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Quanto costa aumentare le pensioni minime a mille euro?

20 agosto 2022

Intermedio

Quanto costa aumentare le pensioni minime a mille euro?

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In base ai dati Inps (relativi al 2020), i pensionati con un reddito fino al trattamento minimo (515,58 euro) sono 2,1 milioni; quelli fino a due volte il minimo (tra 515,59 e 1031,16 euro) sono 3,8 milioni. Se si volesse portare a 1.000 euro il reddito pensionistico di tutti i percettori di pensione minima (già rivalutata a partire da novembre 2022 del 2,2 per cento per effetto del Decreto Aiuti Bis del governo Draghi), il costo della riforma sarebbe di circa 19,5 miliardi. Aggiungendo i pensionati con un reddito fino a due volte il minimo (la maggior parte dei quali ha un reddito pensionistico inferiore a 1.000 euro) il conto sale a 31,2 miliardi. 

La nota è stata ripresa da Repubblica in questo articolo del 20 agosto 2022.

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La pensione minima è un’integrazione economica di natura assistenziale che viene riconosciuta in forma completa al singolo (ex lavoratore dipendente o autonomo) che ha un reddito pensionistico (pensione di vecchiaia, di anzianità anticipata, di invalidità, di indennità e di reversibilità) di importo inferiore ad una certa soglia stabilita per legge (cd. trattamento minimo), oppure parziale se il reddito è compreso tra tale minimo e due volte lo stesso.[1]

Il trattamento minimo può variare da un anno all’altro, dato che tutte le pensioni sono indicizzate al tasso di inflazione con un ritardo di un anno. A partire da gennaio 2022, l’indicizzazione viene quindi effettuata con il tasso di inflazione del 2021 (1,7 per cento) che, nel caso della pensione minima, prevede una rivalutazione da 515,58 euro nel 2021 (uguale a quella del 2020) a 524,34 euro nel 2022.[2] Tale rivalutazione è comunque provvisoria poiché è stata determinata sulla base di una stima effettuata a novembre 2021, quando ancora mancavano i dati relativi ai mesi di ottobre, novembre e dicembre 2021. Poiché il tasso di inflazione effettivamente realizzato nell’anno 2021 è stato pari a 1,9 per cento, è previsto un ‘’conguaglio’’ di 0,2 per cento (inflazione realizzata – inflazione attesa) per tutti i pensionati. Di norma si provvede al conguaglio a partire dal primo mese dell’anno successivo (gennaio 2023). Tuttavia, al fine di contrastare gli effetti negativi dell’inflazione (l’aumento dell’inflazione su base annua è stata del 7,9 per cento a luglio 2022), il recente Decreto Aiuti Bis del governo Draghi ha previsto un’indicizzazione al 2,2 per cento.[3] Infatti, non solo viene anticipato il conguaglio dello 0,2 per cento al 1 novembre 2022 per tutte le pensioni ma si introduce anche un acconto in via straordinaria sulla prossima rivalutazione da ottobre a dicembre 2022 (e tredicesima) solo per le pensioni con importo mensile lordo pari o inferiore a 2.692 euro ovvero fino a 6 volte il trattamento minimo di 524,34 euro. La pensione minima a partire da novembre 2022 aumenterà quindi del 2,2 per cento da 524,34 a 535,86 euro. 

La distribuzione dei redditi pensionistici e un’analisi dei costi della proposta

Nel 2020 (anno per cui sono disponibili i dati più recenti) il numero delle pensioni è stato di 22,7 milioni, mentre i beneficiari totali 16 milioni, dal momento che un pensionato può essere percettore di più di un tipo di pensione. Ripartendo il numero di pensionati e di pensioni per classe di importo con ampiezza multipla del trattamento minimo (corrispondente a 515,58 euro nel 2020), si osserva in generale una maggiore concentrazione nella parte bassa della distribuzione (Fig.1). In particolare, per importi fino a due volte il minimo (da 515,59 a 1031,17 euro), il numero delle pensioni è maggiore di quello dei pensionati: infatti, i pensionati sotto i 1.031,16 euro sono il 37 per cento (6 milioni) contro un numero di pensioni pari a 64 per cento (14,5 milioni). Questo è probabilmente legato al fatto che nel reddito pensionistico si cumulano pensioni diverse, principalmente assistenziali, che collocano il pensionato in classi di reddito più elevate rispetto a quelle più basse in cui si era posizionata la singola pensione.[4]

Focalizzando l’attenzione solo sul numero di pensionati, quelli con importi di reddito pensionistico fino al trattamento minimo erano circa il 13 per cento (2,1 milioni di pensionati) con un reddito medio lordo annuo pari a 3.791 euro; quelli con reddito pensionistico pari due volte il minimo (tra 515,59 e 1031,16 euro) erano il 24 per cento (3,8 milioni di pensionati) con un importo medio annuo di 9.608,92 euro (Tav.1).[5]

Sulla base di questi dati, la spesa per pensioni minime nel 2020 è stata pari a circa 8,1 miliardi (numero di pensionati * importo medio lordo annuo). Se si aumentasse l’importo di tutte le pensioni minime inferiori a 515,58 euro al mese per 13 mensilità, la spesa passerebbe a circa 19,6 miliardi (numero di pensionati * 13.000-3.791). Occorre però considerare anche i pensionati della seconda fascia di reddito pensionistico (fra 515,58 e 1031,16), dato che la quasi totalità di questi pensionati ha un reddito inferiore a 1.000 euro e la media mensile è pari a euro 739; la spesa per questa categoria di pensionati sarebbe pari a 13,2 miliardi (numero di pensionati* 13.000-9608,9).[6]

In totale la spesa arriverebbe attorno ai 33 miliardi. 

Considerando la rivalutazione del 2,2 per cento del decreto Aiuti Bis a partire da novembre 2022 (che interesserebbe i redditi fino a 6 volte il trattamento minimo) e ipotizzando un numero di pensionati per le prime due fasce uguale a quello del 2020, il costo della riforma si ridurrebbe di poco: 31,2 miliardi euro, di cui 19,5 miliardi per sole pensioni inferiori al minimo. 

 

[1] Nel 2022 il trattamento minimo è stato di 524,34 euro. Un pensionato non coniugato con una pensione inferiore a 6.816,42 euro (524,34 per 13 mensilità), ad esempio di 350 euro mensili, ha diritto ad un’integrazione completa mensile pari a 174,34 euro  arrivando così a 524,34 euro; invece, un pensionato in possesso di una pensione di 150 euro e altri redditi per un totale ad esempio di 800 euro mensili, cifra superiore a 6.809,79 euro ma inferiore a due volte la soglia (13.632,84 euro), avrebbe diritto ad un’integrazione parziale pari a 248,68 euro (13.632,84 -10.400/13) da sommare ai 150 euro per un totale di 398,68 euro. 

[2] L’INPS, al fine di assicurare il rinnovo delle pensioni in tempo utile per l’anno 2022 e rendere possibile la prima liquidazione delle pensioni con decorrenza gennaio 2022, aveva inizialmente usato l’indicizzazione disponibile al 15 ottobre 2021, ovvero all’1,6 per cento portando la pensione minima a 523,82 euro; a partire dalla rata di marzo 2022 è stata applicata la percentuale all’1,7. Per maggiori dettagli si veda al punto 1: https://servizi2.inps.it/servizi/CircMessStd/VisualizzaDoc.aspx?tipologia=circmess&idunivoco=13649

[3] Si veda l’art.21 del Decreto Legge, 9 agosto 2022, n. 115: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2022/08/09/22G00128/sg

[4] Per le pensioni sopra i 1.546 euro, il numero di pensionati supera quello delle pensioni, verosimilmente perché i diversi percettori di pensioni di reversibilità ricevono parti di un’unica pensione (quella del parente defunto).  

[5] L’importo medio lordo annuo è la media tra il numero di pensionati per ciascuna fascia di reddito pensionistico e il rispettivo importo complessivo lordo annuo. Quest’ultimo si calcola come prodotto tra l’importo mensile della prestazione pagata nell’ultimo mese dell’anno e il numero di mensilità per cui è prevista l’erogazione della prestazione (13 mensilità). 

[6] La presenza di alcuni pensionati i cui reddito si colloca fra 1000 euro e 1031,17 euro è pressoché irrilevante ai fini di questo calcolo sia perché questa classe di reddito rappresenta solo il 3% della classe compresa fra 515,59 euro e 1031,16 euro sia perché all’aumento del numero di pensionati (quelli oltre 1000 euro) corrisponde un aumento della pensione media e nel calcolo del costo questi due fattori tendono a neutralizzarsi a vicenda.     

Un articolo di

Michela Garlaschi

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