Pubblica amministrazione

Un aggiornamento sui tempi di pagamento della PA

19 maggio 2023

Intermedio

Un aggiornamento sui tempi di pagamento della PA

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Negli ultimi anni vi è stato un notevole miglioramento nei tempi di pagamento delle pubbliche amministrazioni. Sembrerebbe addirittura che i ritardi medi siano non distanti da quelli degli altri principali Paesi. Tuttavia, vi sono molte situazioni, anche nelle amministrazioni centrali, in cui i tempi rimangono troppo lunghi e verosimilmente non sono ancora tali da soddisfare i criteri imposti dalla direttiva europea del 2011. Rimangono patologici i tempi di vari Ministeri (in particolare Agricoltura, Interni e Lavoro) e di alcuni Comuni. Nell’importante settore dei dispositivi medici vi sono stati notevoli miglioramenti, ma specie nelle regioni del Centro-Sud i tempi sono superiori, in qualche caso di molto, a quelli disposti alla direttiva.

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Normativa e fonti informative: un richiamo

La presente nota aggiorna quella pubblicata nell’ottobre scorso sull’annosa questione dei ritardi di pagamento nella PA.[1] Richiamiamo qui la normativa che regola la materia e le principali fonti informative. I pagamenti delle fatture da parte della PA sono regolati dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2011/7/UE che fissa il termine di pagamento a 30 giorni, con alcune eccezioni legate al comparto sanitario e altri casi particolari.[2]

A causa dei persistenti ritardi nei pagamenti della PA nel 2020 l’Italia è stata dichiarata inadempiente dalla Corte di giustizia dell’Unione europea.[3] Nonostante il trend dei ritardi sulle fatture correnti (ovvero quelle ricevute e pagate in un determinato anno) sia in costante miglioramento, così come evidenziato dal MEF, il problema dei ritardati pagamenti non è stato ancora risolto, come evidenzia l’indicatore di tempestività dei pagamenti, che misura il ritardo su tutti i pagamenti della PA nel periodo considerato, indipendentemente dal periodo di ricezione delle fatture.[4]

Per quanto riguarda i dati disponibili, è bene ricordare che sono due le fonti che consentono di effettuare confronti tra Paesi europei:

  1. i dati Eurostat sui crediti commerciali;
  2. i dati dell’European Payment Report realizzato da Intrum, una società europea di gestione e recupero crediti.

Per analizzare i dati italiani, in particolare le variazioni nel tempo, vi sono invece tre fonti:

  1. i dati MEF che fanno riferimento alle sole fatture correnti, ossia emesse nel trimestre o anno a cui si riferisce l’analisi;
  2. l’indicatore di tempestività dei pagamenti (ITP) previsto dal d.lgs. n. 33 del 2013, pubblicato sul sito di ogni singola PA e misurante il ritardo di tutti i pagamenti dell’amministrazione in un determinato anno o trimestre, indipendente dalla data di ricezione della fattura;
  3. i dati di Confindustria Dispositivi Medici (ex Assobiomedica) che si riferiscono a un settore particolarmente importante del Sistema Sanitario e consentono di analizzare le differenze tra Regioni.[5]

Dall’insieme di questi dati emerge un miglioramento notevole negli ultimi anni (dal 2015), ma vi sono ancora molte amministrazioni che non riescono ancora a rispettare i tempi di pagamento previsti dalla direttiva europea.

L’aggiornamento sui dati europei

In base ai dati Eurostat, l’intero stock di debiti commerciali della PA italiana a fine 2022 supera i 49 miliardi di euro, in diminuzione quindi dai 55 del 2021. Questo dato (pari al 2,6 per cento del Pil nel 2022 contro il 3 per cento del 2021) rimane tuttavia il più alto dell’Unione europea.[6] Spagna, Francia e Germania, invece, mantengono i loro valori fra lo 0,8 e 1,6 per cento del Pil, con variazioni minime rispetto all’anno precedente (Fig. 1).

Naturalmente, l’intero stock comprende sia debiti già arrivati a scadenza e non ancora onorati (sui quali determinare i ritardi) sia debiti ancora non scaduti. Utilizzando i dati MEF sul 2021, lo stock di debito arrivato a scadenza e non pagato sarebbe solo di 8 miliardi di euro circa.[7]

Per quanto riguarda i dati di fonte Intrum, la nota precedente presenta l’ultimo aggiornamento risalente a giugno 2022 e pertanto non è stata aggiornata in questa nuova versione. Tali dati sembrano dare ragione al MEF (Fig. 2). Il rapporto di giugno 2022 ha analizzato un campione di circa 11 mila imprese e i risultati confermano i miglioramenti avvenuti negli ultimi anni. La PA italiana ha infatti più che dimezzato i tempi di pagamento da 144 giorni nel 2015 a 70 giorni nel 2022, con un minimo raggiunto nel 2020 (60 giorni).[8] I dati degli ultimi anni sono allineati con quelli degli altri principali Paesi. Da notare che se per Spagna e Italia si è registrata una diminuzione nel tempo medio di pagamento, lo stesso non è avvenuto in Germania e Francia, dove si è osservato perfino un aumento, probabilmente anche a causa delle difficoltà derivanti dalla pandemia da Covid-19.[9]

L’aggiornamento sui dati italiani

I dati ufficiali per l’Italia hanno due fonti diverse e forniscono indicazioni in parte divergenti.

  1. Dati MEF. Come si è detto, il MEF pubblica i dati sulle sole fatture emesse nello stesso periodo (anno o trimestre) a cui si riferisce l’analisi.[10] Così, per esempio, i tempi di pagamento del 2022 sono calcolati per le fatture ricevute nel solo anno 2022. Questa metodologia poteva forse avere un senso in una fase iniziale in cui il MEF si preoccupava di monitorare l’efficienza dei servizi informatici preposti al controllo sui tempi di pagamento, ma presenta l’ovvio inconveniente che per le imprese, così come per la Commissione europea e per la Corte di giustizia, contano anche le fatture non pagate negli anni precedenti. In ogni caso, i dati MEF sono utili per vedere come si sono ridotti negli ultimi anni i tempi medi di pagamento (dalla data di emissione della fattura al pagamento) e i ritardi medi (dalla data di scadenza indicata in fattura al pagamento) sulle fatture più recenti. Secondo questi dati, nel primo semestre del 2022 i pagamenti della PA sono avvenuti con un anticipo di ben 18 giorni sui tempi previsti, confermando un miglioramento rispetto ai 7 giorni di anticipo del 2021 (Fig. 3). Il tempo medio di pagamento, inoltre, conferma la tendenza degli anni precedenti, attestandosi a 33 giorni.[11] La percentuale di fatture emesse e pagate nel primo semestre del 2022 non cresce rispetto al 2021, contrariamente a quanto era successo negli anni precedenti (Fig. 4).

  1. Indicatore di tempestività dei pagamenti. Come si è detto, per avere una stima dei tempi effettivi di pagamento (inclusivi dei pagamenti delle fatture emesse negli anni precedenti), si deve considerare l’indicatore di tempestività dei pagamenti, che è rintracciabile sul sito di ogni amministrazione alla voce “Amministrazione trasparente”.[12] Con riferimento all’anno 2022, la Tav. 1 mette a confronto i dati di fonte MEF con l’indicatore di tempestività dei pagamenti. Le due serie di dati hanno lo stesso perimetro concettuale dal momento che si riferiscono ai ritardi dei pagamenti rispetto alle date di scadenza indicate nelle fatture. La differenza, come già detto, è che l’ITP coglie anche i ritardi sulle fatture emesse e non pagate negli anni precedenti al 202 Come si nota in Tav. 1, il dato di fonte MEF è aggregato per il primo semestre del 2022 (ultimo aggiornamento disponibile) mentre i dati delle singole amministrazioni sono riportati per tutti i trimestri dello scorso anno. L’aggregazione (semestrale o annuale) degli ITP per i singoli Ministeri sarebbe stata possibile se avessimo avuto a disposizione anche il dato sul valore delle fatture pagate nel trimestre di riferimento, in quanto tale grandezza funge da peso nel calcolo della media ponderata dei giorni di ritardo. Tuttavia, i numeri permettono comunque un confronto di base da cui emerge un quadro di netto miglioramento rispetto ai ritardi nel passato. In particolare, vi sono numerosi valori negativi che indicano un pagamento tempestivo delle fatture. Nonostante le differenze metodologiche dei due dati, il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale sembra rispettare in media i tempi di pagamento. Per il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, il Ministero della Transizione Ecologica, il Ministero delle Infrastrutture e il Ministero dell’Interno, invece, si verificano ancora notevoli ritardi. L’interpretazione dei dati si fa più complessa per alcuni degli altri Ministeri, per cui le differenze nei valori riportati dalle due fonti sollevano un’importante questione. Il Ministero della Difesa, per esempio, appare in anticipo di quasi 9 giorni nel dato semestrale del MEF ma porta un ritardo medio di quasi 5 giorni secondo il dato pubblicato dallo stesso Ministero nella sezione “Amministrazione trasparente”, mentre il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali appare in largo anticipo con un ITP fortemente negativo (in media quasi 45 giorni) ma in ritardo di circa 15 giorni per il MEF. Differenze di questo tipo, sebbene di dimensione variabile nei diversi casi, evidenziano l’importanza di considerare l’intero stock di debiti in essere e l’importo effettivo delle diverse fatture ancora non onorate. Un ministero potrebbe infatti essere in forte ritardo per un pagamento di grandi dimensioni ed essere in regola per la maggior parte delle altre fatture, ma risultare comunque in forte ritardo (e viceversa). Allo stesso modo potrebbe risultare in regola per i pagamenti correnti ma non per quelli antecedenti al periodo considerato (e viceversa): queste casistiche potrebbero spiegare le differenze nei valori tra le due fonti.

Vi sono infine i dati di Confindustria Dispositivi Medici. Anch’essi confermano un netto miglioramento nei pagamenti della PA. Il tempo medio impiegato da un’azienda per incassare il credito da una struttura sanitaria pubblica risultava molto elevato dal 2009 al 2012 (290 giorni in media), per poi diminuire con costanza negli anni successivi. Il dato riferito al primo trimestre 2023 resta stabile rispetto all’anno scorso, con un lieve aumento di 1 giorno (85 giorni di ritardo medio contro gli 84 del 2022) (Fig. 5). L’obiettivo dei 60 giorni viene, però, rispettato in media solo da sei Regioni (Trentino-Alto Adige, Liguria, Friuli-Venezia Giulia, Valle d’Aosta, Veneto e Lombardia), mentre tutte le altre presentano ancora ritardi nei pagamenti delle fatture alle imprese venditrici di dispositivi medici (Fig. 6). Questo ritardo rimane un problema particolarmente acuto nelle regioni del Sud: la Calabria, in particolare, che si conferma la peggiore a livello nazionale, impiega quasi quattro volte quanto previsto dai limiti (237 giorni).

A che punto siamo?

Negli ultimi anni vi è stato un notevole miglioramento nei tempi di pagamento delle pubbliche amministrazioni. Sembrerebbe addirittura che i ritardi medi siano ormai non troppo distanti da quelli degli altri principali Paesi. Tuttavia, vi sono molte situazioni, anche nelle amministrazioni centrali, in cui i tempi rimangono troppo lunghi e verosimilmente non sono ancora tali da soddisfare i criteri imposti dalla direttiva europea del 2011. Rimangono patologici i tempi di vari Ministeri (in particolare Agricoltura, Interni e Lavoro) e di alcuni Comuni. Nell’importante settore dei dispositivi medici vi sono stati grandi miglioramenti, ma specie nelle regioni del Centro-Sud i tempi sono superiori, in qualche caso di molto, a quelli previsti dalla direttiva. È inoltre del tutto probabile che prosegua la prassi evidenziata dalla Corte dei Conti sull’anno 2019 in base a dati analitici sulle fatture per classi di importo: molte amministrazioni preferiscono pagare prioritariamente importi maggiori (tipici di grandi imprese) e in seguito importi inferiori (più verosimili nelle piccole imprese, nei confronti delle quali hanno più potere di mercato).[13] Questo meccanismo permette alle amministrazioni di spostare la media ponderata dei ritardi di pagamento grazie al peso maggiore delle fatture più voluminose. Inoltre, questo potrebbe mettere in difficoltà imprese medio-piccole che dipendono dalle commesse pubbliche il cui mancato pagamento tempestivo può creare delle difficoltà di cassa e, eventualmente, una momentanea insolvenza.


[1] Per un approfondimento, si veda la nostra precedente nota: “I pagamenti della PA: miglioramenti notevoli, ma ancora forti ritardi in alcune amministrazioni”, OCPI, 13 ottobre 2022.

[2] La scadenza per il pagamento è fissata a 60 giorni per i pagamenti del Sistema Sanitario Nazionale e per le amministrazioni che svolgono un ruolo commerciale. Tali termini sono stati recepiti dal legislatore italiano con il decreto legislativo n. 192/2012.

[3] Per maggiori dettagli, si veda la sentenza a questo link. La Corte ammette che, nonostante vi sia stato un miglioramento negli anni recenti, il tempo medio di pagamento era stato di 41 giorni per le PA non rientranti nel Sistema Sanitario Nazionale e 67 giorni per quelle appartenenti a quest’ultimo.

[4] Per esempio, i tempi di ritardo del 2021 indicati nel sito del MEF sono calcolati per le fatture ricevute e pagate nel solo anno 2021, mentre l’indicatore di tempestività dei pagamenti si riferisce a pagamenti di fatture ricevute sia nel 2021 sia in anni precedenti.

[5] È l’associazione che riunisce le imprese che operano nel settore dei dispositivi medici. La differenza tra i risultati di Confindustria e del SSN deriva dal fatto che i primi, al contrario dei secondi, considerano esclusivamente le imprese associate venditrici di dispositivi medici.

[6] Per un approfondimento si veda: “Note on stock of liabilities of trade credits and advances”, Eurostat, aprile 2023. In tale documento sono riportati i dati per tutta l’UE a 27.

[7] Il risultato è stato ottenuto sommando i vari importi del file PDF “Debiti commerciali residui scaduti al 31.12.2021” dal sito del MEF.

[8] I dati raccolti da Intrum sono il risultato di un’indagine campionaria presso 11.000 imprese europee, condotta tra gennaio e aprile 2022. I dati MEF e Intrum differiscono a causa delle diverse modalità di rilevazione e del diverso calcolo dei giorni di pagamento.

[9] In Germania, per esempio, i ritardi sui pagamenti della PA rispetto al tempo richiesto per saldare il debito sono passati da 2 giorni nel 2019 a 24 giorni nel 2020.

[10] L’ultimo dato sulle fatture scadute da più di 12 mesi, invece, risale al terzo trimestre 2019, quando lo stock complessivo di fatture non pagate scadute a oltre un anno ammontava a 2,1 miliardi di euro. Se invece guardiamo al debito residuo scaduto al 31 dicembre 2021 (ultimo dato disponibile), lo stock di debito scaduto delle PA ammonta a quasi 8 miliardi.

[11] Il MEF riporta il tempo medio di pagamento ponderato, ovvero la media del numero di giorni impiegati per il pagamento pesato per l’ammontare di ogni singola fattura.

[12] In ottemperanza a quanto previsto dall’art. 33 del d.lgs. 33 del 2013, che richiede la pubblicazione dei dati relativi ai pagamenti delle PA.

[13] Relazione sul rendiconto generale dello Stato 2019, Volume I, Tomo I, pag. 285.

Un articolo di

Ilaria Maroccia, Federico Neri

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