Europa

Il bilancio europeo e le politiche dell’Unione

27 febbraio 2024

Intermedio

Il bilancio europeo e le politiche dell’Unione

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L’interesse degli osservatori per le imminenti elezioni europee è concentrato soprattutto sul loro ruolo come test del consenso relativo dei vari partiti e raggruppamenti in ambito nazionale. Si tratta di un errore, perché i risultati delle elezioni europee saranno determinanti per le future scelte dell’Unione, comprese quelle relative alle risorse da assegnare al bilancio europeo e alla loro allocazione tra i diversi ambiti di spesa. Sebbene le decisioni sul bilancio europeo a lungo termine restino una prerogativa degli Stati membri, è il Parlamento europeo che le approva e che co-determina le spese annuali. Nonostante la recente introduzione del NGEU, le dimensioni del bilancio europeo, poco superiori all’1 per cento del reddito complessivo europeo, restano ancora troppo limitate per le ambizioni dichiarate dall’UE in ambito energetico, industriale e digitale. Ma l’augurabile ampliamento delle sue dimensioni dipenderà anche dagli equilibri politici che si formeranno nel nuovo PE. Nell’ultimo decennio, il bilancio europeo ha privilegiato soprattutto le spese per la coesione e per le due transizioni (energetica e digitale); la spesa per l’agricoltura, sebbene stabile in termini nominali, si è ridotta in rapporto al totale. Ma le recenti tensioni del mondo agricolo non dipendono tanto da una scarsità di risorse, quanto piuttosto da decisioni prese a livello europeo sul piano commerciale e ambientale.

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Le elezioni europee si stanno avvicinando e il mondo politico è già in piena fase preelettorale, con annunci, posizionamenti e scelte politiche tese a massimizzare il consenso in vista dell’appuntamento di giugno. Ma nel dibattito italiano, complice anche il fatto che si vota con un sistema proporzionale, le elezioni europee vengono viste più come un modo per testare il consenso relativo dei vari partiti e schieramenti sul piano interno piuttosto che per le sue implicazioni in termini delle scelte future dell’Unione europea. Si tratta di un errore, perché l’UE si trova di fronte a scelte radicali, anche a causa del mutato scenario geopolitico, e chi sarà eletto al Parlamento europeo avrà un ruolo fondamentale nel determinare la definizione delle future politiche europee. Il nuovo Parlamento contribuirà anche a influenzare la dimensione e l’allocazione delle risorse a disposizione del bilancio europeo, un altro tema fondamentale per il futuro dell’UE. È utile dunque fare il punto.

Il bilancio pluriannuale europeo: chi decide

Le decisioni fondamentali sulle allocazioni di spesa del bilancio europeo vengono prese con l’approvazione del Quadro Finanziario Pluriennale (QFP), di durata quinquennale o settennale, sulla base di una proposta presentata inizialmente dalla Commissione e poi discussa (e generalmente rivista molto al ribasso) da parte del Consiglio europeo, l’organismo composto dai capi di governo dei Paesi europei. L’approvazione del QFP richiede l’unanimità da parte del Consiglio, che definisce anche le macrocategorie in cui le risorse devono essere spese e gli importi massimi di spesa consentiti in ogni anno.

A differenza dei Parlamenti nazionali, quello europeo non decide dunque sulle dimensioni del bilancio complessivo o sulla sua articolazione. La ragione è che l’UE non è (perlomeno non ancora) una vera e propria federazione, e di conseguenza non dispone di risorse tributarie proprie su cui esercitare la propria autonomia tributaria.[1] Le cosiddette “risorse proprie” (sostanzialmente tariffe) coprono solo poco più del 10 per cento del bilancio europeo;[2] il resto, in varie forme,[3] deriva da trasferimenti da parte degli Stati nazionali.[4] Comprensibilmente, i Paesi cercano di mantenere il controllo su quando e come vengono spese le risorse provenienti dai propri bilanci. È importante, tuttavia, notare che il Parlamento europeo non è un soggetto del tutto passivo nel processo. A partire dal Trattato di Lisbona del 2009, sebbene il Parlamento non abbia la possibilità di emendare il QFP approvato dal Consiglio, deve approvarlo a sua volta perché questo entri in vigore. In più di un’occasione, questo potere residuo del Parlamento è stato determinante nel mantenere inalterate le risorse attribuite al bilancio comune.

Il bilancio pluriannuale: i numeri

Una novità importante del QFP per il 2021-2027 rispetto agli anni precedenti è rappresentata dall’ampia quota delle spese finanziata con debito europeo, a seguito della decisione assunta dal Consiglio nel 2020 di lanciare il Next Generation EU (NGEU) per finanziare la ripresa post-pandemica.[5] In particolare, agli oltre 1.200 miliardi di euro stanziati per il bilancio di lungo termine nel 2021-2027, si sono aggiunti gli oltre 800 miliardi del NGEU, sebbene circa la metà di questi ultimi fondi non costituiscano “vera” spesa europea ma prestiti agevolati ai Paesi, che dovranno essere poi restituiti direttamente dai beneficiari. La Fig. 1 riporta l’evoluzione della dimensione del bilancio europeo, cioè il tetto massimo di spesa consentita all’Unione[6] dai vari QFP approvati negli ultimi decenni, distinguendo per gli ultimi due anni in cui sono disponibili i dati la parte di spesa finanziata con i meccanismi tradizionali da quella supportata dal debito comune.

Si osserva che il bilancio europeo, oltre a essere di dimensioni molto limitate, si è andato riducendo nel corso del tempo, dall’1,2 per cento del reddito complessivo dell’Unione del 1993-1999 all’1 per cento del 2014-2020. Nel periodo di programmazione 2021-2027, nei due anni per cui le informazioni sono attualmente disponibili, c’è stata invece una ripresa. Tuttavia, come si osserva dalla figura, tale ripresa è esclusivamente dovuta al NGEU, il cui impatto è oltretutto sottostimato dai dati, visto che in molti Paesi la spesa finanziata con il NGEU si concentrerà alla fine del periodo di programmazione. Questo crea un problema perché, come discusso altrove,[7] non è chiaro al momento se nel futuro QFP (2028-2035) il NGEU verrà rifinanziato, sostituito da qualche altro fondo dedicato o semplicemente eliminato, rimborsando via via i prestiti in scadenza rimasti a carico del bilancio europeo. Le dimensioni limitate del bilancio europeo sono in chiaro contrasto con le ambizioni dichiarate dell’Unione in campo digitale, industriale e climatico,[8] anche se va ricordato che la spesa europea si aggiunge a quella, ben più elevata, finanziata dai bilanci nazionali.

Il quadro finanziario per il 2021-2027 stanzia i fondi secondo sette grandi macrocategorie di spesa:[9] mercato unico, innovazione e agenda digitale; coesione, resilienza e valori; risorse naturali e ambiente; migrazione e gestione delle frontiere; sicurezza e difesa; vicinato e resto del mondo; amministrazione pubblica europea; strumenti speciali. Le macrocategorie si articolano al proprio interno nei diversi programmi di spesa, quali, per esempio, la promozione dell’innovazione attraverso investimenti nella ricerca e sviluppo (programmi come Horizon Europe), i finanziamenti per l’agricoltura e lo sviluppo rurale attraverso la Politica Agricola Comune (PAC) e gli investimenti per la promozione della coesione regionale e lo sviluppo, attraverso i Fondi strutturali. La Fig. 2 riporta l’allocazione della spesa nelle diverse categorie come decisa al momento della programmazione di bilancio nel 2020, anche qui tenendo conto della parte finanziata dal NGEU in ciascun comparto di spesa.[10] Si osserva che i due programmi “coesione sociale” (in larga misura i fondi strutturali e di coesione) e “risorse naturali” (in larga misura fondi per l’agricoltura; si veda più avanti) coprono circa il 75 per cento della spesa finanziata con le risorse usuali, mentre la grande maggioranza dei fondi NGEU si concentra nella macrocategoria “coesione”, con solo pochi stanziamenti destinati al mercato unico e alle risorse naturali.

Come si è modificato il bilancio europeo nel corso del tempo?

Rispondere alla domanda non è semplice perché la Commissione, da periodo di programmazione a periodo di programmazione, ha la brutta abitudine di raggruppare i diversi programmi di spesa in categorie diverse, cambiandone anche il nome, per cui non è agevole ricostruire come l’allocazione della spesa tra le diverse categorie si sia modificata nel corso del tempo. Per avere una qualche idea, la Fig. 3 riporta le stime effettuate dalla stessa Commissione nel 2018, ai tempi della discussione per la preparazione del QFP per il 2021-2027. Si osserva che la quota di spesa del bilancio europeo a sostegno dell’agricoltura (la PAC), che nel 1988-1993 raggiungeva quasi il 60 per cento del totale, si è andata progressivamente riducendo a favore di altri programmi, in particolare le spese per coesione e sviluppo. Nel periodo 2014-2020 queste due componenti hanno raggiunto quasi lo stesso livello, attorno al 40 per cento ciascuna del totale di spesa.[11] Anche nel periodo 2021-2027 queste due macrocategorie hanno assorbito la maggior parte delle risorse, sebbene un’attenzione maggiore sia stata dedicata nell’ultimo periodo agli impegni di spesa per la transizione ecologica (investimenti in energie rinnovabili e promozione dell’efficientamento energetico) e quella digitale.

Il bilancio annuale dell’Unione

L’approvazione del QFP non conclude comunque l’iter necessario per l’utilizzo delle risorse del bilancio europeo. Quante risorse vengano spese ogni anno e come sono finanziate viene deciso a seguito dell’approvazione del bilancio annuale, che articola la spesa annuale all’interno dei parametri e dei limiti imposti dal QFP. In questo contesto, il Parlamento europeo svolge un ruolo più rilevante.[12]

La procedura è la seguente. Si inizia con una proposta presentata dalla Commissione europea entro il primo giorno di settembre. La proposta viene rivista, emendata e infine approvata entro il primo di ottobre dal Consiglio dell’Unione europea.[13] A questo punto passa al Parlamento, il quale ha a disposizione quarantadue giorni per approvare il progetto di bilancio così come presentato, oppure emendarlo. Nel caso, usuale, in cui il Parlamento introduca degli emendamenti, il testo così emendato viene trasmesso al Consiglio, che di nuovo può o accettarlo così com’è o respingerlo. In quest’ultimo caso, il presidente del Parlamento convoca il Comitato di conciliazione, composto in egual misura da rappresentanti del Parlamento e del Consiglio, che elabora (entro tre settimane) un progetto condiviso che deve essere poi approvato nuovamente da Consiglio e Parlamento. Una volta approvato definitivamente, l’esecuzione del bilancio spetta alla Commissione e agli Stati membri.[14]

Il bilancio UE è espresso in termini di impegni e pagamenti. I primi rappresentano gli impegni giuridici presi in favore delle varie categorie di spesa in un anno determinato; i secondi sono gli effettivi esborsi in quell’anno derivanti dagli impegni giuridici assunti nello stesso anno o negli anni passati. La Tav. 1 riporta la suddivisione per settori e l’ammontare degli impegni e pagamenti per il 2024.[15]

La mid-term review

Il complesso meccanismo di determinazione del bilancio europeo pluriannuale riassunto in precedenza presenta due ovvi difetti: la lunga durata del periodo di programmazione e la rigidità delle macrocategorie di spesa che consentono solo variazioni molto limitate nell’esecuzione del bilancio. Entrambi questi difetti sono una conseguenza della necessità di trovare un accordo che soddisfi gli interessi di tutti i Paesi membri, un processo che normalmente richiede mesi se non anni di contrattazione serrata.[16] Ma naturalmente nei sette anni che intercorrono tra l’approvazione di un QFP e quello successivo molte cose possono succedere, nuove sfide e nuove priorità possono emergere, a cui per forza di cose il QFP iniziale non è in grado di rispondere. L’approvazione del bilancio annuale introduce qualche flessibilità, ma limitata, poiché questo può discostarsi dalla programmazione iniziale solo marginalmente e non può comunque impegnare più risorse di quanto deciso inizialmente. Per queste ragioni, nel contesto europeo, ha assunto particolare rilievo la revisione di medio termine del bilancio pluriannuale, la quale può almeno in linea di principio riallocare le risorse tra le varie macrocategorie di spesa e, se necessario, anche richiedere ulteriori risorse ai Paesi.

Per esempio, il pacchetto proposto a giugno 2023 dalla Commissione prevedeva la creazione di un sistema di trasferimenti e sostegni all’Ucraina, l’istituzione di una piattaforma per le tecnologie strategiche per l’Europa (STEP) volta a sviluppare e promuovere la competitività di lungo termine in ambito di tecnologia e innovazione digitale e un meccanismo per coprire i costi addizionali di finanziamento del debito NGEU, dovuto a tassi di interesse più elevati di quanto inizialmente preventivato.[17] La proposta della Commissione implicava una revisione del bilancio per i restanti tre anni di circa 99 miliardi, di cui 66 sotto forma di maggiori contributi da parte dei Paesi membri e il resto come riallocazione dei fondi già stanziati. Il compromesso raggiunto a febbraio del 2024 è stato molto al ribasso, con una revisione dell’attribuzione dei fondi per circa 65 miliardi di euro di cui solo 21 costituiti da nuove risorse attribuite dai Paesi (Tav. 2). In pratica, l’unica voce proposta dalla Commissione che non ha subito modifiche nell’arco della discussione è stata quella dei fondi all’Ucraina, 50 miliardi (17 in sovvenzioni e 33 in prestiti), sbloccati dopo una dura contrattazione con l’Ungheria di Orbán.

L’agricoltura nel bilancio UE

La recente protesta dei trattori ha messo in evidenza le difficoltà economiche del mondo agricolo. Può dunque essere utile un breve excursus sul ruolo che il settore gioca nell’ambito del bilancio europeo. Come già osservato, le spese per l’agricoltura hanno sempre assunto un ruolo rilevante, dovendo rispondere a molteplici obiettivi, dalla garanzia per i cittadini europei di poter accedere a prodotti alimentari di alta qualità al sostegno al reddito degli agricoltori, fino all’impegno a contrastare i cambiamenti climatici e al mantenimento di comunità rurali attive. A partire dal 1962 e fino al 2007 la Politica Agricola Comune è stata implementata attraverso un fondo appositamente dedicato, il Fondo europeo di orientamento e garanzia agricola (FEOGA). Con l’approvazione del QFP per il 2007-2014, il FEOGA è stato sostituito da due altri Fondi, il Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA) che fornisce sostegno diretto agli agricoltori e finanzia misure di sostegno del mercato e il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR). Nel bilancio europeo, fino al 2006 la spesa per l’agricoltura veniva indicata come una voce a sé stante, mentre dal 2007 viene inserita all’interno di voci riguardanti la conservazione delle risorse naturali, distinguendo i fondi per il mercato agricolo e quelli per lo sviluppo rurale.

Per calcolare la quota di spesa del bilancio europeo dedicata all’agricoltura nel corso degli ultimi venti anni si è dunque riportata la voce “Agricoltura” dal 2000 al 2006, dal 2007 sommando alla voce “Mercato agricolo” quella di “Sviluppo rurale” e dal 2014 sommando il fondo FEAGA e il fondo FEARS. Il risultato dell’elaborazione è riportato nella Fig. 4. Si osserva che la spesa per l’agricoltura, dopo una forte crescita negli anni dal 2000 al 2010, è rimasta sostanzialmente costante in termini nominali nel decennio successivo, assestandosi attorno ai 57-59 miliardi di euro. Naturalmente, poiché il bilancio europeo è nel frattempo cresciuto in termini nominali, la quota della spesa per l’agricoltura sul totale si è contratta, passando dal 50 per cento dei primi anni Duemila a poco più del 30 per cento negli anni Venti (Fig. 5). E poiché il NGEU dedica poche risorse a progetti nel campo agricolo, la quota della spesa per l’agricoltura sul totale del bilancio europeo, comprensivo anche del NGEU, si è ridotta ulteriormente, attestandosi attorno al 23 per cento nel 2021-2022 (ultimo anno disponibile).

Comunque, è dubbio che i problemi del settore agricolo, sfociati nelle tensioni dei giorni scorsi, siano dovuti a un’insufficiente allocazione di risorse europee al settore. Tralasciando le specificità nazionali, questi riguardano soprattutto altri aspetti delle politiche europee, come gli accordi commerciali, che non si limitano all’imposizione o alla rimozione di dazi, ma concernono anche l’autorizzazione di vendita di determinati prodotti nei confini UE. La politica commerciale europea in campo agricolo ha sempre avuto come obiettivo fondamentale la protezione della filiera dei prodotti tradizionali europei, ma decisioni recenti, quali la proroga della sospensione dei dazi all’importazione dei prodotti agricoli dall’Ucraina e l’accordo in fieri con i Paesi del Mercosur,[18] destano allarme tra gli agricoltori che temono un’accresciuta concorrenza internazionale.

Un altro fronte caldo è rappresentato dalle politiche europee del Green Deal che incidono sul settore, quali la prevista riduzione dell’uso di pesticidi (fino al 50 per cento in meno entro il 2030) e l’introduzione di una percentuale dei terreni da lasciare liberi da coltivazione per consentire il recupero naturale del territorio (fissata inizialmente al 4 per cento nel 2024 per poi essere portata gradualmente al 10 per cento entro il 2030). A seguito delle proteste, la Commissione ha proposto una deroga per il 2024 al vincolo del 4 per cento di terreni liberi (prevista dalla PAC) e i regolamenti sui pesticidi e sull’ulteriore ampliamento dei terreni liberi sono stati per il momento ritirati. Ma resta l’ineludibilità della transizione energetica, che non può non riguardare un settore che da solo produce oltre 10 per cento di tutte le emissioni di anidride carbonica del continente.[19] Il tema è caso mai quello della compensazione, per evitare che i costi della transizione energetica siano scaricati solo su una parte della popolazione.


[1] Per ulteriori approfondimenti si veda “Future financing of the EU. Final report and recommendations of the High Level Group on Own Resources”, European Commission, dicembre 2016.

[2] Le risorse proprie cosiddette “tradizionali” sono rappresentate dai dazi, doganali e agricoli, imposti dall’Unione fin dal 1970, a cui si è aggiunta dal 2021 un’imposta sulla plastica (che però alcuni Paesi, compresa l’Italia, non hanno adottato, e che compensano con ulteriori trasferimenti al bilancio europeo).

[3] Principalmente, un trasferimento calcolato sulla base del reddito nazionale lordo dei vari Paesi (che copre circa il 70 per cento del bilancio). A questo si aggiunge la cosiddetta risorsa IVA, che dovrebbe fare riferimento al gettito dell’IVA incassato nei vari Paesi, ma che in realtà per lo sforzo di armonizzarla e per la presenza di vari aggiustamenti (i cosiddetti rebates) decisi nel corso degli anni ha poco a che fare con il gettito effettivamente riscosso.

[4] È opinione diffusa che sia necessario rafforzare la quota di finanziamento autonomo del bilancio europeo e la Commissione ha presentato più volte proposte in questa direzione, l’ultima volta nel 2020, senza tuttavia riuscire a ottenere finora grandi progressi. Per una discussione dello stato di avanzamento delle proposte, si veda V. Ceriani (a cura di), “Reflections on EU Own Resources and Tax Harmonisation”, Astrid, novembre 2022.

[5] Si veda la nostra precedente nota “Il Comma 22 del debito europeo”, 23 settembre 2023.

[6] La spesa effettiva risulta essere in genere leggermente inferiore.

[7] Si veda ancora la nostra precedente nota “Il Comma 22 del debito europeo”.

[8] L’orientamento politico del futuro Parlamento europeo avrà un ruolo determinante anche sugli sviluppi del bilancio europeo, a causa delle posizioni assai differenziate sul tema che esprimono i vari gruppi politici. Si veda a questo proposito l’analisi svolta in S. Blesse, M. Bordignon, P.C. Boyer, P. Carapella, F. Heinemann, E. Janeba, A. Raj, “European fiscal reform preferences of parliamentarians in France, Germany and Italy”, European Union Politics, 23(3), 2022, pp. 529-540.

[9] Le categorie di spesa hanno subito delle variazioni negli anni; quelle a cui ci si riferisce sono quelle del 2021-2027.

[10] Non tiene conto, di conseguenza, delle possibili revisioni nell’allocazione delle risorse decise a seguito della revisione dei piani strutturali originariamente presentate dai paesi nell’ambito del NGEU.

[11] Questa costanza delle macroeconomie di spesa nel tempo nasconde un riorientamento delle priorità dell’Unione. Per esempio, nel corso degli anni, spesso su iniziativa del Parlamento, un maggior ruolo è stato attribuito alla riduzione delle disuguaglianze; tra il 2014 e il 2020 sono stati investiti oltre 460 miliardi a favore della spesa regionale per promuovere l’accesso alla banda larga, una migliore assistenza sanitaria, la creazione di nuovi posti di lavoro e nuove scuole, aiuti alle imprese. Nello stesso periodo, circa 200 miliardi di euro sono stati allocati per la lotta ai cambiamenti climatici per la riduzione delle emissioni di gas serra, la promozione dell’uso dell’energia rinnovabile e il miglioramento nell’efficienza energetica.

[12] Il processo di adozione del bilancio viene definito dall’articolo 314 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE).

[13] Formato da 27 rappresentanti (ministri), uno per Stato membro.

[14] Il bilancio europeo è amministrato attraverso tre modalità distinte. Circa il 20 per cento del bilancio è gestito direttamente dalle agenzie dell’UE, responsabili della supervisione, dell’allocazione e dell’utilizzo di questi fondi. La maggior parte del bilancio, circa il 70 per cento, segue invece un approccio di gestione condivisa. Ciò significa che gli Stati membri svolgono un ruolo attivo nell’attuazione e nell’amministrazione di questi fondi. Gli stanziamenti europei sono gestiti dai rispettivi Stati membri per sostenere vari progetti e iniziative all’interno dei loro territori. La parte residua del bilancio, che costituisce una quota molto minore, viene gestita indirettamente; si tratta in larga parte di fondi elargiti a Paesi terzi o a organizzazioni internazionali per progetti e programmi specifici.

[15] L’approvazione del bilancio 2024 è arrivata l’11 novembre 2023 dopo la convocazione del Comitato di conciliazione a causa del disaccordo tra Consiglio e Parlamento. Rappresenta il quarto bilancio annuale articolato all’interno del quadro finanziario pluriennale del 2021-2027, riportando integrazioni per quanto riguarda il sostegno alla ripresa dalla pandemia nell’ambito del NGEU e focalizzandosi non solo sulla transizione verde e digitale ma anche rispondendo alle sfide geopolitiche attuali. Rispetto alla prima proposta presentata dalla Commissione, il bilancio approvato conta oltre 660 milioni di euro di incrementi per le risorse, con 250 milioni di euro aggiuntivi per l’aiuto umanitario e 150 per lo strumento di vicinato per la cooperazione.

[16] Nella contrattazione tra Paesi sul bilancio europeo un ruolo particolarmente pernicioso lo giocano le cosiddette operating budgetary balances; un calcolo, svolto dalla Commissione, della differenza tra i contributi versati da ciascun Paese all’Unione e la spesa finanziata dal bilancio europeo nei loro territori. Le balances focalizzano il dibattito politico, spingendo ciascun Paese a cercare di minimizzare questa differenza, anche a costo di introdurre palesi assurdità nel riparto delle risorse tra Paesi. In questa contrattazione nessun rilievo viene dato alla natura di bene pubblico dell’Unione, cioè alla sua capacità di sfruttare i rendimenti di scala (per esempio, nella contrattazione con altre grandi aree commerciali) per offrire benefici che nessun Paese potrebbe ottenere da solo.

[17] Si veda ancora la nostra precedente nota “Il Comma 22 del debito europeo”.

[18] Nel 2019 è stato raggiunto un “accordo di principio” di libero scambio tra l’UE e i Paesi del Mercosur (Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay) che consentirebbe alle imprese europee un accesso prioritario al mercato sudamericano, molto protetto in termini di barriere tariffarie e non, e che conta circa 260 milioni di consumatori. L’accordo commerciale, che dovrebbe ancora essere ratificato da tutti gli Stati membri dell’Unione prima di entrare in vigore, è attualmente in stallo, e uno dei motivi è costituito dalla contrarietà degli agricoltori europei. Per ulteriori informazioni si veda l’Accordo UE-Mercosur.

[19] Con il 70 per cento che deriva dalle attività di allevamento. Si veda la Relazione speciale di Politica agricola comune e clima della Corte dei Conti europea.

Un articolo di

Massimo Bordignon, Isotta Valpreda

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