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Le conseguenze dell’inflazione sul debito pubblico
Un’inflazione di 4 punti percentuali superiore rispetto alle attese ridurrebbe il rapporto tra debito pubblico e Pil di circa 16 punti in 5 anni (con un calo aggiuntivo molto limitato negli anni seguenti). Tuttavia, se la maggior inflazione portasse la Banca Centrale Europea (BCE) a interrompere gli acquisti di titoli di Stato italiani, o persino a non rinnovare quelli in scadenza, l’effetto sui tassi d’interesse potrebbe essere tale da invertire questo effetto sul rapporto debito-Pil. Inoltre, anche in assenza di questo problema, il rapporto deficit-Pil aumenterebbe per l’effetto della maggiore spesa per interessi, rendendo più difficile rispettare le regole europee del Patto di Stabilità e Crescita quando saranno reintrodotte. Quale sarebbe l’effetto di una maggiore inflazione sulla finanza pubblica italiana e sul debito pubblico in particolare? I due canali: crescita del Pil nominale e tassi d’interesse Per farsi un’idea conviene innanzitutto capire attraverso quali canali l’inflazione può modificare il livello e la dinamica del debito pubblico. Per quanto riguarda il primo, si tratta di un “effetto denominatore”: una maggiore inflazione incrementa il Pil nominale, che è il denominatore del rapporto debito-Pil. Di conseguenza, a fronte di uno shock inflattivo inatteso, il tasso d’interesse medio, anche assumendo che i titoli di nuova emissione riflettano il nuovo livello d’inflazione, non si adatta all’inflazione finché tutto il debito esistente non è stato rinnovato con l’emissione di nuovi titoli. In seguito, la dinamica del debito sarebbe parallela a quella dello scenario senza shock, mantenendo la differenza di 16 punti quasi costante, perché l’intero stock di debito pubblico sarebbe già stato rinnovato a un tasso d’interesse che incorpora la maggior inflazione.
Chi controllerà la regolarità dell’esecuzione del PNRR?
Una delle principali preoccupazioni delle istituzioni italiane ed europee, nonché dell’opinione pubblica italiana, per quanto riguarda il PNRR è che le ingenti risorse ad esso destinate dal programma Next Generation European Union (NGEU) finiscano nelle mani sbagliate. A questo proposito il capitolo del PNRR che riguarda l’attuazione del Piano contiene alcuni riferimenti al monitoraggio dell’esecuzione (Parte 3, pp. 239-245), riferimenti poi approfonditi nel primo allegato delle schede tecniche del PNRR (non pubblicate ufficialmente). Gli enti con funzioni di monitoraggio che saranno automaticamente chiamati a sorvegliare l’esecuzione dei progetti del PNRR sono: gli enti pubblici (centrali o locali) responsabili dell’attuazione dei singoli progetti; la Corte dei Conti; l’Autorità Nazionale Anti Corruzione (ANAC) e la Guardia di Finanza. Di conseguenza, controllerà che questi enti agiscano nel rispetto delle norme e che mettano in campo gli strumenti necessari per identificare e prevenire frodi, conflitti d’interesse e corruzione. Similmente, verrà eseguita una sorveglianza automatica dei progetti del PNRR servendosi del programma Arachne introdotto nel 2015 dalla Commissione Europea per prevenire le frodi nell’utilizzo dei fondi strutturali europei. Nonostante questo, le innovazioni introdotte, sia in termini di obblighi a carico delle PA che eseguono i progetti, sia in termini di nuovi enti, hanno la potenzialità per garantire un’attuazione più trasparente e con meno frodi rispetto agli investimenti ordinari. In proposito le schede tecniche indicano che l’unità potrà affinare annualmente i criteri di campionamento e che questo dovrà comunque avvenire “in via continuativa“ sui progetti in corso.
Segnali positivi sulla ripresa dai dati Apple e Google sulla mobilità
Restano ancora lievemente al di sotto della baseline (inizio 2020) gli spostamenti verso luoghi di svago e quelli verso i luoghi di lavoro, mentre hanno superato la baseline gli spostamenti verso i punti vendita di prodotti essenziali, quelli in auto e con mezzi di trasporto pubblico. Quindi, il livello di mobilità sembra essere tornato alla normalità, anzi sembra averla superata. Il dato più sorprendente riguarda i mezzi pubblici, il cui utilizzo durante la pandemia aveva subito un calo più accentuato. Il calo è però molto differenziato tra regioni: si passa da cali del 31 e 19 per cento in Valle d’Aosta e Trentino a un calo di solo il 4 per cento in Sardegna. Ciò potrebbe riflettere in parte un mutamento radicale nelle modalità di lavoro che protendono sempre di più verso lo smart-working. In generale, la ripresa della mobilità che si è verificata in risposta alle prime riaperture unita alla prospettiva di ulteriori aperture nelle prossime settimane e ad un effetto stagionalità fanno ben sperare in un rimbalzo della crescita nel secondo trimestre del 2021 e durante la stagione estiva. trasporti #mondo #covid-19 Archivio Studi e analisi Scarica il PDF Segnali positivi sulla ripresa dai dati Apple e Google sulla mobilità (9 giugno 2021).
La governance del Recovery Plan. Cosa faranno gli altri paesi?
Cosa faranno gli altri paesi? di Carlo Cottarelli e Giulio Gottardo 17 febbraio 2021 La bozza del Recovery Plan inviata dal governo Conte 2 alla Commissione Europea non includeva ancora una proposta per la governance del piano. In generale, alcuni paesi hanno preferito appoggiarsi esclusivamente su enti già esistenti, mentre altri hanno creato commissioni per coordinare e supportare il lavoro dei Ministeri. Le caratteristiche italiane, ovvero un piano molto consistente (209 miliardi) e una PA non sempre rapida nell’esecuzione degli investimenti, appaiono più allineate a quelle dei paesi che hanno previsto la creazione di entità apposite per il coordinamento. Tuttavia, la proposta circolata in Italia a dicembre, ovvero una struttura “pesante” non solo di coordinamento, ma anche di gestione, parallela e in parte sostitutiva dei Ministeri, appare eccezionale rispetto a quella degli altri paesi. Questo problema riflette la mancanza di accordo sulla proposta di governance contenuta nella bozza di PNRR circolata a dicembre che proponeva una grande struttura “parallela” ai Ministeri, con poteri sia di coordinamento che di gestione. Nel suo discorso al Parlamento, il nuovo premier Draghi ha invece dichiarato che la governance del PNRR sarà “incardinata nel Ministero dell’Economia e Finanza con la strettissima collaborazione dei Ministeri competenti che definiscono le politiche e i progetti di settore”. Tuttavia, le scelte sono eterogenee, sia in termini di accentramento che di coinvolgimento dei Ministeri (Tav.1) Tav. 1: gestione del Recovery Plan negli altri paesi Paese Costo del Piano (miliardi) Governance Germania 29,3 Il Ministero delle Finanze dovrà coordinare l’azione degli altri Ministeri e dei Lander.
Calo della mobilità in Italia: confronto tra prima e seconda ondata
Il calo è molto inferiore a quello registrato ad aprile (63 per cento), il che fa pensare che l’effetto anche in termini di Pil sia corrispondentemente minore. Com’è cambiata la mobilità in novembre rispetto alla situazione precedente la pandemia? Per valutare il calo della mobilità a novembre si considera il dato al 24 novembre, per evitare di includere anche l’effetto delle riaperture iniziate dal 29. Il calo della mobilità a livello nazionale ha interessato un po’ più la domanda con una diminuzione degli spostamenti verso i luoghi di svago del 38 per cento, anche se il calo verso punti di vendita di prodotti essenziali (supermercati e farmacie) è stato naturalmente più contenuto (10 per cento). Dai dati trimestrali di contabilità nazionale si può stimare che in aprile il calo del Pil potrebbe essere stato dell’ordine del 23 per cento rispetto a gennaio, in corrispondenza di un calo della mobilità, come abbiamo visto, del 63 per cento. Mantenendo la stessa proporzione tra calo del Pil e calo della mobilità, il calo del Pil potrebbe essere stato nell’ordine del 9 per cento in novembre (sempre rispetto al livello di inizio anno). Per isolare l’effetto delle restrizioni introdotte con il Dpcm del 3 novembre, che è diventato effettivo il 6 novembre, si confrontano il valore del martedì precedente l’inizio delle prime restrizioni (in particolare il 27 ottobre, per evitare effetti legati all’annuncio) e quello successivo all’ultima restrizione (24 novembre). I risultati mostrano un calo della mobilità verso i luoghi di svago del 17 per cento, dell’11 per cento verso alimentari e farmacie e del 7 per cento verso i luoghi di lavoro (Tav.2).
Quanto sono stati utilizzati i bonus?
Quanto sono stati utilizzati questi bonus? La Figura 1 mostra quanta parte delle risorse stanziate è stata utilizzata (barra blu) e quanta ne sarebbe utilizzata potenzialmente entro le rispettive scadenze se il ritmo delle richieste si mantenesse costante (barra blu più barra gialla). Le risorse per il bonus per l’acquisto di connessioni internet con annesso pc o tablet, pari a 200 milioni, sono state utilizzate finora per 62 milioni (il 30 per cento delle risorse complessive), di cui 20 sono stati prenotati ma non ancora spesi. Le risorse stanziate per la fase sperimentale, pari a 227,9 milioni, sono state utilizzate quasi completamente, per 222,6 milioni di rimborsi a oltre 3,2 milioni di persone (su 5,8 milioni di iscritti). Il numero di iscritti è aumentato di 1,8 milioni in due mesi; con questo ritmo arriverebbe a 11 milioni in sei mesi e, considerato il più lungo arco di tempo per effettuare le transazioni minime necessarie, gli aventi diritto al rimborso potrebbero eccedere (in percentuale) quelli della fase sperimentale. Il bonus tv, partito il 18 dicembre 2019, ha portato a un anno dalla sua introduzione all’acquisto di 300 mila dispositivi tra tv e decoder, per 15 milioni di euro erogati; [8] dopo due mesi, al 16 febbraio, gli acquisti sono pari a 415 mila, per un valore complessivo di 21 milioni. Se l’andamento delle richieste dovesse continuare con questo ritmo (maggiori bonus per 6 milioni di euro in due mesi), al 31 dicembre 2022 si avrebbero richieste per circa 90 milioni complessivi, pari al 35 per cento delle risorse. La lentezza iniziale potrebbe essere in parte imputata alla minore spesa che ha caratterizzato i primi mesi in cui è diventata operativa; il ritmo delle richieste, infatti, è aumentato a inizio 2021: in un mese ci sono stati nuovi crediti d’imposta per 140 milioni.
Come raggiungere un accordo nell’Eurogruppo
Come raggiungere un accordo nell’Eurogruppo Home Archivio Studi e analisi Come raggiungere un accordo nell’Eurogruppo Come raggiungere un accordo nell’Eurogruppo di Carlo Cottarelli, Giampaolo Galli e Enrico Letta 3 aprile 2020 * * * La crisi in corso è più violenta di quella del 2008. Ciononostante, anche per ridurre il peso che grava sulla BCE, è utile integrare questa fonte di finanziamento con una risposta congiunta e solidale da parte dei governi dell’area dell’euro. Terzo, e conseguentemente, le risorse raccolte emettendo strumenti di raccolta finanziaria come parte di una risposta comune dovrebbero essere spese attraverso politiche concordate in comune: si raccolgono risorse insieme, si decide insieme come spenderle. Essa è vantaggiosa per tutti i paesi dell’Eurozona, per tre motivi: Anche se alcuni paesi potrebbero fronteggiare l’emergenza attuale attraverso le loro politiche di bilancio, altri potrebbero trovare più difficile finanziarsi sul mercato, soprattutto se il contesto internazionale peggiorasse in modo marcato. Una risposta comune quale quella sopra descritta dimostrerebbe una comunanza di intenti tra paesi europei di fronte a uno shock comune, non dovuto ai comportamenti di nessun singolo paese, nessuno dei quali stava violando le regole fiscali europee prima dello shock. Da un lato si deve capire che la crisi che sta colpendo in modo più duro il sud del continente non ha nulla a che fare con l’eccessiva accumulazione di debito. Dall’altro si deve capire che una risposta comune non può diventare un modo per introdurre surrettiziamente la mutualizzazione del debito, che deve rimanere responsabilità dei singoli stati.
Perpetual bonds: rischi e opportunità
E per compensare tali rischi è probabile che il tasso di interesse sui titoli irredimibili sia più alto di quello prevalente per i titoli con una scadenza. A volte nel dibattito pubblico si fa un po’ di confusione circa l’aritmetica dei titoli perpetui e si diffonde l’illusione che essi possano fare miracoli che non fanno. Vantaggi e svantaggi dei titoli perpetui Il “miracolo” che alcuni sembrano attribuire a questi titoli consiste nel fatto che non solo non devono essere mai rimborsati, ma costano anche molto poco in termini di interessi da pagare ogni anno. Si fa, ad esempio, l’ipotesi di una emissione, eventualmente in più tranches, di 1.000 miliardi di titoli con tasso cedolare all’1 per cento. In realtà le cose sono un po' più complicate di così perché è probabile che il mercato richieda tassi di rendimento più alti su un titolo perpetuo ed è un fatto che il valore del titolo è estremamente sensibile a variazioni dei tassi di interesse. Il che significa che se, ad esempio, il titolo è emesso con un tasso cedolare dell’1 per cento, ma il mercato richiede il 2 per cento, a fronte dell’emissione di titoli per 1.000 miliardi, lo Stato si limita ad incassare la metà di quella cifra. Qui la vita del titolo è infinita, il che comporta il massimo della volatilità: come abbiamo già visto nell’esempio fatto sopra, piccole variazioni dei tassi di interesse, specie quando questi sono piuttosto bassi, determinano grandi variazioni del valore del titolo.
3 indicatori economici a confronto, dal 1861
Il rapporto debito pubblico/Pil Il primo indicatore è il livello del debito pubblico espresso in rapporto al Pil. Il governo prevede che quest’anno il rapporto debito pubblico/Pil aumenti dal 134,8 per cento del 2019 al 155,7 per cento. Negli anni successivi, il debito scese rapidamente grazie agli accordi di Washington del 14 novembre 1925 e di Londra del 27 gennaio 1926, nell’ambito della definizione delle riparazioni di guerra dovute dai tedeschi ai vincitori della prima guerra mondiale. Il rapporto deficit pubblico/Pil Il secondo indicatore è il rapporto tra deficit e Pil. Il governo prevede che nel 2020 il rapporto deficit/Pil salga al 10,4 per cento. Non si tratta di un record: durante la prima guerra mondiale il deficit fu in media del 22 per cento annuo (1914-1918); durante la seconda fu del 23 per cento (1940-1945) con un picco del 33 per cento; infine, nel periodo dal 1975 al 1995 fu in media del 9,5 per cento. Il finanziamento monetario del deficit teneva anche basso il differenziale tra tasso di interesse e tasso di crescita: dalla seconda guerra mondiale ai primi anni ’80, gli interessi impliciti pagati sul debito erano minori rispetto al tasso di crescita nominale del Pil e questo conteneva il rapporto debito/Pil. 3. Di conseguenza, per evitare un aumento tendenziale del debito e del relativo carico di interessi, i paesi dovrebbero attuare politiche di graduale riduzione del rapporto debito pubblico/Pil in periodi non caratterizzati da shock, in modo da consentire un aumento del debito in presenza di sorprese negative. Nel contesto italiano, dal 1861 si sono verificati ben 16 shock negativi che hanno aumentato il rapporto debito/Pil di oltre 10 punti percentuali e sono per lo più legati alle dinamiche delle due guerre mondiali e a momenti di grave crisi economica.
Come funzionano gli acquisti di titoli pubblici della BCE?
A fine aprile 2020, lo stock di titoli acquistati dalla BCE nell’ambito del suo APP ammontava ad oltre 2.800 miliardi di euro. Il ritmo degli acquisti mensili dell’APP è variato nel corso del tempo, oscillando tra un massimo di 80 miliardi al mese (nel periodo aprile 2016 – marzo 2017) e un minimo di 15 miliardi al mese (tra ottobre e dicembre 2018). Il 24 marzo il Consiglio direttivo della BCE ha poi introdotto un ulteriore programma straordinario di acquisto di titoli sia pubblici che privati (Pandemic Emergency Purchase Programme, PEPP) del valore di 750 miliardi di euro; questo programma non rientra nell’APP, ma lo affianca temporaneamente con caratteristiche parzialmente diverse (vedi sotto). Come sono ripartiti i redditi e i rischi legati ai titoli acquistati? La ripartizione dei redditi e la condivisione dei rischi che derivano dall’acquisto di titoli pubblici nell’ambito del PSPP dipendono dalla tipologia del titolo in questione (Tav. 1). Per i titoli nazionali acquistati dalla BCE, i rischi sono condivisi e i redditi che maturano finiscono nel bilancio della BCE, per poi essere redistribuiti alle BCN in base alla capital key al momento della distribuzione dell’utile di esercizio. Ha una dotazione complessiva di 750 miliardi e prevede l’acquisto di tutte le tipologie di titoli che possono essere acquistate nell’ambito dell’APP (quindi titoli sia pubblici sia privati). Il capitale totale della BCE è pari a 10,8 miliardi, di cui 8,8 miliardi conferiti dalle 19 banche centrali nazionali dei paesi dell’Eurozona e 2 miliardi dalle 8 banche centrali nazionali dei paesi con valuta diversa dall’euro.
Le prospettive per i conti pubblici nel 2020
Di quanti soldi avrà bisogno lo Stato italiano quest’anno in uno scenario di caduta del Pil del 6 per cento? Prevedere l’andamento dei conti pubblici quest’anno è particolarmente difficile. In un primo scenario ipotizziamo che: Il Pil reale scenda del 6 per cento nonostante le misure di sostegno, che in ogni caso non potranno alleviare lo “shock di offerta” derivante dalla chiusura di parte delle attività produttive. Sulla base di queste ipotesi, e anche tenendo conto della perdita di entrate dovuta alla recessione, il deficit pubblico dovrebbe salire quest’anno a 139 miliardi, ossia all’8,2 per cento del Pil (contro l’1,6 per cento nel 2019). Il totale di acquisti di titoli di Stato italiani e di altri prestiti da parte di istituzioni europee, assumendo che l’Italia utilizzi i fondi del MES, potrebbe quindi ammontare a 277 miliardi (224+17+36). Fabbisogno e finanziamento nel caso di una caduta del Pil reale del 10 per cento La Tavola 1 presenta anche uno scenario di caduta del Pil reale del 10 per cento. Implicazioni di queste tendenze per la sostenibilità del debito pubblico Una minore quota di debito detenuta dal settore privato riduce nell’immediato il rischio associato a un certo livello di debito pubblico, in termini di possibili crisi sul mercato dei titoli di Stato. Si ipotizza quindi che tutti gli acquisti di titoli italiani in questo programma (ottenuto moltiplicando l’importo totale del programma di 750 miliardi per la capital key dell’Italia, pari al 17 per cento) consistano in titoli di Stato.
Il coronavirus ha effetti fiscali retroattivi!
Corrispondentemente, il deficit strutturale, che viene utilizzato per la valutazione del rispetto dei parametri europei all’interno del Patto di Stabilità e Crescita (PSC), una volta che questi parametri siano riattivati, viene sovrastimato, anche per il passato. Le condizioni del ciclo economico nel PSC Come tengono conto le regole fiscali europee della congiuntura economica in cui si trovano gli Stati membri? La variabile rilevante è l‘output gap, ovvero la differenza percentuale tra il Pil effettivo e il Pil potenziale. L’output gap viene considerato per calcolare il deficit “strutturale”, cioè quello che si avrebbe se non ci fossero fattori temporanei che influiscono sul deficit, quali, appunto, il ciclo economico e misure “una tantum”. Per esempio, se il Pil effettivo fosse inferiore a quello potenziale (cosa che avverrebbe in una fase debole del ciclo economico), le entrate dello Stato sarebbero temporaneamente basse e il deficit effettivo sarebbe più alto di quello aggiustato per il ciclo. Per stimare il valore di lavoro, capitale e TFP quando l’output gap è zero, il MEF utilizza delle serie storiche (tasso di partecipazione alla forza lavoro, numero medio di ore lavorate, investimenti) che coprono il periodo dal 1960 fino all’ultimo anno dell’orizzonte preventivo considerato (es. il DEF 2020 arriva fino al 2021). Successivamente, mediante tecniche di filtraggio delle serie storiche ed equazioni che descrivono la relazione tra prezzi e output gap, si giunge a una stima delle componenti di trend e potenziali delle diverse variabili che, sostituite nell’equazione di cui sopra, conducono ad una stima del Pil potenziale. Conseguentemente, il livello del deficit strutturale è stato rivisto, anche per il 2017-19 in modo significativo (per il 2018 la revisione è di un intero punto di Pil), nonostante l’assenza di revisioni nel deficit corrente e nelle misure una tantum.
Nonostante non sia prevista la possibilità di azioni espansive discrezionali in caso di recessione di una sola economia, al di là delle misure direttamente legate a eventuali eventi avversi, restano margini di flessibilità interpretativa relativi alla definizione di cosa sia da considerarsi “direttamente legato” a un evento avverso. Inoltre, un’eventuale apertura formale di una procedura di infrazione, del tutto improbabile al momento, potrebbe essere accompagnata da un piano di rientro posticipato nel tempo, come avvenne in occasione della crisi del 2008-09. Un rallentamento della crescita causa, a legislazione corrente, una perdita di entrate e un aumento di certe spese come i sussidi di disoccupazione, la cassa integrazione, il reddito di cittadinanza. Le tre principali regole europee che operano quando il deficit è al di sotto del 3 per cento (la regola sulla riduzione del deficit a una certa velocità, la regola della spesa e la regola di riduzione del debito) consentono comunque una correzione per gli stabilizzatori automatici. Nel caso dell’Italia, le prime due clausole sono già state attivate nel 2016 per importi pari a 0,5 e 0,21 per cento di Pil rispettivamente (8,4 e 3,5 miliardi) e, fintantoché non verrà raggiunto l’Obiettivo di Medio Termine, non potranno essere richieste nuovamente in sede di contrattazione con la Commissione europea. Le misure espansive che possono essere introdotte sulla base di questa clausola sono più ampie di quelle coperte dal fatto che tali misure possono avere natura una tantum (vedi sezione precedente). Anche in questo caso però le regole europee prevedono deviazioni temporanee oltre la soglia del 3 per cento in caso di “periodi di grave crisi economica per l’area euro o per l’intera Unione a condizione che non comprometta la sostenibilità fiscale nel medio termine”.
Cura Italia: interventi diretti a sostegno delle imprese
Va ricordato che il Fondo opera a favore dei professionisti e delle PMI, ossia imprese con meno di 250 addetti, il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di euro e/o il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di euro. La garanzia copre una quota pari al 33 per cento (a) del maggior credito utilizzato tra la data dell’entrata in vigore del decreto e il 30 settembre 2020; (b) dei prestiti in scadenza che hanno beneficiato di un allungamento della durata; (c) delle singole rate oggetto di sospensione. Prevede la corresponsione del 50 per cento delle spese per la sanificazione degli ambienti e l’acquisto di strumenti di lavoro a favore degli esercenti attività di impresa e professionisti fino ad un massimo di 20 mila euro per ciascun beneficiario ed entro il limite complessivo di 50 milioni. Per quanto riguarda le misure trasversali, l’articolo 72 istituisce un fondo per la promozione delle esportazioni con una dotazione iniziale di 150 milioni di euro per il 2020; tali risorse serviranno per adottare misure di comunicazione, potenziare la promozione del Made in Italy e a cofinanziare iniziative di promozione dei mercati esteri. L’articolo stabilisce un contributo in favore di taxi e servizi di Noleggio con Conducente, per l’acquisto di divisori atti a separare il posto guida dai sedili riservati alla clientela attraverso l’istituzione di un apposito fondo con dotazione di 2 milioni di euro. Viene riconosciuta un’indennità a favore di collaboratori di società e associazioni sportive dilettantistiche pari a 600 euro per il mese di marzo 2020, entro un limite massimo di 50 milioni di euro. Per quanto riguarda il settore del trasporto aereo, l’articolo prevede una misura di sostegno a fronte dei danni subiti attraverso l’incremento del fondo di solidarietà pari a 200 milioni di euro, di cui 120 andranno ad incrementare il deficit 2020.
Nazionalizzazione ai tempi del COVID-19 e suoi precedenti
L’emergenza epidemiologica ha reso necessari consistenti interventi da parte dei governi e molti Stati, soprattutto quelli maggiormente colpiti, valutano la possibilità di entrare nella proprietà delle imprese di rilevanza strategica laddove sia necessario per evitare che falliscano. Inoltre, nel nuovo Decreto Rilancio è stata affidata a Cassa Depositi e Prestiti la gestione di un Patrimonio Destinato per rafforzare il capitale di medie e grandi imprese tramite concessione di prestiti obbligazionari convertibili, aumenti di capitale e acquisto di azioni. In particolare, si tratterebbe di 7 miliardi per Air France, di cui 4 miliardi di prestiti bancari garantiti dallo Stato e 3 di sovvenzioni dirette, e 5 miliardi di crediti bancari garantiti per Renault, senza che lo Stato sia intervenuto per il momento nelle loro proprietà. Alcuni casi del passato: nazionalizzazioni durante la crisi del ‘29 [3] L’intervento dello Stato nella proprietà di imprese private in tempo di crisi non è una soluzione inedita, ma ben nota alla storia di molti paesi. Tale operazione portò il governo statunitense a possedere circa il 60 per cento del capitale della GM e il 10 per cento di quello della Chrysler a fronte di un’iniezione di liquidità complessiva pari a circa 64 miliardi di dollari. Alla prima fu erogato un prestito di 1,5 miliardi, mentre per la finanziaria della GM il governo investì 17 miliardi di dollari, di cui 14 furono destinati all’acquisto di azioni privilegiate, portando il Tesoro a possedere il 56,3 per cento della società. Prendendo spunto, dunque, dall’azione britannica il governo americano procedette all’acquisto di azioni privilegiate e titoli di debito (accompagnati dall’opzione di acquistare azioni ordinarie durante il programma) da 707 istituti finanziari per circa 205 miliardi di dollari.
Memoria sul Disegno di legge C. 2500 di conversione del DL. 34/2020 ("Decreto Rilancio")
L’entità dell’aumento del deficit e del debito pubblico Le misure espansive introdotte con il decreto Cura Italia, il decreto Liquidità e il decreto Rilancio ammontano a 75 miliardi di euro in termini di indebitamento netto (“deficit”) e a 470 miliardi in termini di garanzie. Nel medio periodo, tali rischi potrebbero più facilmente materializzarsi se la BCE dovesse, una volta terminata la recessione e per motivi di politica monetaria, riassorbire la base monetaria che viene attualmente creata a fronte dell’acquisto di titoli italiani ed esteri. Infine, il decreto ridonda di micro-misure e di interventi ad hoc che non solo hanno poco a che fare con la crisi attuale, ma che hanno dubbi effetti espansivi. (ii) Misure propulsive Le misure introdotte nel decreto Rilancio sono nella maggior parte (per quasi quattro quinti) costituite da provvedimenti volti ad attenuare le perdite di reddito causate dalla crisi (misure “difensive”) o comunque trasferimenti di reddito, anche in forma di eliminazione temporanea di tasse. Queste misure sono necessarie, soprattutto se ben mirate (vedi punto successivo), ma, in quanto misure essenzialmente volte a compensare in parte una perdita di reddito, non sono di per sé in grado di portare il paese al di fuori della crisi. Questo sussidio è volto a sostenere un settore (il turismo) che è certamente stato colpito in modo più forte dalla crisi, ma imprese di altri settori potrebbero trovarsi in condizioni ugualmente difficili e non ricevere un sostegno alla domanda per i prodotti che vendono. Vi sono poi una serie di norme che sono chiaramente volte a espellere dal mercato possibili concorrenti, compreso l’obbligo di applicare anche a compagnie estere i minimi salariali del contratto nazionale del trasporto aereo, il cui contraente pressoché unico è Alitalia (art.
Audizione in tema di politiche dell'Unione Europea
Soprattutto nella prima fase della crisi c’è chi ha fatto notare come, ancora una volta, gli Stati Uniti si stavano muovendo più rapidamente dell’Europa, soprattutto in termini di politica di bilancio. Le decisioni prese dalle istituzioni europee, con l’eccezione della BCE che infatti si è mossa più rapidamente, devono essere raggiunte attraverso una faticosa mediazione e in un contesto istituzionale inevitabilmente più lento. Il secondo punto di vista, quello secondo me più appropriato, riguarda il confronto tra la risposta data dalle istituzioni europee nella crisi presente e nelle crisi del 2008-09 e del 2011-12. Forme di prestiti in comune furono limitati al finanziamento del MES e del suo predecessore, il FESF, ma questi enti raccoglievano finanziamenti per prestiti di emergenza a paesi che avevano perso l’accesso al mercato e che avrebbero dovuto ridurre il proprio deficit pubblico, non aumentarlo. Questa differenza nei tempi e nelle modalità di reazione deve senza dubbio molto alle caratteristiche della crisi attuale, una crisi non soltanto di entità anche più grave di quelle precedenti, ma causata da un fattore esogeno, sanitario, indipendente dalle azioni dei singoli paesi e del tutto inatteso. È chiaro che il MES era stato creato per scopi diversi da quelli per cui si intende usarlo ora. Era stato volto a finanziare paesi che avessero bisogno di un aggiustamento relativamente rapido nelle loro politiche di bilancio (Irlanda, Portogallo, Grecia, Cipro) o nel settore bancario (Spagna). In questo senso, la proposta sarebbe un passo, ancorché di limitate proporzioni, nel colmare un vuoto che attualmente esiste nell’architettura dell’Unione Economica e Monetaria, ossia l’assenza di un bilancio europeo di sufficienti dimensioni che possa svolgere, in via permanente, un ruolo anticiclico.
Come sta andando il PEPP della BCE
Di recente il Consiglio direttivo della BCE ha potenziato il PEPP aumentandone la dotazione di 600 miliardi e allungandone la durata di 6 mesi. Ciò comporta un aumento medio degli acquisti di 12 miliardi al mese, mentre l’impatto sugli acquisti di titoli di Stato italiani potrebbe essere pari a 1,5-2 miliardi in più al mese. Lo scorso 4 giugno il Consiglio direttivo della Banca Centrale Europea ha approvato un potenziamento del Pandemic Emergency Purchase Programme (PEPP), il programma di acquisto di titoli pubblici e privati avviato a fine marzo in risposta alla crisi economica da coronavirus. Il ritmo è stato quindi finora molto forte: una distribuzione uniforme nel tempo dei 750 miliardi di dotazione iniziale avrebbe richiesto acquisti per circa 83 miliardi al mese (750 diviso i 9 mesi di durata inizialmente previsti), mentre gli acquisti effettivi sono stati pari a 119 miliardi ad aprile e 116 a maggio. Sulla base della propria capital key, l’Italia avrebbe avuto diritto al 17 per cento circa degli acquisti di titoli pubblici effettuati in questi primi due mesi (al netto di quelli sovranazionali), ovvero 29 miliardi. Cosa cambia con i 600 miliardi aggiuntivi Il potenziamento del PEPP deciso la settimana scorsa è sufficiente per procedere al ritmo attuale di acquisti (circa 115 miliardi al mese) per quasi 10 mesi, cioè fino a marzo 2021, ma così facendo rimarrebbero completamente scoperti i mesi di aprile, maggio e giugno 2021. Rispetto alla situazione precedente la decisione della settimana scorsa, quando i miliardi ancora a disposizione erano 515 e i mesi da coprire 7 (giugno-dicembre 2020), l’aumento degli acquisti medi mensili è di circa 12 miliardi.
Aiuti di Stato: la Commissione sta davvero penalizzando i Paesi ad alto debito?
La Commissione, oltre ad aver accordato flessibilità sulle politiche di bilancio, ha introdotto un nuovo “Quadro temporaneo” sugli aiuti di Stato per permettere agli Stati di liberare le risorse necessarie. Intanto, in questi giorni, si discute se la Commissione stia penalizzando i Paesi ad alto debito nell’accordare gli aiuti, ma l’Italia risulta il secondo Paese europeo per aiuti notificati sul Pil, dopo la Germania. Per “aiuto di Stato” si intende qualsiasi trasferimento di risorse pubbliche da parte dello Stato alle imprese, creando un vantaggio economico che rischia di falsare la concorrenza. Gli aiuti di Stato sono regolamentati dagli articoli 107 e 108 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), e vietati se non in caso di “obiettivi di comune interesse” e nel caso di correzione dei cosiddetti “fallimenti di mercato”. Questo sostegno può essere integrato con gli aiuti “de minimis” (per un massimo di 200.000 euro) ed altre tipologie di aiuti di Stato, portando così l’aiuto massimo per la singola impresa a 1 milione di euro. Le misure italiane All’interno dei circa 300 miliardi di aiuti di Stato che la Commissione ha approvato per l’Italia sono comprese misure economiche di diverso impatto. Tav. 1: Aiuti di Stato per Paese Paese % su totale accordati Aiuti in miliardi Aiuti di Stato / Pil Germania 51,0% 994,5 28,9% Italia 15,5% 302,2 16,9% Francia 17,0% 331,5 13,7% Belgio 3,0% 58,5 12,4% Polonia 2,5% 48,7 9,2% Regno Unito 4,0% 78 3,1% Altri 7,0% 136,5 - Totale 100% 1950 Fonte: elaborazioni Osservatorio CPI su dati Commissione UE e AMECO [1] Per una definizione più dettagliata: http://www.politicheeuropee.gov.it/it/attivita/aiuti-di-stato/ .
Si dice infatti che “L’unica condizione per accedere alla linea di credito è che lo Stato richiedente si impegni ad usare il credito per sostenere il finanziamento dei costi diretti e indiretti sostenuti per la sanità, la cura e la prevenzione in conseguenza della crisi Covid-19”. Un paese che accede al MES può finire sotto sorveglianza rafforzata? Un’altra critica si riferisce al fatto che, in base all’articolo 2 comma 3 del cosiddetto “Two Pack” (Regolamento 472 del 2013), un paese che fa richiesta di accesso agli strumenti di assistenza precauzionale MES, viene messo sotto sorveglianza rafforzata. Né potrebbe essere altrimenti dato che i regolamenti, in quanto fonte secondaria, non possono derogare alle norme primarie dei Trattati che agli articoli 121, 126 e 136 del TFUE prevedono misure di coordinamento e sorveglianza che non vanno al di là dal rendere pubbliche le raccomandazioni non ottemperate. Una volta sotto sorveglianza rafforzata, le condizionalità possono essere modificate unilateralmente? Dalle considerazioni fatte sopra consegue anche che una linea precauzionale del MES, che nasce con una “condizionalità soft”, non può divenire soggetta a una “condizionalità hard” per effetto del reg. 472/2013. Quanto alla condizione che la linea di credito includa la possibilità per il MES di acquisti di titoli sul mercato primario, dalle informazioni in nostro possesso, risulta che questa possibilità, pur non essendo automatica, verrà attivata nel caso della linea “Pandemic Crisis Support”. In ogni caso, è opportuno aggiungere che queste condizioni sono richieste da un regolamento interno della BCE che può essere modificato dal Consiglio dei Governatori, così come è accaduto pochi giorni fa a proposito del regolamento relativo alla qualità del collateral per le operazioni di prestito con le banche. È invece difficile che la BCE possa cambiare la condizione che a monte ci sia un prestito del MES, perché questo appare un punto rilevante nella sentenza del 2015 della Corte di Giustizia Europea, che ha stabilito che le OMT non violano i Trattati.
Ma gli effetti di un acquisto di titoli sul mercato primario sarebbero davvero così diversi rispetto a quelli dell’acquisto sul mercato secondario? In realtà, dal punto di vista delle condizioni di finanziamento per lo Stato sembra esserci poca differenza. del TFEU, alla BCE è vietato l’acquisto di titoli di Stato sul mercato primario, il che significa che non può partecipare direttamente alle aste; gli acquisti sono quindi avvenuti e stanno avvenendo esclusivamente sul mercato secondario. Ma gli effetti di un acquisto di titoli sul mercato primario sarebbero davvero così diversi rispetto a quelli che già abbiamo con l’acquisto sul mercato secondario? O è vero quanto suggerito invece anche dal modello IS-LM? Consideriamo i due scenari. Tuttavia, è evidente che, nel decidere quanti titoli domandare all’asta e a quale prezzo acquistarli, gli investitori privati terranno conto del fatto che la banca centrale ha avviato un programma di acquisto di titoli di Stato sul mercato secondario. In altre parole, gli investitori sanno che la domanda di titoli di Stato sul mercato secondario è elevata (grazie al programma della banca centrale) e dunque non ci saranno particolari difficoltà a rivendere i titoli che acquisteranno. In primo luogo, nei giorni precedenti l’emissione di un nuovo titolo la banca centrale può acquistare sul mercato secondario titoli simili a quello che verrà emesso: in tal caso, gli investitori possono “compensare” i titoli venduti alla banca centrale acquistando una maggiore quantità di titoli simili all’asta. In conclusione, se ciò che interessa è l’effetto sul costo del finanziamento per degli Stati, non sembra esserci una differenza significativa tra acquisti della banca centrale effettuati sul mercato primario e acquisti sul mercato secondario.
Il totale delle emissioni per il resto di quest’anno potrebbe essere quindi di circa 345 miliardi. Il programma di acquisti di titoli da parte della BCE da qui alla fine dell’anno era già di circa 300 miliardi prima della decisione annunciata la sera del 18 marzo di lanciare il Pandemic Emergency Purchase Program (PEPP) di 750 miliardi. Assumendo che questi rappresentino il 15 per cento del totale dei titoli in scadenza, si tratta di altri 35 miliardi circa, per un totale di 215 miliardi. Ipotizzando misure di pari ammontare, il deficit salirebbe al 5,4 per cento del Pil. Il miglior andamento delle entrate nel 2019 (per uno 0,5 per cento del Pil) potrebbe però avere un effetto anche nel 2020. Il deficit per il 2020 potrebbe quindi attestarsi al 4,9 per cento del Pil. [3] Il comunicato stampa della BCE indica che il benchmark per l’allocazione degli acquisti di titoli resterà la capital key (la quota italiana nel capitale della BCE). Occorrerebbe anche tener conto del vincolo per cui la BCE non può detenere più di un terzo delle emissioni di una singola serie di titoli di stato. Se si applicasse questo tetto a tutte le serie, la BCE non potrebbe detenere più di un terzo del totale dei titoli di stato italiani.
Il decreto Cura Italia: un commento dell’Osservatorio CPI
In quanto tali sono appropriate, ma per rilanciare l’economia, una volta superata la crisi sanitaria, serviranno altre misure espansive di finanza pubblica, preferibilmente sul lato degli investimenti, e riforme strutturali. Il decreto Cura Italia introduce un ampio spettro di misure con un impatto sull’“indebitamento netto” (il deficit pubblico) di 20 miliardi. Il governo ha fatto riferimento a una manovra da 25 miliardi, riferendosi però al cosiddetto “saldo netto da finanziare”, una voce contabile relativa al bilancio dello Stato che include alcune voci che non hanno un impatto immediato sulla attività economica. Con riferimento ai dati sull’indebitamento netto, queste comprendono le spese sanitarie (2,8 miliardi) e le spese per assunzioni di personale e acquisti di diverso genere (0,5 miliardi). Sulla base di queste caratteristiche, un programma di investimenti pubblici, partendo dalla rapida riapertura dei cantieri in corso, potrebbe costituire il pilastro portante di una tale azione di rilancio. Questa azione di stimolo alla domanda e alla crescita dell’offerta potenziale potrebbe essere utilmente integrata da riforme in grado di facilitare l’investimento privato quali una drastica semplificazione burocratica, un miglioramento dei servizi offerti dalla pubblica amministrazione, una giustizia civile e amministrativa più rapida ed efficiente. Un’ultima precisazione: quanto sopra indicato sarà possibile se le condizioni di finanziamento sul mercato dei titoli di stato resteranno accettabili, il che richiede interventi da parte delle istituzioni europee, quale quello annunciato dalla BCE nella serata del 18 marzo.
Coronavirus e blocco delle attività: cosa succede all'estero?
Spagna Le misure attualmente in vigore in Spagna sono simili a quelle adottate in Italia, e prevedono la chiusura di tutte le attività “non essenziali”, sia commerciali sia produttive. Alcune misure di chiusura erano già in vigore dal 14 marzo, ma sono state rafforzate dal 30 marzo fino (per ora) al 9 aprile. Francia Tutte le attività produttive non aperte al pubblico restano aperte. Belgio Le attività produttive “non essenziali” sono bloccate solo se non possono essere svolte tramite telelavoro o garantendo le distanze di sicurezza all’interno dell’azienda (1,5 metri tra una persona e l’altra). Tutti i negozi e le attività commerciali sono chiusi, ad eccezione di alimentari, farmacie, edicole, stazioni di servizio e parrucchieri; tutti gli altri possono fare solo consegne a domicilio. Paesi Bassi Attualmente sono chiusi fino al 28 aprile soltanto i bar, i ristoranti e in generale tutte le attività commerciali non essenziali che richiedono il contatto fisico (come i parrucchieri). Alcuni Stati hanno provveduto a chiudere solamente le scuole, mentre altri come lo Stato di New York (dove si concentra il maggior numero di casi di coronavirus) hanno chiuso bar, ristoranti, cinema e tutte le attività che comportano un contatto fisico (come i parrucchieri).
La sanità in Italia: cosa è cambiato nell’ultimo decennio
L’andamento dei posti letto I dati del Ministero della Salute indicano che tra il 2010 e il 2018 i posti letto fra strutture pubbliche e private convenzionate con il SSN sono scesi del 13,7 per cento in termini assoluti e del 15,5 per cento in rapporto alla popolazione. Se al Sud il numero di posti letto in rapporto alla popolazione è sensibilmente più basso rispetto al resto del paese, la riduzione più forte si è verificata invece al Centro (-19,8 per cento; Figura 1). Il calo dei posti letto pro-capite è stato più marcato per le strutture pubbliche (17,1 per cento), ma si è manifestato anche in quelle private accreditate (9 per cento). Inoltre nel 2017 il dato italiano (318 posti ogni 100.000 abitanti), pur essendo simile a quello di paesi come Spagna, Portogallo, Finlandia, Danimarca, Irlanda, Paesi Bassi, era inferiore sia alla media OCSE (467 posti), sia alla media UE28 (541 posti). La terapia intensiva In Italia il numero di posti letto in terapia intensiva in rapporto alla popolazione è invece aumentato del 5,7 per cento tra il 2010 e il 2018 (Figura 3). Le risorse umane: gli infermieri Anche il numero di infermieri è sceso (-7,2 per cento nel periodo 2010-2017), con cali più consistenti nel Centro e nel Sud e Isole (-13 per cento e -10,7 per cento rispettivamente). Per quanto riguarda il personale infermieristico invece, nello stesso periodo, il Veneto (che ha sistematicamente esibito un numero più elevato in rapporto alla popolazione) ha ridotto gli effettivi del 7,4 per cento, a fronte di un mantenimento pressoché costante dell’organico di infermieri da parte della Lombardia.