Commissioni riunite Finanze e Politiche dell'Unione Europea della Camera dei Deputati
Memoria sulla Comunicazione della Commissione Europea in materia di politica fiscale (COM (2019) 8 final)
di Carlo Cottarelli
30 luglio 2020
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Ringrazio la Commissione Finanze e la Commissione Politiche dell’Unione Europea per l’invito ricevuto a tenere questa audizione.
Il tema discusso oggi è di grande importanza. Consentire un processo decisionale più snello e che consenta cambiamenti sostanziali di fronte a esigenze pressanti è essenziale per ogni istituzione. È particolarmente importante per un’istituzione — l’Unione Europea — dal cui futuro dipenderà l’evoluzione politica, sociale ed economica del nostro continente e in un’area, quella della tassazione, dove il processo di armonizzazione è in forte ritardo rispetto ad altre aree con conseguenze economiche rilevanti.
Il documento della Commissione Europea del gennaio 2019, in discussione oggi, e la nota di Documentazione preparata dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea della Camera dei Deputatati del 14 ottobre 2019 illustrano bene i termini della questione. La Commissione Europea ha indentificato sei paesi (Cipro, Ungheria, Irlanda, Lussemburgo, Malta, Olanda) che, seppure non possano essere definiti formalmente paradisi fiscali, praticano politiche di tassazione aggressive, soprattutto rispetto alla tassazione dei profitti delle società, politiche che vanno a scapito degli altri paesi. La sopra citata nota di Documentazione fornisce anche stime delle perdite consistenti che gli altri paesi dell’Unione subiscono per effetto di queste pratiche aggressive, in termini di perdita di gettito. Simili stime sono state pubblicate anche da diverse organizzazioni internazionali. Tra queste segnalerei quelle recenti del Fondo Monetario Internazionale contenute nel Policy Paper dal titolo “Corporate Taxation in the Global Economy” pubblicato nel marzo 2019, da cui si vede che il nostro paese, insieme a Francia e Germania, è tra i più colpiti in Europa da queste pratiche aggressive.
I problemi causati da questi comportamenti opportunistici sono stati finora affrontati, sia a livello internazionale, sia a livello europeo attraverso regole volte soprattutto a contrastare l’elusione fiscale, attraverso il trasferimento artificiale dei profitti verso giurisdizioni fiscali a bassa tassazione. Lo sforzo si è concretizzato nel programma BEPS (Base Erosion and Profit Shifting) dell’OCSE e in direttive e regolamenti dell’Unione Europea. Occorre però andare oltre.
Occorre capire che i problemi derivanti dall’esistenza di livelli di tassazione effettiva molto diversi all’interno dell’Unione Europea non possono essere affrontati solo attraverso normative sull’elusione, ossia sul trasferimento fittizio di profitti verso paesi a bassa tassazione. Questo per due motivi. Primo, se le differenze nei livelli di tassazione sono marcate l’incentivo a spostare in modo fittizio i profitti verso un altro paese resta elevato e rende più conveniente porre in essere comportamenti elusivi, aggirando norme introdotte a tale scopo. Secondo, differenze marcate rendono conveniente spostare anche in modo non fittizio la sede dell’attività verso altri paesi.
Ricordo in proposito quello che il Fondo Monetario Internazionale scrive nel sopracitato rapporto (mia traduzione):
“Il risparmio potenziale in termini di tassazione potrebbe essere così grande che le società potrebbero essere disposte ad allocare qualunque risorsa necessaria per passare il test di presenza sostanziale nei paesi a tassazione bassa, non importa quanto sia poco produttivo un tale spostamento.”
Il problema, quindi, non può essere ristretto alle politiche anti elusione, ma deve coinvolgere le politiche di tassazione, praticate dai diversi paesi. Al momento, il mancato coordinamento di tali politiche ha portato a livello mondiale a una intensa concorrenza fiscale (tax competition) tra paesi che ha generato una progressiva riduzione negli ultimi decenni dei livelli di tassazione suoi profitti delle società. Questo calo nel livello della tassazione ha causato perdite di entrate tra i paesi che va ben al di là della perdita dovuta alla vera e propria elusione.
Risolvere questo problema a livello mondiale richiederebbe un coordinamento delle politiche di tassazione che è politicamente irrealistico. Ma almeno a livello europeo è necessario trovare una soluzione.
Prima di proseguire nel discutere le possibili soluzioni, soprattutto dal punto di vista decisionale, vorrei chiarire un ultimo punto. C’è chi ritiene che la competizione tra paesi sui livelli di tassazione societaria sia salutare perché porta i paesi a un livello di tassazione più bassa, meno distorsiva, e a minori sprechi sul lato della spesa pubblica. Infatti, alcuni ritengono che i sei paesi che praticano politiche di tassazione aggressiva siano paesi in qualche modo “virtuosi”, frugali verrebbe da dire, nella gestione della spesa pubblica: sarebbero paesi che possono avere tasse basse perché non sprecano soldi sul lato della spesa.
Non credo sia questo il caso. Il fatto che questi paesi siano tutti di dimensione medio-piccola suggerisce che essi si avvantaggino di un fatto: paesi piccoli hanno un vantaggio comparato nell’abbassare il proprio livello di tassazione sulle società perché, essendo piccoli, perdono poco abbassando le tasse sulle società già presenti nel proprio territorio rispetto a quello che possono guadagnare attirando capitali dall’estero. Quello che consente loro di avvantaggiarsi è proprio la coesistenza all’interno dell’Unione Europea di paesi di diversa dimensione. Il risultato, però, è che gli investimenti all’interno del mercato unico vanno ad allocarsi non sulla base di fattori oggettivi che influenzano la produttività reale degli investimenti, ma sulla base delle distorsioni create dalle diversità della tassazione tra diversi paesi. Armonizzare, almeno in parte, tali livelli di tassazione consentirebbe di rendere l’Unione Europea un vero level playing field, un piano livellato dove le forze della concorrenza possano esprimersi al meglio: un vero mercato unico. In quest’ottica, una armonizzazione della tassazione diventa opportuna anche per chi, come me, crede nel ruolo della concorrenza come stimolo a efficienza e crescita economica.
È quindi necessario raggiungere un maggior grado di armonizzazione nella tassazione in Europa. La difficoltà sta nell’unanimità che è necessaria per prendere decisioni in quest’area. Le misure prese finora, descritte a pagina 6 del documento circolato dalla Commissione Europea nel gennaio 2019, in discussione oggi, sono relative ai casi più eclatanti di frode e abusi fiscali, ma hanno avuto una portata tutto sommato modesta.
Da qui la proposta della Commissione del gennaio 2019. Non credo sia necessario che vi riassuma il contenuto della proposta che è chiaro dal documento della Commissione, dalla Documentazione presentata dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea della Camera dei Deputatati, nonché dalle audizioni di chi mi ha preceduto, compreso quella, davvero ottima, del Professor Leo. L’uso della clausola “passerella” fornisce una possibilità legalmente valida per passare a un nuovo processo decisionale che utilizzi la procedura della maggioranza qualificata e aumenti il ruolo del Parlamento nel processo decisionale. Ma non è chiaro perché i paesi che attualmente beneficiano del potere di veto in queste aree dovrebbero volontariamente approvare l’utilizzo della clausola passerella che pure richiede l’unanimità e la possibilità di un veto anche attraverso il voto parlamentare entro 6 mesi. In effetti, la risposta dei paesi alla proposta della Commissione è stata piuttosto fredda. Come notato nella sopracitata Documentazione preparata dai servizi della Camera, ben 15 paesi (compreso almeno 5 dei 6 paesi che seguono pratiche fiscali aggressive; non è chiaro quale sia la posizione di Cipro) si sarebbero dichiarati contrari.
Una soluzione alternativa è stata invece prospettata nel documento circolato dalla Commissione Europea il 17 luglio scorso. Il documento (Action Plan for fair and simple taxation supporting the recovery; COM(2020) 312 final) comprende 25 iniziative che la Commissione Europea intende realizzare entro il 2024 per rendere la tassazione più giusta, più semplice, più adatta alle nuove tecnologie. Al di là delle proposte specifiche il documento è rilevante per il tema discusso oggi perché prevede che (traduco dal teso inglese):
“Per attuare l’agenda di una tassazione più giusta. Tutte le leve di politica attualmente esistenti devono essere attuate. È in questo contesto che la Commissione esplorerà come utilizzare a pieno le norme del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFEU) che permettono di adottare proposte sulla tassazione attraverso procedure legislative ordinarie, incluso l’articolo 116 del TFEU.”
Ricordo che tale articolo recita:
“Qualora la Commissione constati che una disparità esistente nelle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative degli Stati membri falsa le condizioni di concorrenza sul mercato interno e provoca, per tal motivo, una distorsione che deve essere eliminata, essa provvede a consultarsi con gli Stati membri interessati.
Se attraverso tale consultazione non si raggiunge un accordo che elimini la distorsione in questione, il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, stabiliscono le direttive all'uopo necessarie. Può essere adottata ogni altra opportuna misura prevista dai trattati.”
Questa possibilità era stata menzionata anche nella Comunicazione alla Commissione Europea (pagina7). Veniva però scartata in quanto non poteva “colmare tutte le lacune generate oggi dall’unanimità)”. La Commissione sembra aver cambiato peraltro idea su questo punto perché il più recente Action Plan fa riferimento esplicito all’art. 116 e non più all’utilizzo della clausola passerella. Resta però il fatto che per attivare l’articolo 116, peraltro mai utilizzato finora, occorre dimostrare che le norme fiscali in questione falsino le condizioni di concorrenza. Come ho spiegato sopra, credo che ci siano le basi economiche per arrivare a tale conclusione, ma probabilmente seguire questa strada comporterebbe dover affrontare contestazione in sede, per esempio, di Corte di Giustizia. Non mi sembra questo costituisca un ostacolo insormontabile, ma occorre tenerlo presente.
Un ultimo punto che vorrei trattare riguarda le implicazioni in termini di sovranità della eliminazione del criterio della unanimità in campo fiscale, in qualunque modo questo sia raggiunto. Questo punto è stato menzionato, tra gli altri, nella già citata audizione del Professor Leo. Non c’è dubbio che rinunciare al principio del criterio della unanimità comporta una cessione di sovranità. E non c’è modo di evitare questo problema. Si potrebbe ridurre l’impatto della riforma restringendo il campo delle misure che potrebbero essere adottate senza l’unanimità, per esempio limitandolo, come suggerisce il Professor Leo, al contrasto dei fenomeni patologici, come le frodi e le costruzioni abusive internazionali o alle sfide della digital economy. Ma inutile illuderci: seguendo questa strada sarebbe impossibile eliminare il problema che stiamo cercando di risolvere a livello europeo: quello dei piccoli paesi che praticano politiche di tassazione caratterizzate da un livello di tassazione molto bassa, riuscendo ad attirare, investimenti sproporzionati a quello che sarebbe giustificabile in assenza di tassazione, anche indipendentemente da frodi e costruzioni abusive internazionali. Inutile girarci intorno: risolvere questo problema richiede una cessione parziale di sovranità, come in ogni caso accade qualora si decida di aumentare il ruolo delle politiche comunitarie. Se si crede nella necessità di rafforzare le istituzioni europee, per evitare comportamenti di singoli stati che danneggiano gli altri paesi europei, questa è la strada da seguire.