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Si può evitare un aumento dell’immigrazione con una maggiore natalità?

29 giugno 2023

Intermedio

Si può evitare un aumento dell’immigrazione con una maggiore natalità?

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La Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha recentemente indicato che, piuttosto che puntare su una maggiore immigrazione, quel che serve per affrontare il problema demografico dell’Italia e le sue ripercussioni sulla nostra economia sono misure per incentivare l’occupazione femminile e la natalità. Ma è possibile evitare gli effetti indesiderati del calo demografico senza un aumento dell’immigrazione? In questa nota argomentiamo che, senza un aumento degli immigrati, contenere gli effetti del declino demografico sul rapporto tra spesa pensionistica e Pil richiederebbe un incremento del tasso di fecondità dall’attuale 1,24 a 2,1 figli per donna, un aumento che sembra improbabile anche con politiche molto intense a favore della natalità. Politiche di immigrazione regolare sembrano quindi una componente necessaria – insieme a quelle per rimuovere gli ostacoli alla natalità e incentivare il lavoro femminile – di una strategia per affrontare il problema demografico.

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Il Bel Paese è sempre più vecchio a causa dell’allungamento dell’aspettativa di vita e del crollo della natalità (col numero dei nati sceso da più di 900 mila unità all’anno negli anni Sessanta a meno di 400 mila nel 2022). Questa tendenza si riflette, tra le altre cose, in una pressione verso l’alto della spesa pensionistica rispetto al Pil, ragione per cui sono state necessarie riforme delle pensioni che hanno aumentato l’età pensionabile e ridotto i benefici pensionistici.

Anche tenendo conto di queste riforme, le previsioni ufficiali di base del Ministero dell’Economia e delle Finanze, reiterate nel recente Documento di Economia e Finanza, indicano che l’aumento del rapporto tra spesa per pensioni e Pil potrà essere contenuto in circa un punto percentuale da qui al 2040 solo ipotizzando andamenti molto favorevoli della produttività, del tasso di disoccupazione, della partecipazione al mondo del lavoro, del tasso di fecondità (numero medio di figli per donna) e del numero di immigrati che si stabiliranno in Italia, contribuendo all’aumento degli occupati e alla crescita del Pil.[1] Un processo di immigrazione e di integrazione regolare sembrerebbe, quindi, una componente essenziale per contenere le pressioni derivanti dall’invecchiamento della popolazione. In particolare, la baseline presentata nel Def assume che nella media dei prossimi decenni si stabilizzino in Italia 213 mila immigrati l’anno, una cifra molto rilevante. La percentuale di immigrati residenti in Italia salirebbe dall’attuale 8,5 per cento della popolazione a oltre il 25 per cento nel 2070.

Alcuni esponenti del governo, in primis la stessa Presidente Meloni, hanno però sottolineato che piuttosto di aumentare il numero degli immigrati presenti in Italia si potrebbero semplicemente adottare politiche volte a migliorare sia la partecipazione delle donne nel mondo del lavoro che la natalità.[2] Quanto è percorribile questa strategia?

Questa nota calcola di quanto dovrebbe aumentare il tasso di fecondità, e quindi la natalità, per compensare, in termini di impatto sulla spesa pensionistica, il mancato aumento della presenza di immigrati in Italia.

L’evoluzione della spesa pensionistica

Il punto di partenza dell’analisi è lo “scenario base” (cd. baseline) per l’Italia nell’Ageing Report 2021 pubblicato dalla Commissione europea e prodotto dall’Ageing Working Group (AWG) dell’Economic Policy Committee (un comitato che comprende tutti i rappresentanti dei Paesi membri dell’Unione europea), uno scenario sostanzialmente simile a quello presentato nel Def.[3]

Sulla base delle tendenze in corso, la baseline ipotizza un aumento della speranza di vita che arriva in media tra maschi e femmine a 89 anni nel 2070. Per compensare questo aumento, oltre alle riforme pensionistiche già approvate, l’AWG assume ipotesi, sia demografiche sia macroeconomiche, relativamente favorevoli. Tra le prime si segnalano un tasso di fecondità in costante aumento (da 1,24 del 2022 a 1,39 nel 2035 e a 1,52 nel 2070) e un flusso netto di immigrati che nell’intero periodo di previsione si attesta mediamente intorno a 213 mila unità annue. Le principali ipotesi di natura macroeconomica prevedono invece un miglioramento generale dei tassi di partecipazione al mercato del lavoro, occupazione e disoccupazione. I primi due registrano un aumento nei prossimi cinquant’anni di circa 2,6 e 4 punti percentuali, soprattutto per una maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro, mentre la disoccupazione si ridurrebbe del 2,3 per cento (Tav. 1).

I risultati della baseline AWG mettono in evidenza una previsione di spesa pensionistica su Pil crescente fino al 2035 (dal 16,2 per cento del 2025 al 17,3 nel 2045) e una sua successiva discesa fino al 2070, quando si attesterà al 13,6 per cento del Pil, anche per effetto del calo degli assegni pensionistici.

Cosa accadrebbe se il governo decidesse di contenere il flusso di immigrati con l’obiettivo, per esempio, di mantenere invariato (al livello attuale) il rapporto tra immigrati e totale della popolazione?

La spesa pensionistica su Pil aumenterebbe a causa del minor numero di occupati, dovuto alla ridotta presenza di immigrati, e quindi al più basso livello del Pil. Mantenere il rapporto tra immigrati e popolazione italiana ai livelli del 2022 (8,5 per cento), implicherebbe un flusso netto di immigrati praticamente nullo (6.000 unità medie annue).[4] A parità di altre condizioni, la spesa pensionistica su Pil mostrerebbe i primi segnali di peggioramento già dal 2025, raggiungendo nel 2045 il picco di quasi il 20 per cento (Fig. 1). Anche nella fase decrescente della spesa pensionistica su Pil, i risultati del nuovo scenario rimangono ampiamente al di sopra di quelli della baseline attestandosi al 16,2 per cento nel 2070 contro il 13,6 per cento (si veda l’Appendice metodologica per come questo risultato e i seguenti sono stati ottenuti).

Di quanto dovrebbe aumentare il tasso di fecondità per compensare il minor numero di immigrati? Visto il ritardo degli effetti dovuti all’aumento del tasso di fecondità, e quindi del numero di persone in età lavorativa, per diversi anni non sarebbe comunque possibile compensare il minor flusso di immigrati (i primi effetti positivi si osserverebbero solo intorno al 2040). Ma nel lungo periodo? Per tornare ai livelli della baseline nel 2070 occorrerebbe aumentare il tasso di fecondità di 0,54 al 2070 rispetto alla baseline. Ricordiamo che già nella baseline è previsto un aumento rispetto ai livelli attuali (1,24) di 0,28. L’aumento complessivo per recuperare le perdite da un minor flusso netto di immigrati sarebbe quindi da 1,24 del 2022 a 2,1 del 2070 (0,86). Per trovare un tasso di fecondità a questo livello occorre risalire ai primi anni Settanta. L’Italia del 2070 dovrebbe dunque tornare a essere molto simile a quella di un secolo prima, un compito piuttosto arduo.

Si noti inoltre che:

  • in nessun Paese avanzato (esclusi gli ex Paesi in transizione che ebbero un crollo temporaneo dei tassi di fecondità all’inizio degli anni Novanta) il tasso di fecondità è ora superiore a 2,1. I Paesi a reddito più basso che attualmente hanno un tasso di fecondità poco superiore a 2,1 includono l’Indonesia, il Perù, il Venezuela, Panama e il Marocco, mentre leggermente al di sotto dello stesso valore si trovano la Tunisia, la Georgia, l’India e il Nepal;
  • il massimo aumento complessivo registrato tra i Paesi avanzati escluse le economie in transizione è avvenuto in Svezia: +0,5 tra il 1999 e il 2010, inferiore di circa 0,4 punti rispetto a quello che sarebbe richiesto nel caso italiano;
  • l’aumento necessario del tasso di fecondità per compensare il minor numero di immigrati sarebbe inferiore se ci fosse anche un aumento del tasso di occupazione femminile, come suggerito da Meloni. Tuttavia, come notato, la baseline dell’AWG comprende già un consistente aumento del tasso di partecipazione femminile (dal 63,5 per cento nel 2025 al 77,3 per cento nel 2070 per la fascia d’età 20-64 anni) per cui un ulteriore aumento sembra difficile da raggiungere.

In conclusione, evitare un aumento del rapporto tra immigrati e popolazione attraverso un miglioramento del tasso di fecondità sembra piuttosto complicato. Occorre anche considerare che aumentare il tasso di fecondità richiede il dispendio di notevoli risorse pubbliche cui si dovrebbero aggiungere le maggiori spese per l’istruzione dei nuovi nati. Infatti, già guardando alle proiezioni del rapporto AWG, un’ipotesi di high enrolment nello scenario baseline con un tasso di fecondità a 1,52 nel 2070 comporterebbe un aumento della spesa per istruzione su Pil dello 0,6 per cento al 2070. Ciò detto, un aumento della spesa per la natalità (soprattutto asili nido e congedi parentali che rendano possibile conciliare il lavoro con la cura dei figli) resta necessario, non fosse altro perché, vale la pena ricordarlo, anche la baseline comporta un significativo aumento del tasso di fecondità.

Appendice metodologica

Per calcolare il tasso di fecondità necessario a neutralizzare gli effetti sulla spesa pensionistica dovuti a una riduzione del numero di immigrati in entrata, tale per cui il rapporto tra immigrati e popolazione totale rimanga invariato a quello attuale, abbiamo seguito i seguenti passaggi.

Il primo passo è stato quello di stimare il rapporto tra il numero di immigrati e la popolazione totale al 2022. Dai dati Istat questi ammontavano rispettivamente a poco più di 5 e 59 milioni, per un rapporto intorno all’8,5 per cento. Il numero futuro di immigrati presenti sul territorio italiano nell’ipotesi di invarianza all’8,5 per cento del rapporto è stato ottenuto applicando tale percentuale alla proiezione AWG della popolazione italiana. Il flusso netto di immigrati rimane positivo nel tempo, ma meno di quanto ipotizzato nella baseline AWG. In media, invece di 213 mila immigrati l’anno nell’orizzonte temporale fino al 2070, la media si riduce a circa 6 mila unità.

Il rapporto AWG, richiamato anche nel Def, ci dice che con il -33 per cento del flusso netto di immigrati (circa -70 mila unità medie l’anno), nel 2070 il rapporto tra spesa pensionistica e Pil sarebbe più alto di 0,7 punti. Ipotizzando una relazione lineare tra aumento della spesa pensionistica e riduzione del numero di immigrati, un calo rispetto alla baseline di 207 mila unità medie annue comporta un aumento della spesa di 2,6 punti percentuali al di sopra di quello della baseline.

Il rapporto AWG ci dice anche che un aumento di +0,2 al 2070 sul tasso di fecondità assunto nella baseline comporta un calo della spesa pensionistica rispetto al Pil di 0,96 punti percentuali. Quindi per controbilanciare la maggiore spesa per pensioni di 2,61 punti percentuali, dovuta al calo degli immigrati, occorre un tasso di fecondità al 2070 più alto di 0,6 rispetto alla baseline (1,52) e quindi un tasso finale di 2,1.


[1] Si veda la Sezione I (Programma di Stabilità) del Documento di Economia e Finanza 2023, soprattutto le pp. 112-116.

[2] Si veda per esempio “Meloni: non servono più migranti ma più figli e lavoro femminile”, Il Sole 24 Ore, 18 aprile 2023.

[3] Si veda “The 2021 Ageing Report: Economic and Budgetary Projections for the EU Member States (2019-2070)”, European Commission. Si utilizza questo documento piuttosto che il Def perché esso fornisce un dettaglio più preciso delle ipotesi e dei risultati degli scenari presentati. L’Ageing Report del 2021 utilizza le previsioni demografiche pubblicate dall’Eurostat fino al 2070.

[4] Questa stima tiene conto delle tendenze demografiche (nascite e decessi) degli immigrati.

Un articolo di

Rossana Arcano, Leonardo Ciotti, Carlo Cottarelli

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