Due pericolosi luoghi comuni
di Carlo Cottarelli
16 novembre 2018
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1. Abbiamo provato con l’austerità a far crescere il Pil e non è servito. Per crescere occorre quindi fare il suo contrario.
Chiariamo prima di tutto che, a parte il 2012 quando la politica fiscale è stata effettivamente stretta, con un aumento dell’avanzo primario dall’1 al 2,3 per cento del Pil, e dall’1,4 al 3,9 per cento in termini strutturali (un indicatore migliore delle misure fiscali effettivamente prese), la politica fiscale è stata tendenzialmente espansiva. L’avanzo primario si è leggermente ridotto dopo il 2012, scendendo all’1,5 per cento del Pil nel 2017 per risalire solo leggermente, all'1,8 per cento, nel 2018.
Detto questo l’avanzo primario dopo il 2012 è stato tenuto a un livello più alto di quello tenuto nel periodo 2009-11 (2,1 per cento nella media del periodo 2012-13 e 1,6 per cento nel periodo 2014-18, contro lo 0,1 per cento nella media 2009-11), nonostante la crescita italiana fosse inizialmente negativa e successivamente non fosse comunque particolarmente brillante. In questo senso, la politica fiscale è stata “austera”.
Il punto fondamentale da capire però è che l’obiettivo della stretta fiscale del 2012 e dell’avanzo primario relativamente alto nel periodo seguente non era certo quello di far crescere l’economia italiana nell’immediato. L’obiettivo era di rafforzare i conti pubblici. È piuttosto improbabile, direi impossibile in un regime di cambio fisso, che una restrizione fiscale possa portare ad una crescita dell’economia (la tesi della expansionary fiscal contraction non si applica al caso italiano). Perché allora stringere la politica fiscale se non serve a crescere di più? Perché questo evita guai peggiori. L’Italia stava perdendo nella seconda metà del 2011 l’accesso ai mercati e la BCE non sarebbe intervenuta per far scendere lo spread se non ci fosse stata una chiara indicazione da parte del governo italiano di mettere a posto i conti pubblici. In altri termini, il Pil sarebbe caduto anche di più nel 2012 senza la stretta fiscale realizzata quell’anno.
Che cosa serve ora per far crescere l’economia italiana? Non basta migliorare i conti pubblici. Occorre fare qualcosa di diverso: ridurre la burocrazia, rendere la giustizia civile più veloce, recuperare risorse per ridurre le aliquote fiscali attraverso il recupero dell’evasione e il taglio della spesa meno produttiva. Queste erano le cose sarebbero state necessarie anche all’epoca. Per un paese con un debito alto come in nostro, aumentare il deficit non serve ad aumentare il livello del Pil (chiudendo l’output gap) se lo spread aumenta, come abbiamo di recente osservato; e tanto meno serve a far aumentare il tasso di crescita del Pil, cosa che richiederebbe riforme e investimenti e non spesa corrente.
2. Abbiamo provato con l’austerità a migliorare i conti pubblici e invece il debito è aumentato. Per farlo scendere occorre quindi fare il suo contrario
Anche questo ragionamento è sbagliato. La stretta fiscale del 2012 è servita a migliorare i conti pubblici: come si è detto, l’avanzo primario è aumentato dall’1 per cento del Pil nel 2011 al 2,3 per cento del Pil nel 2012. Il miglioramento c’è stato, anche se inferiore alle misure restrittive introdotte, a causa della riduzione del Pil in parte connessa alla stretta fiscale stessa, come sempre avviene nel caso di una stretta fiscale. Quanto al deficit, questo si è ridotto dal 3,7 per cento del Pil nel 2011 al 2,9 per cento nel 2012, nonostante l’aumento della spesa per interessi, per poi continuare a scendere per effetto della discesa dei tassi di interesse che, come si è detto, non sarebbe stata possibile senza la stretta fiscale.
Il debito pubblico è ovviamente aumentato in euro perché azzerare l’aumento in termini di euro avrebbe richiesto non semplicemente un calo del deficit, ma un azzeramento del deficit.
Quanto al rapporto tra debito pubblico e Pil, il rapporto si è stabilizzato dal 2014, ma non è sceso. Da un punto di vista puramente aritmetico, il motivo per cui non è sceso è che ridurre il rapporto a un livello più basso avrebbe richiesto un deficit più basso o un tasso di crescita più alto. La relazione tra deficit e debito pubblico, entrambi espressi in rapporto al Pil, è infatti molto semplice: la variazione del debito è uguale al deficit (quindi più alto è il deficit, più difficile è ridurre il debito) meno il prodotto tra il debito e il tasso di crescita dell’economia[1] (quindi più alto è il tasso di crescita dell’economia, più facile è ridurre il debito). Si potrebbe quindi semplicemente dire che per ridurre il debito più velocemente si sarebbe dovuto ridurre il deficit a un livello più basso e non lo si è voluto fare (cioè le politiche sono state più espansive di quanto sarebbe stato necessario per ridurre il debito).
A questo punto qualcuno dirà che questo ragionamento è sbagliato perché si potrebbe aumentare il deficit e sperare che questo aumenti il tasso di crescita dell’economia in modo sufficiente da portare a una riduzione del debito. Questo è l’approccio che il governo attuale ritiene che sia fattibile. Ma non è così semplice. Il problema principale è che un maggiore deficit ha un effetto temporaneo sul tasso di crescita: se si “mettono più soldi in tasca alla gente” alzando il livello del deficit, il livello del Pil aumenta, ma il tasso di crescita del Pil aumenta solo nel primo anno. Poi il tasso di crescita del Pil torna al suo valore iniziale (perché i soldi in tasca alla gente non aumentano ulteriormente una volta che il deficit resta allo stesso, seppur più alto, livello), ma il deficit più elevato continua ad alimentare la crescita del debito. Quindi, a parte una possibile fase iniziale (e indipendentemente dal valore del cosiddetto moltiplicatore keynesiano) il rapporto tra debito pubblico e Pil aumenta se si alza il livello del deficit.
Questo a meno di sperare di aumentare, attraverso un maggior deficit, non solo il livello del Pil, ma anche il suo tasso di crescita. Questo non è impossibile - per esempio puntando su una maggiore spesa per investimenti pubblici che siano efficienti nell’accrescere la capacità produttiva di un paese- ma dal punto di vista pratico non è facile da realizzare. Il punto fondamentale, da un punto di vista empirico, è che non conosco casi di paesi che siano riusciti a ridurre in modo duraturo e tendenziale il rapporto tra debito pubblico e Pil attraverso un aumento del deficit. Non si capisce perché l’Italia dovrebbe essere in grado di fare qualcosa che nessun altro è mai riuscito a fare.
[1] Sto semplificando un po’ la formula ma la sostanza è quella.