V Commissione Bilancio della Camera dei deputati
Esame della proposta di Piano Nazionale di Resilienza
dell'Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani
8 febbraio 2021
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Ringrazio la V Commissione Bilancio della Camera dei deputati per questa occasione che mi viene data di presentare il punto di vista dell’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica di Milano sulla proposta di Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Dopo i recenti sviluppi politici, immagino che il PNRR sarà rivisto. Spero quindi che questi miei commenti possano essere utili in vista di tale revisione. Intendo inviare entro domani il testo del mio intervento di oggi.
I miei commenti riguardano quattro aspetti:
- L’adeguatezza della strategia di crescita che dovrebbe essere realizzata attraverso il PNRR.
- Il grado di specificità e dettaglio nella definizione delle azioni da intraprendere, compreso in termini di target e milestone che devono essere raggiunti per consentire l’erogazione dei finanziamenti.
- La definizione della Governance del PNRR e delle misure controllo e audit.
- Il legame, a livello macroeconomico tra il quadro NADEF (l’ultimo approvato da governo e parlamento) e il PNRR.
Prima di proseguire vorrei però sottolineare due punti.
Il primo è che nella mia presentazione mi focalizzerò soprattutto sulle cose da migliorare nel PNRR. Ci sono senza dubbio tante cose appropriate (per esempio, l’attenzione agli investimenti pubblici che sono stati insufficienti negli ultimi anni), ma è naturale per me, volendo indicare aree di miglioramento, concentrarmi sugli aspetti negativi più che su quelli positivi. Non me ne vogliano gli estensori del PNRR.
Il secondo punto è che una presentazione più concisa, non strettamente in termini di lunghezza ma di rapporto tra testo e contenuti sostanziali, sarebbe stata più efficace. Il PNRR abbonda di affermazioni di carattere generale e di ripetizioni che rendono il documento meno efficace di quello che dovrebbe essere e di più difficile lettura. Insomma meno parole e più specificità nel descrivere le azioni previste sarebbero preferibili.
- L’adeguatezza della strategia di crescita che dovrebbe essere realizzata attraverso il PNRR
Nelle sue prime pagine (in particolare dalla 12 alla 19) il PNRR definisce la strategia di crescita che l’Italia dovrebbe seguire. Penso che questa parte, che è fondamentale per il seguito, debba essere notevolmente migliorata. In particolare:
- Occorrerebbe chiarire fin dall’inizio che la crescita richiede capitale fisico (investimenti pubblici e privati), capitale umano e riforme perché questo capitale fisico e umano sia utilizzato in modo efficiente, aumentando la produttività dei fattori. Nella sua forma attuale il PNRR è molto concentrato sull’investimento pubblico (con il 70 per cento delle risorse impiegate a questo scopo) e molto meno sul creare le condizioni perché gli investimenti privati si allochino in Italia invece che all’estero e sulla individuazione delle riforme per l’utilizzo efficiente di tale capitale. C’è anche insufficiente attenzione per il rafforzamento del capitale umano.
- Riguardo alle riforme per facilitare l’investimento privato (e aumentarne la produttività), è per me essenziale la riduzione degli ostacoli burocratici all’attività di impresa. L’eccesso di burocrazia da decenni appare nei sondaggi delle imprese private tra i primi posti come disincentivo agli investimenti e per buoni motivi. Un dato tra tutti: secondo una stima del dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio fatta qualche anno fa, ogni anno le piccole e medie imprese italiane spendono oltre 30 miliardi a compilare moduli richiesti dalle pubbliche amministrazioni. Risolvere il problema richiede uno sfoltimento dell’apparato normativo e una semplificazione dei processi decisionali. Il PNRR non comprende nulla in quest’area, se non in vaghissimi termini (come le poche parole alla fine di p.51). È questa una mancanza fondamentale perché non solo l’investimento privato, ma anche quello pubblico (su cui è incentrato il piano) viene ostacolato dall’eccesso di burocrazia.
- Passiamo al capitale umano: c’è troppo poca enfasi nella parte strategica del documento sull’importanza del capitale umano, vero motore di sviluppo in ogni paese. La questione non viene neppure menzionata alle pagine 12-13 su “I nodi da risolvere”. Non è allora sorprendente che le risorse allocate a pubblica istruzione e ricerca siano solo il 12,7 per cento del totale, nonostante il nostro ritardo in quest’area rispetto alla media europea (per esempio in termini di numero di laureati) sia molto elevato.
- Altre aree di riforme, cruciali per la crescita, sono mancanti o non adeguatamente sviluppate. Di concorrenza, essenziale per evitare la formazione di poteri monopolistici e rendite di posizione e per accrescere l’efficienza economica e la produttività, si parla solo in 7 righe e prevalentemente in termini di digitalizzazione. La riforma della pubblica amministrazione, al di là della sua digitalizzazione, è delineata per fortuna in modo un po’ più chiaro rispetto alla versione di dicembre del PNRR, ma ancora in termini troppo generici. Lo stesso vale per la riforma della giustizia dove ora si indica che sono “allo studio ed in fase di elaborazione altre misure per un eventuale inserimento in un prossimo decreto-legge”; ulteriori misure dunque rispetto a quelle già depositate in Parlamento. Un miglioramento rispetto alla versione di dicembre, in cui si diceva che quanto necessario in quest’area era già in attesa di approvazione parlamentare, ma certo una espressione di intenti piuttosto debole e vaga.
- Infine, anche se l’enfasi di tutta la parte strategica del PNRR sulle disuguaglianze è senz’altro appropriata, non è chiarito quale sia il legame tra lotta alle disuguaglianze e il rafforzamento delle prospettive di crescita del Paese. Si possono certo trovare importanti legami di causalità (anche bidirezionale) tra uguaglianza e crescita, ma questi legami devono essere ben definiti. Certo sarebbe più facile trovare tali legami se si facesse riferimento a un concetto di uguaglianza di possibilità, di opportunità, cosa che però non viene esplicitata. Il PNRR, per lo meno nella sua parte strategica, parla genericamente di disuguaglianze. Tuttavia, un’uguaglianza che fosse meramente redistributiva (cosa pur necessaria in misura adeguata) diventerebbe, se portata all’estremo dell’assistenzialismo, dannosa rispetto all’obiettivo di rafforzare la nostra crescita, soprattutto in termini di produttività.
- Il grado di specificità e dettaglio nella definizione delle azioni da intraprendere
Nella sua versione attuale il PNRR è ancora troppo poco specifico rispetto a quanto richiesto dall’Europa. La Commissione ha infatti pubblicato linee guida per aiutare gli Stati membri nella stesura dei piani. In esse, viene suggerito un template diviso in 4 parti: la prima contiene una descrizione di come il piano aderisce agli obiettivi definiti dal Regolamento e alle priorità del Semestre Europeo; la seconda contiene la descrizione degli investimenti e delle riforme; la terza l’implementazione del Piano, compresa la sua governance, e il coordinamento con altri programmi UE; e la quarta l’impatto atteso del Piano. L’attuale PNRR contiene queste informazioni solo parzialmente. In particolare, mancano del tutto le informazioni sull’implementazione e la governance (vedi sotto).
Inoltre, molte delle 48 “linee di intervento” previste restano ancora poco delineate. Meno del 30 per cento delle linee di intervento infatti definisce un obiettivo quantificato precisamente, come ad esempio il numero di beneficiari da raggiungere, di edifici da ristrutturare o di impianti da installare. Inoltre, solo il 20 per cento delle linee di intervento delinea le tempistiche entro le quali s’intende raggiungere i propri obiettivi e solo in 6 casi su 48 vengono posti obiettivi intermedi con relative tempistiche. La definizione della timeline degli interventi sarà un aspetto cruciale per il successo del Piano. Gli Stati Membri dovranno infatti proporre delle “milestone” e dei “target” alla Commissione, il cui raggiungimento sarà una condizione necessaria per ricevere i pagamenti periodici.
Per essere concreto vorrei fare qualche esempio. Le linee di azione meno dettagliate riguardano alcuni ambiti delle missioni Digitalizzazione, Istruzione e Ricerca e Inclusione e Coesione, soprattutto in termini di obiettivi da raggiungere e di tempistiche entro cui raggiungerli. Per esempio, per quanto riguarda la digitalizzazione, la componente relativa al Turismo e cultura 4.0 appare molto opaca con grande abbondanza nell’uso di termini generici (“rigenerazione”, “riqualificazione”, “valorizzazione”). Per quanto riguarda entrambe le missioni di Istruzione e Ricerca e Inclusione e Coesione, gli interventi contenuti sono ben descritti, ma non vengono definiti gli obiettivi quantitativi che si intendono raggiungere e le tempistiche entro cui realizzarli. Altro esempio: nella linea d’azione “Potenziamento delle competenze e diritto allo studio” vengono previsti interventi di investimenti per aumentare e ristrutturare gli edifici abitativi per gli studenti fuori sede, ma non viene specificato né quanti edifici si intendono costruire, né a quanti studenti fuori sede si intende fornire questo servizio. Un ultimo commento relativo alle misure proposte. Il PNRR comporta un’elevata spesa per investimenti pubblici. Non è chiaro perché certi investimenti pubblici, per esempio perché certe opere ferroviarie per la mobilità, siano state decise. È stata condotta una analisi costi-benefici per i progetti individuati? Anche in questo rispetto più specificità sarebbe appropriata.
- La definizione della Governance del PNRR e delle misure di controllo e audit
Il PNRR, al contrario della versione presentata a dicembre, non descrive come il Piano verrà gestito, ossia la sua governance. La bozza di dicembre suggeriva una struttura “piramidale” caratterizzata da un numero (non direttamente specificato ma presumibile) di sei responsabili di missione, con poteri decisionali e coadiuvati da un ampio staff (si era parlato anche di 300 esperti). Tale struttura avrebbe comportato il rischio di interferenze tra la struttura stessa e gli apparati ministeriali che inevitabilmente dovranno portare avanti l’esecuzione del piano, rallentandone l’implementazione. A mio giudizio la migliore struttura di governance è quella proposta da un lavoro promosso da Assonime pubblicato con il titolo “Quale assetto istituzionale per l’impiego dei fondi Next Generation EU?”. Questo lavoro prevede l’individuazione di un ministro senza portafoglio (che può coincidere con il Ministro per gli affari Europei) responsabile per la discussione e l’esecuzione del PNRR, nell’ambito del Comitato Interministeriale per gli Affari Europei (CIAE). Il Ministro sarebbe coadiuvato da una struttura snella composta da rappresentanti dei ministeri coinvolti e da figure di alto profilo tecnico, presso la Presidenza del Consiglio, e svolgerebbe un'azione di stimolo e verifica delle iniziative delle amministrazioni competenti, coordinandone anche lavoro. Ci sarebbero anche dei responsabili per il PNRR in ciascun Ministero e Regione, cui affidare tutti i compiti dell'amministrazione di appartenenza connessi alla gestione del Piano. Tale struttura è simile a quella che è stata adottata in passato in vari paesi per svolgere azioni che coinvolgono diversi ministeri. Anche in quel caso le strutture centrali non hanno compiti decisionali ed esecutivi, ma sono essenziali per assicurare il controllo sull’implementazione dei lavori e per attività di coordinamento. Penso che tale approccio debba essere considerato con la dovuta attenzione per la gestione del PNRR. Fra l’altro sembra che vari paesi dell’Unione Europea siano orientati a seguire un simile approccio per la gestione del PNRR.
Passo alle misure di controllo e audit che sono considerate essenziali dall’Unione Europea, come evidenziato anche dalle linee guida per il PNRR circolate di recente dalla Commissione. Tali misure non sono attualmente indicate nella bozza del nostro PNRR. Il regolamento richiede che i paesi descrivano nel loro piano i sistemi di controllo e le misure che impediranno l’insorgere e eventualmente individueranno, porteranno alla luce e correggeranno conflitti di interesse e fenomeni di corruzione e frode nell’uso delle risorse del PNRR. Anche questa parte, ora mancante, dovrà essere chiarita.
- Il legame, a livello macroeconomico tra il quadro NADEF (l’ultimo approvato da governo e parlamento) e il PNRR
La trasparenza nella definizione dei piani macroeconomici e di bilancio di ogni paese è essenziale. La Bozza di PNRR è, in proposito, carente. Le risorse del PNRR sono destinate a finanziare iniziative “in essere” e “nuove” (p.22). Non è però mai chiarito come venga tracciata esattamente tale distinzione. “In essere” o “nuove” rispetto a quale quadro finanziario? Si potrebbe presumere che tale quadro possa essere quello programmatico della NADEF di settembre 2020 e della legge di bilancio per il 2021. Se così fosse, e focalizzandoci sulle risorse della Recovery and Resilence Facility, le spese aggiuntive (“nuove”) da aggiungere al quadro della NADEF sarebbero pari a 145 miliardi (tavole a p. 22, seconda colonna, ultima riga), di cui 69 finanziate a fondo perduto, quindi senza creare deficit e debito. Il deficit aggiuntivo (le risorse rese a prestito) rispetto alla NADEF sarebbe quindi di 76 miliardi (145 meno 69), una cifra molto elevata. Sembrerebbe però che parte di tale cifra (da informazioni che sono circolate sembrerebbe circa 40 miliardi) fosse comunque già inclusa nel quadro della NADEF nel Fondo Sviluppo e Coesione (vedi la nota alla tavola, a dire il vero piuttosto criptica). Se così fosse, resterebbero comunque da aggiungere al quadro NADEF 36 miliardi di deficit addizionale. Volendo essere generosi si potrebbe notare che il totale delle risorse nel NGEU eccede di 14 miliardi le risorse messe a disposizione dall’Unione Europea, cosa di per sé strana ma che viene giustificata in parte con un “effetto leva” e in parte con la previsione che alcune delle proposte del PNRR sarebbero state rigettate dalla Commissione (vedi p. 37). Questo ridurrebbe il possibile deficit addizionale rispetto al quadro NADEF a 22 miliardi, cifra peraltro non irrilevante. Il PNRR, tuttavia, non fa riferimento a questo e, anzi, sembrerebbe continuare a considerare il quadro NADEF come quello rilevante (pp. 38-39). Il frequente e forzato uso di condizionali nel precedente capoverso è sintomo della poca chiarezza del PNRR in quest’area. È invece fondamentale che la versione finale del PNRR sia del tutto trasparente rispetto al tracciato dei conti pubblici che risulterebbe dalla implementazione di tale piano.