Perché il lavoro dei parlamentari è considerato un part-time?
di Osservatorio CPI
4 marzo 2021
In Italia, come in altri paesi europei, il lavoro di parlamentare non è considerato a tempo pieno. Infatti, al contrario che per i Ministri e i dipendenti pubblici, Deputati e Senatori possono svolgere attività lavorative remunerate al di fuori del Parlamento, con i conseguenti rischi in termini di conflitto di interessi e diminuzione dell’impegno profuso.[1]
La nota è stata ripresa da Repubblica in questo articolo del 4 marzo 2021.
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Recentemente, il Senatore Matteo Renzi è stato criticato per aver partecipato a un incontro a Riyad con il Principe ereditario saudita Mohammad Bin-Salman (dietro compenso in quanto parte del board di Future Investment Initiative).[2] In questa nota non entreremo nel merito di tale decisione, bensì ci concentreremo su ciò che ha reso legalmente possibile lo scandalo, ovvero la normativa a cui devono attenersi i parlamentari per quanto riguarda secondi lavori e altre attività remunerate.
In generale, durante i loro mandati, i parlamentari italiani possono continuare a svolgere attività lavorative estranee al lavoro parlamentare (sia occasionali, sia più regolari), beneficiando dei relativi redditi, quasi come se il lavoro di parlamentare fosse considerato una sorta di “part-time”. Questo fenomeno non è limitato all’Italia: un doppio lavoro è consentito nel Regno Unito, in Francia, Germania, Spagna, Canada, Australia e altri. Come in Italia, i politici di questi paesi si trovano di tanto in tanto coinvolti in scandali a causa delle loro attività extra parlamentari.[3] Ad esempio, nel 2013 in Germania, l’avversario socialdemocratico di Angela Merkel subì pesanti critiche per i lauti compensi ricevuti come conferenziere in ambienti d’impresa.[4] L’unico grande paese che limita drasticamente le attività “extra parlamentari” sono gli Stati Uniti. Qui, i membri del Congresso possono guadagnare solo il 15 per cento in più (circa 29 mila dollari annui) grazie a tali attività, anche se questo limite non include le rendite capitali. Inoltre, è proibito loro ricevere onorari per conferenze e incontri.
Il doppio lavoro dei parlamentari comporta notevoli problemi. Uno studio approfondito condotto sui Parlamentari italiani tra il 1996 e il 2006 ha infatti identificato un maggior assenteismo da parte di Deputati e Senatori impegnati in altre attività. Inoltre, esiste necessariamente un problema di conflitto di interessi, attenuato molto limitatamente dalle poche regole esistenti e non sempre da eventuali conseguenze elettorali.[5]
Di contro, tanto i Ministri quanto i dipendenti pubblici, almeno in Italia, sono sottoposti a obblighi molto più stringenti proprio per queste due ragioni.[6] I Ministri non possono essere lavoratori subordinati o gestire imprese di loro proprietà, anche se non sono obbligati a trasferire eventuali asset a blind trust o simili.[7] Inoltre, i Ministri non possono nemmeno lavorare come autonomi, retribuiti o non, a meno che la loro attività non sia completamente scollegata da quella di governo. Infine, eventi come quello a cui ha partecipato il Senatore Renzi, anche se fossero a titolo gratuito, richiederebbero l’approvazione del Consiglio dei Ministri, in quanto attinenti alla politica estera. Per i dipendenti pubblici la normativa è ancora più severa. Restano infatti tutti i divieti appena descritti per i Ministri, senza l’eccezione del lavoro autonomo. In aggiunta, qualsiasi impegno saltuario (ad esempio convegni, collaborazioni con riviste e giornali ecc.) e il relativo compenso deve essere autorizzato dalla PA per cui lavora il dipendente, vincolandone sensibilmente la libertà in quest’ambito. Esistono eccezioni, per esempio a favore dei professori universitari e delle prestazioni mediche extra moenia, ma queste sono dettagliatamente disciplinate e molto limitate.
In conclusione, i servitori dello Stato a tutti i livelli, dai dipendenti part-time ai Ministri passando per i dirigenti, sono tenuti dalla legge a dedicarsi pressoché esclusivamente alla loro attività principale. Inoltre, anche gli impegni occasionali sono attentamente disciplinati e, in genere, richiedono un’autorizzazione. Queste precauzioni appaiono coerenti con l’obiettivo di assicurare che queste persone siano dedicate al loro incarico e che i conflitti di interessi non diventino pervasivi. Perché allora i parlamentari sono sottoposti a vincoli molto più blandi, quasi inesistenti? Sicuramente il tema del conflitto di interessi non si esaurirebbe con l’introduzione di maggiori restrizioni, come quelle per i membri del Congresso degli Stati Uniti o quelle vigenti per i Ministri, ma queste sembrano comunque una soluzione utile quantomeno ad arginare il problema.
[1] La legge che disciplina i lavori incompatibili con quello di parlamentare è la n. 60 del 1953. In pratica, le incompatibilità si concentrano quasi esclusivamente su incarichi presso imprese o altri enti in stretto rapporto con lo Stato (o presso la PA stessa).
[5] Gagliarducci, S., Nannicini, T. and Naticchioni, P., 2010, “Moonlighting politicians”, Journal of Public Economics, 94(9-10), pp. 688-699, https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0047272710000460.
[6] I riferimenti normativi principali sono, per i Ministri, la legge n. 2015 del 2004 e, per i dipendenti pubblici, il decreto legislativo n. 165 del 2001.
[7] In questo ambito il problema del conflitto di interessi è in parte irrisolto ed è la radice dell’acceso dibattito negli anni passati riguardante le imprese di Silvio Berlusconi. In questo caso era stato sufficiente abbandonare i ruoli direttivi, senza rinunciare ad alcuna prerogativa della proprietà.