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Perché il Covid-19 non è uguale per tutti

27 aprile 2021

Perché il Covid-19 non è uguale per tutti

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LaVoce.info, 27 aprile 2021

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Cosa spiega le differenze tra paesi

Il virus ha colpito diversi paesi in modo differente. Anche guardando ai soli stati cosiddetti “avanzati”, le differenze nel 2020 nel numero dei decessi sono enormi. Si passa dai valori minimi di Nuova Zelanda e Corea del Sud (rispettivamente 1 e 2 decessi ogni 100 mila abitanti) al valore massimo del Belgio (171 decessi; figura 1).

Se si considera la figura 1, si nota subito che i paesi asiatici, seppur geograficamente prossimi all’epicentro della pandemia, hanno registrato un numero di decessi piuttosto contenuto. La ragione potrebbe risiedere nelle differenti abitudini culturali caratterizzate da contatti fisici meno diffusi e dall’uso comune di strumenti di protezione, quali le mascherine, anche prima della pandemia.

Per quanto riguarda gli altri paesi, la risposta è meno immediata. Vari lavori hanno analizzato, attraverso modelli statistici, i fattori che spiegano il diverso grado di severità della pandemia Covid-19 tra aree geografiche riportando evidenze piuttosto miste. Senza pretese di esaustività, abbiamo rivisitato la questione attraverso un modello econometrico che analizza il numero medio giornaliero dei decessi nel 2020 rapportati alla popolazione per i 31 paesi Ocse avanzati (la versione integrale del lavoro è disponibile a questo link). Il nostro è il primo lavoro che copre l’intero 2020, evitando quindi di dover spiegare differenze relative alla diversa stagionalità tra paesi. Abbiamo trovato che tre fattori sono rilevanti (per i motivi spiegati, il modello contiene anche una variabile dummy per i paesi asiatici).

Il primo fattore è la composizione demografica della popolazione: paesi con una popolazione più anziana hanno avuto più decessi. Che la popolazione anziana sia più vulnerabile al virus non è di certo un risultato sorprendente: in Italia il 95 per cento dei decessi per Covid riguarda persone over 60, e anche negli altri paesi del campione considerato la percentuale di morti over 60 rappresenta la quasi totalità. Secondo uno studio della World Bank (2020) il tasso di mortalità per la fascia di età 70-79 anni è 12,6 volte quello della fascia 50-59 nei paesi ad alto reddito. Il rapporto tende però a diminuire nei paesi a più basso reddito, attestandosi a 3,6.

Il secondo fattore che spiega le diversità nel numero dei decessi è il livello di inquinamento dei paesi, in linea con quanto già rilevato da altri lavori (Becchetti et al. 2020Cole et al. 2020 e Austin et al. 2020). In particolare, più alto è l’eccesso di polveri sottili (nella forma di PM2.5, ovvero quelle di dimensioni minori) rispetto alle norme fissate dalla Organizzazione mondiale della sanità, più alto è il numero di decessi. Questo legame statistico può essere dovuto al fatto che le polveri sottili creano precondizioni per un decorso grave della malattia arrecando due tipologie di danni ai polmoni: lo stress ossidativo, ovvero produzione di radicali liberi che danneggiano i tessuti, e l’aumento delle infiammazioni dovuto all’attivazione della risposta immunitaria (vedi Comunian et al. 2020).

l terzo fattore è l’ordine in cui i vari paesi sono stati colpiti: quelli che sono stati colpiti per primi hanno avuto più decessi anche in termini di mortalità media giornaliera. Questo può essere spiegato col fatto che paesi colpiti successivamente hanno beneficiato dell’esperienza acquisita nel tempo dall’osservazione dei paesi colpiti per primi e siano quindi riusciti a gestire meglio la pandemia attraverso un aumento della capacità diagnostica e curativa. Ci si potrebbe chiedere se un più elevato livello della spesa sanitaria precedente alla pandemia abbia costituito un vantaggio. In realtà, sia nel nostro studio sia nei lavori precedenti non c’è evidenza di un nesso tra gravità della pandemia e risorse a disposizione della sanità. La relazione bivariata tra numero dei decessi e spesa sanitaria appare irrilevante (figura 2) ed è confermata dalle stime econometriche. Questo non vuol dire che l’aumento della spesa sanitaria non sia una priorità, ma l’assenza di efficacia di quella passata nel proteggere dal Covid suggerisce che, anche nei paesi dove è più elevata, non sia stata adeguatamente mirata a ridurre gli effetti di una possibile pandemia, che infatti ha colto tutti di sorpresa. I paesi avanzati, forse a differenza di quelli meno sviluppati, negli anni scorsi non avrebbero investito risorse nei settori sanitari che potevano offrire un vantaggio nella lotta contro le malattie infettive, destinando invece più risorse al contrasto di malattie più comuni (tumori, disturbi cardiocircolatori, diabete).

Quali paesi hanno gestito meglio la pandemia?

Risulta complesso effettuare una valutazione dell’impatto delle politiche restrittive sul contenimento dei decessi. Secondo la nostra analisi, per Nuova Zelanda, Australia e Germania si osservano molti meno morti rispetto a quanto previsto dal modello. Un numero più elevato di decessi si vede invece per paesi come Stati Uniti, Svezia e Regno Unito. Il risultato potrebbe riflettere il fatto che questi paesi hanno tardato nell’applicazione delle misure restrittive ed erano guidati da leader che hanno inizialmente negato la gravità del problema.
Che giudizio dare dell’Italia? Il nostro paese ha purtroppo registrato un numero molto elevato di decessi (figura 1), ma ciò sembrerebbe spiegato dalla struttura demografica sfavorevole, dall’elevato inquinamento e dal fatto di essere stato uno dei primi paesi colpiti. D’altra parte, il numero di decessi è stato inferiore rispetto a quello previsto sulla base dei tre fattori. Questo suggerisce che il nostro paese abbia gestito relativamente bene la crisi, pur con tutte le criticità che si sono manifestate.

Un articolo di

Carlo Cottarelli

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