Il decreto Cura Italia: un commento dell’Osservatorio CPI
di Osservatorio CPI
19 marzo 2020
In questa situazione di emergenza, le misure introdotte con il decreto Cura Italia sono volte ad attenuare l’impatto sanitario ed economico dello shock da coronavirus. In quanto tali sono appropriate, ma per rilanciare l’economia, una volta superata la crisi sanitaria, serviranno altre misure espansive di finanza pubblica, preferibilmente sul lato degli investimenti, e riforme strutturali.
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Il decreto Cura Italia introduce un ampio spettro di misure con un impatto sull’“indebitamento netto” (il deficit pubblico) di 20 miliardi. Il governo ha fatto riferimento a una manovra da 25 miliardi, riferendosi però al cosiddetto “saldo netto da finanziare”, una voce contabile relativa al bilancio dello Stato che include alcune voci che non hanno un impatto immediato sulla attività economica.[1] In sintesi, il vero impatto sull’economia è di 20 miliardi.
L’intervento è stato approvato in tempi molto brevi ed è mirato, oltre che a coprire le spese mediche necessarie per fronteggiare l’emergenza, ad attenuare l’impatto sull’economia dello shock da coronavirus.
La Tavola 1 riassume gli interventi distinguendoli in due gruppi. Il primo gruppo comprende azioni che, dal punto di vista economico, possono essere considerate direttamente espansive, nel senso che aumentano la spesa pubblica rispetto alla situazione pre-shock. Con riferimento ai dati sull’indebitamento netto, queste comprendono le spese sanitarie (2,8 miliardi) e le spese per assunzioni di personale e acquisti di diverso genere (0,5 miliardi). Il secondo gruppo, cui appartengono la maggior parte delle misure, comprende invece azioni volte ad attenuare l’impatto dello shock. Queste comprendono:
- Trasferimenti a famiglie e (soprattutto) imprese attraverso un potenziamento della cassa integrazione e altre forme di compensazione per le perdite di reddito quali i congedi retribuiti e indennità, per un totale pari a 9 miliardi.
- Garanzie al credito e sostegni alla liquidità delle imprese per 6 miliardi. Tra queste misure assumono particolare rilievo quelle volte a evitare che le banche taglino il credito alle imprese, ma, in un clima di forte incertezza come quello attuale, è difficile pensare che queste, di per sé, portino a un aumento del credito alle imprese per nuovi programmi di espansione della capacità produttiva.
- Sussidi al settore dell’aviazione per 0,7 miliardi indirizzati ad Alitalia e Air Italy.
- Posticipi del rimborso di prestiti erogati dallo Stato a enti locali e regioni (0,3 miliardi), con un impatto limitato sulla domanda aggregata. Si tratta in ogni caso semplicemente di posticipi, non di una cancellazione delle rate dei mutui.
- Posticipi di scadenze fiscali, tipicamente di pochi mesi e quindi non tali da avere effetti sul deficit dell’anno in corso, a meno di ulteriori proroghe in futuro.
Questi interventi sono appropriati, ma essendo in buona parte volti ad attenuare lo shock subito, difficilmente potranno contribuire a una ripresa dell’attività economica. Si tenga conto del fatto che, nonostante le misure sopra menzionate, la crisi avrà comunque un effetto depressivo sul Pil e ripartire sarà corrispondentemente difficile. È perciò auspicabile procedere con quella che il governo chiama una “fase due”, fase che dovrebbe includere provvedimenti chiaramente espansivi. In questa fase due, da attuarsi comunque in tempi brevi, non appena superata l’emergenza sanitaria con la possibilità quindi per le imprese di tornare ad operare in condizioni normali (o quasi), è necessario introdurre misure che siano di elevata qualità e che, in particolare:
- siano ad alto impatto sulla domanda aggregata (“ad alto moltiplicatore”). In questa fase di forte incertezza, tagli di tasse correrebbero il rischio di essere in buona parte risparmiati, a meno di non essere riservati agli strati più deboli della popolazione;
- aumentino l’efficienza economica nel lungo periodo;
- abbiano un effetto temporaneo per non appesantire gli andamenti di lungo termine dei conti pubblici italiani, che saranno appesantiti dall’accumulazione di ulteriore debito in questa fase. Aumenti permanenti della spesa (per esempio in campo pensionistico) sono quindi da evitare.
Sulla base di queste caratteristiche, un programma di investimenti pubblici, partendo dalla rapida riapertura dei cantieri in corso, potrebbe costituire il pilastro portante di una tale azione di rilancio. Questa azione di stimolo alla domanda e alla crescita dell’offerta potenziale potrebbe essere utilmente integrata da riforme in grado di facilitare l’investimento privato quali una drastica semplificazione burocratica, un miglioramento dei servizi offerti dalla pubblica amministrazione, una giustizia civile e amministrativa più rapida ed efficiente.
Un’ultima precisazione: quanto sopra indicato sarà possibile se le condizioni di finanziamento sul mercato dei titoli di stato resteranno accettabili, il che richiede interventi da parte delle istituzioni europee, quale quello annunciato dalla BCE nella serata del 18 marzo.
Tav. 1: Quantificazione delle misure previste dal decreto Cura Italia
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(Valori in miliardi di euro)
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Saldo netto da finanziare
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Indebitamento netto
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Spese sanitarie
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3,2
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2,8
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Assunzioni e acquisti
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0,5
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0,5
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Cassa integrazione
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5,1
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3,4
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Congedi retribuiti e altri
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2,0
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1,4
|
Indennità autonomi e simili
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4,1
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4,1
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Garanzie al credito e sostegni alla liquidità
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6,1
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6,0
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Sussidi all'aviazione
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0,7
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0,5
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Posticipi di prestiti a enti locali e regioni
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0,6
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0,3
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Esigenze indifferibili e interessi passivi
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2,1
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0,2
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Altro
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0,3
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0,9
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Totale
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24,8
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20,0
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Fonte: elaborazione Osservatorio CPI su dati relazione tecnica al decreto Cura Italia
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[1] Le due principali voci incluse nel saldo netto da finanziare ma non nell’indebitamento netto sono i contributi figurativi (cioè i contributi accreditati gratuitamente dallo Stato in assenza di effettivi versamenti in particolari condizioni meritevoli di tutela per il lavoratore) e l’incremento del Fondo per esigenze indifferibili “connesse ad interventi non aventi effetti sull’indebitamento”. Inoltre, l’indebitamento netto viene ridotto dalla maggiore tassazione conseguente all’aumento della spesa pubblica.