Negli ultimi anni le retribuzioni del settore pubblico sono diminuite sia in termini reali (-12% nel 2023 rispetto al 2020) che rispetto alle retribuzioni private. Questo rende le trattative per il rinnovo dei contratti, attualmente in corso, particolarmente complesse. La diminuzione reale delle retribuzioni pubbliche ha facilitato il finanziamento di diverse politiche del governo, come i recenti tagli dell’Irpef e le recenti assunzioni di nuovi dipendenti pubblici. Ma ora i nodi vengono al pettine perché sarà difficile per il governo resistere alle richieste di aumento dei sindacati. Le risorse finora stanziate comporterebbero una crescita dei salari del 5,78% rispetto al 2021, lasciando però il rapporto tra retribuzioni pubbliche e private a un minimo storico per gli ultimi trent’anni.
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Con la sigla, il 22 febbraio scorso, dell’usuale accordo che definisce i comparti dei dipendenti della Pubblica Amministrazione (PA) a cui si riferiranno i contratti collettivi nazionali, è iniziata la negoziazione degli aumenti salariali (e degli altri aspetti contrattuali) dei dipendenti della PA per il periodo 2022-2024.[1] L’accordo riguarda i dipendenti cui si applica, per quanto riguarda la materia contrattuale, il regime di diritto privato: questi sono classificati in quattro comparti (funzioni centrali, funzioni locali, istruzione e ricerca, sanità). Saranno anche necessari rinnovi contrattuali per i dipendenti della pubblica amministrazione in regime di diritto pubblico che includono magistratura, carriera diplomatica, carriera prefettizia, carriera penitenziaria, corpi di polizia, forze armate e vigili del fuoco.
Secondo il ministro della Pubblica Amministrazione Zangrillo, le trattative daranno priorità ai comparti delle Funzioni Locali, della Sanità e al settore “Difesa e Sicurezza”, che include il personale in regime di diritto pubblico impiegato nella Polizia, nell’Arma dei carabinieri, nella Guardia di finanza e nelle Forze armate. Questi comparti rappresentano circa il 60% delle retribuzioni lorde annue della PA.
In questo contesto, è utile fare il punto sul livello degli stipendi dei dipendenti pubblici, sia in termini assoluti sia rispetto a quelli privati, per valutare lo spazio per un possibile significativo aumento, anche alla luce delle disponibilità di bilancio. Si tratta infatti di un’importante voce di spesa per i conti pubblici: il monte salari nel 2023 era di 186,5 miliardi, quasi il 9% del Pil.
Gli aumenti salariali nel 2022-2024[2]
Cominciamo considerando gli aumenti che si sono già verificati nel triennio 2022-2024 in assenza di contratti (Tav. 1), in particolare per il settore statale.[3]
- La legge di bilancio del dicembre 2021 ha garantito aumenti salariali dello 0,33% per il 2022 e 0,53% per il 2023, 2024 e 2025, rispetto ai livelli del 2021, attraverso la cosiddetta indennità di vacanza contrattuale (IVC) (un elemento di retribuzione provvisorio che viene erogato durante il periodo in cui i contratti non sono ancora stati rinnovati).
- La legge di bilancio per il 2023 ha stanziato poi 1 miliardo come misura “una tantum” per l’anno stesso, che si è tradotto, insieme ai 500 milioni di risorse dell’IVC, in un aumento del l’1,6% delle retribuzioni del settore statale, sempre rispetto al 2021.
- Un decreto-legge dell’ottobre 2023 ha poi stanziato 2 miliardi per garantire una IVC “potenziata” per il 2024 (cosiddetto decreto-legge “Anticipi”), ma con disponibilità di cassa per le Amministrazioni statali già nel 2023.
- La legge di bilancio per il 2024 ha stanziato per l’integrazione finale per i rinnovi contrattuali 8 miliardi (di cui 3 miliardi per il 2024 e 5 a decorrere dal 2025).
Tutto sommato, questi interventi dovrebbero garantire un aumento medio per il settore statale del 5,78% (Tav. 1) nel 2024 rispetto al 2021, per un costo di 5,5 miliardi di cui 2,5 miliardi sono già stati realizzati e i restanti 3 miliardi dovrebbero conseguire alle negoziazioni in corso (Tav. 1).[4]
Per quanto riguarda il resto della PA, cioè sanità regionale e personale dipendente dalle altre amministrazioni locali, sono previsti aumenti, ponendo l’onere del finanziamento sui bilanci delle rispettive amministrazioni, in linea con quelli garantiti dal settore “statale”, e quindi dl 5,78% nel 2024-2025.[5]
Il ministro Zangrillo ha notato che un aumento del 5,78% sarebbe maggiore di quello di tutte le tornate precedenti (3,48% per la tornata 2016-2018 e 4,07% per quella 2019-2021).[6] Contabilmente, questo è innegabile, ma nel periodo 2016-21 l’inflazione (misurata dall’indice armonizzato dei prezzi al consumo) era bassa (in media 1% all’anno), mentre nel triennio 2022-2024 è stata in media del 5,5%. Vediamo allora cosa è successo ai salari pubblici al netto dell’inflazione negli ultimi anni.
Andamento delle retribuzioni pubbliche al netto dell’inflazione e rispetto al settore privato
Le retribuzioni reali (ossia al netto dell’inflazione), pubbliche e private, sono tendenzialmente scese dopo il 2009 (Fig. 1), come riflesso del generale declino del reddito pro capite italiano dalla fine degli anni Duemila. Dopo una sostanziale stabilità nella seconda parte degli anni Dieci, e un aumento nel 2020 (in presenza di una discesa dei prezzi al consumo), le retribuzioni reali sono scese tra il 2020 e il 2023 del 12% per il settore pubblico e di poco meno dell’11% per il settore privato. Tale calo non è stato accompagnato da una pari riduzione della produttività, per cui sembra dovuto alla lentezza con cui i salari, fissati da contratti triennali, hanno risposto all’aumento dei prezzi. In tal caso, è probabile un’inversione di tendenza con una ripresa della risalita dei salari in Italia nel settore privato. In quest’ultimo negli ultimi trimestri le retribuzioni contrattuali sono già aumentate più rapidamente dei prezzi (3,5% contro 1,1% nel primo trimestre del 2024 rispetto allo stesso trimestre del 2023) ed è probabile che la tendenza continui via via che i contrati triennali privati vengono rinegoziati. Inevitabilmente questa tendenza dovrebbe emergere anche nel settore pubblico, a meno che negli ultimi anni le retribuzioni pubbliche fossero già particolarmente alte rispetto a quelle private.
Non sembra però essere questo il caso (Fig. 2): anzi, nel 2021 le retribuzioni pubbliche erano già a un minimo dal 1995 rispetto a quelle private. Inoltre, qualora le retribuzioni private crescessero nel 2024, in media annua come nel primo trimestre (come si è detto 3,5%) e se anche i rinnovi contrattuali del settore pubblico entrassero a regime entro l’anno, cioè al 5,78% in più nel 2024 rispetto al 2021 (corrispondente a un tasso di crescita del 1,6% rispetto al 2023), il rapporto tra retribuzioni pubbliche e private toccherebbe un nuovo minimo (parte tratteggiata della Fig. 2).
Conclusioni
In conclusione, i salari della PA italiana sembrano essere destinati a risalire, sia per recuperare la perdita di potere d’acquisto dovuta all’inflazione, sia per il divario che si è creato rispetto alle retribuzioni private, il che porrà pressione sui conti pubblici. Negli ultimi anni, la compressione dei salari pubblici dovuta all’inflazione ha reso disponibili risorse per alimentare nuove spese o tagli di tasse: il monte salari è sceso dal 9,7% del Pil nel 2021 a una stima del 9,1% del Pil nel 2024.[7] Questo nonostante l’aumento dell’occupazione pubblica, che forse appariva poter essere più sostenibile vista la compressione delle retribuzioni reali. Ma è probabile che questa compressione sia temporanea, a meno che i sindacati non accettino un taglio sostanziale delle retribuzioni pubbliche in termini reali e rispetto a quelle del settore privato. Tutto sommato questo complicherà ulteriormente le prospettive dei nostri conti pubblici.
[1] L’accordo è stato firmato dall’Aran (l’agenzia pubblica responsabile per la negoziazione dei contratti del pubblico impego) e dalle principali sigle sindacali. Vedi: Aran, Contratto Collettivo Nazionale Quadro per la definizione dei Comparti e delle aree di Contrattazione Collettiva Nazionale (2022-2024).
[2] Per maggiori dettagli vedi il “Rapporto semestrale Aran sulle retribuzioni dei pubblici dipendenti/1 – anno 2023”.
[3] Il settore statale include ministeri, agenzie fiscali, istruzione scolastica, conservatori, accademie, presidenza del Consiglio dei ministri e personale in regime di diritto pubblico.
[4] In aggiunta a quelli riportati nella Tav. 1 sono stati anche stanziati 88 milioni per il comparto difesa e sicurezza derivanti da trattamento accessorio per la dirigenza, incrementi retributivi vari, assicurazione sanitaria integrativa, Legge n. 213/23, art. 1 c. 347, 348 e 355. Inoltre, al di fuori del settore statale sono stati stanziati anche 600 milioni per i dipendenti della sanità (legge n. 213/23, art. 1 c. 217 e 220).
[5] Vedi pag. 54 del Dossier sulla legge di bilancio 2024.
[7] Vedi Def 2024, sezione 2, Tendenze di finanza pubblica, p. 13.