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Cresce il divario nella spesa in R&S tra Italia e Paesi OCSE

15 novembre 2024

Intermedio

Cresce il divario nella spesa in R&S tra Italia e Paesi OCSE

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La spesa pubblica e privata in Ricerca & Sviluppo (R&S) in Italia è tra le più basse rispetto alle grandi economie OCSE, in termini sia assoluti che relativi al Pil. Il divario rispetto a Stati Uniti e Germania, già sostanzioso quarant’anni fa, è oggi più ampio che mai. Riguardo al ruolo di pubblico e privato, in tutti i Paesi analizzati il peso del settore pubblico si è ridotto rispetto alla componente privata rappresentata dagli investimenti delle imprese. In Italia la spesa pubblica è stimata allo 0,5% del Pil nel 2024, con  un aumento di solo lo 0,1% previsto dal governo nei prossimi 5 anni. La spesa privata per R&S, oltre a essere più bassa di quella estera, è anche meno orientata verso l’introduzione di prodotti. Ciò non è riconducibile soltanto a fattori dimensionali, ma anche a una scarsa propensione alla ricerca: anche le nostre imprese più grandi spendono meno in R&S delle corrispettive estere.[1]

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L’Europa, e l’Italia in particolare, ha bisogno di recuperare il divario di competitività con le principali economie mondiali, ma per raggiungere la frontiera tecnologica sono necessari anche investimenti in R&S. Questa nota descrive l’evoluzione della spesa pubblica e privata in R&S nelle principali economie OCSE, identificando la posizione relativa del nostro paese e suggerendo alcune possibili spiegazioni dei fenomeni osservati.

La spesa in R&S e la posizione italiana

La spesa in R&S include la ricerca di base, la ricerca applicata e quella sperimentale finalizzata allo sviluppo di nuovi prodotti. In Italia, sommando componente pubblica e privata, la spesa in R&S ammontava all’1,3% del Pil nel 2022. Negli Stati Uniti tale valore è più del doppio (oltre il 3% del Pil); al dato USA segue da vicino la Germania (Fig. 1). La media OCSE è al 2,8% del Pil, mentre i Paesi UE investono in media il 2,1% del Pil.

Il divario fra l’Italia e le altre grandi economie OCSE si è ampliato dal 2020 al 2022. La distanza dall’economia che spende di più, gli Stati Uniti, è cresciuta da 1,5 punti percentuali nel 1981 a 2,3 punti nel 2022. Il gap con la Germania è invece passato dall’1,3 all’1,8% nello stesso periodo. Durante l’ultimo decennio, in particolare, Stati Uniti e Germania hanno aumentato massicciamente la quota di risorse destinate alla ricerca, mentre in Italia la crescita di queste è stata più modesta.

La “stagnazione” italiana in termini di spesa in R&S è ravvisabile anche dal confronto con la Spagna, che in quarant’anni ha raggiunto e recentemente superato il nostro livello. Diverso è il caso francese nel quale la spesa totale non è aumentata, ma la base di partenza, intorno al 2 per cento del Pil, era molto più alta. Tra i paesi analizzati, quello che spende meno per R&S è proprio l’Italia, con una crescita della spesa trascurabile, ferma a bassi livelli. Se i due partner europei restassero fermi al livello di spesa odierno, per colmare il divario con la Germania sarebbe necessario aumentare la spesa di 4 miliardi di dollari ogni anno per 10 anni; per raggiungere i livelli della Francia servirebbero 5 anni.

Pubblico e privato

Nei Paesi OCSE sono ormai le imprese private a investire maggiormente in R&S rispetto allo Stato (Fig. 2). Mentre nel 1980 i governi finanziavano circa la metà di tale spesa, ora rivestono un ruolo minoritario in tutti gli Stati analizzati e specialmente negli Stati Uniti, dove il governo copre ormai meno del 20 per cento della spesa. In Italia, il valore si attesta intorno al 35 per cento. I due Paesi dove la spesa governativa ha un peso maggiore sono il nostro e la Spagna, proprio quelli con un livello di spesa totale più basso. In termini relativi al Pil, il governo italiano nel Piano strutturale di bilancio a medio termine stima una spesa pubblica solo in leggera crescita nei prossimi anni, dallo 0,5% nel 2024, allo 0,6% nel 2029.[2]

Dal lato del settore privato, in Italia, la spesa delle imprese ha iniziato a crescere nell’ultimo decennio, dopo anni di stagnazione, salendo dallo 0,6% del Pil nel 2010 allo 0,8% nel 2021 (Fig. 3). Tuttavia, il livello di spesa resta inferiore a quello delle altre economie, in particolare delle imprese tedesche e di quelle francesi. Se nei paesi europei la crescita della spesa delle imprese è stata contenuta, negli Stati Uniti la spesa cresce dall’1,5% del Pil all’inizio degli anni Dieci al 2,4% del Pil nel 2021.

Il ruolo delle imprese private nella conduzione di attività di R&S è anche maggiore di quello evidenziato dalle statistiche sui finanziamenti perché una parte della ricerca, anche se finanziata dal pubblico, è realizzata dal privato. La quota di R&S condotta da imprese private è cresciuta negli ultimi anni (Fig. 4). Questo è avvenuto anche in Italia, per effetto sia dell’incremento dell’attività privata, sia della diminuzione di quella pubblica.

Come sintomo di un coinvolgimento delle imprese ancora inferiore a quello rilevato in altre economie avanzate, Italia e Spagna si caratterizzano per un peso maggiore delle università. La tassonomia OCSE considera le università un settore a sé stante, distinto sia da quello pubblico che da quello privato. Gli atenei italiani e spagnoli guidano la classifica, con un valore che fluttua attorno al 25% della spesa totale. In Germania e Francia le università impiegano tra il 15 e il 20% delle risorse complessive, contro un decimo negli USA. 

Quale ricerca in Italia e all’estero e perché

Come osservato, le attività di R&S si diversificano in tre componenti: la ricerca di base, la ricerca applicata e quella sperimentale, finalizzata allo sviluppo di nuovi prodotti. Lo Stato generalmente finanzia la ricerca di base e quella applicata, orientate principalmente alla generazione di nuova conoscenza, mentre le imprese si concentrano sullo sviluppo sperimentale, ovvero l’introduzione sul mercato delle innovazioni. Nonostante la distinzione fra queste attività non sia così netta in pratica, la tripartizione è informativa sul ruolo dei diversi settori.[3]

La Fig. 5 somma la quota della spesa in R&S destinata ad attività di ricerca di base con quella destinata alla ricerca applicata: più è alta questa quota e minore è la spesa per attività di ricerca sperimentale. Soprattutto rispetto a Stati Uniti e Francia, l’Italia ha sistematicamente destinato una quota maggiore delle proprie spese in R&S a progetti non direttamente connessi allo sviluppo di prodotti o servizi da immettere sul mercato.[4]

Anche in questo caso, più che una sovrabbondanza di investimenti pubblici, il quadro riflette le caratteristiche di un tessuto produttivo popolato da imprese che investono troppo poco nello sviluppo sperimentale di beni e servizi.

L’arretratezza italiana è anzitutto riconducibile a diversi fattori strutturali legati alla dimensione delle imprese. Da un lato le nostre imprese sono spesso troppo piccole per investire in R&S, dall’altro sono poco attive in settori in cui la R&S è più rilevante, settori talvolta definiti “ad alta intensità di conoscenza”, quali per esempio l’industria farmaceutica, robotica ed elettronica.[5] Tuttavia le nostre imprese investono meno in R&S anche a parità di settore considerato e di dimensione, soprattutto per le imprese più grandi.

La Fig. 6 mostra la spesa in R&S dei settori ad alta intensità di conoscenza rapportata al valore aggiunto da essi prodotto. L’Italia è caratterizzata da un valore assai più basso rispetto alle grandi economie OCSE. Con 6,69 punti percentuali, l’Italia non regge il confronto neppure con la Spagna (7,62%).

La Fig. 7 invece mostra che, in generale, a parità di dimensione occupazionale, le imprese italiane investono meno delle proprie concorrenti straniere. Tuttavia, la differenza diventa abissale fra le imprese con più di 500 dipendenti. Tale fenomeno è coerente con le condizioni di bassa produttività nelle quali versa l’economia italiana e rischia di allontanare ancora di più la nostra industria dalla frontiera tecnologica.


[1] I dati in questa nota sono tratti principalmente dalle seguenti banche dati OCSE: Research and Development Statistics Database, ANBERD Database, Structural Analysis (STAN) Database.

[4] Ciò si riflette nella scarsa attività brevettuale italiana confrontata con quella di Francia e Germania. Vedi al riguardo la nota “La ricerca e l’innovazione tecnologica in Italia”, 11 giugno 2022.

Un articolo di

Nicolò Geraci, Gianmaria Olmastroni, Gilberto Turati

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