Come sta procedendo la riforma delle partecipate?
di Carlo Valdes e Team Tortuga
5 febbraio 2018
La Revisione Straordinaria delle Partecipate prevista dal Testo Unico sulle Società Partecipate sta generando risultati non irrilevanti in termini di riduzione nel numero delle partecipate. Tuttavia, sulla base di un’analisi campionaria dei piani presentati dagli enti territoriali, la riforma è meno sostanziale di quanto appaia a prima vista. La responsabilità è da attribuire sia alle amministrazioni locali, che spesso hanno adempiuto solo formalmente agli obblighi normativi, sia al legislatore, che ha prodotto una normativa non sufficientemente incisiva e soggetta ad ampi margini di interpretazione.
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Il 10 novembre 2017 è stato completato il processo di ricognizione straordinaria delle partecipazioni delle amministrazioni pubbliche richiesto dalla riforma della pubblica amministrazione.[1] Il recente comunicato congiunto del MEF e del Ministro per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione indica che la ricognizione straordinaria è stata realizzata dall’83 per cento dei 10.500 enti tenuti ad effettuarla.[2] In questo campione, le partecipazioni dichiarate sono state 32.504, riconducibili a 5.791 società.[3] Il comunicato fornisce informazioni però solo sulle partecipazioni dirette, un totale di 4701 partecipazioni. Di queste, 1650 sarebbero interessate da procedure di dismissione, di fusione o dismissione di partecipazioni di minoranza. Da qui l’affermazione nel comunicato congiunto: “Partecipate pubbliche: una società su tre interessata da interventi di dismissione”.
Sebbene, a una prima lettura, i risultati del comunicato appaiano positivi in termini di riduzione del numero delle partecipate, alcune puntualizzazioni sono necessarie. Occorre tener presente che la revisione straordinaria delle partecipazioni ha coinvolto solo le società in senso stretto (Società per azioni, Società a responsabilità limitata, Società cooperative e Società consortili) e, con riferimento alle partecipate indirette, la normativa ha previsto che fossero analizzate le sole partecipazioni detenute mediante una “società tramite” controllata dall’ente partecipante. Quindi, il numero di società discusse nel comunicato (5.791), derivante dalla revisione straordinaria, non corrisponde all’intero volume di partecipate italiane.[4]
Quante sono quindi le partecipate? L’ultimo rapporto ISTAT in materia indica un totale di partecipate dal settore pubblico pari a 9.655 al 31 dicembre 2015.[5]
Alla luce di questo numero, l’indicazione che una partecipata su tre sia interessata da interventi di dismissione è fuorviante. Considerato che, secondo le dichiarazioni del MEF, le operazioni di dismissione riguardano 1.650 società partecipate direttamente, allora si può affermare esclusivamente che la percentuale di partecipate dirette oggetto di dismissione sul totale delle partecipate italiane è del 17 per cento, mentre non è possibile fare alcuna stima sulle dismissioni previste per le partecipate indirette.
Occorre però anche considerare che tra le società interessate da procedure di dismissione, rientrano procedure di liquidazione già avviate prima degli ultimi interventi normativi. Si pensi che, delle 1.067 procedure di liquidazione, scioglimento o fallimento in corso nel 2015, il 33 per cento era stato avviato prima del 2011 (il 9 per cento prima del 2006). [6] Quindi anche nei risultati della ricognizione straordinaria potrebbero rientrare un insieme di società la cui procedura di liquidazione, scioglimento o fallimento ha avuto inizio prima dell’intervento del Testo Unico sulle Società Partecipate a cui si riferisce il comunicato.[7]
Per valutare più da vicino gli sviluppi della riforma, l’Osservatorio CPI, con il supporto dell’Associazione Tortuga, ha analizzato le delibere relative alle revisioni straordinarie dei Comuni di Torino, Milano, Bologna, Roma, Bari e Palermo.[8] Nel caso di Palermo è stato registrato un ritardo di oltre un mese. Era stato incluso inizialmente nel campione anche il comune di Napoli che, tuttavia, ha deliberato la revisione straordinaria solo a fine gennaio, con due mesi di ritardo, non rendendone possibile un’analisi nei tempi previsti per il completamento di questa nota.
In generale, nel campione è stato rilevato un rispetto formale della normativa, ma sono emersi due aspetti critici. Il primo è relativo alle società per cui le amministrazioni hanno deliberato il mantenimento della partecipazione: tutte le amministrazioni hanno motivato il mantenimento delle proprie partecipazioni con un richiamo formale ai criteri di ammissibilità definiti nella norma, senza discutere in modo dettagliato la reale necessità di mantenere la partecipazione ai fini istituzionali della pubblica amministrazione. A ben vedere, le ragioni di questa condotta sono da ricercare nell’art.4 del Testo Unico, che sancisce la possibilità per le amministrazioni di mantenere partecipazioni in società che producono un “servizio di interesse generale”, termine del tutto vago. A titolo di esempio, è emblematico il caso del comune di Bologna che ha deliberato il mantenimento della partecipazione indiretta in due società operanti a Hong Kong e a Parigi, entrambe attive nel restauro e digitalizzazione di materiale audiovisivo e cinematografico.[9] Dagli allegati alla delibera si apprende che la decisione di mantenimento è interamente fondata sul carattere di “interesse generale” del servizio prodotto dalle imprese.[10] È evidente che, nel rispetto di questa logica, le più svariate attività aziendali sarebbero riconducibili allo stesso criterio. Il Testo Unico, seguendo l’approccio dell’“interesse generale”, non ha innovato in modo significativo rispetto al passato nel definire il perimetro entro il quale le partecipate possono essere attive. Si noti in proposito che la relazione del Commissario per la Revisione della Spesa dell’agosto del 2014 suggeriva di elencare in modo specifico i settori in cui le amministrazioni locali potevano detenere partecipazioni. Resta quindi elevato il rischio di trovare partecipate operanti in settori in cui servizi e prodotti possono facilmente essere forniti dal settore privato.
Il secondo aspetto critico da evidenziare è relativo alle società per cui sono stati previsti interventi di razionalizzazione. A questo proposito, non sempre le modalità di attuazione vengono definite in maniera esaustiva. Questa carenza è stata rilevata sia quando le amministrazioni hanno optato per il mantenimento della partecipazione tramite contenimento dei costi, sia quando è stata decisa la dismissione della partecipazione. I due casi, per chiarezza, devono essere trattati in maniera distinta.
Con riferimento alle razionalizzazioni mediante contenimento dei costi, la Corte dei Conti, nel formulare le proprie linee di indirizzo per la revisione straordinaria delle partecipazioni, ha chiarito che le amministrazioni avrebbero dovuto indicare le modalità di attuazione, unitamente a una stima dei tempi e dei risparmi attesi.[11] A questo proposito, nessuno dei comuni del campione, ad eccezione del Comune di Torino, ha indicato con completezza i risparmi attesi. In merito alle modalità di attuazione, invece, esiste una certa eterogeneità, non solo tra comuni, ma anche tra partecipate appartenenti a uno stesso comune. In linea generale, alcune amministrazioni hanno descritto le modalità mostrando un maggior grado di dettaglio (vedi Torino, Milano e Palermo), mentre nel caso di Roma, il testo che descrive le modalità di contenimento dei costi è estremamente generico e sostanzialmente uguale per tre partecipate diverse.[12]
Nei casi di partecipazioni per le quali sia stata prevista la dismissione (tramite cessione a titolo oneroso o liquidazione), spesso non è possibile capire se e come siano state condotte le analisi riguardanti i risparmi attesi. Nella maggioranza dei casi (eccetto per alcuni esempi come la partecipazione in Alta Roma S.p.A. consortile del Comune di Roma o in Navigli Lombardi S.c.a.r.l. del comune di Milano o in CUP2000 S.c.p.A. del Comune di Bologna in cui i benefici per le casse statali sono calcolati come la riduzione certa di oneri a carico della Pubblica amministrazione), le informazioni riguardo i risparmi attesi, o sono del tutto assenti, o sono comunque carenti.[13] In alcuni casi, questa criticità potrebbe essere riconducibile all’effettiva assenza di costi a carico dell’ente con la conseguente impossibilità di generare risparmi. Nel resto dei casi, invece, un maggiore sforzo di analisi che permettesse di stimare il beneficio per le casse pubbliche derivante dall’opera di razionalizzazione sarebbe stato appropriato. Questa considerazione rimane valida anche nei casi in cui il servizio finora svolto dalla partecipata debba essere affidato a un’impresa privata: il passaggio di consegna del servizio dal pubblico al privato rende più complicata la stima dei risparmi, ma ciò non basta per giustificare una definitiva sospensione del giudizio.
A questo proposito, una recente dichiarazione del Comune di Roma sul proprio sito istituzionale indica che il piano di razionalizzazione potrebbe generare un beneficio potenziale per le casse comunali di 90 milioni di euro. Tranne per le cessioni già effettuate, non risulta chiaro come questo valore sia stato stimato.[14]
Un’ultima riflessione sulle dismissioni è relativa alle molte procedure di liquidazione in corso. Si è notato sopra come il totale delle dismissioni discusse nel comunicato congiunto possa includere molte procedure di liquidazione attive da prima dei recenti interventi normativi. L’analisi campionaria conferma tale ipotesi. A titolo di esempio, delle tre procedure di liquidazione in corso nel Comune di Bari, una sola è stata avviata nel 2016, mentre due sono iniziate rispettivamente nel 2006 e nel 2010.
L’insieme di problematiche presentate fino a questo punto riguarda le sole società oggetto della revisione straordinaria. È opportuno ricordare che oltre 3.500 partecipate sono state del tutto escluse da queste analisi. Si pensi che, delle oltre 115 partecipazioni del Comune di Roma, oltre 40 non sono state analizzate perché riferite a enti la cui forma giuridica non era oggetto della revisione straordinaria.[15]
L’esclusione dalla revisione straordinaria ha però coinvolto, per effetto di norme specifiche introdotte dal legislatore, anche molte partecipate in forma societaria. Oltre alle società quotate, sono state escluse le partecipazioni nelle società aventi per oggetto sociale prevalente la gestione di spazi fieristici e l’organizzazione di eventi fieristici, la realizzazione e la gestione di impianti di trasporto a fune per la mobilità turistico-sportiva eserciti in aree montale, nonché la produzione di energia da fonti rinnovabili.[16] Ancora, merita attenzione il singolare trattamento riservato ai casinò: l’art. 26 del TUSP stabilisce che “le amministrazioni pubbliche possono acquisire o mantenere partecipazioni nelle società che (…) risultano già costituite e autorizzate alla gestione delle case da gioco”.[17] A questo proposito può essere utile ricordare che, delle 11 società che nel bilancio 2015 registravano perdite superiori ai 15 milioni di euro, due gestivano case da gioco (Casinò di Campione S.p.A., con una perdita di oltre 32 milioni e Casino de la Vallée S.p.A., con una perdita di oltre 18 milioni).[18]
Per completare la valutazione dell’efficacia degli interventi normativi, l’Osservatorio CPI ha analizzato ciò che è accaduto alle società che nel 2015 registravano perdite d’esercizio superiori ai 10 milioni di euro. Si tratta di venti società la cui perdita complessiva ammontava a quasi mezzo miliardo di euro.[19] Nelle condotte attuate dalle pubbliche amministrazioni per riparare alle ingenti perdite in questione si è registrata una certa eterogeneità. Esistono casi positivi, come l’Ente Autonomo Volturno S.r.l., la cui perdita di esercizio di 26 milioni è stata trasformata in un utile di 30 milioni nel 2016.[20] Esistono invece casi negativi, come ATAC S.p.A., azienda per la mobilità del Comune di Roma le cui perdite sono aumentate da 79 milioni nel 2015 a 213 milioni nel 2016. In proposito, il comune ha recentemente inviato il piano di concordato alla sezione fallimentare del Tribunale di Roma. Interessante è anche il caso del Casinò di Campione, che registrava perdite di 32 milioni nel 2015, per cui non è stato possibile trovare sul web informazioni sui bilanci successivi. La Procura di Como durante le passate settimane ne ha chiesto il fallimento.
Occorre dire, proprio in riferimento alle società caratterizzate da perdite ingenti, che il legislatore non ha accolto i suggerimenti contenuti nel già citato Programma di razionalizzazione delle partecipate locali dell’agosto 2014.[21] In quel programma si prevedeva “la definizione, per le venti partecipate con perdite più elevate, di piani di rientro approvati centralmente, con possibilità di commissariamento in assenza di progressi”.
Insieme a questa, sono diverse le proposte non accolte di quel programma di quattro anni fa che, se recepite nel Testo Unico, avrebbero accelerato il percorso di riforma.
Sul lato positivo
- si sono incluse norme per eliminare le cosiddette “scatole vuote”, partecipazioni in cui il fatturato era estremamente basso o il numero dei membri del consiglio di amministrazione eccedeva quello dei dipendenti.
- sono state rafforzate le norme sulla razionalizzazione delle società in perdita strutturale.
- è stato rafforzato il ruolo della Corte dei Conti, migliorata la chiarezza normativa e sono state introdotte maggiori misure di trasparenza.
Sul lato negativo:
- come già accennato, non sono state definite con precisione le categorie di partecipazioni ammesse ma sono stati definiti criteri di ammissibilità vaghi, lasciando eccessivo spazio a interpretazioni.
- il legislatore ha escluso dalla revisione un numero troppo alto di partecipate, restringendo eccessivamente il raggio di intervento della riforma.
- non sono state previste misure di efficientamento, come l’introduzione dei costi e dei rendimenti standard, né sono state introdotte misure efficaci per aumentare le entrate e ridurre i costi nel Trasporto Pubblico Locale.
- non sono state definite misure precise sulla cessione delle micropartecipazioni, né in materia di dismissione delle partecipazioni dei piccoli comuni.
Questa nota è stata scritta con il supporto dell'Associazione Tortuga, a cui va un ringraziamento per il prezioso contributo.
[1] Art. 24, comma 1 e ss del D. lgs. 19 agosto 2016, n. 175, come integrato dal D. lgs. 16 giugno 2017, n. 100.
[2] “Partecipate pubbliche: una società su tre interessata da interventi di dismissione”, comunicato n. 189, MEF e Ministero per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione.
[3] Il numero di partecipazioni eccede in misura notevole il numero di società partecipate. Ciò è dovuto al gran numero di aziende partecipate la cui proprietà è divisa tra più enti.
[4] Il Testo Unico sulle Società Partecipate prevede anche una rilevazione annuale nella quale gli enti devono analizzare un aggregato più ampio, composto da tutte le partecipate dirette (comprese le società estere, i consorzi, le fondazioni e le associazioni, le aziende speciali, gli Enti pubblici, ecc..) e tutte le partecipate indirette di primo livello.
[5] Le partecipate pubbliche in Italia. Anno 2015. Istat, report, 23 ottobre 2017.
[6] “Patrimonio della PA. Rapporto sulle partecipazioni pubbliche (dati anno 2015), MEF – Dipartimento del Tesoro, Direzione VIII, Valorizzazione dell’attivo e del patrimonio pubblico, novembre 2017, pag. 21, figura 6.
[7] D. lgs. 19 agosto 2016, n. 175, integrato dal D. lgs. 16 giugno 2017, n. 100.
[8] Rispettivamente: Delibera 03504/2017 del Consiglio Comunale di Torino, Deliberazione n. 26 del 25/09/2017 del Consiglio Comunale di Milano, Deliberazione del 2/10/2017, N. O.d.g. 312/2017 del Consiglio Comunale di Bologna, Deliberazione n. 53 del 28/09/2017 del Consiglio Comunale di Roma, Deliberazione n. 88 del 29/09/2017 del Consiglio Comunale di Bari e Deliberazione n. 817 del 14/11/2017 del Consiglio Comunale di Palermo.
[9] Schede 04 e 03.01 allegate alla delibera, riferite alle società per cui è stato deliberato il mantenimento senza interventi di razionalizzazione. La scelta di mantenimento è motivata come segue: “Società strettamente necessaria per il perseguimento delle finalità istituzionali della Fondazione Cineteca di Bologna”, che detiene il controllo delle due società tramite L’immagine Ritrovata S.r.l., la quale produce un servizio considerato di rilevante interesse generale (ex art.117, comma 3 della Costituzione).
[10] Fuori dal campione analizzato, è notevole anche il caso di ASER Azienda Servizi Romagna S.r.l., impresa funebre partecipata indirettamente dal comune di Ravenna. Anche in questa fattispecie, il mantenimento della partecipazione è giustificato dal carattere di interesse generale del servizio prodotto (si veda Allegato A della Deliberazione n. 93 Prot. Verb. e n. 165807 Prot. Gen del 3/10/2017 del Consiglio Comunale del Comune di Ravenna, pag. 13).
[11] Deliberazione n. 19/SEZAUT/2017/INPR della Corte dei Conti (Sezione delle Autonomie), “Linee di indirizzo per la revisione straordinaria delle partecipazioni”, luglio 2017.
[12] Roma Metropolitane S.r.l., Risorse Per Roma S.p.A. e AMA S.p.A.
[13]Con riferimento alle società per cui i risparmi sono stati indicati, si vedano rispettivamente: Allegato B della Deliberazione n. 53 del 28/09/2017 del Consiglio Comunale di Roma, Allegato Sub B della Deliberazione n. 26 del 25/09/2017 del Consiglio Comunale di Milano, Scheda 11 e riepilogo delle azioni di razionalizzazione redatto conformemente alle schede ex deliberazione n. 19/SEZAUT/2017/INPR della Corte dei Conti (Sezione delle Autonomie) allegato alla deliberazione del 2/10/2017, N. O.d.g. 312/2017 del Consiglio Comunale del Comune di Bologna. Con riferimento ai casi in cui le informazioni sui risparmi attesi sono carenti, si vedano, a titolo di esempio, I.P.L.A. S.p.A. (partecipata del Comune di Torino) o Amgas S.r.l. (partecipata del Comune di Bari).
[14] https://www.comune.roma.it/pcr/it/newsview.page?contentId=NEW1726484, 20 settembre 2017.
[15] Dato dalla rilevazione 2015. Il dato è sottostimato, perché non comprende le partecipazioni indirette multiple in un’unica partecipata. In questi casi, la partecipazione risulta una sola sola, di cui l’ammontare è pari alla somma delle singole partecipazioni.
[16] Con riferimento alle società quotate, si veda l’art. 1 co. 5 del D. Lgs. 175/2016 e art. 24 del D. Lgs. 175/2016.
[17] L’esclusione delle case da gioco è stata inserita con D. lgs. 16 giugno 2017, n. 100.
[18] “Patrimonio della PA. Rapporto sulle partecipazioni pubbliche (dati anno 2015), MEF – Dipartimento del Tesoro, Direzione VIII, Valorizzazione dell’attivo e del patrimonio pubblico, novembre 2017, pag. 41, tabella 38.
[19] Valori pro quota.
[20] Bilancio d’esercizio al 31 dicembre 2016.
[21] “Programma di Razionalizzazione delle Partecipate Locali”, Commissario Straordinario per la revisione della spesa, 7 agosto 2014.