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La (buona) salute degli italiani

30 maggio 2024

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La (buona) salute degli italiani

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Si analizzano di seguito alcuni dati sullo stato di salute degli italiani. L’Italia è uno dei Paesi al mondo con l’aspettativa di vita più lunga; fra le più lunghe al mondo è anche l’aspettativa di vita in buona salute. È stata enormemente ridotta la mortalità infantile che ancora all’inizio degli anni Cinquanta mieteva piccole vittime a un ritmo simile a quello che prevale oggi nella media del continente africano. Malattie come tubercolosi, poliomielite, tetano e tutte le malattie infantili appartengono oramai al passato del nostro Paese e lasciano il posto per mortalità ad altre tipologie – non trasmissibili – come i tumori e le malattie dell’apparato cardiocircolatorio. Queste malattie mietono vittime quasi solo nella popolazione molto anziana (ultraottantenne). L’andamento del numero di decessi legato a molte di queste più “moderne” patologie dimostra come lo stato di salute di cui tutti noi godiamo oggigiorno sia un fatto molto recente. Queste malattie, così come la pandemia da Covid-19 mostrano anche come sia di fondamentale importanza continuare a investire nella ricerca scientifica e nella sanità.

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Specie a seguito della drammatica esperienza del Covid, si è diffuso in molti Paesi avanzati il timore che lo stato di salute della popolazione stia peggiorando. Si punta il dito contro la globalizzazione, che favorirebbe il diffondersi di pandemie, contro l’industrializzazione, l’uso di pesticidi in agricoltura e contro i tumultuosi processi di urbanizzazione che peggiorerebbero l’inquinamento dell’aria, delle acque e della terra. In Italia a questi fattori si aggiunge una diffusa insoddisfazione per i disservizi e le lunghe file d’attesa del Servizio Sanitario Nazionale.

In una precedente nota si è mostrato come fino a oggi questi timori siano infondati per quanto riguarda lo stato di salute della popolazione mondiale.[1] Qui mostriamo che l’Italia se la cava molto bene sia rispetto a quasi tutti gli altri Paesi sia rispetto al suo passato. Il nostro tanto deprecato Servizio Sanitario ha certamente molti problemi e meriterebbe un finanziamento maggiore, ma fino a oggi ha servito piuttosto bene la popolazione italiana.

Nell’arco di soli vent’anni l’età media della popolazione è aumentata dai 42,3 anni del 2004 agli attuali 46,6 anni.[2] La popolazione di 65 anni e oltre è pari al 24,3%, in aumento di ben 5,1 punti percentuali rispetto al 2004. Di questi, oltre la metà hanno più di 75 anni – il 12,6% della popolazione totale, con un aumento di 3,8 punti percentuali dal 2004.

A sintesi di questi dati, l’aspettativa di vita è aumentata nel 2023 fino a 83,1 anni dai 79,6 anni nel 2000.[3] Andando indietro nel tempo, all’inizio degli anni Cinquanta l’aspettativa di vita alla nascita era di circa 65 anni, più o meno come nella media dell’Africa oggi.

Rispetto agli altri Paesi avanzati, l’Italia è uno dei Paesi più longevi. Nel 2019, l’anno prima della pandemia, l’aspettativa era 83,55 anni, maggiore che in Francia (82,73), in Germania (81,56), nel Regno Unito (81,73). Solo il Giappone aveva una aspettativa di vita maggiore, sia pure di poco (84,43). Né è del tutto vero ciò che si dice spesso, ossia che la vita si allunga ma non si allunga la vita in buona salute. L’Organizzazione Mondiale della Sanità produce dei dati sull’aspettativa di vita in buona salute all’età di 60 anni, dal 2000 al 2019. In questo periodo di tempo, ossia in meno di 20 anni, questo dato è aumentato di quasi due anni in Italia, da 69,04 a 71,92. E questo dato è migliore di quello della Germania (70,89) e del Regno Unito (70,13). È simile a quello della Francia (72,08) e inferiore solo a quello del Giappone (74,09).

L’Italia ha fatto progressi enormi anche per quanto riguarda la mortalità infantile. Nel 2019, il tasso di mortalità per i bambini sotto i cinque anni di età era pari a 2,93 ogni 1.000 bambini. Il tasso di mortalità europeo per lo stesso anno era pari a 5,74, quello asiatico a 26,9, quello africano era a 70,8. L’Europa (che comprende i paesi di recente adesione) in media è indietro di 20 anni rispetto all’Italia; Asia e Africa sono indietro di 46 e 67 rispettivamente.[4] Il rovescio della medaglia è che fa una certa impressione notare che all’inizio degli anni Cinquanta la mortalità infantile era simile a quella dell’Africa oggi: ben 67 bambini su 1.000 non arrivavano al quinto anno di età.

Ulteriori importanti informazioni emergono dal dataset dell’OMS che offre una disaggregazione dei dati per età e per diversi Paesi del mondo, tra cui l’Italia.[5]

Principali cause di morte

La Fig. 1 mostra la percentuale dei morti per ciascuna fascia d’età rispetto al totale dei morti dell’anno in esame.[6] Per esempio, nel 1951 il numero di decessi dei neonati sotto il primo anno di vita è stato pari a 57.348; il numero di decessi totale (considerando cioè tutte le fasce d’età) è stato pari invece a 481.911. Di conseguenza, il 12% circa delle morti complessivi dell’anno in esame è da attribuirsi al numero di decessi rientrante nella fascia dei neonati. Come emerge dalla Figura, la percentuale dei decessi dei neonati sul totale in Italia è diminuita enormemente negli anni: questo valore è sceso da 12% nel 1951 a 1,1% nel 1985 e a 0,2% del 2019, il che segnala gli enormi progressi nella qualità delle cure materno-infantili, oltre che delle condizioni igienico-sanitarie.

Confrontando la percentuale delle morti fra il 1951 e il 2019 si nota poi come la mortalità sia diminuita per tutte le fasce d’età considerate, con la sola (ovvia) eccezione della fascia degli ultra ottantenni. Per la fascia d’età compresa fra i 75 e i 79 anni la percentuale dei morti sul totale è diminuita dal 13,5% del 1951 all’11,4% del 2019. Per gli ultra ottantenni, la percentuale sale al 64,4%. In altre parole, circa due terzi degli italiani supera gli ottanta anni di età.

Oltre al totale dei decessi, il database dell’OMS riporta il numero di morti per molte delle malattie che ancora oggi affliggono i vari Paesi nel mondo. Le figure che seguono rappresentano il numero di decessi in Italia per 100.000 abitanti per le quattro macrocategorie presenti nel database OMS: malattie trasmissibili o connesse a condizione materne, perinatali o malnutrizione (Fig. 2), malattie non trasmissibili (Fig. 3) e lesioni (Fig. 4).[7]

La prima macrocategoria include i dati per malattie come l’HIV, la meningite, la malaria, l’epatite B e C, la lebbra e il Covid-19. Fra il 1951 e il 2019 il numero di morti totale (cioè senza distinzione di età) di questa macrocategoria è diminuito, in valori assoluti, di quasi 80 mila unità; rapportando il numero di decessi per 100.000 abitanti, la mortalità è diminuita di 185 casi. Per quanto riguarda questo ultimo indicatore, la diminuzione maggiore si registra nella fascia di età dei neonati (con una diminuzione di quasi seimila decessi) e per gli ultra ottantenni (-1.107 decessi per la fascia 80-84 anni e -1.382 decessi per gli ultra ottantacinquenni).

La seconda macrocategoria include i dati per decessi attribuibili a malattie “non trasmissibili” direttamente da individuo a individuo, come tumori o malattie cardiovascolari. Il numero di morti totale attribuibile a queste cause di morte è aumentato negli anni: il numero di morti per 100.000 abitanti è aumentato dai 644 del 1951, a 850 nel 1985 fino ai 944 del 2019. Tuttavia, per tutte le fasce di età la mortalità è in diminuzione. Il motivo è che oggi il 64% dei decessi per queste cause riguarda persone con più di 80 anni, mentre nel 1951 era solo il 18% e oggi gli ultraottantenni sono una classe molto numerosa. Il progresso è sensibile anche rispetto al 1985; la probabilità di morte rispetto ad allora è scesa in tutte le classi di età ed addirittura diminuita del 5% negli ultraottantenni.

La terza macrocategoria include i dati per decessi relativi a lesioni intenzionali (atti violenti e deliberati), non intenzionali (per esempio incidenti stradali o disastri naturali) e altri incidenti che possono rientrare in questo gruppo. Il dato aggregato segnala un aumento in termini assoluti (+4.823 decessi nel 2019 rispetto al 1951), ma una piccola riduzione del rapporto su 100.000 abitanti (pari a un decesso). Distinguendo la popolazione per età, fra il 1951 e il 2019 tutte le fasce registrano una diminuzione in rapporto alla popolazione a eccezione della fascia degli ultra-ottantacinquenni (+189 decessi), il che suggerisce che oggi la gran parte degli “incidenti” riguardano persone anziane, verosimilmente in condizioni di salute precarie.

Tubercolosi, meningite e HIV

All’interno del primo macro-cluster l’OMS include alcune malattie infettive che in passato hanno segnato le popolazioni di tutto il mondo. Le seguenti figure rappresentano l’andamento della mortalità di alcune di queste malattie, quali tubercolosi (Fig. 5), meningite (Fig. 6) e HIV-AIDS (Fig. 7).

Come emerge dalle Figg. 5 e 6, i tassi di mortalità legati sia alla tubercolosi (malattia che mieteva quasi 20 mila vittime all’anno) sia alla meningite (malattia che uccideva 334 neonati all’anno) sono stata praticamente azzerati.

La Fig. 7 mostra come è stata sconfitta la seconda grande epidemia degli ultimi decenni: l’HIV. Il numero di morti è diminuito dal picco di 4.821 nel 1995, a 1.022 nel 2007 fino a 394 nel 2019. Il numero di morti per 100.000 abitanti è passato così da 8,5 del 1995, a 1,7 nel 2007 a 0,66 nel 2019.

Malattie infantili

All’interno della prima macroarea, l’OMS fa rientrare anche il gruppo di malattie infettive infantili comprendente pertosse, poliomielite, difterite, morbillo e tetano (Fig. 8).

Come emerge dalla Fig. 8, la mortalità legata a queste malattie è scesa drasticamente negli ultimi decenni, principalmente grazie alla diffusione delle vaccinazioni pediatriche. A livello aggregato, siamo passati dai 6 morti ogni 100.000 abitanti del 1951, a 0,2 nel 1985 a 0,16 morti del 2019. La riduzione più consistente si registra, ovviamente, nelle prime fasce d’età: la fascia dei neonati passa infatti dai 75 morti ogni 100.000 abitanti del 1951, a 0,5 nel 1985 fino a 0,24 morti del 2019. La fascia di età da 1-4 anni passa invece dai 30 morti registrati nel 1951, a 0,08 decessi nel 1985 a zero decessi del 2019; zero morti si registrano anche per tutte le altre fasce d’età dai 5 ai 44 anni d’età.

È interessante notare come negli anni la mortalità legate a queste malattie sia passata dalle generazioni più giovani a quelle più anziane: nel 2019 la fascia che ha registrato più decessi è quella degli ultra-ottantacinquenni (28 morti totali), seguita dalla fascia di 75-79 anni e di quella per gli 80-84 anni (entrambi 17 morti); solo un decesso si è registrato per le fasce più giovani (in particolare, nella fascia dei neonati). Completamente opposta era invece la situazione nel 1951: 617 erano i morti nella fascia dei neonati, 1.049 nella fascia d’età fra 1 e 4 anni e 227 fra i 5 e i 9 anni; solo 7 erano invece i morti della fascia 80-84 anni, mentre solo 4 sono stati i morti nella fascia degli ultra-ottantacinquenni. Il cambiamento della mortalità per fascia d’età e l’azzeramento del numero di morti nelle fasce giovanili è un segno evidente dell’efficacia dei vaccini.

Malattie respiratorie trasmissibili

Le malattie respiratorie trasmissibili rappresentano una significativa preoccupazione per la salute pubblica a livello globale. Secondo l’OMS, queste malattie includono infezioni come l’influenza, la SARS, il Covid e la polmonite, che possono diffondersi facilmente attraverso il contatto diretto o l’aria. La mortalità associata a queste malattie può variare notevolmente in base a diversi fattori, tra cui l’età, le condizioni di vita e l’accesso ai servizi sanitari.

Secondo una percezione molto comune queste malattie stanno aumentando per via dell’inquinamento, a sua volta dovuto all’industrializzazione, all’urbanizzazione, alla globalizzazione e all’uso di agenti chimici in agricoltura. I dati dicono altro (Fig. 9). I tassi di mortalità sono diminuiti drasticamente: da 78 decessi per 100.000 abitanti nel 1951 si è scesi a 27 nel 2019. Nel 1951 la mortalità era concentrata nei bambini e negli anziani. Fra il 1951 e il 2019 il tasso di mortalità è crollato da 1.151 ogni 100.000 bambini sotto l’anno di età a 3,4. E da 1.994 ogni 100.000 abitanti a 483 per gli ultra ottantacinquenni. Rimane che le malattie respiratorie colpiscono oggi soprattutto gli anziani ultra 85enni, che rappresentano il 65% di questa causa di morte.

Malattie cardiovascolari

Le malattie cardiovascolari comprendono una vasta gamma di condizioni che colpiscono il cuore e i vasi sanguigni, tra cui la cardiopatia ischemica, l’ictus e l’insufficienza cardiaca. I fattori di rischio principali includono ipertensione, diabete, fumo, obesità e uno stile di vita sedentario.

Come noto questa è una delle cause di morte più frequenti nei Paesi avanzati. Infatti, i tassi di mortalità complessivi non sono diminuiti nel corso del tempo: erano 369 decessi ogni 100.000 abitanti nel 1951 e sono rimasti a 363 nel 2019. Ciò che è drasticamente cambiata è l’età a cui si muore per queste malattie. Nel 1951 oltre i due terzi dei decessi avvenivano prima degli 80 anni. Nel 2019 oltre due terzi avvengono dopo gli 80 anni. Ciò non significa che oggi un ultraottantenne abbia un maggiore probabilità di morire per queste malattie. Infatti la categoria degli ultra ottantacinquenni è enormemente cresciuta e quindi in proporzione alla popolazione la probabilità di morte si è quasi dimezzata, da 10.046 ogni 100.000 abitanti a 5.921.

Guardando la Fig. 10, colpisce anche in questo caso il crollo di decessi che si è avuto non solo dal 1951, ma anche dal 1985.

Tumori maligni

I tumori maligni, secondo l’OMS, rappresentano un grave problema di salute pubblica in tutto il mondo. Nel corso del tempo, sono stati osservati cambiamenti significativi nei tassi di mortalità per tumori maligni, evidenziando sia i progressi nella prevenzione e nella cura, sia le sfide emergenti legate allo stile di vita e all’ambiente.

In Italia, la mortalità per tumori maligni è salita da 113,5 per 100.000 abitanti nel 1951 a 234 nel 1984 e poi ancora a 285 nel 2019. Sconfitte quasi tutte le altre malattie, i tumori assumono un peso che non hanno mai avuto in precedenza. Ma anche in questo caso è importante notare che i tumori oggi colpiscono quasi solo persone in età avanzata. I decessi per tumori sopra i 70 anni sono oggi il 72% del totale, mentre nel 1951 erano il 34%. I progressi della medicina ci consentono di vivere anche molti anni controllando la diffusione del tumore. Peraltro, come si vede dalla Fig. 11, la probabilità di morire di tumore oggi supera il dato del 1951 solo per le classi di età superiori a 75 anni. Il progresso è molto sensibile anche rispetto al 1985, anno nel quale la probabilità di morire di tumore superava il dato del 1951 già all’età di 50 anni.


[1] Si veda la nostra precedente nota: “Salute della popolazione, i trend globali”, 17 maggio 2024.

[2] Si vedano i dati Istat al seguente link.

[3] Si veda il seguente link.

[4] I dati sulla mortalità infantile vengono dal dataset di Gapminder.

[5] Il database dell’OMS è disponibile al seguente link.

[6] Per poter rappresentare al meglio l’andamento storico della percentuale dei decessi, la Fig. 1 mostra i dati relativi a tre anni: 1951, 1985 e 2019. I valori del primo anno si riferiscono all’asse verticale sinistro; i valori del secondo e terzo anno, invece, si riferiscono all’asse verticale destro. È stato scelto questo formato per poter rappresentare al meglio dal punto di vista grafico i dati di tutte le serie e di tutte le fasce d’età in esame.

[7] Nel database OMS è presente anche una categoria residuale (‘ill-defined diseases’) in cui rientrano tutte le altre cause di morte non riconducibili all’interno delle quattro macro-categorie citate. Confrontando i dati dal 1951 al 2019 il numero di decessi per 100.000 abitanti è diminuito per tutte le fasce d’età in esame. Stupisce in particolare il dato degli ultra-ottantenni: rispetto al 1951 il numero di decessi è diminuito di tremila unità per la fascia d’età compresa tra gli 80 e 84 anni e di ottomila unità per chi ha più di ottantacinque anni.

Un articolo di

Rossana Arcano, Alessio Capacci, Giampaolo Galli

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