Università Cattolica del Sacro Cuore

Il Codice dei contratti pubblici: cosa ne rimane dopo revisioni, riforme, deroghe e procedura di infrazione europea

di Beatrice Bonini, Giampaolo Galli e Pietro Mistura

24 luglio 2020

Il Codice dei contratti pubblici (spesso chiamato “codice degli appalti”, d’ora in avanti “il Codice”) è stato emanato nel 2016 tramite il D.Lgs. 50/2016 e ha sostituito il Codice precedente (D.Lgs n. 163/2006) per dare attuazione alle direttive europee riguardanti le concessioni e gli appalti (Direttive EU 23, 24 e 25). Da quando è entrato in vigore il Codice è stato modificato con il D.Lgs. 56/2017 e con il decreto Sblocca Cantieri (DL 32/2019). Ora il Decreto Semplificazione dovrebbe portare a un’altra revisione del Codice.

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Il Codice del 2016

La riforma del 2016 intendeva migliorare il mercato dei lavori pubblici e accelerare gli investimenti infrastrutturali intervenendo sia dal lato della domanda pubblica sia da quello dell’offerta.[1]

Dal lato della domanda una delle principali novità riguardava l’introduzione di un sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti, gestito dall’ANAC (Autorità Nazionale Anticorruzione), che avrebbe dovuto modificare i livelli di autonomia operativa sulla base dei risultati ottenuti.[2] Con l’obiettivo di garantire maggior autonomia alle stazioni appaltanti, il Codice ha concesso maggior potere di scelta discrezionale riguardo alle procedure utilizzabili per assegnare l’incarico attraverso la possibilità di scegliere tra una quarantina di procedure ottenibili dalla combinazione di sistemi di gara, tipi, oggetti e importi contrattuali e settori di riferimento.

Per quanto riguarda l’offerta, il Codice puntava a incentivare la qualità della realizzazione dell’opera attraverso un sistema di classificazione reputazionale degli operatori, noto come rating d’impresa.[3] I requisiti reputazionali alla base del rating tenevano conto dei precedenti comportamenti dell’impresa riguardo l’applicazione delle disposizioni sulla denuncia obbligatoria di richieste estorsive e corruttive, nonché al rispetto dei tempi e dei costi nell’esecuzione dei contratti e dell’incidenza e degli esiti del contenzioso sia in sede di partecipazione alle procedure di gara sia in fase di esecuzione del contratto.[4]

Il Codice si era reso necessario, in origine, come strumento per recepire le direttive europee e insieme per riordinare la materia. L’obiettivo finale era quello di garantire valori fondamentali come la flessibilità, la trasparenza, la prevenzione della corruzione e dell’infiltrazione della criminalità organizzata, introducendo, rispetto alle direttive europee, ulteriori strumenti e istituti inediti improntati a un maggior rigore, senza però cadere nel gold plating (la pratica di introdurre livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive). Il Codice sostituiva il precedente regolamento (D.P.R. n. 207/2010) e utilizzava spesso un insieme di linee guida (“soft law”). Questo cambio di approccio aveva lo scopo di garantire una maggior semplicità e snellezza. In pratica, però, questi obiettivi venivano però minati dalla complessità del Codice stesso e dall’alto numero di norme contenute nei decreti attuativi. Il Codice era composto da 220 articoli (con ben 111.740 parole e 662.638 caratteri) e 25 allegati, a cui si aggiungevano le linee guida, ministeriali e dell’ANAC, e svariati altri decreti ministeriali.

Strutturato in sei parti, il codice disciplinava (e tuttora disciplina) la procedura dell’affidamento delle opere, partendo da ambito ed esclusioni, passando per la disciplina delle stazioni appaltanti, la tipologia di procedure, i bandi e inviti, la commissione di gara, la qualificazione dei concorrenti, i criteri di selezione delle offerte, l’aggiudicazione, il subappalto, la fase esecutiva. Dal punto di vista contenutistico, le principali novità apportate dal codice erano:

- una più dettagliata disciplina delle centrali di committenza, anche ausiliarie e transfrontaliere;

- una disciplina sistematica anche delle concessioni di servizi;

- un ampio utilizzo delle tecnologie informatiche, sia per la comunicazione che la gestione di tutte le procedure;

- l’introduzione del Documento di Gara Unico Europeo (DGUE), il documento utilizzato da imprese e professionisti per dichiarare i requisiti di idoneità e l'assenza dei motivi di esclusione per le domande di partecipazione a una gara e di presentazione offerte;

- l’istituzione del criterio di aggiudicazione dell’”offerta economicamente più vantaggiosa” (OEPV) come regola generale, con ruolo residuale del criterio del prezzo più basso;

- una dettagliata disciplina dei contratti misti, ossia quei contratti il cui oggetto comprende congiuntamente lavori, servizi e forniture, o almeno due di queste prestazioni;

- la valorizzazione dei criteri ambientali e sociali nell’aggiudicazione degli appalti;

- l’introduzione di una disciplina generale dei conflitti di interesse;

- la qualificazione delle stazioni appaltanti;

- l’obbligatorio ricorso alle centrali di committenza, in alternativa alla qualificazione, e in alcuni casi a prescindere dalla possibilità astratta di conseguire la qualificazione;

- regole per gli affidamenti in house, ossia i casi in cui il committente pubblico, derogando al principio di carattere generale dell’evidenza pubblica, provvede in proprio all’esecuzione delle opere attribuendo l’appalto di servizi a un’altra entità giuridica (di diritto pubblico) mediante il sistema dell’affidamento diretto o senza gara;

- l’istituzione dell’albo dei commissari di gara, istituito presso l’ANAC, cui attingere mediante sorteggio per i commissari di gara per gli appalti sopra la soglia comunitaria (5,35 milioni di euro), quando il criterio di aggiudicazione è quello dell’OEPV;

- la qualificazione degli operatori economici ancorata anche al rating di legalità, al rating di impresa, ai criteri reputazionali;

- la separazione tendenziale tra progettazione ed esecuzione;

- la definizione di un regime di maggior rigore per le concessioni autostradali, e per gli obblighi di esternalizzazione in capo ai concessionari scelti senza gara;

- i controlli per gli appalti segretati.

In linea teorica, parte di queste novità costituivano il recepimento delle direttive EU del 2014. Le tre direttive contenevano (i) disposizioni a recepimento vincolato, (ii) disposizioni che lasciavano margini di flessibilità agli Stati membri e (iii) disposizioni che imponevano agli Stati membri di lasciare spazi di discrezionalità alle stazioni appaltanti.

Nel dettaglio, si potevano identificare aspetti cruciali che costituivano i tratti distintivi delle direttive. Tra questi, si proponevano di lasciare maggior spazio di discrezionalità alle stazioni appaltanti, con una maggiore responsabilità nell’affidamento e nella gestione delle gare stesse. Al contempo, la spinta all’utilizzo di strumenti elettronici e telematici da parte di stazioni appaltanti e operatori economici mostrava la chiara intenzione del legislatore comunitario di far leva sulla digitalizzazione del settore pubblico e del tessuto imprenditoriale, anche in chiave di trasparenza e lotta alla corruzione. L’enfasi data alla qualità dei progetti, tramite l’introduzione del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (da intendersi come “miglior rapporto qualità/prezzo”), a discapito di quello del prezzo minimo, era un altro elemento cruciale. Inoltre, si evidenziava il tentativo di valorizzare e favorire le piccole e medie imprese nella partecipazione delle gare d’appalto, connesso alla tutela del principio di libera concorrenza.

Infine, si osservava una particolare attenzione delle direttive (in particolare la n. 24) al tema della tutela del lavoro e dei diritti sociali. I contratti pubblici e l’uso degli appalti, infatti, dovevano essere uno strumento di politica sociale, dell’occupazione e del lavoro. In quest’ottica, il legislatore comunitario autorizzava le amministrazioni aggiudicatrici a bandire procedure di gara riservate agli operatori economici che, nell’esercizio della propria attività, promuovono concretamente la tutela di categorie di lavoratori svantaggiate.

Le successive modificazioni del Codice, in particolare l’ultima avvenuta tramite il decreto “Sblocca Cantieri”, hanno portato a una sospensione quasi totale del Codice stesso.[5] Infatti, il Decreto ha apportato 53 modifiche al Codice prevedendo la sospensione, fino al termine del 2020, di tre disposizioni cardine della riforma del 2016.[6] Lo Sblocca Cantieri è intervenuto principalmente sulla fase di affidamento dei lavori e in misura minore sulla progettazione ed esecuzione dei lavori. In particolare, sono state semplificate le procedure di aggiudicazione fino alla soglia comunitaria (5,35 milioni) previste dal Codice rendendole più rapide per le stazioni appaltanti.[7] Grazie a questa modifica le stazioni appaltanti hanno potuto fare ricorso a procedure meno competitive e meno trasparenti allo scopo di ridurre i tempi di aggiudicazione. Lo Sblocca Cantieri ha anche ridotto il numero minimo di offerte da valutare obbligatoriamente oltre a reintrodurre il criterio dell’aggiudicazione al minore prezzo come regola per le gare sotto soglia comunitaria. Anche quest’ultima modifica è stata fatta per velocizzare il processo di aggiudicazione in quanto il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa risulta essere di più difficile valutazione per le stazioni appaltanti.

Il modello Genova

Il Decreto Legge "Disposizioni urgenti per la città di Genova” è il decreto tramite il quale il governo, oltre a una serie di disposizioni urgenti per la popolazione del capoluogo ligure, ha derogato al Codice per la demolizione del ponte Morandi e la ricostruzione del nuovo viadotto Polcevera. Il decreto ha previsto l’istituzione di un Commissario Straordinario, identificato in seguito nella figura del Sindaco di Genova, con la finalità di ripristinare nel più breve tempo possibile l’infrastruttura. Inoltre, il decreto ha derogato al Codice dettando specifiche norme per semplificare le procedure per l’affidamento di lavori, forniture e servizi in relazione alle esigenze del contesto emergenziale.[8] In particolare, si è ritenuto che lo strumento più adatto per semplificare e accelerare le procedure di gara fosse la procedura negoziata senza bando, la quale può essere utilizzata in casi particolari espressamente identificati.[9] In pratica è il commissario a individuare le imprese a cui affidare i lavori e ciò avviene o tramite un affidamento diretto oppure con una gara ristretta in cui i partecipanti vengono invitati direttamente dal commissario senza la pubblicazione del bando. Questa procedura ha permesso di ridurre i tempi di esecuzione dei lavori.

In molti hanno proposto di replicare il modello Genova anche su scala nazionale. Tuttavia, il modello Genova si basa sulla norma per cui la Società Autostrade per l’Italia, in qualità di concessionario, è tenuta a far fronte alle spese di costruzione e di ripristino del sistema viario.[10] In altre parole, al commissario spetta la decisione riguardo a chi affidare il lavoro, mentre l’impegno di spesa è a carico del concessionario. L’eccezionalità della situazione non è replicabile nella generalità del sistema degli appalti. Inoltre, visto l’elevato numero di stazioni appaltanti in Italia, ciò significherebbe avere altrettanti commissari – o quasi – che tutelino l’appalto e operino in maniera corretta come è avvenuto nel caso di Genova.

L’esperienza del ponte Morandi, dunque, potrebbe servire come modello per lo sviluppo di una disciplina generale delle emergenze, piuttosto che come base per la nuova disciplina ordinaria dei contratti pubblici. Infatti, le emergenze sono sempre più spesso ricorrenti, ma ad oggi la risposta del Codice a questo tipo di situazioni eccezionali è piuttosto insufficiente e si basa sulla necessità di deroghe alla disciplina standard, sulla formulazione di decreti emergenziali (come successo nei casi dei grandi terremoti), o semplicemente sulla disapplicazione de facto di norme del Codice (si pensi a quanto accaduto con gli acquisti sanitari durante la crisi sanitaria da COVID-19). Una proposta concreta e di semplificazione consisterebbe nel redigere una disciplina a parte dedicata alla gestione delle emergenze, che possa contemperare la necessità di flessibilità con un adeguato controllo del rispetto dei principi di trasparenza.

Prospettive per una riforma del codice degli appalti

Come si è detto, a seguito dei numerosi interventi normativi che si sono susseguiti il Codice del 2016 è in parte sospeso e in parte in vigore provocando forte incertezza normativa.

Il Codice è stato attuato tramite un differente approccio basato sulla flessibilità e molteplicità degli strumenti applicativi soprattutto attraverso la regolamentazione secondaria dell’ANAC e i decreti attuativi del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Proprio da questo aspetto sono emerse alcune criticità. Infatti, come sottolineato anche dalla Corte dei conti, i sopra menzionati 50 atti attuativi hanno complicato notevolmente la normativa.[11] Inoltre, molte novità del Codice, tra le quali il rating d’impresa e il sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti, non hanno ancora trovato attuazione e di conseguenza non sono operative. Il Codice ha creato un’iper-regolamentazione che ha complicato l’interpretazione delle norme e la loro conoscibilità. Questo tipo di approccio è in forte contraddizione con quanto avvenuto in paesi come la Germania e il Regno Unito dove la Direttiva europea è stata trasposta con poche procedure e senza rilevanti aggiunte di requisiti.[12]

La stessa presenza dell’ANAC ha aumentato la complessità e l’applicabilità del codice. L’Autorità Nazionale Anticorruzione emana le linee guida che danno in parte attuazione al Codice e che possono essere di due tipologie: vincolanti o non vincolanti. Le prime sono state classificate dalla giurisprudenza come regolazioni vere e proprie nonostante appartengano alla categoria della soft-regulation che per sua natura dovrebbe indurre a comportamenti di moral suasion piuttosto che di imperatività. Secondo la Corte dei conti la complessità della disciplina contenuta nel Codice dei contratti pubblici deve essere considerata tra le possibili cause dello scarso dinamismo della spesa per investimenti.[13]

Un’ulteriore criticità riguarda il numero di stazioni appaltanti che risultano essere più di 32.000, un numero elevato che disperde le competenze e non favorisce il loro sviluppo impedendo alla pubblica amministrazione di essere in grado di valutare nella maniera più efficiente le offerte che vengono presentate.

Le problematiche discusse fino a qui hanno sollevato perplessità nell’Unione Europea; la Commissione Europea, infatti, ad inizio 2019, ha formalizzato la prima fase della procedura di infrazione (la cosiddetta messa in mora) nei confronti del nostro paese per mancanza di conformità del Codice dei Contratti Pubblici approvato nel 2016 rispetto alle direttive europee del 2014.[14] In particolare, Bruxelles ha posto l’attenzione su più aspetti del nostro codice che appaiono disformi rispetto alle direttive: tra questi il calcolo del valore degli appalti, i motivi di esclusione dalle gare, la disciplina del subappalto e le offerte anormalmente basse. In effetti, già prima di questo intervento della Commissione, molti commentatori e operatori avevano evidenziato forti criticità e vizi nel codice italiano, colmo di regole aggiuntive e spesso difformi rispetto alle direttive europee. Ciò che sorprende poi, è il fatto che le modifiche introdotte con lo “Sblocca cantieri”, successive alla comunicazione della Commissione Europea, non recepiscono i commenti arrivati da Bruxelles, peggiorando dunque la posizione dell’Italia nei confronti dell’Europa.

Quali sarebbero, dunque, le linee guida da seguire per rispondere a questa presa di posizione della Commissione Europea, e contemporaneamente, per sbloccare i cantieri e far ripartire di conseguenza l’economia?

Come primo elemento, è essenziale tenere presente la centralità del principio di concorrenza. I problemi di lentezza del nostro sistema, non vengono tanto dalle gare stesse, ma piuttosto dalla fase precedente alle gare che richiede alle imprese di rispettare una lunga lista di adempimenti burocratici fatti di documentazioni, richieste ed autorizzazioni. Su questo fronte, numerose sono le semplificazioni che potrebbero essere attuate velocemente e a costi praticamente nulli. Un altro aspetto legato alla fase di progettazione e programmazione delle gare è costituito dalla complessità del sistema delle stazioni appaltanti. Oltre a essere numerose (più di 30.000 sparse per il territorio italiano), esiste un notevole grado di discrezionalità che le stazioni appaltanti hanno nel richiedere documenti e attestazioni. Dunque, un’aggregazione graduale delle varie stazioni appaltanti volta a ridurne il numero complessivo, insieme a una standardizzazione dei modus operandi e della modulistica da loro richiesta, permetterebbe di salvaguardare il principio di concorrenza basato sul sistema delle gare di appalto, ma semplificando notevolmente il lavoro di gestione amministrativa e burocratica a carico delle imprese.

Un secondo aspetto che complica l’attività di impresa nei contratti pubblici riguarda l’elevata incertezza durante le gare: prevedere dunque tempistiche perentorie per le operazioni di gara e per l’apertura dei cantieri è un altro elemento cruciale. L’introduzione del silenzio-assenso, con l’invalidità di tutti gli interventi amministrativi attuali dopo le scadenze, può essere un ulteriore elemento di sburocratizzazione utile alle imprese.

L’incertezza è data inoltre dal sistema delle fonti che costituiscono la disciplina dei contratti pubblici: il Trattato e le direttive in ambito europeo, atti ricognitivi come libri verdi e le determinazioni della Commissione, le sentenze della Corte di Giustizia, i continui emendamenti al Codice in ambito di diritto interno, le linee guida vincolanti e non vincolanti dell’ANAC etc. Si aggiungono poi le sentenze del Tar e della Corte di Giustizia. Per evitare che si crei una maggior confusione all’interno della disciplina, il ruolo della cosiddetta “Cabina di Regia”, già istituita ma ancora non operante, sarebbe fondamentale per garantire il coordinamento dei diversi attori coinvolti.

Rimane poi al centro del dibattito la questione dei compiti di vigilanza dell’ANAC. Per scongiurare nuove operazioni di gold plating, sarebbe auspicabile che il nuovo decreto di semplificazione ridefinisse e circoscrivesse con chiarezza i compiti dell’Autorità, ad esempio limitando i suoi interventi a casi in cui il rischio di illegalità è elevato. Parallelamente, il sistema dei super Commissari andrebbe superato in quanto applicabile solo come strumento straordinario: limitandone i poteri di deroga per la fase a “monte” della gara, ad esempio, si può sburocratizzare salvaguardando al contempo la concorrenza tra imprese. 

In questo contesto andrebbero infine integrati trasversalmente i processi di trasformazione digitale, a partire dalla razionalizzazione delle normative di attuazione delle piattaforme telematiche di e-procurement, in chiave di semplificazione, trasparenza e ottimizzazione, fino alla piena implementazione di una banca dati nazionale dei contratti pubblici.

Il DL Semplificazione

In questi giorni il governo ha pubblicato in Gazzetta Ufficiale il DL Semplificazione che si occupa di semplificare una serie di procedimenti amministrativi tra cui alcune misure riguardanti gli appalti pubblici. Fino al 31 luglio 2021 viene introdotta una nuova disciplina per l’affidamento di lavori, servizi e forniture che prevede l’affidamento diretto per prestazioni di importo inferiore a 150.000 euro, mentre una procedura negoziata per importi superiori a 150.000 euro e sotto le soglie di rilevanza comunitaria (Tav. 1).[15] Per gli appalti superiori alla soglia comunitaria viene imposta la gara comunitaria, la quale però viene abbreviata (6 mesi) nei termini di aggiudicazione e sempre fino al 31 luglio 2021 potranno essere utilizzate procedure di assegnazione in deroga. In particolare, le stazioni appaltanti potranno ricorrere alla procedura negoziata con un numero ristretto di operatori qualora si tratti di lavori motivati dall’emergenza coronavirus e che interessino l’edilizia scolastica, universitaria, sanitaria e carceraria. Con l’introduzione di queste modifiche viene semplificato il processo di selezione a scapito di una minore trasparenza e di un maggior rischio di ridurre la produttività delle imprese aggiudicatarie e quindi avere un impatto negativo in fase di esecuzione dei lavori. Queste norme sospendono parti del Codice e si avvicinano maggiormente a quanto predisposto dalla direttiva europea. Il decreto introduce anche dei limiti temporali nei processi di affidamento che la pubblica amministrazione è tenuta a rispettare. Per quanto riguarda la nomina dei commissari straordinari, vengono uniformate e semplificate le procedure di nomina per le opere di maggiori complessità. Questa norma ha sollevato alcune perplessità perché rimanda ulteriormente l’accorpamento e la ricerca di maggiore efficienza delle stazioni appaltanti. Il Decreto Semplificazione interviene anche su un argomento che lo Sblocca Cantieri aveva evitato di affrontare, cioè il danno erariale. Per provare a risolvere il problema noto come “paura della firma”, ossia il mancato avvio dei lavori per paura di finire sotto inchiesta, viene previsto che la responsabilità erariale sul funzionario sia fatta valere, dal momento che firma per avviare i lavori, solo se viene accertato il dolo nella sua azione.

A una valutazione preliminare, quindi, il Decreto Semplificazione sembra essere ispirato a principi più coerenti con le direttive europee, ma presenta alcuni punti di criticità che il governo dovrà chiarire, non dimenticando, inoltre, che questo Decreto può solo essere un punto di partenza di un lungo processo di semplificazione e sburocratizzazione che l’Italia necessita da tempo.


[1] Peta, A. (2017), “Gli appalti di lavori nel nuovo codice: un’analisi gius-economica delle principali misure”, Banca d’Italia, Questioni di Economia e Finanza, n. 400/2017.

[2] Si veda la nota di Upb “Il procurement dei lavori pubblici alla luce delle recenti riforme”, Nota n. 2/maggio 2020.

[3] Il rating d’impresa non deve essere confuso con il rating di legalità, il quale è uno strumento introdotto nel 2012 per le imprese italiane, volto alla promozione e all’introduzione di principi di comportamento etico in abito aziendale.

[5] Per maggiori dettagli sul Decreto Sblocca Cantieri si veda la nota di Osservatorio CPI: https://osservatoriocpi.unicatt.it/cpi-archivio-studi-e-analisi-le-misure-dello-sblocca-cantieri.

[6] Sono stati sospesi art. 37, comma4, art. 59 comma 1, quarto periodo e art. 77 comma 3. La modifica di questi articoli ha portato rispettivamente il ritorno della concezione di stazioni appaltanti “diffuse”, la sospensione del divieto di appalto integrato e la sospensione dell’obbligo di ricorrere all’albo unico dei commissari di gara gestito dall’ANAC.

[7] Le tre principali modalità di affidamento sono:

• Affidamento diretto: la stazione appaltante può individuare con buona discrezionalità l’azienda vincitrice dell’appalto confrontando le offerte senza obbligo di rendere pubblica la gara.

• Procedura negoziata: la stazione appaltante aggiudica la gara previa negoziazione con un numero di aziende a sua discrezione (come mostrato in Tavola 1, a volte il numero di aziende minimo da coinvolgere è individuato per legge).

• Procedura aperta: obbliga la stazione appaltante a rendere pubblica la volontà di acquistare servizi e forniture o aggiudicare lavori e valutare tutte le offerte presentate. 

[9] Questa procedura viene disciplinata dall’art. 32 della direttiva europea 2014/24.

[11] Si veda “Audizione della Corte dei conti nell’ambito dell’Attività conoscitiva sull’applicazione del D.Lgs. 18 aprile 2016, n 50 di aprile 2019.

[12] Si veda “Modernising Public Procurement: The Approach of EU Member States” di Treumer e Comba.

[14] Per maggiori dettagli, si veda il documento ufficiale: https://www.cisl.it/attachments/article/11887/Lettera-UE-Infrazione.pdf.

[15] Si veda comunicato stampa della Presidenza del Consiglio dei Ministri: http://www.governo.it/it/articolo/comunicato-stampa-del-consiglio-dei-ministri-n-54/14869.

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