Quasi tutti i gruppi di opposizione hanno recentemente presentato un disegno di legge sul salario minimo. L’Italia, a differenza di molti Stati membri dell’Unione europea, oltre agli Stati Uniti, non ha una legge che regoli la retribuzione minima garantita ai lavoratori. Il ddl interverrebbe su due aspetti. Primo, si renderebbero validi erga omnes gli accordi stipulati dalle associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative a livello nazionale relativi alla retribuzione complessiva (costituita dal trattamento economico minimo, dagli scatti di anzianità, dalle varie mensilità aggiuntive e altre componenti). Secondo, in tali accordi il trattamento economico minimo, equivalente al minimo tabellare, non potrebbe essere inferiore a 9 euro lordi l’ora, il “salario minimo”. La platea coinvolta ammonterebbe a più di 3 milioni di lavoratori.
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Il 4 luglio, quasi tutti i gruppi di opposizione hanno presentato alla Camera dei deputati un disegno di legge per istituire un salario minimo.[1] La maggior parte degli Stati membri dell’Unione europea, oltre agli Stati Uniti, hanno da tempo un salario minimo fissato per legge. L’Italia no. In Italia i Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (CCNL) firmati dalle organizzazioni sindacali e imprenditoriali fissano retribuzioni al di sotto delle quali le imprese non possono scendere (mentre possono andare al di sopra attraverso la negoziazione di secondo livello, cioè a livello d’impresa), ma questi contratti non sono validi erga omnes, ossia anche verso le imprese che non li hanno firmati.
Cosa propone esattamente il ddl in questione? Il primo articolo afferma che i datori di lavoro devono corrispondere “una retribuzione complessiva sufficiente e proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro prestato”. Ma come si identifica questa retribuzione sufficiente e proporzionata? A questo pensa l’articolo 2 che, al primo comma, stabilisce due punti.
- La retribuzione adeguata è il trattamento economico complessivo (TEC) comprensivo “del trattamento economico minimo, degli scatti di anzianità, delle mensilità aggiuntive e delle indennità contrattuali fisse e continuative dovute in relazione all’ordinario svolgimento dell’attività lavorativa non inferiore […] a quello previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) in vigore per il settore […] stipulato dalle associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative a livello nazionale”. Questo comporta che il TEC fissato nei contratti stipulati dalle organizzazioni più rappresentative (per esempio Confindustria da un lato e CGIL-CISL-UIL dall’altro) assume – e qui sta la novità – un valore erga omnes, anche per chi non ha siglato il CCNL. Per chiarire, non si tratta di un salario minimo orario, ma di una retribuzione complessiva, valida per varie qualifiche e categorie di lavoratori, che tutti dovrebbero rispettare.
- Il trattamento economico minimo (TEM) che fa parte della retribuzione complessiva, stabilita nel CCNL, non deve, a livello orario, essere inferiore a 9 euro al lordo di imposte e contributi. Questo è il salario minimo che, quindi, non include tutti gli elementi che fanno parte del TEC, ma solo la paga di base.
Ma cos’è esattamente il TEM? Anche se il testo di legge e la relazione illustrativa del provvedimento non lo dicono esplicitamente, il TEM dovrebbe coincidere con quello che nei contratti è definito il “minimo tabellare” che, appunto, non comprende scatti di anzianità, mensilità aggiuntive e altre voci dello stipendio che invece stanno nel TEC.[2] Nei contratti il minimo tabellare non è definito in termini orari, ma in termini di retribuzione mensile. Tuttavia il TEM relativo a un certo contratto può essere ricavato dividendo la retribuzione minima tabellare per il numero di ore, che nel caso del contratto dei metalmeccanici, per esempio, è pari a 173 ore. È questa voce della retribuzione che dovrà essere di almeno 9 euro lordi. Ne consegue, peraltro, che con un TEM di almeno 9 euro il TEC orario corrispondente (che determina il costo complessivo del lavoro per l’impresa al lordo di imposte e contributi) potrebbe essere significativamente più alto.
La platea e l’impatto del salario minimo
Quanti lavoratori riceverebbero una retribuzione più elevata se il ddl fosse approvato? Questa platea non coincide con quella dei “lavoratori poveri”, cioè quelli che hanno una retribuzione bassa, spesso identificata con un trattamento inferiore al 60 per cento del reddito mediano nazionale. Infatti questi lavoratori potrebbero avere una retribuzione bassa non perché hanno un salario orario basso, ma perché lavorano poche ore. Occorre quindi andare a identificare i lavoratori che sono poveri perché hanno una retribuzione oraria (intesa come minimo tabellare per ora) bassa, ossia inferiore a 9 euro lordi all’ora.[3]
Una stima minima del numero di lavoratori che hanno un TEM inferiore a 9 euro lordi può essere ricavata dai dati forniti dall’Istat in un’audizione alla Camera dei deputati dell’11 luglio.[4] L’Istat parte dai dati del Registro annuale sulle retribuzioni, realizzato sempre dall’Istat attraverso l’integrazione di diverse fonti, che comprende ore e costo del lavoro per individui e imprese. La retribuzione oraria è ottenuta dividendo il costo del lavoro per il numero di ore lavorate. Come chiarisce l’Istat, i dati sul costo del lavoro sono comprensivi di “salari, stipendi e competenze accessorie, in denaro e in natura [incluse le mensilità aggiuntive], al lordo delle trattenute fiscali e previdenziali” a carico del lavoratore. È quindi chiaro che il concetto utilizzato si riferisce a un trattamento economico complessivo (il suddetto TEC) calcolato a livello orario. In una comunicazione telefonica l’Istat ci ha confermato che il calcolo è stato fatto per la retribuzione complessiva perché le informazioni raccolte si riferivano a questa voce e non al TEM.
Secondo l’Istat ci sono circa 3 milioni di lavoratori con una retribuzione oraria, definita in tal modo, inferiore a 9 euro l’ora. L’Istat indica che per questi lavoratori l’aumento medio annuale nella retribuzione sarebbe di circa 804 euro se questa, così definita, salisse a 9 euro l’ora, con un conseguente aumento complessivo della massa salariale di 2,8 miliardi di euro.
Tuttavia, come notato, il ddl propone un minimo di 9 euro l’ora non per il TEC orario, bensì per il TEM orario o minimo tabellare, che è più basso. È quindi probabile che il numero di lavoratori con un TEM inferiore a 9 euro l’ora, quelli che sarebbero coinvolti dalla legislazione sul salario minimo, sia significativamente superiore a 3 milioni, anche se non è chiaro di quanto.
Le principali cause del lavoro povero
Come è possibile che ci siano così tanti lavoratori con un TEM inferiore a 9 euro o addirittura un TEC inferiore a 9 euro se, a detta di molti esperti (vedi per esempio la nota 3), i CCNL siglati dalle principali organizzazioni nei principali settori prevedono retribuzioni sostanzialmente più alte? Un motivo potrebbero essere i cosiddetti “contratti collettivi pirata”. Questi non sono tuttavia, come si potrebbe pensare, contratti illegali, ma contratti siglati da sindacati minori, che prevedono retribuzioni più svantaggiose rispetto, per esempio, a quelle previste dai contratti firmati da sindacati maggiormente rappresentativi come CGIL, CISL e UIL (quelli riconducibili a questi tre sindacati sarebbero circa 200 sui 976 CCNL attualmente attivi). Tuttavia, i contratti non riconducibili ai principali sindacati, seppur numerosi, non coprono molti lavoratori. Per esempio, sappiamo che i quasi 350 contratti stipulati da sindacati che non trovano alcuna rappresentanza all’interno del consiglio del CNEL coprono solo 44 mila lavoratori.[5]
Ci potrebbero essere anche casi di altri lavoratori con rapporti di lavoro atipici, ossia da lavori caratterizzati da un’elevata flessibilità e che spesso non offrono al lavoratore gli stessi diritti del contratto di lavoro standard. Tra essi ci sono lavori temporanei, rapporti di collaborazione, lavoro accessorio mediante buoni lavoro e lavoro a chiamata. Rapporti di questo tipo, come indicato nella parte introduttiva del ddl, rifletterebbero anche il crescente ricorso delle aziende alle esternalizzazioni.
Ciò detto, diversi trattamenti economici complessivi dei CCNL siglati dalle associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative a livello nazionale non superano i 9 euro lordi l’ora. Questi, come mostrato nel focus di ADAPT menzionato nella nota 3, si concentrano negli ultimi livelli di inquadramento di settori come turismo, pulizia, vigilanza privata, pubblici servizi e commercio.
[2] I minimi tabellari corrispondono alla retribuzione minima oraria stabilita dai CCNL, che ne determinano l’importo in relazione alla qualifica del lavoratore (operaio, impiegato, quadro o dirigente) e al livello contrattuale corrispondente alla mansione svolta.
[3] Il dibattito su questo tema ha catturato l’attenzione di molti ed è stato inizialmente caratterizzato dalla confusione tra TEM e TEC, come nel caso del dibattito, riportato dal Sole 24 Ore, tra Tiraboschi e Guerra. Il primo, in un focus di ADAPT del 3 luglio (quindi antecedente alla pubblicazione della proposta di legge) aveva sottolineato che non ci sono molti lavoratori con una retribuzione inferiore a 9 euro, ma i suoi dati si riferivano al trattamento economico complessivo orario, non al minimo tabellare, come notato da Guerra.
[4] Si veda il testo dell’audizione dell’Istat sul tema del salario minimo alla Camera dei deputati dell’11 luglio 2023.
[5] Si veda il XXIV Rapporto del CNEL sul Mercato del lavoro e la contrattazione collettiva, p. 358.