che riguardano la corretta implementazione dei progetti del PNRR. Prima di erogare una nuova rata, la Commissione valuterà quindi se le condizioni sono state rispettate. Complessivamente, le condizioni sono 527, di cui 213 sono traguardi (condizioni qualitative) e 314 obiettivi (condizioni quantitative). I traguardi si concentrano nei primi due anni e riguardano l’introduzione di nuovi provvedimenti e di provvedimenti per dare inizio gli investimenti. Gli obiettivi prevalgono da fine 2023 e possono essere: (i) indicatori intermedi del progresso di un’opera (ad es. costruzione di X km della ferrovia Y); (ii) indicatori finali del completamento di un’opera (ad es. completamento della ferrovia Y); (iii) indicatori di risultato intermedi di un intervento (ad es. almeno X imprese hanno utilizzato crediti d'imposta); (iv) indicatori di risultato finali di un intervento (ad es. creazione di almeno X nuovi posti in asili nido). Le caratteristiche e la distribuzione temporale delle condizioni presentano tre criticità. Primo: le riforme sono descritte in termini generali, per cui valutare l’adeguatezza di quanto fatto richiederà un forte elemento di soggettività. Secondo: gli obiettivi quantitativi sono quasi assenti nei primi anni. Terzo: mentre le erogazioni saranno più generose nei primi anni, le condizioni sono più numerose negli ultimi. Il regolamento del Recovery fund contiene indicazioni generali sugli elementi necessari per sospendere il versamento delle rate. In pratica, se alcune condizioni non fossero rispettate, la Commissione può optare per un pagamento parziale della rata, vincolando la parte non versata al raggiungimento delle condizioni mancati entro 6 mesi.

Un chiarimento sul legame tra il prefinanziamento e gli investimenti del PNRR

In agosto l’Italia ha ricevuto dall’Unione Europea un prefinanziamento di 25 miliardi, pari al 13 per cento dei 191,5 miliardi previsti dalla Recovery and resilience facility (RRF, il dispositivo per la ripresa e la resilienza approvato in sede europea).  Su alcuni articoli di stampa è stato riportato che le risorse dell’anticipo serviranno a finanziare la spesa del 2020-21 per gli investimenti del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). Non è esattamente così. Il regolamento della RRF non vincola infatti l’utilizzo del prefinanziamento e delle future rate a specifici investimenti. Gli unici vincoli che il Governo è tenuto a rispettare sono quelli fissati nel nostro PNRR approvato dalla Commissione Europea e dal Consiglio Europeo. Il prefinanziamento, inoltre, non è legato al rispetto di specifiche condizioni, ma è stato concesso sulla base dell’approvazione del piano. Parte della confusione è dovuta al fatto che sul sito creato dal Governo (“Italia domani”), si presenta una versione aggiornata e semplificata delle schede tecniche del PNRR. Nel sito, per ogni investimento, si descrive nello specifico cosa verrà fatto ogni anno con le risorse europee fino al 2026 (anno di conclusione del piano). Fornire questa informazione è utile, ma non implica che le rate siano condizionate a effettuare gli interventi indicati. Ad esempio - per lo “Sviluppo del trasporto rapido di massa” - il sito indica che tra il 2021 e il 2023 saranno spesi 1,3 miliardi per “creare nuove linee di trasporto pubblico”. Ciò non significa che una parte delle rate ricevute in questo periodo sia vincolata alla costruzione di nuove linee. Infatti, le linee costruite entro il 2023 non condizionano direttamente l’erogazione delle risorse, poiché il primo “obiettivo” relativo a quest’area è fissato per settembre 2024: costruire almeno 25 km di corsie del trasporto pubblico nelle aree di Perugia, Pozzuoli e Trieste. È il rispetto di questa condizione, insieme a quelle previste per gli altri investimenti e riforme, che influenzerà la scelta della Commissione di erogare la successiva rata.

Il PNRR è appena iniziato e c’è già molto da fare

L’erogazione dei 191,5 miliardi per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) è vincolata al soddisfacimento di 527 condizioni concordate con l’Unione Europea. Tra queste, 51 devono essere soddisfatte nel 2021 per ricevere la prima tranche di finanziamenti da 24,1 miliardi (dopo il prefinanziamento da 25 miliardi ricevuto in agosto). Delle 51 condizioni, 9 sono traguardi, di cui 5 da soddisfare per giugno e 4 per settembre. Le 42 condizioni rimanenti sono da attuare entro dicembre e includono 2 obiettivi e 40 traguardi. Gli obiettivi sembrano facilmente raggiungibili: il primo prevede che 4.000 PMI ricevano finanziamenti da un fondo di SIMEST (società del gruppo CDP) per l’internazionalizzazione delle imprese; il secondo prevede l’assunzione di mille esperti per l’attuazione del PNRR. Dei 40 traguardi, 16 si riferiscono a investimenti e 24 a riforme. I traguardi relativi agli investimenti, seppur numerosi, appaiono anch’essi raggiungibili, visto che si tratta perlopiù di interventi di natura progettuale. Discorso diverso vale invece per i traguardi associati alle riforme, di cui 5 si riferiscono a riforme orizzontali, 3 a riforme abilitanti e 16 a riforme settoriali. Tra quelli relativi alle riforme orizzontali, i più difficili da conseguire sono i traguardi che gravano sulle riforme del processo penale e civile, che prevedono l’approvazione da parte del Parlamento di due leggi delega. Tra quelli relativi alle riforme abilitanti, il traguardo più complesso è quello che richiede “l’entrata in vigore di tutte le leggi, i regolamenti e i provvedimenti attuativi (anche di diritto derivato) per il sistema degli appalti pubblici”. I 16 traguardi relativi alle riforme settoriali, infine, riguardano interventi mirati e quindi più facili da raggiungere, anche se il mero volume della legislazione da approvare è di per sé impressionante. Da ultimo, il Governo intende avviare anche alcune riforme che non sono coperte da traguardi e obiettivi da raggiungere entro il 2021. Si tratta della riforma fiscale, che non è parte del PNRR perché non può essere finanziata da risorse temporanee come quelle europee, e della legge annuale sulla concorrenza, che rientra invece nel PNRR (il piano prevede l’adozione di una legge all’anno), ma che ha la prima scadenza (per la legge del 2021) fissata a fine 2022.

Chi gestirà le risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza?

Su “Italia domani”, il sito ufficiale del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), è stata pubblicata la ripartizione di progetti e risorse tra i ministeri. Si tratta di 142 progetti per 191,5 miliardi di euro. Il numero di progetti ripartiti non rappresenta comunque l’intera portata del piano (che si compone infatti di oltre 190 misure) perché la ripartizione riguarda solo i progetti che richiedono finanziamenti per essere realizzati (escludendo quindi gli altri interventi e in particolare le riforme). I ministeri con più progetti e risorse sono quelli delle Infrastrutture e delle mobilità sostenibili (MIMS) e della Transizione ecologica (MiTE), sia perché più coinvolti nelle aree in cui l’Europa ha richiesto maggiori interventi (transizione climatica e digitale) sia perché titolari di alcuni tra i progetti più costosi. La dimensione dei progetti varia comunque notevolmente tra i diversi dicasteri, e infatti il costo medio per progetto più elevato lo registra il ministero dell’Interno (2,5 miliardi), che supera quello di MIMS (2,0 miliardi) e MiTE (1,3 miliardi). Considerevole è poi il numero di ministeri (10 su 21) con meno di 5 progetti, peraltro di dimensione modesta, che avranno quindi un ruolo più marginale nell’attuazione del PNRR. La ripartizione non implica comunque che saranno i ministeri stessi a realizzare i progetti: questi potranno essere infatti delegati alle amministrazioni locali (regioni, comuni, ecc.), con i ministeri che svolgeranno in tal caso un ruolo di monitoraggio e controllo. Non è chiaro al momento né quali né quanti progetti saranno gestiti effettivamente dagli enti locali, ma è probabile che si seguirà un criterio di competenza nella ripartizione (le misure in ambito sanitario, ad esempio, di titolarità del ministero della Salute, saranno in buona parte affidate alle regioni, vista la loro competenza in materia). In base a tale criterio, il centro studi di Camera e Senato stima che i progetti affidati agli enti locali potrebbero essere 34 per 67 miliardi di euro.

Quanto aumenta la disponibilità di asili nido con il PNRR?

Il “piano asili nido” è uno degli interventi più importanti del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR): i 4,6 miliardi previsti lo rendono il settimo investimento per importo stanziato. Il piano ha subito diverse modifiche nel corso del 2021. Nella versione di aprile del PNRR, il piano prevedeva infatti la creazione di 228.000 posti, di cui 152.000 per asili nido (bambini con età tra 0-3 anni) e 76.000 per le scuole d’infanzia (3-6 anni). Nella versione definitiva del PNRR, si prevede invece la creazione (entro il 2026) di 264.480 posti, una cifra maggiore rispetto a quella di aprile ma che non distingue tra posti in asili nido e scuole d’infanzia. Tale distinzione è però fondamentale: nel nostro paese il tasso di partecipazione scolastica nelle scuole d’infanzia (91 per cento) è superiore alla media europea (87 per cento), mentre quello di partecipazione agli asili nido è al di sotto dell’obiettivo del 33 per cento stabilito dal Consiglio Europeo nel 2002. Inoltre, la copertura di asili nido a livello nazionale è, con 361.318 posti nel 2019-2020, al 26,6 per cento, dunque ben al di sotto dell’obiettivo del 33 per cento. Questa soglia dovrebbe essere comunque superata con il PNRR: supponendo che due terzi dei 264.480 nuovi posti che si intende creare siano per asili nido (come avveniva nella versione di aprile del piano), i posti passerebbero dagli attuali 361.318 a 537.638, un aumento di 176.320 posti che porterebbe la copertura al 39,7 per cento. Una criticità del piano riguarda però la distribuzione territoriale dei nuovi posti. Esistono infatti importanti divari territoriali tra le regioni del nostro paese, con quelle del Sud che presentano tassi di copertura, sebbene in crescita nell’ultimo quinquennio, notevolmente inferiori rispetto a quelle del Centro-Nord. Ciò nonostante, quanto riportato nel PNRR non permette di stabilire se tali disuguaglianze verranno attenuate: le uniche condizioni da rispettare riguardano infatti le posizioni sull’intero territorio italiano, senza differenziazioni regionali.

L’attuazione del PNRR nel 2022: cosa è previsto?

Nella conferenza stampa di fine anno, il Presidente del Consiglio Draghi ha annunciato che tutte le 51 condizioni previste dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) sono state soddisfatte. Nel 2022 le condizioni da rispettare saranno 100, di cui 83 traguardi qualitativi e 17 obiettivi quantitativi. Le principali riforme riguarderanno l’introduzione del nuovo codice dei contratti pubblici contenuta nella “riforma del quadro legislativo in materia di appalti pubblici”, le disposizioni per combattere l’evasione fiscale e pianificare la spending review nel triennio 2023-2025. Nel 2022 molte condizioni riguarderanno l’aggiudicazione di appalti per il potenziamento infrastrutturale: tra questi, la costruzione delle linee di alta velocità Napoli-Bari e Palermo-Catania. Infine, il Parlamento dovrà approvare entro fine dell’anno la legge annuale sulla concorrenza, che riformerà i contratti relativi alla gestione dei rifiuti e dei trasporti pubblici locali) e renderà obbligatorio lo svolgimento di gare per i contratti di concessione per la distribuzione del gas. Complessivamente – se la tabella di marcia dovesse essere rispettata - la componente relativa alla digitalizzazione, innovazione e sicurezza della PA (“M1C1”) sarà quella col maggior numero di condizioni rispettate a fine 2022.  Per il rispetto le condizioni del PNRR, sarà cruciale anche il ruolo del Parlamento: per 23 condizioni relative al 2022, l’iter parlamentare rappresenta uno dei rischi per la puntuale adozione delle misure. Tale incognita potrebbe assumere dimensioni ancora più rilevanti qualora l’elezione del Presidente della Repubblica dovesse richiedere più tempo del previsto, si rendesse necessario un rimpasto di Governo, o si andasse a nuove elezioni.


 

Un articolo di

Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani

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