Università Cattolica del Sacro Cuore

Nazionalizzazione ai tempi del COVID-19 e suoi precedenti

di Raffaela Palomba

28 maggio 2020

La crisi scaturita dall’emergenza epidemiologica ha messo in forte difficoltà numerose imprese di rilevanza strategica per le economie dei paesi principalmente colpiti, che si dichiarano pronti a fare quanto necessario per metterle in salvo. Tra essi l’Italia ha già compiuto un primo passo con la nazionalizzazione dell’Alitalia, mentre Francia, Germania e Stati Uniti si dichiarano pronti a entrare nella proprietà delle imprese in difficoltà e di forte importanza per l’economia. Di seguito uno sguardo d’insieme alla situazione attuale e ad alcuni casi verificatisi durante crisi precedenti.

* La nota è stata ripresa da Fanpage in questo articolo del 28 maggio 2020.

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L’emergenza epidemiologica ha reso necessari consistenti interventi da parte dei governi e molti Stati, soprattutto quelli maggiormente colpiti, valutano la possibilità di entrare nella proprietà delle imprese di rilevanza strategica laddove sia necessario per evitare che falliscano. È questa la linea raccomandata anche dal commissario dell’Unione Europea per il mercato interno e i servizi Thierry Breton, che sottolinea come l’acquisizione della proprietà da parte dello Stato di imprese strategiche sia fondamentale per superare la crisi e debba essere contemplata tra gli strumenti utilizzabili.[1]

Attualmente questa tipologia di intervento sta riguardando principalmente il settore del trasporto aereo, ma fondi sono stati stanziati per interventi anche in altri settori. In Italia, il Decreto Cura Italia e il successivo Decreto Rilancio hanno previsto la nazionalizzazione di Alitalia attraverso una società a intera o prevalente partecipazione pubblica e l’istituzione di due fondi con dotazione pari a 350 milioni e 3 miliardi di euro rispettivamente, misura che sarà messa in atto nelle prossime settimane. Inoltre, nel nuovo Decreto Rilancio è stata affidata a Cassa Depositi e Prestiti la gestione di un Patrimonio Destinato per rafforzare il capitale di medie e grandi imprese tramite concessione di prestiti obbligazionari convertibili, aumenti di capitale e acquisto di azioni. Per quanto riguarda la Francia, le misure di aiuto più consistenti sono costituite dal pacchetto da 12 miliardi che è stato previsto per sostenere Air France e la produttrice di automobili Renault. In particolare, si tratterebbe di 7 miliardi per Air France, di cui 4 miliardi di prestiti bancari garantiti dallo Stato e 3 di sovvenzioni dirette, e 5 miliardi di crediti bancari garantiti per Renault, senza che lo Stato sia intervenuto per il momento nelle loro proprietà. Il governo francese si è però dichiarato disposto a fare ciò che serve per salvare le imprese, senza escludere la possibilità di una nazionalizzazione se indispensabile per la loro sopravvivenza. Lo stesso accade per la Germania, che all’interno dell’ingente complesso di misure varato a sostegno delle imprese ha previsto anche una dotazione di 100 miliardi per un fondo finalizzato ad eventuali ingressi nella proprietà o nel capitale di imprese particolarmente in difficoltà; ancora una volta a maggiore rischio di nazionalizzazione almeno parziale sono attualmente le compagnie aeree che chiedono forti iniezioni di liquidità al governo tedesco, con trattative ancora in corso.[2]

Negli Stati Uniti, in cui il settore aereo è considerato uno dei settori strategici principali, si provvede al sostegno delle compagnie aeree con circa 61 miliardi di dollari sotto forma di prestiti e di “cash grants”, ossia contributi in denaro a fronte dei quali il governo potrà rilevare partecipazioni delle società che ne usufruiscano. Quest’ultima modalità di intervento riguarda 25 dei 61 miliardi totali messi a disposizione.

Si intravede, dunque, l’avvio di processi di nazionalizzazione (forse temporanei) per il salvataggio delle imprese strategiche, tendenza che tipicamente si manifesta durante i periodi di profonda crisi.

Alcuni casi del passato: nazionalizzazioni durante la crisi del ‘29[3]

L’intervento dello Stato nella proprietà di imprese private in tempo di crisi non è una soluzione inedita, ma ben nota alla storia di molti paesi. A partire dall’Italia, che per salvare imprese e banche in difficoltà dopo la crisi del ’29 ha visto nascere l’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale), un ente pubblico economico controllato dal Tesoro nato 1933 e guidato da Alberto Beneduce, che ne fu il primo presidente. Inizialmente nacque come ente temporaneo, con lo scopo di riorganizzare il sistema bancario e riallocare le partecipazioni di controllo possedute dalle tre maggiori banche in difficoltà (Banca Commerciale Italiana, Banco di Roma e Credito Italiano). Al momento della sua costituzione l’ente deteneva il 42 per cento del capitale delle società italiane. L’IRI si occupò di ristrutturare tecnicamente ed economicamente le imprese controllate, dividendole in gruppi omogenei e affidandone organizzazione e finanziamento a delle società capogruppo. Nel 1937 fu trasformato in ente permanente risultando composto da due sezioni, una bancaria formata dalle tre suddette banche e l’altra industriale, composta dalle partecipazioni di controllo delle imprese prelevate dalle banche. In tal modo lo Stato controllava società presenti nei settori di rilievo del periodo, tra cui siderurgia, industria meccanica, cantieri navali, energia elettrica: la nazionalizzazione, dunque, fu scelta come strumento per salvare imprese e banche di rilevanza sistemica durante la crisi.

Anche in Germania nel 1931-1932 ci fu un forte coinvolgimento dello Stato nella ristrutturazione del sistema bancario, durante la quale il governo divenne azionista (in alcuni casi di maggioranza) delle principali banche tedesche tra cui la Dresdner Bank e la Commerzund Privatbank.[4] Attraverso gli stretti legami che il sistema bancario aveva con l’industria, molte grandi imprese manifatturiere furono acquistate e poste sotto il controllo statale. Per quanto riguarda Spagna e Francia, la prima si è ispirata all’IRI italiano, con la costituzione nel 1941 dell’INI (Instituto Nacional de Industria), mentre la Francia si è distinta nel 1936-1937 per essere stato il paese democratico che si è maggiormente spinto verso le nazionalizzazioni. Queste hanno riguardato i trasporti ferroviari, attraverso la creazione di una società mista a prevalente partecipazione dello Stato, il settore delle armi, delle costruzioni aeronautiche, accompagnate dall’avvio della nazionalizzazione della Banca di Francia (completata nel 1945). Nei paesi del Nord Europa (come Svezia, Olanda e Norvegia), meno colpiti dalla recessione, non si ebbe un processo di nazionalizzazione significativo.

Un esempio più recente: l’intervento temporaneo col TARP statunitense

Con riferimento, invece, alla più recente crisi finanziaria del 2008-2009, ricordiamo in particolare il salvataggio operato dagli Stati Uniti a favore di banche e industrie automobilistiche attraverso il TARP (Troubled Asset Relief Program). In particolare, nell’ambito del TARP si distinguono l’AIFP-Automotive Industry Financing Program, destinato al sostegno delle principali industrie automobilistiche del paese, e il CPP-Capital Purchase Program, destinato agli istituti finanziari in difficoltà.[5]

Nel caso delle industrie automobilistiche l’ammissibilità al programma era subordinata ad alcune condizioni, tra cui la rilevanza dell’industria nel mercato, la significatività dell’impatto del suo fallimento sull’intera economia e l’esistenza di una possibilità di sopravvivenza. In cambio degli aiuti da parte del governo era previsto dall’accordo che le due produttrici coinvolte nel programma (Chrysler e General Motors, in quanto Ford scelse di non prenderne parte) dovessero presentare un piano di ristrutturazione con il quale individuare le modalità per ripagare i prestiti ottenuti dal governo e un percorso per recuperare la competitività. I piani presentati furono considerati non sufficienti e il fallimento non fu evitato, ma il Tesoro accordò lo scambio della sua posizione di creditore per i prestiti erogati con strumenti di partecipazione nelle due compagnie emergenti dopo i procedimenti di fallimento. Tale operazione portò il governo statunitense a possedere circa il 60 per cento del capitale della GM e il 10 per cento di quello della Chrysler a fronte di un’iniezione di liquidità complessiva pari a circa 64 miliardi di dollari. Come parte del programma gli aiuti furono estesi anche alle società finanziarie legate alle due compagnie automobilistiche, la Chrysler Financial e la GMAC. Alla prima fu erogato un prestito di 1,5 miliardi, mentre per la finanziaria della GM il governo investì 17 miliardi di dollari, di cui 14 furono destinati all’acquisto di azioni privilegiate, portando il Tesoro a possedere il 56,3 per cento della società.[6]

Il CPP era originariamente nato con un intento diverso, quello di acquistare i titoli tossici posseduti dalle banche in difficoltà. Tale decisione fu successivamente modificata in seguito ad un incontro con il Primo Ministro inglese Brown che aveva deciso per le banche britanniche un programma di iniezione della liquidità che, oltre a prevedere finanziamenti e garanzie dello Stato sui prestiti tra le banche inglesi, contemplava anche l’acquisto di azioni ordinarie o privilegiate da parte del governo per un totale di circa 50 miliardi di sterline.[7] Prendendo spunto, dunque, dall’azione britannica il governo americano procedette all’acquisto di azioni privilegiate e titoli di debito (accompagnati dall’opzione di acquistare azioni ordinarie durante il programma) da 707 istituti finanziari per circa 205 miliardi di dollari.

Confronto tra modalità di uscita dai programmi di nazionalizzazione

Guardando agli interventi successivi alla crisi del ’29, la Francia rappresenta un caso di permanenza molto lunga dello Stato nell’economia. Difatti, dopo la caduta nel 1938 del partito (Fronte Popolare) che aveva realizzato le nazionalizzazioni negli anni precedenti, il nuovo governo non fece passi indietro, anzi portò avanti il processo attribuendosi ampi poteri in ambito economico. A partire dal 1946 ci fu una nuova ondata di nazionalizzazioni, seguita negli anni successivi solo dall’espansione delle imprese e società già nelle mani dello Stato. All’inizio degli anni ’80, si verificò un ulteriore ampliamento delle attività controllate dal governo, al quale seguì infine un processo di privatizzazioni avviato solo nel 1986.[8]

Anche l’Italia costituisce un caso analogo. L’IRI infatti, costituito come ente temporaneo nel 1933, fu trasformato in ente permanente nel 1937. Continuò ad operare con un ruolo fondamentale per il sostegno e la ripresa delle imprese italiane fino agli anni ’80, dopo di che fu avviato un processo di privatizzazione delle partecipazioni statali. L’IRI fu liquidato nel 2000.

Al contrario, il percorso di uscita degli Stati Uniti dai programmi intrapresi nella crisi del 2008 è stato rapido. Riguardo il settore automobilistico, entro la fine del 2012 il governo aveva venduto più dei due terzi delle azioni della General Motors e nel 2013 era completamente uscito dalla società. Lo stesso è accaduto nel 2014 per la GMAC (società finanziaria della GM), con un guadagno netto di 2,4 miliardi di dollari rispetto ai 17,2 originariamente investiti. L’uscita dalla Chrysler si era completata, invece, nel 2011 con il recupero del 90 per cento dell’investimento effettuato, mentre la Chrysler Financial aveva già ripagato il prestito ottenuto nel luglio 2009 (6 mesi dopo l’erogazione).[9] Il governo americano è quindi uscito completamente dagli interventi intrapresi nel 2008-09, con un profitto complessivo di 16 miliardi di dollari.[10]


[6] Report on the Troubled Asset Relief Program-March 2010: https://www.cbo.gov/sites/default/files/111th-congress-2009-2010/reports/03-17-tarp.pdf.

[10] Report on the Troubled Asset Relief Program-March 2020 https://www.cbo.gov/publication/56300.

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