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Le università italiane nelle classifiche internazionali

17 dicembre 2021

Intermedio

Le università italiane nelle classifiche internazionali

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La presente nota fornisce una panoramica complessiva della situazione delle università italiane all’interno delle principali classifiche internazionali. A livello globale, la performance delle università italiane è modesta; il fattore che più le penalizza è lo scarso grado di internazionalizzazione di insegnanti e studenti. La situazione è migliore se si analizzano le classifiche disaggregate per area disciplinare.

La nota è stata ripresa da Repubblica in questo articolo del 18 dicembre 2021.

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Da vari anni, le classifiche internazionali delle università stanno acquisendo un peso crescente nelle scelte degli studenti e dei professori. In molti paesi, esse sono anche fra i fattori che determino le scelte di finanziamento sia dei governi che dei privati (imprese e fondazioni). 

Le classifiche più utilizzate sono:

  1. Il QS World University Ranking, compilato dall’azienda inglese Quacquarelli Symonds, specializzata nell’analisi dell’educazione universitaria;
  2. Il Times Higher Education (THE) World University Ranking, sempre britannico, dapprima in partnership con QS ma separatosi nel 2009;
  3. L’Academic Ranking of World Universities (ARWU), una classifica gestita da Shanghai Ranking Consultancy;
  4. Il Ranking Leiden, prodotto dal Centre for Science and Technology Studies all’Università di Leiden (Olanda).

Ognuna di queste classifiche presenta caratteristiche diverse, da cui ne derivano specifici punti di forza o debolezza. Ad esempio, il THE è l’unico che tiene in considerazione in modo esplicito la qualità dell’insegnamento nei criteri di valutazione; nelle valutazioni del QS un peso notevole (40%) viene attribuito alla reputazione, valutata sulla base di sondaggi con circa 130mila persone (fra cui professori, ex studenti, datori di lavoro, ecc.); l’ARWU attribuisce un peso notevole al numero di Premi Nobel riconducibili ad una data università.

Il ranking Leiden differisce dagli altri perché si propone di valutare solo la qualità della ricerca e non anche quella dell’insegnamento; inoltre, non utilizza il criterio della reputazione, ma solo quello (in linea di principio meno soggettivo) delle citazioni su riviste.[1]

La Tav. 6 in Appendice riepiloga caratteristiche, vantaggi e svantaggi dei quattro ranking in maniera più estesa.

La performance delle università italiane

La Tav. 1 riepiloga il numero di università italiane per fasce di ranking delle quattro classifiche considerate.

Nel ranking THE si trovano 51 università italiane su 1.662 analizzate; 24 si trovano nei primi 500 posti. Per trovare la prima bisogna scorrere fino alla posizione numero 172; soltanto 2 delle prime 500 sono università del Sud, a fronte delle 7 del Centro e delle 15 del Nord.

Nel ranking QS (che considera 1.300 università in tutto il mondo) la prima italiana è al 142esimo posto; le italiane sono 10 in meno rispetto al THE (41), di cui 14 nelle prime 500 posizioni. Simile è la situazione nel ranking Leiden, che considera 42 università italiane (selezionate come le migliori per “intensità della ricerca”) su un totale di 1.225 università nel mondo.  In questo ranking la prima italiana è tra le prime 100 posizioni (83esima). I risultati del ranking di Shanghai sono intermedi rispetto a quelli del THE e QS (45 italiane in totale e 19 nelle prime 500). In ogni caso, molte delle istituzioni italiane rientrano nelle fasce più basse in tutti i ranking (ovvero nella fascia 401°-500°, oppure oltre la posizione numero 500). Inoltre, la prevalente presenza di università del Centro-Nord è riscontrata in tutte le classifiche.

La Tav. 2 riassume i risultati del confronto con i dati dell’anno prima, focalizzandosi sulle università nei primi 500 posti.[2]


Questa analisi indica che vi è un livello non trascurabile di eterogeneità dei risultati tra i vari ranking. Infatti, nell’ultima versione del ranking THE, 20 delle 24 università italiane hanno migliorato o mantenuto inalterata la propria posizione rispetto all’anno prima (10 migliorate e 10 rimaste allo stesso posto). Al contrario, sia nel ranking QS che nel Leiden le università italiane che hanno peggiorato il proprio piazzamento sono molte di più (rispettivamente 9 su 14 nel QS e 11 su 15 nel Leiden).[3]

Il confronto con gli altri paesi

La Tav.3 riassume il numero di istituzioni universitarie nei primi 100 posti per paese. Gli Stati Uniti dominano tutti i ranking (circa 35 università in media), seguiti dal Regno Unito (17 nel QS e 8 nell’ARWU) o dalla Cina (26 nel Leiden). Tuttavia, moltissimi paesi (26) hanno università che si collocano nei primi 100 posti in almeno uno dei ranking. In questa classifica l’Italia si colloca agli ultimi posti, assieme al Brasile.  Con riferimento alla sola Europa, l’Italia sta sotto il Regno Unito, Germania, Olanda, Francia, Svizzera, Belgio, Danimarca e Svezia, paesi con varie università ai vertici dei ranking.


Il ranking THE mette a disposizione le classifiche anche per area disciplinare (Tav. 4). In queste, le università italiane hanno piazzamenti migliori: mentre la prima italiana è solamente 172esima a livello globale, singoli dipartimenti rientrano spesso tra i prime 100. In particolare, un’università italiana risulta 57esima nella facoltà di giurisprudenza, 68esima nelle scienze fisiche (chimica, fisica, geologia, matematica e statistica) e 80esima nelle arti e discipline umanistiche.Le università italiane per area disciplinare


Un secondo segnale positivo è dato dal numero totale di università italiane nei primi 500 posti delle classifiche per facoltà, poiché spesso si contano più delle 24 italiane classificate a livello mondiale (ad es. ingegneria con 29 università). Questo accade perché, in alcuni atenei, l’insegnamento generale non è tale da far emergere l’università nella classifica globale, magari perché quest’ultima è percepita come “nella media” quando si valutano diverse materie contemporaneamente. Tuttavia, in questi stessi atenei ci sono singoli dipartimenti di vera e propria eccellenza italiana, che si assestano in posizioni più alte nelle classifiche internazionali delle specifiche aree disciplinari.

La conferma di ciò si ha analizzando la disaggregazione per area disciplinare del ranking QS (Tav. 5).[4] La prima università al mondo per storia antica e classica è italiana, così come la quinta per arte e design. I risultati sono anche abbastanza positivi per l’area di ingegneria, con quattro facoltà tra i primi venticinque posti al mondo. Lo stesso vale per business e management (la settima al mondo è italiana), per contabilità e finanza (quattordicesima) e per economia ed econometria (diciottesima).


Cosa penalizza le università italiane

Come anticipato, le metodologie utilizzate per classificare le università seguono un razionale comune, ma con criteri di valutazione diversi (Tav. 6 in Appendice). Ad esempio, il ranking THE utilizza in totale 13 metriche di performance appartenenti a 5 aree cruciali in ambito universitario (insegnamento, ricerca, citazioni, internazionalizzazione del personale e reddito derivante dalla ricerca).[5] Il QS considera 6 variabili, ossia la reputazione accademica, quella dei datori di lavoro che assumono dalla specifica università, la proporzione professori-studenti, le citazioni e l’internazionalizzazione di studenti e professori.[6] L’ARWU utilizza il numero di studenti e professori vincitori di Premi Nobel come misura per la qualità dell’istruzione.[7] La metodologia del ranking Leiden prevede il conteggio delle pubblicazioni più citate dell'università (non del ricercatore), effettuato in maniera proporzionale in caso di collaborazioni tra ricercatori di università diverse.[8]

Focalizzandosi sui ranking THE e QS, le Fig. 1.1 e 1.2 confrontano i punteggi medi ottenuti dall’Italia e dai paesi OCSE nei vari criteri di valutazione, riepilogando anche quali sono i pesi assegnati a tali criteri (in parentesi). L’Italia risulta sotto la media OCSE in entrambe le classifiche e in quasi tutte le aree di valutazione. Fanno eccezione solo il criterio delle citazioni e quello della reputazione nel ranking QS.

L’Italia non eccelle in termini di rapporto professori-studenti (punteggio medio di 12,7 contro il 47,4 della media OCSE, in Fig. 1.2), ma risulta soprattutto penalizzata dal grado di internazionalizzazione di professori e studenti: anche se il peso assegnato a questo criterio non supera il 10 per cento in entrambi i ranking, le università italiane si assestano ben al di sotto della media OCSE. Ciò segnala due problemi ben noti: (i) le università italiane, con poche meritevoli eccezioni, sono poco disponibili ad accogliere professori non italiani, se non per brevi periodi, e (ii) non attraggono studenti stranieri.

Appendice


[1] In particolare, il ranking Leiden 2021 considera università da 69 paesi che producono almeno 800 pubblicazioni Web of Science nel periodo 2016-2019. Vedi: https://www.leidenranking.com/information/universities.

[2] Per motivi di affidabilità dei dati. I ranking aggregano spesso le università oltre la 500esima posizione in fasce ampie (senza specificare la posizione esatta della specifica università), rendendo problematico il confronto con l’anno precedente.

[3] Nell’ARWU le varie posizioni sono aggregate in fasce di ranking dopo le prime 100, rendendo non confrontabili gli aggiornamenti di posizione delle 19 università italiane presenti nei primi 500 posti.

[4] Tale suddivisione non è presente per la versione 2022 del ranking, perciò è stata usata la versione precedente.

Un articolo di

Giampaolo Galli e Giacomo Ricciardi

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