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È vero che la “regola del 3 per cento" non è contenuta nei trattati dell’Unione Europea?
L'Osservatorio Studi e documentazione Stampa, Video e Podcast Chiedi all'Osservatorio Chi siamo Dove Siamo Finanziatori Lavora con noi Studi e analisi Pachidermi e pappagalli Finanza pubblica per tutti Banche dati Serie storiche Documentazione ufficiale Stampa Video Podcast. In particolare, i criteri da osservare in materia di finanza pubblica riguardavano i rapporti, rispetto al Pil, del debito pubblico e dell’indebitamento netto (anche noto come disavanzo o deficit), ovvero la differenza tra uscite ed entrate dello stato (o, più precisamente, delle pubbliche amministrazioni). I valori di riferimento di cui all'articolo 104 C, paragrafo 2, del trattato sono: - il 3 % per il rapporto fra il disavanzo pubblico, previsto o effettivo, e il prodotto interno lordo ai prezzi di mercato: - il 60 % per il rapporto fra il debito pubblico e il prodotto interno lordo ai prezzi di mercato”.[. Di conseguenza, sbaglia chi afferma che la “regola del 3 per cento” non ha giustificazione nei Trattati perché non contenuta nel testo oppure perché messa “in allegato”: “il 3 per cento” è esplicitato in un Protocollo che è parte integrante del TFUE, come affermato dall’articolo 51.[. https://www.ecb.europa.eu/ecb/legal/pdf/maastricht_it.pdf [5] Nel tempo la “regola del 3 per cento” è stata mitigata tenendo conto dei cicli economici ed introducendo degli elementi di flessibilità. Per sapere quali sono oggi le regole europee per la finanza pubblica, si veda la nota “Le regole europee sui conti pubblici” disponibile all’indirizzo: h ttps://osservatoriocpi.unicatt.it/cpi-Le_regole_europee_OssCPI.pdf. regoleue #ue #bufale Archivio studi e analisi È vero che la “regola del 3 per cento"; non è contenuta nei trattati dell’Unione Europea? (25 gennaio 2019).
Le regole europee sui conti pubblici
Il Patto di Stabilità e Crescita Il PSC definisce i parametri di riferimento delle regole di bilancio, le norme di comportamento, gli strumenti di sorveglianza per ridurre il rischio di violazioni di tali regole (braccio preventivo) e gli strumenti di correzione in caso tali regole siano violate (braccio correttivo). Nel valutare il rispetto della regola del debito si tiene conto di fattori qualitativi come il livello dell’Obiettivo di Medio Termine (regola spiegata successivamente), la situazione economica generale e “altri fattori rilevanti” prima di avviare una procedura di infrazione. Queste regole riguardano il braccio preventivo del PSC: L’Obiettivo di Medio Termine (OMT) è il valore di riferimento del saldo di bilancio strutturale (deficit strutturale) che ciascun paese deve conseguire e mantenere nel tempo. Gli obiettivi sono definiti paese per paese e sono rivisti ogni 3 anni tenendo conto di fattori quali la volatilità passata del Pil, la sensibilità del bilancio alle fluttuazioni del Pil, il livello di debito e le tendenze di lungo periodo della finanza pubblica relative ai fattori demografici. Entro 20 giorni la Commissione emette una raccomandazione per richiedere allo SM di costituire un deposito fruttifero presso la Commissione, pari allo 0,2 per cento del Pil dell’anno precedente (tale valore potrebbe essere ridotto su proposta della Commissione o per iniziativa del Consiglio). I Paesi dell’area euro firmatari del TSCG si sono impegnati a votare in linea con le raccomandazioni della Commissione su tutti gli aspetti della PDE per violazione del criterio del deficit aperta contro un Paese dell’area euro, a meno che non ci sia una maggioranza qualificata contro le raccomandazioni. Qualora uno Stato membro persista nel disattendere le raccomandazioni del Consiglio, quest'ultimo può decidere di intimare allo Stato membro di prendere, entro un termine stabilito, le misure volte alla riduzione del disavanzo che il Consiglio ritiene necessaria per correggere la situazione.
Il coronavirus ha effetti fiscali retroattivi!
Corrispondentemente, il deficit strutturale, che viene utilizzato per la valutazione del rispetto dei parametri europei all’interno del Patto di Stabilità e Crescita (PSC), una volta che questi parametri siano riattivati, viene sovrastimato, anche per il passato. Le condizioni del ciclo economico nel PSC Come tengono conto le regole fiscali europee della congiuntura economica in cui si trovano gli Stati membri? La variabile rilevante è l‘output gap, ovvero la differenza percentuale tra il Pil effettivo e il Pil potenziale. L’output gap viene considerato per calcolare il deficit “strutturale”, cioè quello che si avrebbe se non ci fossero fattori temporanei che influiscono sul deficit, quali, appunto, il ciclo economico e misure “una tantum”. Per esempio, se il Pil effettivo fosse inferiore a quello potenziale (cosa che avverrebbe in una fase debole del ciclo economico), le entrate dello Stato sarebbero temporaneamente basse e il deficit effettivo sarebbe più alto di quello aggiustato per il ciclo. Per stimare il valore di lavoro, capitale e TFP quando l’output gap è zero, il MEF utilizza delle serie storiche (tasso di partecipazione alla forza lavoro, numero medio di ore lavorate, investimenti) che coprono il periodo dal 1960 fino all’ultimo anno dell’orizzonte preventivo considerato (es. il DEF 2020 arriva fino al 2021). Successivamente, mediante tecniche di filtraggio delle serie storiche ed equazioni che descrivono la relazione tra prezzi e output gap, si giunge a una stima delle componenti di trend e potenziali delle diverse variabili che, sostituite nell’equazione di cui sopra, conducono ad una stima del Pil potenziale. Conseguentemente, il livello del deficit strutturale è stato rivisto, anche per il 2017-19 in modo significativo (per il 2018 la revisione è di un intero punto di Pil), nonostante l’assenza di revisioni nel deficit corrente e nelle misure una tantum.
È vero che “la regola del 3 per cento” dei Trattati europei è arbitraria?
Nel corso di un’intervista, Abeille affermò proprio di aver inventato il limite del 3 per cento del rapporto deficit/Pil per le finanze pubbliche francesi nel 1981, al fine di contenere il forte aumento del disavanzo dovuto al mantenimento di costose promesse elettorali da parte del Presidente Mitterrand. Corrispondevano al 2,6 per cento del Pil. Ci siamo detti: un 1 per cento di deficit sarebbe troppo difficile e irraggiungibile. All’epoca del Trattato di Maastricht, la media dei valori del rapporto debito/Pil dei dodici Stati Membri dell’UE era pari circa al 60 per cento (vedi Figura 1). Detto ciò, occorre fare due ulteriori precisazioni: La prima è che la minore crescita del Pil nominale in questi anni rispetto a quanto previsto nel 1992 non implica che il tetto massimo del deficit in percentuale di Pil debba essere maggiore del 3 per cento, anzi. Per esempio, con un tasso di crescita nominale del 2,5 per cento, per mantenere un debito pubblico pari al 60 per cento del Pil, bisognerebbe avere un deficit massimo dell’1,5 per cento. Infine, una volta accettata la spiegazione economica della “regola del 3 per cento”, si potrebbe obiettare che fissare un tetto del rapporto deficit/Pil in base a quello debito/Pil sposta semplicemente l’oggetto della “arbitrarietà”. Allo stesso modo, al crescere del rapporto tra debito pubblico e Pil aumenta il rischio di una perdita di fiducia nella capacità dello stato di ripagare il proprio debito.
Qual è il significato della lettera inviata dalla Commissione Europea?
section --> L'Osservatorio Studi e documentazione Stampa, Video e Podcast Chiedi all'Osservatorio Chi siamo Dove Siamo Finanziatori Lavora con noi Studi e analisi Pachidermi e pappagalli Finanza pubblica per tutti Banche dati Serie storiche Documentazione ufficiale Stampa Video Podcast. Con i nuovi dati rilevati nelle previsioni primaverili (Spring Forecast), si conferma che l’Italia non ha fatto progressi sufficienti per rispettare la “regola del debito” nel 2018, come previsto dalle norme del Patto di Stabilità e Crescita.[. Entro due giorni, l’Italia deve rispondere spiegando le motivazioni che l’hanno condotta al non rispetto di tale regola. In caso di mancato rispetto dei criteri menzionati, o se c’è il rischio che le regole non vengano rispettate in futuro (malgrado l’attuale rispetto), la Commissione prepara un rapporto, in virtù dell’articolo 126 (3) del TFUE, illustrando le ragioni della proposta di una procedura per deficit eccessivo (PDE). In accordo con il governo italiano, la Commissione aveva poi deciso di sospendere l’avvio della procedura di infrazione per la violazione della regola sul debito. In ogni caso, il rapporto dovrà poi essere valutato dall’EFC (Comitato Economico e Finanziario) entro due settimane (probabilmente il 14 giugno 2019), e soltanto dopo, eventualmente, ci sarebbe una raccomandazione di iniziare una procedura d’infrazione da parte del Consiglio, che è l’unico organo che può deciderne l’apertura (probabilmente a luglio 2019). regoleue #ue Archivio studi e analisi I prossimi passi della Procedura per Deficit Eccessivo (5 giugno 2019) Qual è il significato della lettera inviata dalla Commissione Europea? (30 maggio 2019).
(5) La Commissione, se lo ritiene opportuno in base alla situazione, inoltra il parere all’Italia e informa il Consiglio (propone l’avvio della PDE) Commissione Europea probabilmente entro dicembre Art. (7) La Commissione formula le raccomandazioni sulle politiche che l’Italia deve seguire per uscire dalla PDE e il Consiglio chiede all’Italia di rispettarle Commissione Europea, ECOFIN Art. (8) La Commissione verifica la “mancanza di azioni efficaci” da parte dell’Italia e propone delle raccomandazioni al Consiglio Commissione Europea entro 3/6 mesi dalla data di apertura della PDE (22 aprile/luglio 2019) Art. ECOFIN, votazione a maggioranza qualificata (votano solo gli Stati Membri Area Euro) entro 2/4 mesi (22 ottobre/22 gennaio 2020) ISTITUZIONI EUROPEE COINVOLTE COMMISSIONE EUROPEA: il presidente è Jean-Claude Junker. CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPEA: è l'istituzione che rappresenta i governi degli Stati membri (noto come Consiglio dei Ministri Europei) e si riunisce in “formazioni” di Ministri in base all’argomento trattato. La decisione è adottata se vota a favore almeno il 55 per cento dei membri del Consiglio partecipanti, che rappresentino almeno il 65 per cento della popolazione degli Stati membri partecipanti. Quando si fa riferimento al “Consiglio” si intende Consiglio dell’Unione Europea riunito nella formazione di ECOFIN (Consiglio Affari Economici e Finanziari).
Il Meccanismo Europeo di Stabilità: funzionamento e prospettive di riforma
Sergio Battelli, per l’invito che mi è stato rivolto e che mi consente di esprimere le opinioni che abbiamo maturato in questi mesi su un tema di cruciale importanza all’interno dell’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. In sostanza, il MES è un’assicurazione che noi paghiamo, come tutti gli altri, e che non solo ci protegge in caso di crisi, ma anche riduce la probabilità che la crisi si verifichino. Una prudenza che tuttavia non è stata sufficiente a mettere in sicurezza i nostri conti pubblici ed è per questo motivo che il funzionamento del MES e le sue prospettive di riforma ci interessano tanto. Aggiungiamo che il MES rappresenta una notevole manifestazione di solidarietà dei paesi più solidi dell’Eurozona, a cominciare dalla Germania che è il suo principale contribuente, nei confronti dei paesi più fragili, tra cui il nostro. Prospettive di riforma: le criticità dal punto di vista dell’Italia Il processo di riforma del MES venne avviato nelle riunioni dell’Eurogruppo e dell’Eurosummit di dicembre 2018; concrete proposte di riforma hanno ottenuta un via libera di massima nelle riunioni di questi stessi organismi nel giugno del 2019. Una innovazione importante è che entrambe le linee di credito vengono concesse solo a paesi che non sono sottoposti a procedura di deficit eccessivo e che da almeno due anni rispettano i criteri del Patto di Stabilità e Crescita. Il punto che vale la pena sottolineare è che non vi è molta coerenza in chi sostiene che gli aiuti alla Grecia sono in realtà serviti per salvare le banche estere e al tempo stesso rifiuta di considerare uno schema di ristrutturazione preventiva dei debiti sovrani.
Perché non è vero che rispettare la regola del debito richiede una “manovra” da 60 miliardi all'anno
Quest’affermazione non è corretta: la regola del debito afferma, tra le altre cose, che la distanza rispetto al 60% del rapporto debito/Pil si debba ridurre di un ventesimo all’anno, il che implica per l’Italia una riduzione iniziale di circa il 3,6 per cento. Questa regola non richiede quindi che si riduca il debito e può essere rispettata anche se il debito rimane invariato, dunque in condizioni di pareggio di bilancio, purché ci sia una crescita del Pil nominale anche non particolarmente elevata, prossima al 3 per cento. Inoltre, non è neppure vero che il debito debba ridursi: è il rapporto debito/Pil che si deve ridurre, quindi il debito può restare anche invariato, purché ci sia una crescita sufficiente del Pil nominale. Cosa deve fare l’Italia, quindi, per rispettare la regola del debito? [2] Il debito italiano è pari al 131,2 per cento del Pil (dato del consuntivo 2017), quindi si colloca 71,2 punti percentuali oltre la soglia del 60 per cento. Secondo la regola del debito, quindi, tra vent’anni il rapporto debito/Pil sarà pari all’84 per cento del Pil, convergendo così al valore del 60 per cento asintoticamente. Ad esempio, una volta raggiunto il pareggio di bilancio (che è l’Obiettivo di medio termine italiano), se il Pil nominale aumentasse del 3 per cento all’anno, fra vent’anni il debito sarebbe pari al 71 per cento del Pil, quindi notevolmente più basso del 84 per cento prescritto dalla regola del debito. Notiamo infine che raggiungere il pareggio di bilancio nell’arco di tre anni partendo da un deficit strutturale dello 0,8 per cento del Pil nel 2018 richiederebbe una manovra di meno dello 0,3 per cento del Pil ogni anno (ossia 5 miliardi e mezzo l’anno).
Surplus nei conti con l’estero: la Germania viola i trattati europei?
La verità è che, nonostante l’avanzo di partite correnti della bilancia dei pagamenti (ovvero la differenza tra esportazioni e importazioni di beni e servizi) sia molto elevato, non c’è alcun trattato dell’UE che stabilisca regole precise a questo proposito. Infatti, questa procedura di macro-sorveglianza è caratterizzata da elementi discrezionali e i margini di valutazione da parte della Commissione sono più estesi di quelli relativi alle regole fiscali. Nonostante la procedura preveda anche delle sanzioni, fino a questo momento la Commissione si è esclusivamente limitata a dei richiami formali nelle Country-Specific Recommendations, senza però aver mai aperto una formale Excessive Imbalance Procedure per la loro correzione, sia nei confronti della Germania sia nei confronti degli altri paesi.[. Sappiamo invece che, nel caso di violazione della regole fiscali, sono state aperte in passato procedure formali di violazione, le quali avrebbero potuto, in linea di principio, portare a sanzioni (anche se in pratica nessun paese è stato mai sanzionato finora). La MIP, quindi, non è fondata su regole precise per l’identificazione e la valutazione degli squilibri macroeconomici, ma la Commissione interpreta la situazione economica degli stati membri e suggerisce interventi correttivi in caso di deviazione degli indicatori. I cosiddetti scoreboard thresholds, infatti, vennero proposti dalla Commissione sulla base di valutazioni statistiche e discussi dal LIME e dall’EPC, che sono rispettivamente il gruppo di lavoro sulla metodologia per valutare le riforme strutturali collegate alla strategia di Lisbona e l’Economic Policy Committee.[. Infine, la Commissione e il Consiglio si impegnano a monitorare i progressi di tali stati membri e, in mancanza di miglioramenti da parte degli stati soggetti ad EIP, la Commissione può proporre delle sanzioni che verranno votate dal Consiglio Europeo con maggioranza qualificata inversa.
Il MES: cos’è e come potrebbe essere utilizzato nell’attuale emergenza
Oltre agli aiuti agli Stati in crisi, il MES prevede i prestiti precauzionali, ossia interventi a favore di quei Paesi che, nonostante siano in condizioni macroeconomiche solide, potrebbero aver bisogno di aiuto. Funzionamento del MES Il MES offre sostegno agli Stati Membri attraverso prestiti o con l’attivazione di linee di credito che sono garantite dal capitale sottoscritto dai paesi membri. Il capitale sottoscritto (704 miliardi di euro) differisce dal capitale effettivamente versato (80,5 miliardi di euro) in quanto il primo definisce l’ammontare massimo che potrebbe essere richiesto agli Stati Membri in caso di insolvenza di uno Stato debitore. La PCCL richiede una condizionalità molto attenuata; anch’essa richiede la sottoscrizione di un MoU (mentre nella proposta di riforma che era stata approvata in linea di principio dal Consiglio UE del giugno 2019 richiederebbe la semplice sottoscrizione di una lettera di intenti). L’accesso alla PCCL è riservato a quei paesi che hanno rispettato alcune condizioni quantitative nei due anni precedenti alla richiesta di assistenza al MES, le quali sono piuttosto stringenti e in linea con quelle del Patto di Stabilità e Crescita. Queste limitazioni potrebbero essere attenuate nel caso in cui tali proventi venissero destinati per intraprendere politiche di bilancio a livello comunitario, di cui tutti i paesi membri potrebbero beneficiare, come un sussidio di disoccupazione o un programma di investimenti europeo. Va anche considerato che i paesi con basso debito non hanno problemi ad affrontare l’emergenza con mezzi propri e non è chiaro se siano in grado di far accettare ai loro elettorati proposte di mutualizzazione anche parziale del debito, che andrebbero principalmente a beneficio dei paesi con alto debito.
Nonostante non sia prevista la possibilità di azioni espansive discrezionali in caso di recessione di una sola economia, al di là delle misure direttamente legate a eventuali eventi avversi, restano margini di flessibilità interpretativa relativi alla definizione di cosa sia da considerarsi “direttamente legato” a un evento avverso. Inoltre, un’eventuale apertura formale di una procedura di infrazione, del tutto improbabile al momento, potrebbe essere accompagnata da un piano di rientro posticipato nel tempo, come avvenne in occasione della crisi del 2008-09. Un rallentamento della crescita causa, a legislazione corrente, una perdita di entrate e un aumento di certe spese come i sussidi di disoccupazione, la cassa integrazione, il reddito di cittadinanza. Le tre principali regole europee che operano quando il deficit è al di sotto del 3 per cento (la regola sulla riduzione del deficit a una certa velocità, la regola della spesa e la regola di riduzione del debito) consentono comunque una correzione per gli stabilizzatori automatici. Nel caso dell’Italia, le prime due clausole sono già state attivate nel 2016 per importi pari a 0,5 e 0,21 per cento di Pil rispettivamente (8,4 e 3,5 miliardi) e, fintantoché non verrà raggiunto l’Obiettivo di Medio Termine, non potranno essere richieste nuovamente in sede di contrattazione con la Commissione europea. Le misure espansive che possono essere introdotte sulla base di questa clausola sono più ampie di quelle coperte dal fatto che tali misure possono avere natura una tantum (vedi sezione precedente). Anche in questo caso però le regole europee prevedono deviazioni temporanee oltre la soglia del 3 per cento in caso di “periodi di grave crisi economica per l’area euro o per l’intera Unione a condizione che non comprometta la sostenibilità fiscale nel medio termine”.
Le incognite sulla lettera di Tria
Questa impostazione prudenziale introduce nella legge di bilancio un cuscinetto di salvaguardia, che previene un deterioramento dei saldi di bilancio anche nel caso in cui gli obiettivi di crescita non siano pienamente conseguiti”. In altre parole, il gettito fiscale sarebbe coerente con una crescita del Pil nominale al 2,74 per cento - il valore tendenziale indicato nella NADEF - e sarebbe quindi inferiore a quello coerente con il Pil programmatico (+3,12 per cento, più elevato del tendenziale per via della manovra espansiva). L’utilizzo di un quadro diverso da quello programmatico per la previsione delle entrate dello stato è una pratica seguita anche in passato, ma in passato la crescita programmatica era spesso molto vicino a quella tendenziale. Siamo quindi partiti dalla previsione di gettito[2] del quadro tendenziale (crescita del Pil nominale pari al 2,74 per cento) e abbiamo aggiunto l’effetto di tutte le misure fiscali contenute nelle relazioni tecniche della manovra (si veda la tabella). Il governo avrebbe quindi potuto (in un quadro di crescita del Pil reale dell’1,5 per cento e del Pil nominale del 3,12 per cento) indicare un deficit del 2,2-2,3 per cento anziché al 2,4 per cento. Nel caso di una crescita di poco inferiore a quella programmatica (caso peraltro più probabile), il cuscinetto eviterebbe però di sforare il 2,4 per cento. Sulla base di questa ipotesi il Documento Programmatico di Bilancio stima una crescita del Pil pari allo 0,9 per cento nel 2019.
La Commissione Europea ha indentificato sei paesi (Cipro, Ungheria, Irlanda, Lussemburgo, Malta, Olanda) che, seppure non possano essere definiti formalmente paradisi fiscali, praticano politiche di tassazione aggressive, soprattutto rispetto alla tassazione dei profitti delle società, politiche che vanno a scapito degli altri paesi. La sopra citata nota di Documentazione fornisce anche stime delle perdite consistenti che gli altri paesi dell’Unione subiscono per effetto di queste pratiche aggressive, in termini di perdita di gettito. Occorre capire che i problemi derivanti dall’esistenza di livelli di tassazione effettiva molto diversi all’interno dell’Unione Europea non possono essere affrontati solo attraverso normative sull’elusione, ossia sul trasferimento fittizio di profitti verso paesi a bassa tassazione. C’è chi ritiene che la competizione tra paesi sui livelli di tassazione societaria sia salutare perché porta i paesi a un livello di tassazione più bassa, meno distorsiva, e a minori sprechi sul lato della spesa pubblica. Infatti, alcuni ritengono che i sei paesi che praticano politiche di tassazione aggressiva siano paesi in qualche modo “virtuosi”, frugali verrebbe da dire, nella gestione della spesa pubblica: sarebbero paesi che possono avere tasse basse perché non sprecano soldi sul lato della spesa. Il risultato, però, è che gli investimenti all’interno del mercato unico vanno ad allocarsi non sulla base di fattori oggettivi che influenzano la produttività reale degli investimenti, ma sulla base delle distorsioni create dalle diversità della tassazione tra diversi paesi. Ma non è chiaro perché i paesi che attualmente beneficiano del potere di veto in queste aree dovrebbero volontariamente approvare l’utilizzo della clausola passerella che pure richiede l’unanimità e la possibilità di un veto anche attraverso il voto parlamentare entro 6 mesi.
Sul piano dei contenuti, un primo cambiamento riguarda il fatto che nel precedente piano il tema centrale era l’andamento deludente della crescita economica italiana rispetto agli altri paesi avanzati negli ultimi decenni; nel nuovo piano è dedicata molta più attenzione alle disuguaglianze di età, di genere e territoriali. Crescono inoltre gli investimenti pubblici a scapito degli incentivi, una scelta che suscita qualche perplessità, alla luce dei tempi che richiedono gli investimenti pubblici e del fatto che le risorse europee devono essere impegnate entro il 2023 e spese entro il 2026. Tuttavia, i contenuti di questa bozza erano ancora vaghi, poiché erano definite soltanto le risorse destinate a ciascuna missione e componente (6 missioni con 17 sottocomponenti), ma, per ogni componente del piano, non erano state ancora stabilite le risorse destinate ai singoli progetti, che erano solo elencati e brevemente descritti. Anche il contenuto del piano è cambiato, per alcuni aspetti in modo considerevole, soprattutto se si tiene conto che è stato redatto dallo stesso governo e con lo stesso ammontare di risorse europee a disposizione. Gli investimenti pubblici e gli effetti del piano sulla crescita L’inversione di rotta a favore degli investimenti pubblici è lungamente motivata nell’analisi d’impatto del PNRR contenuta nella nuova bozza. Qui si sostiene che il moltiplicatore degli investimenti pubblici è maggiore di quello degli incentivi, ovvero che un euro di spesa pubblica destinato agli investimenti provoca un aumento del Pil maggiore rispetto a un euro speso per incentivi. Per quanto riguarda le riforme della giustizia si riconosce che sono importanti, ma, come nella bozza precedente, il nuovo piano si limita a rilevare che al momento queste riforme sono “pendenti in Parlamento”, il che, come già è stato argomentato, non garantisce che la giustizia sarà adeguatamente riformata.